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N. 82 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 1° luglio 2010. |
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Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 1° luglio 2010 (della Regione Veneto).
(GU n. 30 del 28-7-2010)
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Ricorso della Regione Veneto in persona del Presidente della
Regione pro tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta
regionale 18 maggio 2010, n. 1366 (doc. 1), rappresentata e difesa,
come da procura a margine del presente atto, dall'avv. prof.
Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con
domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Luigi Manzi, in
via Confalonieri, n. 5.
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
1-quinquies, decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, interventi urgenti
concernenti enti locali e regioni, inserito dalla legge di
conversione 26 marzo 2010, n. 42 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
n. 72 del 27 marzo 2010), nella parte in cui esso prevede la
soppressione delle Autorita' territoriali d'ambito e pone limitazioni
alla loro conferma come titolari delle funzioni d'ambito, nonche'
nella parte in cui prevede la nullita' degli atti compiuti oltre il
termine di soppressione, per violazione:
degli articoli 97, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione,
nei modi e per i profili di seguito illustrati.
F a t t o
La Regione Veneto e' dotata di potesta' legislativa piena in
materia di servizi pubblici locali (v., ad es., sent. Corte cost.
29/2006) e di organizzazione degli enti locali (salvi i profili di
cui all'art. 117, comma 2, lett. p), ai sensi dell'art. 117, comma 4,
Cost.
In realta', gia' prima della riforma del titolo V, la legge n.
36/1994 aveva riconosciuto alle regioni un ruolo centrale
nell'organizzazione del servizio idrico integrato: v., ad es., l'art.
8, comma 2 (in base al quale le regioni erano chiamate a provvedere
alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali), e l'art. 9,
comma 3 (in base al quale esse disciplinavano le forme ed i modi
della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito
ottimale).
In attuazione di queste norme, la Regione Veneto ha adottato la
l.r. n. 5/1998, Disposizioni in materia di risorse idriche.
istituzione del servizio idrico integrato ed individuazione degli
ambiti territoriali ottimali, in attuazione della legge 5 gennaio
1994, n. 36, che ha individuato gli ambiti territoriali ottimali e ha
previsto l'istituzione dell'Autorita' d'ambito da parte dei comuni e
delle province ricadenti in ciascun ambito, attraverso l'uso da parte
di questi dello strumento della convenzione o del consorzio, previsti
(all'epoca) dalla legge n. 142/1990.
All'Autorita' sono state affidate le «funzioni di programmazione,
organizzazione e controllo del servizio idrico integrato» (v. art. 3,
comma 5, 1.r. n. 5/1998). Essa ha personalita' giuridica di diritto
pubblico (art. 5, comma 1) e le spese per il suo funzionamento sono
«a carico degli enti locali ricadenti nell'ambito, proporzionalmente
al numero degli abitanti residenti» (art. 6, comma 3).
Lo strumento dell'Autorita' d'ambito e' poi stato utilizzato
anche dalla l.r. n. 3/2000, in materia di gestione dei rifiuti urbani
(v. gli artt. 14 ss.).
La disciplina statale del servizio idrico integrato e del
servizio di gestione integrata dei rifiuti e' poi confluita nel
codice dell'ambiente (d.lgs. n. 152/2006), che prevede l'istituzione
dell'Autorita' d'ambito agli articoli 148 e 201.
In base alla prima disposizione, «l'Autorita' d'ambito e' una
struttura dotata di personalita' giuridica costituita in ciascun
ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione,
alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla
quale e' trasferito l'esercizio delle competenze ad essi spettanti in
materia di gestione delle risorse idriche». Il comma 2 aggiunge che
«le regioni e le province autonome possono disciplinare le forme ed i
modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo
ambito ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorita'
d'ambito di cui al comma 1, cui e' demandata l'organizzazione,
l'affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico
integrato».
In base all'art. 201, «al fine dell'organizzazione del servizio
di gestione integrata dei rifiuti urbani, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano ... disciplinano le forme e i modi
della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito
ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorita'
d'ambito di cui al comma 2, alle quali e' demandata, nel rispetto del
principio di coordinamento con le competenze delle altre
amministrazioni pubbliche, l'organizzazione, l'affidamento e il
controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti». Il comma 2
dispone che «l'Autorita' d'ambito e' una struttura dotata di
personalita' giuridica costituita in ciascun ambito territoriale
ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti
locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale e' trasferito
l'esercizio delle loro competenze in materia di gestione integrata
dei rifiuti».
Puo' essere comunque osservato, in ragione di quanto poi si
dira', che benche' il modello delle Autorita' d'ambito nel Veneto sia
perfettamente coerente con le disposizioni statali ora citate, esse
non sono state istituite ai sensi di tali disposizioni, che non vi
sono per vero neppure nominate: dato che - nonostante la continua
opera di manutenzione compiuta dal legislatore regionale (tra
l'altro, con le seguenti leggi regionali: 22 febbraio 1999, n. 7; 9
settembre 1999, n. 46; 9 febbraio 2001, n. 5; 3 settembre 2001, n.
27; 18 novembre 2005, n. 15; 16 agosto 2007, n. 20; v. anche la legge
regionale 12 gennaio 2009, n. 1), il fondamentale impianto di base
continua ad essere costituito dal testo originario della legge
regionale n. 5 del 1998.
Il sistema delle Autorita' territoriali d'ambito della Regione
Veneto non costituisce dunque attuazione ancora sperimentale del
d.lgs. n. 152 del 2006 - al quale appartengono le sopra citate
disposizioni degli articoli 148 e 201, ma costituisce il presidio
territoriale che da oltre un decennio assicura in modo adeguato ed in
ambiti ottimali le funzioni pubbliche concernenti il servizio idrico
integrato ed il servizio di gestione dei rifiuti, ivi compreso, ma
certo non esclusivamente, l'affidamento dei servizi ai soggetti
gestori. Nel Veneto le AATO (Autorita' d'Ambito Territoriale
Ottimale) sono operative da diversi anni, con piani d'ambito
approvati, efficaci e ove occorra gia' aggiornati.
Puo' darsi che in diverse realta' regionali le ATO non abbiano
dato buona prova, ed abbiano costituito strutture poco efficienti ed
onerose: ma questo non si puo' certo dire per il Veneto, dove esse
hanno costituito una risorsa, che ha garantito una gestione pubblica
e di basso costo per la collettivita' di servizi preziosi quali
quello dell'acqua e della gestione dei rifiuti.
L'assetto dei rapporti tra competenze degli enti locali ed
esigenze di gestione su ambiti adeguati era stato valutato adeguato e
conforme a Costituzione da codesta stessa Corte, che con la sentenza
n. 246 del 2009 ha respinto talune censure regionali rivolte avverso
l'art. 148 sopra citato, argomentando che «la norma censurata non
menoma la preesistente autonomia amministrativa degli enti locali,
perche' si limita a razionalizzarne le modalita' di esercizio,
attraverso l'imputazione delle loro originarie competenze in materia
di gestione delle risorse idriche all'autorita' d'ambito alla quale
essi obbligatoriamente partecipano».
Codesta Corte aveva ricordato che «le autorita' d'ambito erano
gia' previste dagli artt. 8 e 9 della legge n. 36 del 1994 e dagli
articoli da 24 a 26-bis della legge 8 giugno 1990, n. 142
(Ordinamento delle autonomie locali), che ne consentivano
l'istituzione, da parte delle regioni, con strutture e forme
giuridiche diverse alle quali pure partecipavano necessariamente gli
enti locali, come le convenzioni, i consorzi, le unioni di comuni,
l'esercizio associato delle funzioni», e che «tali disposizioni sono
state attuate dalla legislazione regionale mediante l'adozione di
moduli organizzativi scelti tra quelli consentiti dalle disposizioni
stesse, seppure diversamente denominati (agenzie, consorzi,
autorita')», per concludere che «la norma censurata razionalizza tale
quadro normativo, superando la frammentazione della gestione del
servizio idrico, nel rispetto delle preesistenti competenze degli
enti territoriali»; che essa «unifica le modalita' di esercizio della
gestione delle risorse idriche, prevedendo espressamente il
trasferimento delle relative competenze dagli enti locali
all'autorita' d'ambito; autorita' della quale - come visto - gli enti
locali necessariamente fanno parte», e che «tale razionalizzazione
e', dunque, avvenuta - come richiesto dalla legge di delegazione -
senza privare gli enti territoriali dei poteri amministrativi loro
conferiti dal d.lgs. n. 112 del 1998» (punto 12.1 in diritto).
Tale assetto organizzativo, cui e' affidata ormai da tempo la
sovrintendenza di due fondamentali servizi pubblici quali quello
idrico e quello di gestione dei rifiuti, e' stato ora bruscamente ed
inopinatamente sconvolto dall'art. 1, comma 1-quinquies, d.l. n.
2/2010.
L'art. 1, d.l. n. 2/2010 e' intitolato Interventi urgenti sul
contenimento delle spese negli enti locali, e la legge di conversione
n. 42/2010 ha aggiunto in esso il comma 1-quinquies, che stabilisce
quanto segue:
«All'art. 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, dopo il comma
186 e' inserito il seguente: "186-bis. Decorso un anno dalla data di
entrata in vigore della presente legge, sono soppresse le Autorita'
d'ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni.
Decorso lo stesso termine, ogni atto compiuto dalle Autorita'
d'ambito territoriale e' da considerarsi nullo. Entro un anno dalla
data di entrata in vigore della presente legge, le regioni
attribuiscono con legge le funzioni gia' esercitate dalle Autorita',
nel rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione e
adeguatezza. Le disposizioni di cui agli articoli 148 e 201 del
citato decreto legislativo n. 152 del 2006, sono efficaci in ciascuna
regione fino alla data di entrata in vigore della legge regionale di
cui al periodo precedente. I medesimi articoli sono comunque abrogati
decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente
legge"».
Dunque, e sia pure tenendo conto dei complessi problemi
interpretativi che le diverse disposizioni del comma propongono, a
quel che sembra il nuovo art. 2, comma 186-bis, legge n. 191/2009,
disponendo la soppressione delle Autorita' d'ambito «di cui agli
articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152»,
con la conseguente nullita' di ogni atto compiuto oltre il termine
stabilito, viene ad incidere gravemente su servizi pubblici
essenziali di competenza regionale, travolgendone il corretto attuale
funzionamento.
Cosi' facendo, la nuova norma statale lede le prerogative
costituzionali della regione e degli enti locali sotto diversi
profili, per le seguenti ragioni di
D i r i t t o
Premesse interpretative.
Le disposizioni di qui al comma 186-bis qui impugnate sopprimono,
come gia' esposto, «le Autorita' d'ambito territoriale di cui agli
articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e
successive modificazioni».
A rigore, le Autorita' d'ambito del Veneto non dipendono dagli
articoli 148 e 201 del decreto ambiente, ma dalla legge regionale n.
5 del 1998, e successive modificazioni, nella quale le due
disposizioni non sono neppure nominate. Tuttavia, si assume qui che
nell'intenzione del legislatore statale la soppressione riguardi
anche le AATO del Veneto, fermo restando che, ove tale premessa
interpretativa fosse errata, le censure formulate non avrebbero
ragion d'essere. Ancora, la disposizione statale sopprime le
Autorita', ma non certo le funzioni (ne' l'idea stessa di ambito
territoriale ottimale nel quale esse vadano esercitate, che continua
ad essere presente in diverse norme dello stesso decreto ambiente, a
partire da quella dell'art. 147), delle quali anzi si prevede che
siano le Regioni ad attribuirle con propria legge «nel rispetto dei
principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza».
Sembra trattarsi di un riconoscimento di competenza molto ampio,
al punto che potrebbe persino ritenersi che l'abrogazione degli artt.
148 e 201 del d.lgs. n. 152 del 2006 si limiti a sopprimere il
vincolo delle regioni a quel modello, lasciandole tuttavia libere di
confermarlo ove ne fossero soddisfatte.
Se cosi' fosse, tuttavia, non si capirebbe la ragione di una
cosi' drastica e precipitosa soppressione delle Autorita' esistenti,
che in definitiva corrispondevano ad un modello associativo degli
enti locali perfettamente coerente e legittimo, come attestato dalla
stessa giurisprudenza costituzionale sopra citata: sarebbe stato
sufficiente lasciare alle regioni la liberta' di allontanarsene, nei
modi e tempi che ritenessero opportuni.
Si assume dunque qui che non solo le disposizioni impugnate
sopprimano gli organismi che da oltre 10 anni governano nel Veneto i
servizi idrici e di gestione dei rifiuti, ma che sia anche precluso
alle regioni di confermare con le proprie leggi la sostanza di quel
modello, ove esso abbia dato ottima prova.
1) Violazione dell'art. 117, terzo comma, e dell'art. 119, Cost.
Come sopra esposto, la norma impugnata e' inserita in un articolo
intitolato Interventi urgenti sul contenimento delle spese negli enti
locali.
La ratio dell'intervento e' dunque di ordine finanziario, come e'
anche confermato dal «luogo» della legge n. 191/2009 nel quale e'
stata inserita la nuova disposizione. Essa, infatti, aggiunge il
comma 186-bis, nell'art. 2, legge n. 191/2009, e tale comma 186-bis
e' compreso fra una disposizione che prevede il dovere dei comuni di
adottare determinate misure (soppressione della figura del difensore
civico comunale, soppressione delle circoscrizioni di decentramento
comunale, possibilita' di delega da parte del sindaco dell'esercizio
di proprie funzioni a non piu' di due consiglieri, in alternativa
alla nomina degli assessori, soppressione della figura del direttore
generale, soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali)
«al fine del coordinamento della finanza pubblica e per il
contenimento della spesa pubblica» (comma 186), ed un'altra
disposizione che sancisce la cessazione del concorso statale al
finanziamento delle comunita' montane.
Dunque, sia la duplice collocazione sistematica della norma
impugnata (nel d.l. n. 2/2010 e nella legge n. 191/2009) sia il suo
contenuto rendono chiaro che l'ambito di competenza in base al quale
lo Stato ha ritenuto di intervenire, e lo scopo che esso si e'
proposto, e' il coordinamento della finanza pubblica, nella figura
delle misure di risparmio.
In sostanza, il comma 186-bis mira a «sfoltire» l'organizzazione
pubblica locale, diminuendo le spese degli enti locali. In nessun
modo la norma impugnata si propone uno scopo di tutela dell'ambiente
o della concorrenza, essendo assente qualsiasi riferimento esplicito
a tali materie ed essendo assente qualsiasi finalita' implicita di
tutela dell'ambiente o della concorrenza.
A ben vedere, e proprio al contrario, la norma impugnata va
contro gli interessi ambientali e della concorrenza, dal momento che
proprio la razionalizzazione delle competenze nelle ATO era dovuta
alla tutela di tali valori: infatti, codesta stessa Corte
costituzionale con la sent. n. 246/2009 ha respinto le censure
regionali contro l'art. 148 codice ambiente osservando che la
disposizione attiene «alla tutela della concorrenza, laddove prevede
il superamento della frammentazione della gestione delle risorse
idriche attraverso l'individuazione di un'unica Autorita' d'ambito,
allo scopo (come meglio si vedra' al punto 17.4.) di consentire la
razionalizzazione del mercato, con la determinazione della tariffa
del servizio secondo un meccanismo di price cap, diretto a garantire
la concorrenzialita' e l'efficienza delle prestazioni», e che essa
«attiene anche alla tutela dell'ambiente, perche' l'allocazione
all'Autorita' d'ambito territoriale ottimale delle competenze sulla
gestione serve a razionalizzare l'uso delle risorse idriche e le
interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della
"biosfera" intesa "come sistema" [...] nel suo aspetto dinamico».
La norma impugnata non prevede un mutamento dell'organizzazione
del servizio idrico per ragioni ambientali, ma la soppressione
generale delle AATO per mere esigenze di bilancio.
Si puo' anche aggiungere che la cessazione delle ATO, con
nullita' degli atti compiuti dalle Autorita' dopo un anno
dall'entrata in vigore della legge n. 42/2010, anche per le regioni
che non avessero adempiuto il compito di attribuire «con legge le
funzioni gia' esercitate dalle Autorita', nel rispetto dei principi
di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza», pone ancor piu' a
rischio gli interessi ambientali tutelati dal sistema imperniato
sulle Autorita' d'ambito.
Di modo che, in definitiva, non solo le competenze statali in
materia di tutela dell'ambiente e di tutela della concorrenza non
possono costituire il fondamento delle disposizioni impugnate, ma ne
pongono in rilievo un ulteriore aspetto di illegittimita', nella
misura in cui tali disposizioni mettono a repentaglio i valori che lo
Stato dovrebbe proteggere.
L'esclusiva imputazione della norma impugnata alla materia
«coordinamento della finanza pubblica» e' poi confermata
dall'evidente collegamento che essa ha con le precedenti previsioni
dell'art. 2, commi 33 e 38, legge n. 244/2007. In base al comma 38,
«per le finalita' di cui al comma 33» (cioe', il coordinamento della
finanza pubblica), «le regioni, nell'esercizio delle rispettive
prerogative costituzionali in materia di organizzazione e gestione
del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata
dei rifiuti, fatte salve le competenze del Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare, in ottemperanza agli obblighi
comunitari, procedono entro il 1° luglio 2008, fatti salvi gli
affidamenti e le convenzioni in essere, alla rideterminazione degli
ambiti territoriali ottimali per la gestione dei medesimi servizi
secondo i principi dell'efficienza e della riduzione della spesa nel
rispetto dei seguenti criteri generali, quali indirizzi di
coordinamento della finanza pubblica: a) in sede di delimitazione
degli ambiti secondo i criteri e i principi di cui agli articoli 147
e 200 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, valutazione
prioritaria dei territori provinciali quali ambiti territoriali
ottimali ai fini dell'attribuzione delle funzioni in materia di
rifiuti alle province e delle funzioni in materia di servizio idrico
integrato di norma alla provincia corrispondente ovvero, in caso di
bacini di dimensioni piu' ampie del territorio provinciale, alle
regioni o alle province interessate, sulla base di appositi accordi;
in alternativa, attribuzione delle medesime funzioni ad una delle
forme associative tra comuni di cui agli articoli 30 e seguenti del
testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267,
composte da sindaci o loro delegati che vi partecipano senza
percepire alcun compenso».
La norma impugnata, quindi, ha scopi di risparmio attraverso una
semplificazione organizzativa, che si traduce nel divieto per le
regioni di utilizzare le Autorita' d'ambito per la gestione dei
servizi idrico e dei rifiuti.
Assegnato tale scopo ed ambito alla norma, tuttavia, risulta ad
avviso della ricorrente regione evidente che essa eccede palesemente
i limiti della potesta' statale di coordinamento della finanza
pubblica.
In tale materia, infatti, la competenza statale consiste nel
potere di dettare principi fondamentali ai sensi dell'art. 117, terzo
comma, Cost., e una ormai ampia giurisprudenza costituzionale ha
chiarito i possibili contenuti ed i limiti della potesta' statale di
coordinamento.
Una delle regole fondamentali enucleate dalla giurisprudenza
costituzionale consiste nel principio secondo il quale lo Stato,
nell'esercizio del potere di coordinamento finanziario, puo' bensi'
porre limiti alla spesa complessiva degli enti territoriali - in
quanto questo e' necessario per garantire l'unita' del bilancio ed il
rispetto evidentemente necessario dei vincoli del patto di stabilita'
comunitario - ma non decidere in luogo delle regioni quali specifiche
voci di spesa debbano essere compresse per rispettare tali limiti:
perche' cio' e' indifferente al complessivo esito finanziario e
rientra nell'ambito di autonomia regionale.
Tale principio e' stato affermato, ad esempio, nella sentenza n.
36 del 2004, punto 6. Si puo' poi ricordare la sent. n. 390/2004, che
ha dichiarato illegittimo il limite del 50 per il turn-over, in
quanto si trattava di un «precetto specifico e puntuale»: codesta
Corte ha appunto stabilito in questa occasione che «la legge statale
puo' prescrivere criteri ... ed obiettivi (ad esempio, contenimento
della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti
concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi».
Importante e' stata, poi, la sent. n. 417/2005, che ha dichiarato
illegittimi i vincoli per consulenze, missioni e acquisti: «le norme
che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei
bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi
dell'art. 117, terzo comma, Cost., e ledono pertanto l'autonomia
finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost.»; «il legislatore
statale puo' legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle
politiche di bilancio (ancorche' si traducano, inevitabilmente, in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti), ma solo,
con «disciplina di principio», «per ragioni di coordinamento
finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli
obblighi comunitari»; «perche' detti vincoli possano considerarsi
rispettosi dell'autonomia delle regioni e degli enti locali debbono
avere ad oggetto o l'entita' del disavanzo di parte corrente oppure -
ma solo «in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di
riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore
statale» - la crescita della spesa corrente degli enti autonomi; in
altri termini, la legge statale puo' stabilire solo un «limite
complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»
(v. poi le sentt. 88/2006, 449/2005, 89/2007, 95/2007, 157/2007,
237/2009, 297/2009).
E' vero che, in certi casi, codesta Corte ha giustificato anche
limiti che riguardavano voci specifiche di spesa, ma si trattava o di
limiti a carattere transitorio (v. sentt. 289/2008 e 120/2008), o di
ipotesi nelle quali le regioni mantenevano pur sempre un margine di
scelta per modulare il limite (v. sentt. 139/2009 e 289/2008).
Il comma 186-bis, invece, prevede una specifica limitazione
organizzativa che si suppone (senza fondate ragioni, come si dira')
corrisponda ad un peraltro indeterminato risparmio di spesa.
Ora, se pure si potesse assimilare una simile limitazione
organizzativa - per la quale paradossalmente quella forma
organizzativa che fino a ieri era imposta alle regioni in nome della
tutela dell'ambiente e della concorrenza ora risulta addirittura
vietata, e in quanto in atto soppressa - ad una limitazione della
spesa, si tratterebbe di un limite puntuale, ad una voce specifica di
spesa che di certo non rappresenta «un rilevante aggregato della
spesa di parte corrente, che costituisce una delle piu' frequenti e
rilevanti cause del disavanzo pubblico» (come la Corte ha
puntualizzato con riferimento a certi casi); e si tratta di un limite
stabile, non suscettibile di alcuno svolgimento da parte regionale,
dato che esso e' auto applicativo e opera con la radicale
soppressione delle Autorita' dopo un anno dall'entrata in vigore
della legge.
La norma impugnata, dunque, viola l'art. 117, terzo comma, Cost.
e anche l'art. 119 Cost., in quanto implica una menomazione
dell'autonomia finanziaria della regione e degli enti locali.
La regione, infatti, agisce sia a tutela della propria autonomia
finanziaria, in quanto gli artt. 20 e 48, 1.r. n. 3/2000 e gli artt.
6 e 13, l.r. n. 5/1998 prevedono l'erogazione di contributi che
possono essere destinati alle AATO (v. anche l'art. 2, 1.r. n.
31/1991: «I benefici economici previsti dalle vigenti leggi regionali
di settore a favore dei Consorzi tra Enti locali sono estesi alle
Unioni di Comuni, alle Comunita' montane e, compatibilmente con la
natura dell'attivita' svolta, ai Comuni e alle Province che stipulino
tra loro apposite convenzioni ai sensi dell'art. 24 della legge 8
giugno 1990, n. 142»), sia a tutela dell'autonomia finanziaria degli
enti locali, che sono i soggetti cui fanno carico i costi delle AATO.
Codesta Corte ha gia' riconosciuto la legittimazione delle
Regioni a difendere l'autonomia finanziaria degli enti locali: v. le
sentt. 169/2007, 95/2007, 417/2005, 196/2004, 533/2002. Di recente,
codesta Corte ha ribadito che «le Regioni sono legittimate a
denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni
degli enti locali, indipendentemente dalla prospettazione della
violazione della competenza legislativa regionale» (sent. 298/2009,
punto 7.2).
Inoltre, la disposizione soppressiva delle ATO, non potendosi
giustificare come norma di principio di coordinamento finanziario, si
traduce in una arbitraria limitazione della autonomia legislativa
della Regione Veneto nella organizzazione del servizio idrico e del
servizio di asporto rifiuti, come meglio si esporra' nel punto che
segue.
2) Violazione degli artt. 97, 117, quarto comma, e 118 Cost.
Come gia' ricordato nella parte in Fatto, la Regione Veneto e'
dotata di potesta' legislativa piena in materia di servizi pubblici
locali (v., ad es., sent. Corte cost. n. 29/2006) e di organizzazione
degli enti locali (salvi i profili di cui all'art. 117, comma 2,
lett. p), ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost.
Tanto cio' e' vero, che le «prerogative costituzionali
[regionali] in materia di organizzazione e gestione del servizio
idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti»
sono state menzionate dallo stesso legislatore statale (art. 2, comma
38, legge n. 244/2007). La competenza regionale a regolare le forme
di cooperazione tra gli enti locali in relazione al servizio idrico,
d'altronde, era riconosciuta gia' nella legge n. 36/1994, come visto,
e, in generale, dall'art. 3, comma 3, legge n. 142/1990 (v. ora
l'art. 4, comma 4, d.lgs. n. 267/2000).
Dunque, anche in un periodo in cui l'ordinamento degli enti
locali spettava interamente al legislatore statale, la Regione era
competente a regolare le forme di collaborazione tra gli enti locali,
sul presupposto che esse, essendo strettamente legate all'esercizio
di funzioni amministrative nelle diverse materie, fanno parte della
disciplina di tale esercizio, e devono dunque essere in una qualche
misura regolabili dall'ente titolare della competenza nei diversi
settori.
Dopo il 2001 la competenza regionale sul punto si e' ampliata,
dato che ora i moduli organizzativi degli enti locali rientrano nella
potesta' legislativa regionale, salva l'autonomia degli enti stessi
ed esclusi i profili di cui all'art. 117, comma 2, lett. p).
Dunque, la norma impugnata, prevedendo la soppressione delle
AATO, pone un vincolo che incide su materie di competenza regionale
ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. (il servizio idrico e le
forme di cooperazione degli enti locali) e sul potere regionale di
allocare le funzioni amministrative nelle materie regionali (art.
118, Cost.). Non potendosi tale vincolo giustificare a titolo di
coordinamento finanziario (come visto nel punto 1), ne risulta una
lesione della competenza costituzionale regionale.
La soppressione delle AATO pregiudica le competenze regionali in
materia di servizi pubblici anche perche' si pone in contrasto con
l'art. 97 Cost.
Infatti l'art. 148 d.lgs. n. 152/2006 «razionalizzava» il quadro
normativo previgente - lo si descrive usando le parole della sentenza
n. 246 del 2009 di codesta Corte - «superando la frammentazione della
gestione del servizio idrico, nel rispetto delle preesistenti
competenze degli enti territoriali» (punto 12.1).
Nel punto 1 si e' poi visto che la stessa sentenza ha anche
affermato la funzionalita' delle AATO alla tutela dell'ambiente.
Dunque, la norma impugnata impone alle regioni di rinunciare ad un
modulo organizzativo che, secondo quanto ritenuto da codesta Corte e
dallo stesso legislatore statale (nel momento in cui ha previsto le
AATO), e' idoneo a garantire uno svolgimento adeguato del servizio.
La violazione dell'art. 97 Cost. si riflette nella lesione degli
artt. 117 e 118 Cost. perche' pregiudica il buon andamento di una
funzione rientrante nella competenza regionale.
Tale lesione e' aggravata dall'irrazionalita' della disciplina,
che prevede una soppressione automatica ed indilazionabile alla
scadenza del termine di un anno dall'entrata in vigore della norma,
anche in assenza della legge regionale prevista dalla norma impugnata
e senza alcuna disciplina suppletiva volta a regolare la fase
transitoria. Cio' determina incertezza sulla sorte dei rapporti in
essere, delle gestioni in corso, sull'approvazione dei progetti,
sulla realizzazione delle opere.
Inoltre, la stessa premessa posta a fondamento della norma
statale (per vero frutto di un frettoloso emendamento in aula) che la
soppressione delle ATO determini un risparmio di spesa non poggia su
alcuna base seria di analisi, che del resto presupporrebbe il
raffronto tra diverse ipotesi di modelli di gestione. Come sopra
esposto, la disposizione qui censurata sopprime l'organismo pubblico,
ma non sopprime - ne' si vede come lo potrebbe - le funzioni e
neppure l'esigenza ovvia di una gestione unitaria del fenomeno idrico
sulla base di una razionale individuazione del bacino. Le «funzioni
di autorita' d'ambito» dunque permangono, e dovra' permanere in
qualche modo un'organizzazione chiamata a svolgerle. Ed i relativi
costi potranno bensi' essere (come peraltro quelli delle stesse AATO)
limitati da un saggio contenimento dei costi, ma non potranno in
alcun modo essere eliminati. Vi e' anzi il rischio che la
«transizione» dal sistema ormai collaudato delle AATO ad un nuovo
sistema determini, anziche' un risparmio, costi aggiuntivi.
Anche sotto questo profilo vi e' dunque violazione del principio
di buon andamento e di ragionevolezza, e potenziale contraddizione
persino con l'obiettivo del contenimento della spesa.
Quanto alla lesione dell'autonomia legislativa
nell'organizzazione del servizio pubblico, le lesioni sopra
denunciate sarebbero ancor piu' gravi qualora la disposizione
impugnata dovesse essere intesa nel senso che le regioni non possono
piu' affidare le funzioni svolte dalle AATO a forme di cooperazione
tra enti locali, dovendole invece attribuire esclusivamente agli enti
territoriali «di base»: il che, tuttavia, ci si sente di escludere,
permanendo nella stessa legislazione statale il principio della
gestione per ambiti ottimali (art. 147 d.lgs. n. 152 del 2006), ed
essendo l'ipotesi di un ritorno alla gestione dei singoli comuni
evidentemente in contrasto con i principi di sussidiarieta' e di
adeguatezza. Mentre, d'altro canto, una gestione provinciale da un
lato non corrisponderebbe neppure essa ad un criterio di razionale
individuazione degli ambiti idrografici, dall'altro priverebbe i
comuni delle proprie competenze in settori rilevanti.
P. Q. M.
Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
1-quinquies, decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, interventi urgenti
concernenti enti locali e regioni, inserito dalla legge di
conversione 26 marzo 2010, n. 42, nei termini e sotto i profili
esposti nel presente ricorso.
Padova-Roma, addi' 24 maggio 2010
Prof. avv. Giandomenico Falcon - Luigi Manzi
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