Ricorso n. 82 del 28 ottobre 2008 (Regione Marche)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 ottobre 2008 , n. 82
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 28 ottobre 2008 (della Regione Marche)
(GU n. 54 del 31-12-2008)
Ricorso della Regione Marche, in persona del suo Presidente pro tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 1286 del 29 settembre 2008, rappresentata e difesa, in virtu' di procura speciale alle liti in calce al presente atto, rilasciata con atto notaio dott. Stefano Sabatini, dal prof. avv. Angelo Pandolfo, ed elettivamente domiciliata in Roma, via di San Basilio n. 72, presso e nello studio del prof. avv. Angelo Pandolfo e dell'avv. Giampiero Falasca; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale: dell'art. 23, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», come convertito in legge dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo .economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria» (Gazzetta Ufficilae n. 195 del 21 agosto 2008) nella parte in cui aggiunge all'art. 49 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 il comma 5-ter; dell'art. 23, comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, come convertito in legge dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui modifica il comma 3 dell'art. 50 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Le impugnate disposizioni sono lesive delle competenze regionali per i seguenti M o t i v i d i d i r i t t o I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 23, comma 2, per violazione dell'art. 117 della Costituzione. I.1) L'art. 23 comma 2 del d.-l. n. 112/2008, come convertito in legge dalla legge n. 133/2008, aggiunge all'art. 49 del decreto legislativo n. 276 del 10 settembre 2003 il comma 5-ter, in base al quale «in caso di formazione esclusivamente aziendale non opera quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi i profili formativi dell'apprendistato professionalizzante sono rimessi integralmente ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale territoriale o aziendale da associazioni dei lavoratori e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale ovvero agli enti bilaterali. I contratti collettivi e gli enti bilaterali definiscono la nozione di formazione aziendale e determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalita' di erogazione della formazione, le modalita' di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo». La regione contesta la disciplina introdotta dalla citata disposizione, in quanto gravemente lesiva delle competenze regionali in materia di istruzione e formazione professionale. Nel sostenere questo, la regione ha doverosamente presente l'elaborazione di codesta ecc.ma Corte - ci si rifa', in primo luogo, alla sentenza n. 50 del 2005 - laddove si e' chiarito che, nell'attuale assetto del mercato del lavoro, la disciplina dell'apprendistato si colloca all'incrocio di una pluralita' di competenze: esclusive dello Stato (ordinamento civile), residuali e, quindi, esclusive delle regioni (formazione professionale), concorrenti di Stato e regioni (tutela del lavoro, istruzione). Si e' ricavato da cio' che la riserva alla competenza regionale della formazione professionale non puo' escludere la competenza dello Stato a disciplinare l'apprendistato per i profili inerenti a materie di sua competenza, ma si e' anche precisato che l'intervento legislativo dello Stato - proprio perche' incidente su plurime competenze tra loro inestricabilmente correlate - deve prevedere strumenti idonei a garantire una leale collaborazione con le regioni. Ebbene, e' per tale ragione che risultano illegittime le disposizioni portate all'attenzione di codesta ecc.ma Corte. L'intervento legislativo dello Stato, anche quando si pone a tutela di interessi specificatamente attinenti a materie attribuite alla sua esclusiva competenza, deve rispettare la sfera di competenza legislativa spettante alle Regioni in via residuale o, eventualmente, concorrente, criterio che risulta clamorosamente disatteso nel caso in esame. Per rendersene conto, basta mettere a confronto le innovazioni recate dalle disposizioni in questione con il preesistente assetto di legislazione nazionale e con le ragioni che lo hanno fatto giudicare costituzionalmente congruo dalla Corte. Per quanto in particolare riguarda l'apprendistato professionalizzante, giova ricordare che, in base all'art. 49, comma 5, del d.lgs. n. 276/2003, compete alla regioni e alle province autonome »la regolamentazione dei profili formativi», le quali a tale regolamentazione sono tenute a procedere «d'intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro»; tale regolamentazione, peraltro, deve essere adottata nel rispetto di una serie di criteri e principi direttivi fissati ugualmente dall'art. 49, comma 5. Questo complesso sistema di regolazione, che inizialmente era stato visto in maniera critica dalle regioni che ipotizzavano una lesione della loro esclusiva competenza in materia di formazione in qualsiasi sede svolta, e' stato considerato legittimo dalla sentenza n. 50/2005 sulla base di considerazioni particolarmente utili ai fini della trattazione delle questioni qui sollevate. Con la sentenza n. 50/2005, infatti, non e' stata accolta l'idea che al Legislatore nazionale fosse impedito di intervenire sui profili formativi dell'apprendistato ritenendosi, fra l'altro, che la formazione all'interno delle aziende inerisca al rapporto contrattuale e, quindi, la sua disciplina rientri nell'ordinamento civile. Il riferimento all'ordinamento civile e alle altre connesse materie non e' stato, pero', utilizzato per assicurare un monopolio nella regolamentazione della materia ad uno dei soggetti in campo, ma al contrario per giustificare un sistema di regolazione che vede piu' soggetti abilitati, sia pure con diversi ruoli: non esclusivamente, dunque, le regioni nella funzione di regolazione della formazione riguardante l'apprendistato, ma certamente anch'esse competenti - e in una posizione non secondaria - in virtu' delle competenze loro spettanti a stregua dell'ordinamento costituzionale. La motivazione sottostante all'approccio seguito dalla Corte e', in particolare, legata ad una constatazione di notevole rilievo, anche ai fini della valutazione delle disposizioni di cui alla piu' recente legislazione nazionale: nella regolamentazione dell'apprendistato la formazione interna e la formazione esterna non «... appaiono allo stato puro, ossia separate nettamente tra di loro e da altri aspetti dell'istituto. Occorre percio' tenere conto di tali interferenze» (sentenza 50/2005). La collaborazione fra Istituzioni e', quindi, individuata come una soluzione privilegiata per tenere conto della - e regolamentare la - concorrenza di competenze diverse, soluzione disattesa dalle disposizioni qui sospettate di illegittimita'. La disciplina introdotta dall'art. 23, comma 2, del decreto-legge n. 122//2008, convertito in legge dalla legge n. 133/2008, prescinde, infatti, completamente da qualsiasi salvaguardia delle attribuzioni regionali. La nuova normativa accredita la possibilita' che la formazione sia «esclusivamente aziendale» e, con riferimento all'atteggiarsi in questo modo della formazione relativa all'apprendistato, rimette «integralmente» ai contratti collettivi - siano essi nazionali, territoriali o solo aziendali - o agli enti bilaterali - organismi privati istituiti dalla contrattazione collettiva - la definizione dei «profili i formativi»; la norma, inoltre, assegna alla contrattazione collettiva il compito di definire la nozione di formazione aziendale e, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalita' di erogazione della formazione, le modalita' di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo. Questi aspetti possono essere regolati in maniera completa ed autonoma, senza la necessita' di alcun raccordo con la normativa regionale. La nuova disciplina e' puntigliosa nel ribadire che, nel caso formazione esclusivamente aziendale, non opera quanto previsto dal comma 5 dell'art. 49 del d.lgs. n. 276/2003. E cio' vale a ribadire che il ruolo delle regioni e' del tutto negato. L'art. 49, comma 5, attribuisce, infatti, alle regioni il compito di regolare i profili formativi dell'apprendistato professionalizzante, sia pure d'intesa con le parti sociali e nel rispetto di principi e criteri direttivi dati con la legge nazionale, fra l'altro relativamente al monte ore minimo di formazione formale, interna od esterna all'azienda, per l'acquisizione di competenze di base e tecnico-professionali, al riconoscimento della qualifica professionale, alla registrazione della formazione nel libretto formativo. Dato che il citato art. 23, comma 2, dichiara espressamente l'inapplicabilita' di tutta questa normativa, a maggior ragione si perviene alla conclusione che le attribuzioni regionali risultano illegittimamente ignorate dalla normativa piu' recente. Questa - potrebbe essere osservato - riguarda la formazione aziendale e, dunque, aspetti rispetto ai quali la legislazione nazionale fruisce di maggiori spazi di intervento. Sennonche', e' innanzitutto da cogliere la portata della normativa recata dall'art. 23, comma 2. Essa non prefigura una combinazione di formazione interna e formazione esterna, con la contrattazione collettiva che regolamenta la prima e la regione che regolamenta la seconda (schema che, peraltro, determinerebbe sicuramente problemi una volta fatto ricorso a fonti di regolamentazione costruite come separate e non comunicanti nonostante l'esigenza di salvaguardare l'unitarieta' del processo formativo dell'apprendista). La formulazione dell'art. 23, comma 2, legittima, piuttosto, un processo formativo caratterizzato dall'impiego esclusivo della formazione aziendale. Questo non e' l'elemento che, da solo, determina l'esautoramento delle regioni. Esso, pero', si combina con l'attribuzione ai contratti collettivi della facolta' di regolare in maniera esaustiva tutti i principali aspetti del processo formativo centrato esclusivamente sulla formazione aziendale. E tale combinazione determina la negazione delle competenze regionali, in quanto queste possono essere completamente accantonato a seguito della sottoscrizione di un contratto collettivo. I.2) Nel contratto di apprendistato, la formazione assume una particolare rilevanza, tanto che ad essa e' legato lo speciale regime giuridico applicabile anche per quanto riguarda le agevolazioni contributive. Un processo formativo, dunque, deve sempre accompagnare l'esecuzione del contratto di apprendistato e, questo e' il punto, la normativa legislativa qui contestata esclude che le Regioni possano fornire il benche' minimo criterio riguardo a tale processo. Nel caso di specie, anche lo Stato si ritrae, rinunciando a dettare principi e criteri direttivi in merito alla formazione. Di conseguenza, ancor di piu' risalta la negazione delle attribuzioni regionali che, a ben vedere, vengono messe fuori gioco ma non per lasciare spazio ad una qualche regolamentazione statale e, quindi, a competenze statali realmente esercitate. La scelta di rinunciare alla regolamentazione e', quindi, suscettibile di valutazione critica anche dal punto di vista delle competenze e, quindi, delle responsabilita' dello Stato. La rinuncia, comunque, e' definita in modo da paralizzare anche la possibilita' di intervento delle regioni e questo rileva come causa dell'invasione delle competenze regionali. La formazione aziendale puo' utilmente concorrere alla formazione dell'apprendista. Il ricorso ad essa non e' di per se' un problema. E' il blocco delle prerogative regionali che determina il mancato rispetto dei principi costituzionali in tema di riparto delle competenze legislative, blocco che evidentemente e' stato considerato possibile solo perche' la formazione e' in ipotesi tutta aziendale. E' facile immaginare, al riguardo, che si tentera' di difendere la scelta compiuta dalla legge nazionale con l'argomento che la formazione del tutto sottratta alla regolamentazione regionale - la formazione aziendale - rientra nell'ordinamento civile e ha, quindi, come fonte di regolamentazione proprio la legge nazionale. A parte quanto osservato circa il fatto che nel caso di specie si ha una delega completa ad un'altra fonte, profondamente diversa, non puo' sfuggire quanto gia' chiarito da codesta ecc.ma Corte; i momenti formativi, che devono necessariamente accompagnare il contratto di apprendistato, risultano connessi a diverse materie e, pertanto, sfuggono a rigide ripartizioni di competenza. La Corte ha puntualmente osservato che, in materie in cui l'intreccio di competenze non si riesce a districare in base al criterio della prevalenza, risulta necessario il ricorso al principio di leale collaborazione, in verita' consolidato nella giurisprudenza costituzionale gia' a partire dalla fase in cui era ancora in vigore il vecchio Titolo V. Ebbene, anche se si ha a che fare con la formazione aziendale, non si puo' prescindere da detto principio. Come affermato piu' volte da codesta ecc.ma Corte, la formazione, che in quanto aziendale e' considerata parte della materia ordinamento civile, si colloca all'incrocio con altre materie di competenza regionale, o esclusiva nel caso della formazione professionale o concorrente nei casi della tutela del lavoro e dell'istruzione. Per tale motivo, non si ha modo di aggirare il principio di leale collaborazione anche quando si tratta di formazione aziendale. Anche accettando l'idea che questa sia materia di esclusiva competenza statale, comunque rimane il fatto che e' connessa ad altre di sicura e non discussa competenza regionale. Solo adottando schemi ispirati al principio di leale collaborazione, si produce una normativa conforme a Costituzione. Non a caso, quindi, si ha un precedente in cui e' stato sviluppato tale modo di ragionare. Con riferimento all'art. 49, comma 5, del d.lgs. n. 276/2003 e proprio considerando la «formazione endo-aziendale», si e' ritenuto di avere a che fare con una normativa equilibrata e costituzionalmente corretta perche' la regione, per la parte riguardante materie attinenti alle competenze regionali, poteva far valere «i propri punti vista e le proprie esigenze anche nella disciplina della formazione endo-aziendale» grazie ad uno strumento - il regime dell'intesa - ispirato proprio al principio di leale collaborazione (cfr. Corte cost. n. 24/2007). Che la nuova disciplina legislativa contraddica completamente questo principio e', peraltro, evidente. Codesta ecc.ma Corte ha valorizzato varie soluzioni in grado far vivere il principio della leale collaborazione, come il regime dell'intesa, l'accordo in sede di Conferenza unificata. La normativa qui contestata e', invece, netta nell'escludere qualsiasi forma di partecipazione di soggetti istituzionali, come le regioni, pur sicuramente competenti in materia di formazione professionale. I.3) Non si puo' negare che la previgente normativa in tema di apprendistato abbia incontrato difficolta' in sede applicativa. La ricerca di miglioramenti della regolazione dell'istituto, in grado di favorirne l'utilizzo in uno con la salvaguardia della sua valenza formativa, e', quindi, da vedere con favore. Cio' che non e' consentito e' stabilire un drastico ribaltamento del sistema di regolazione, che in primo luogo il Legislatore nazionale ha l'onere di definire in maniera congrua ma comunque con il vincolo del rispetto delle competenze attribuite direttamente dalla Carta costituzionale. Ci si e' fatti prendere da un'ansia semplificatrice del sistema di regolazione quando, per ragioni costituzionali ma anche per ragioni di efficienza della regolazione, si puo', in realta', pervenire a soluzioni appaganti solo con la valorizzazione delle competenze regionali. I.4) Una volta che si consente al contratto collettivo di disciplinare tutti gli elementi essenziali della formazione aziendale, si determina una sostanziale spaccatura della formazione in due canali, distinti e differenti: un canale regionale, soggetto alla normativa approvata dalle regioni previa intesa con le Organizzazioni sindacali; un canale aziendale, soggetto alla disciplina contenuta nella contrattazione collettiva, senza alcun raccordo con le normative regionali. I due canali risultano regolati in maniera asimmetrica, proprio dal punto di vista del rispetto del principio di leale collaborazione. Le regioni, pur essendo titolari di una potesta' legislativa esclusiva, devono necessariamente raggiungere un'intesa con le parti sociali, in ragione della necessita' piu' volte richiamata da codesta suprema Corte di rispettare il principio di leale collaborazione. Invece, per scelta della legge nazionale, la contrattazione collettiva puo' regolare liberamente il momento formativo, senza dover ricercare alcun momento di raccordo con la disciplina regionale. Pensare che le attribuzioni regionali siano salvaguardate perche' le regioni hanno voce in capitolo su di uno dei due canali sarebbe, d'altro canto, sicuramente sbagliato. Non solo non si vede perche' un canale debba porsi come una sorta di zona franca, sottratta a qualsiasi indicazione di fonte regionale, ma e' altresi' evidente che esso e' in grado di innescare una concorrenza che potrebbe rivelarsi sleale nei confronti del canale aperto alle indicazioni regionali. La legge nazionale, qui contestata, consente che la formazione possa essere decisa anche da accordi aziendali e questo, in situazioni di debolezza contrattuale a livello aziendale, potrebbe portare ad un alleggerimento eccessivo della formazione, con prevalenza del canale regolato contrattualmente solo perche' il contenuto formativo e' assottigliato anche oltre misura. I.5) Si e' sottolineato che la nuova disciplina mortifica le prerogative regionali in tema di formazione. Il punto che fa emergere un'ulteriore e grave contraddizione di tale normativa riguarda il profilo, per cosi' dire, funzionale. L'apprendistato realizzato al di fuori di qualsiasi, benche' minimo, criterio fissato a livello normativo e' in grado di sortire gli stessi effetti dell'apprendistato attuato secondo i criteri di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 276/2003. Detto apprendistato, insomma, e' forzosamente sottratto alle discipline di fonte regionale e, al tempo stesso, rimane abilitato a produrre effetti nel sistema pubblico di istruzione e di istruzione e formazione professionale. Dall'incastro di vecchie e nuove disposizioni deriva che anche l'apprendistato in questione e' in grado di portare all'acquisizione di una qualifica professionale; mentre l'art. 49, comma 5, del d.lgs. n. 276/2003 prevede solo come eventuale l'acquisizione della qualifica professionale nel caso di apprendistato realizzato conformemente ai criteri di cui allo stesso comma 5, paradossalmente la nuova normativa sembra dare per scontato che l'apprendistato regolato dalla contrattazione collettiva porti all'acquisizione della qualifica professionale. Anche ad esso, pertanto, si applica la regola secondo cui la qualifica professionale conseguita attraverso il contratto di apprendistato costituisce credito formativo per il proseguimento nei percorsi di istruzione e di istruzione e formazione professionale: cosi' l'art. 51, comma 1, d.lgs. n. 276/2003. Il riconoscimento dei crediti formativi e' sottoposto al filtro di cui al comma 2 del citato art. 51, che assoggetta ad una particolare verifica il riconoscimento dei crediti. Cio' non toglie che ad una forma di apprendistato, alla quale ugualmente si riconosce la potenzialita' di produrre crediti con un valore legale ai fini dell'inserimento nel sistema della formazione professionale pubblica di sicura competenza regionale (o addirittura nel sistema scolastico), si confa' solo una disciplina normativa che, gia' a monte, detti criteri sia pure minimi, disciplina che ovviamente non puo' vedere escluse le regioni. I.6) Le considerazioni sviluppate nei punti precedenti sono piu' che sufficienti, nella valutazione della regione ricorrente, a motivare l'illegittimita' delle disposizioni impugnate. Non si puo', pero', rinunciare ad introdurre ulteriori considerazioni che, anche da altri punti di vista, fanno emergere l'illegittimita' delle norme in questione. Nella disciplina di cui all'art. 49, comma 5, del d.lgs. n. 276/2003, la formazione interna all'azienda e' vista come momento della formazione formale e quest'ultima, che sia interna o esterna all'azienda, e' pur sempre una formazione che si effettua in luogo della prestazione lavorativa e ad opera di soggetti specializzati. La nuova normativa rimette ai contratti collettivi anche la definizione della nozione di formazione aziendale. Essa, quindi, e' compatibile con applicazioni che, ad esempio, riducano la formazione al mero affiancamento al lavoratore gia' qualificato, in contrasto con riconosciute esigenze di incrementare anche attraverso la formazione in apprendistato le conoscenze di base e trasversali. Nel rinvio ai contratti collettivi, ivi compresi quelli aziendali, e' inoltre insito il concreto rischio di una accentuata diversificazione delle discipline dell'apprendistato sul cruciale aspetto della formazione. In fasi in cui la mobilita' - territoriale e interaziendale - e' fenomeno diffuso, questo e' un possibile effetto della nuova disciplina particolarmente pernicioso. La costruzione di contenuti formativi rigidamente basati sulle esigenze della singola impresa non puo' che creare problemi alle dinamiche del mercato del lavoro, che fisiologicamente comprendono la mobilita' fra posti di lavoro, e, in una visione non di breve periodo, puo' risultare non utile alla stessa impresa che e' parte del contratto di apprendistato. Il cambiamento interno alle imprese, altrettanto fisiologico, richiede infatti adattabilita', che tanto piu' si acquisisce quanto piu' la formazione ha un respiro ampio e non si limita a cogliere solo le esigenze contingenti dell'organizzazione aziendale in un dato momento. La nuova normativa, dunque, non introduce piccoli aggiustamenti alla regolamentazione dell'apprendistato. Anche per questo, non e' credibile che un sommovimento del genere possa passare attraverso un sistema di fonti di regolamentazione sottratto alla indicazione di criteri da parte delle istituzioni - le Regioni - che portano la diretta responsabilita' della regolamentazione della formazione professionale. I.7) Non si ha una pregiudiziale sfiducia verso la contrattazione collettiva, che puo' svolgere un ruolo positivo anche nella disciplina dell'apprendistato. E' che ogni fonte ha proprie caratteristiche e naturali propensioni, cosicche' l'esclusiva prospettata dalla nuova normativa non puo' che determinare squilibri ed inefficienze nella regolazione di una materia come la formazione. Nel sostenere questo, si e' anche incoraggiati da quanto codesta ecc.ma Corte ha gia' evidenziato circa la formazione esterna e il criterio di bilanciamento fra formazione interna e formazione esterna (sentt. nn. 406/2006; 425/2006; 24/2007). I.8) Non e', infine, poco rilevante che la nuova disciplina dell'apprendistato, appaia in una luce negativa anche dal punto vista dell'ordinamento comunitario, sotto un duplice profilo. In primo luogo, non risulta privo di rilievo che la parcellizzazione dell'apprendistato proprio nei suoi profili formativi, che costituisce una conseguenza della nuova normativa, metta in crisi l'azione di sistema portata avanti da ministeri, regioni e parti sociali sul riconoscimento delle competenze, che rappresenta un preciso impegno negoziate nei confronti dell'Unione europea nella programmazione 2007/2013 del FSE, volta ad individuare entro il 2010, anche sulla base dei repertori regionali, gli standard formativi, professionali, di certificazione della competenze da applicare in tutto il territorio nazionale in coerenza con il sistema europeo di riconoscimento delle qualifiche. In secondo luogo, non va sottovalutato il pericolo che un assottigliamento eccessivo dei contenuti formativi dell'apprendistato, non tenuto a rispettare contenuti formativi minimi predeterminati a livello normativo, faccia apparire impropria la concessione di agevolazioni contributive, con le pesanti conseguenze che gia' si sono dovute sopportare, a seguito dell'intervento degli Organi comunitari, con riferimento al contratto di formazione e lavoro dotato di ridotta valenza formativa. II) Illegittimita' costituzionale dell'art. 23, comma 4, per violazione dell'art. 117 della Costituzione. 2.I) L'art. 23 comma 4 del d.-l. n. 112/2008, come convertito dalla legge n. 133/2008, aggiunge al comma 3 dell'articolo 50 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 dopo le parole «e le altre istituzioni formative», i seguenti periodi: «In assenza di regolamentazioni regionali l'attivazione dell'apprendistato di alta formazione e' rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le Universita' e le altre istituzioni formative. Trovano applicazione, per quanto compatibili, i principi stabiliti all'articolo 49, comma 4, nonche' le disposizioni di cui all'articolo 53». Tale disposizione incide sulla disciplina dell'apprendistato per alta formazione, contenuta nel predetto art. 50. Il comma 1 di tale norma, rimasto inalterato, prevede che «Possono essere assunti, in tutti i settori di attivita', con contratto di apprendistato per conseguimento di un titolo di studio di livello secondario, per il conseguimento di titoli di studio universitari e della alta formazione, nonche' per la specializzazione tecnica superiore di cui all'articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144, i soggetti di eta' compresa tra i diciotto anni e i ventinove anni». Il medesimo articolo 50, nella versione originaria, prevedeva al comma 3 che «la regolamentazione e la durata dell'apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione e' rimessa alle regioni, per i soli profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro, le universita' e le altre istituzioni formative». L'art. 23, comma 4, del d.-l. n. 112/2008 elimina l'obbligo - inizialmente previsto dal citato comma 3 - di sottoscrivere una intesa con le regioni, per poter utilizzare il contratto di alto apprendistato. La nuova disciplina supera, infatti, il principio della necessarieta' dell'intesa con la regione ai fini dell'attivazione del contratto, prevedendo che «In assenza di regolamentazioni regionali l'attivazione dell'apprendistato di alta formazione e' rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le Universita' e le altre istituzioni formative». Il significato di tale scelta e' talmente chiaro che sembra anche superfluo soffermarsi sulla spiegazione della norma; questa sta a significare che non e' necessario raggiungere l'intesa con la regione per definire i profili formativi del contratto, ben potendo questo profili essere definiti autonomamente dalle parti sociali. L'eliminazione dell'obbligo della preventiva intesa determina l'illegittimita' costituzionale della norma risultante, in quanto proprio tale obbligo era stato identificato dalla sentenza n. 50/2005 come strumento di attuazione del principio di leale collaborazione. Tale sentenza, infatti, aveva chiarito che lo strumento dell'intesa deve essere considerato «...lo strumento piu' pregnante di attuazione del principio di leale collaborazione…». L'illegittimita' costituzionale della norma risulta ancora piu' evidente se si considera che qui, al contrario di quanto disposto per l'apprendistato professionalizzante, il legislatore neanche tenta di giustificare l'invasione di competenza distinguendo tra formazione aziendale (che, nell'illegittima ricostruzione operata dalla norma statale, sarebbe una materia capace di respingere qualsiasi competenza regionale) e formazione esterna, di competenza regionale. Con riferimento a questa forma di apprendistato, invece, si stabilisce addirittura il principio che l'intero percorso formativo - tanto quello svolto in azienda, quanto quello svolto all'esterno dell'azienda - puo' essere regolato da fonti diverse dalla norma regionale.
P. Q. M. Si chiede che la Corte costituzionale, in accoglimento dei motivi indicati nel presente ricorso, dichiari l'illegittimita' costituzionale delle seguenti norme: art. 23, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», come convertito in legge dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», nella parte in cui aggiunge, all'art. 49 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, il comma 5-ter; art. 23, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, come convertito in legge dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui modifica il comma 3 dell'articolo 50 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Roma, addi' 20 ottobre 2008 Prof. avv. Angelo Pandolfo