Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 29 maggio 2012 (della Regione Toscana) . 
 
 
(GU n. 26 del 27.06.2012 )  
 
 
 
     Ricorso della Regione Toscana, in  persona  del  Presidente  pro
tempore, autorizzato con delibera della Giunta regionale n.  437  del
21 maggio 2012, rappresentato e  difeso,  per  mandato  in  calce  al
presente atto, dall'avv. Lucia Bora,  domiciliato  presso  lo  studio
dell'avv. Marcello Cecchetti, in Roma, via A. Mordini n. 14; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore,  per
la dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  degli  artt.  1,
comma 4; e 35, commi 7, 8,  9  e  10  del  decreto-legge  n.  1/2012,
convertito dalla legge di conversione  24  marzo  2012,  n.  27,  per
violazione degli artt. 77, 117, 118 e 119 Cost. e per  contrasto  con
il principio della leale collaborazione. 
    Sulla G.U. Serie generale n.  71  del  24  marzo  2012  e'  stata
pubblicata la  legge  24  marzo  2012,  n.  27  di  conversione,  con
modificazioni, del decreto-legge  24  gennaio  2012,  n.  27  recante
Disposizioni  urgenti  per  la   concorrenza,   lo   sviluppo   delle
infrastrutture e la competitivita'. 
    Le disposizioni impugnate sono lesive delle prerogative regionali
costituzionalmente garantite per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 4, nella parte in
cui  prevede  che  l'adeguamento  degli  ordinamenti   regionali   al
principio   della   liberalizzazione   delle   attivita'   economiche
costituisca elemento di valutazione della  virtuosita'  ex  art.  20,
comma 3, del DL 98/2011, per violazione degli artt. 117, commi 3 e 4,
e 119 della Costituzione. 
    L'art. 1, comma 4, stabilisce che l'adeguamento delle Regioni  al
principio liberista previsto dallo stesso art. 1, commi  l,  2  e  3,
rappresenti un ulteriore parametro  per  la  valutazione  della  c.d.
«virtuosita'»  degli  Enti  territoriali,   secondo   il   meccanismo
introdotto per la prima volta dal combinato disposto dei commi 2 e  3
dell'art. 20, DL 98/2011, in base al quale -  al  fine  di  ripartire
l'ammontare  del  concorso  alla  realizzazione  degli  obiettivi  di
finanza pubblica fissati, a decorrere dall'anno 2012,  tra  gli  enti
del singolo livello di governo - i predetti enti sono ripartiti  (con
decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di  concerto  con
il Ministro dell'interno e con il Ministro per gli affari regionali e
per la coesione territoriale, d'intesa con la  Conferenza  unificata)
in quattro  classi,  sulla  base  di  parametri  di  virtuosita'  ivi
stabiliti. 
    Secondo il citato articolo 20, comma 3, in particolare, «gli enti
che, in esito a quanto previsto  dal  comma  2,  risultano  collocati
nella classe piu'  virtuosa,  fermo  l'obiettivo  del  comporto,  non
concorrono alla realizzazione degli  obiettivi  di  finanza  pubblica
fissati,  a  decorrere  dall'anno  2012,   dal   comma   5,   nonche'
dall'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010. Gli enti locali di
cui al primo periodo conseguono l'obiettivo  strutturale  realizzando
un saldo finanziario pari a zero. Le regioni di cui al primo  periodo
conseguono un obiettivo pari a  quello  risultante  dall'applicazione
alle  spese  finali  medie  2007-2009  della  percentuale  annua   di
riduzione  stabilita  per  il   calcolo   dell'obiettivo   2011   dal
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Le spese finali medie  di  cui  al
periodo precedente sono quelle definite dall'articolo 1 commi  128  e
129 della legge 13 dicembre 2010, n. 220. Inoltre, il contributo  dei
predetti enti alla manovra per l'anno 2012 e' ridotto con decreto del
Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa  con  la  Conferenza
unificata di cui all'articolo 8 del  decreto  legislativo  28  agosto
1997, n. 281, in modo tale che  non  derivino  effetti  negativi,  in
termini di indebitamento netto e fabbisogno, superiori a 200  milioni
di euro». 
    Ebbene, nel caso di specie, come  detto,  l'articolo  1  comma  4
prevede che - a decorrere dall'anno 2013 - l'adeguamento  di  Comuni,
Province  e  Regioni  al  principio  della   liberalizzazione   delle
attivita' economiche (stabilito ai  commi  1,  2  e  3  dello  stesso
articolo 1 del DL 1/2012), costituisca elemento di valutazione  della
virtuosita'  dei  predetti  enti:  e'  di  tutta  evidenza   che   il
legislatore, con l'art. 1, comma 4, qui contestato,  ha  individuato,
quale ulteriore parametro  di  virtuosita',  un  elemento  del  tutto
estraneo alle finalita' di coordinamento della finanza pubblica ed ha
quindi esorbitato dai limiti che il legislatore statale  incontra  in
tale materia. 
    Infatti  l'istituto  della  virtuosita',  nato  nell'ambito   del
contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica,  nel  caso  in
esame diviene uno strumento di  «coartazione»  della  volonta'  delle
Regioni, che prescinde totalmente dalle  finalita'  di  coordinamento
della finanza pubblica. In altri  termini,  con  la  disposizione  in
oggetto si ha  l'effetto  di  vincolare  l'esercizio  della  potesta'
legislativa regionale, in materia di competenza  delle  Regioni,  per
finalita' del tutto  estranee  all'obiettivo  di  contenimento  della
spesa, in tal modo realizzandosi  una  surrettizia  ed  inammissibile
ingerenza dello Stato  nella  sfera  delle  attribuzioni  legislative
regionali, sia concorrenti che esclusive; cio'  in  violazione  degli
artt. 117, comuni 3 e 4, e 119 Cost. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 35, comma 7,  nella  parte
in cui prevede la soppressione dell'intesa con  le  Regioni  ai  fini
dell'adozione dell'atto  di  indirizzo  per  il  conseguimento  degli
obiettivi di politica fiscale di  cui  all'articolo  59  del  decreto
legislativo 30 luglio 1999, n. 300, in  violazione  degli  artt.  77;
117, comma 3; 118, primo comma e 119,  comma  2,  Cost.  nonche'  per
contrasto con il principio della leale collaborazione. 
    2.1) Con la norma in esame viene soppresso l'art.  10,  comma  1,
d.lgs. 68/2011, secondo cui «L'atto di indirizzo per il conseguimento
degli obiettivi di  politica  fiscale  di  cui  all'articolo  59  del
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e' adottato dal  Ministro
dell'economia e delle finanze, d'intesa con le regioni e  sentita  la
Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di
cui all'articolo 5 della citata legge n. 42 del 2009». 
    Dunque, viene eliminata la prevista  intesa  con  le  Regioni  in
relazione  al  documento  di  indirizzo  sulla  politica  fiscale   e
all'attivita' delle agenzie fiscali. 
    La relazione governativa illustrativa del DL 1/2012, in relazione
al comma 7 in esame, testualmente afferma che  «Il  comma  7  dispone
l'abrogazione, in tema di gestione dei tributi regionali, della norma
che  prevede  che  l'atto  d'indirizzo  per  il  conseguimento  degli
obiettivi di politica fiscale di  cui  all'articolo  59  del  decreto
legislativo  30  luglio  1999,  n.  300,  e'  adottato  dal  Ministro
dell'economia e delle finanze, d'intesa con le regioni e  sentita  la
Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica». 
    In particolare detta intesa aveva la finalita' di  determinare  -
in concertazione con le Regioni - gli obiettivi in tema di  contrasto
all'evasione fiscale, rappresentando  l'opportunita'  per  le  stesse
Regioni  di  indicare  specifici  indirizzi  territoriali,  cio'   in
un'ottica  di  collaborazione  istituzionale  per  la  gestione   dei
tributi,  delle  compartecipazioni  e  della  lotta  all'evasione  ed
elusione fiscale, conformemente  a  quanto  disposto  dall'art.  117,
comma 3, Cost. che  attribuisce  alla  competenza  concorrente  delle
Regioni la materia del coordinamento della  finanza  pubblica  e  del
sistema tributario. 
    La   norma   appare    lesiva    delle    competenze    regionali
costituzionalmente garantite in quanto  l'intesa  di  cui  si  tratta
consentiva alle Regioni di esprimersi sulle direttive che annualmente
il Ministero dell'economia e  delle  finanze  da'  all'Agenzia  delle
entrate sugli sviluppi della politica fiscale, le  linee  generali  e
gli obiettivi della gestione tributaria, le grandezze  finanziarie  e
le altre condizioni nelle quali si sviluppa l'attivita' delle agenzie
fiscali. 
    Le direttive sopra citate ricomprendono anche  gli  indirizzi  in
tema di lotta all'evasione. 
    In altri termini, l'intesa di cui all'art. 10,  comma  l,  d.lgs.
68/2011 - oggi abrogato - consentiva  alle  Regioni  di  svolgere  un
ruolo incisivo in ordine  alla  successiva  attivita'  delle  Agenzie
delle Entrate con riferimento al proprio territorio. 
    Con l'abrogazione di detta previsione si  ritorna  invece  ad  un
sistema sostanzialmente accentrato «Ministero dell'economia  e  delle
finanze - Agenzia delle Entrate», che prescinde da  un  attivo  ruolo
regionale nella definizione degli indirizzi di politica fiscale ed in
particolare nell'attivita' di contrasto all'evasione fiscale. 
    E'  noto  che  le  Regioni  ricevono  i  proventi   della   lotta
all'evasione, su tributi propri derivati e compartecipazioni (si veda
artt. 9 e 10  d.lgs.  68/2011);  detta  intesa  era  quindi  volta  a
determinare a monte il concorso di codeterminazione degli obiettivi e
azioni per la lotta all'evasione anche relativi ai suddetti tributi e
compartecipazioni, per i quali  e'  previsto  l'obbligo  di  gestione
tramite convenzioni tra le Regioni e la stessa Agenzia delle entrate.
Il contenuto di dette  convenzioni,  peraltro,  oggi  -  in  mancanza
dell'intesa - viene ad essere predeterminato in modo  unilaterale  da
parte del Ministero dell'economia e delle finanze, cosi'  ledendo  le
competenze regionali in tema di coordinamento del sistema  tributario
di cui all'art. 117, comma 3, Cost. 
    Inoltre la disposizione viola altresi' l'art. 118,  primo  comma,
Cost., anche sotto il profilo della violazione del principio di leale
collaborazione, poiche', in una materia di competenza concorrente tra
Stato e Regioni, quale e' il coordinamento della finanza  pubblica  e
del sistema tributario, attribuisce una funzione amministrativa  allo
Stato  (indirizzi  alle  Agenzie   delle   entrate   per   la   lotta
all'evasione), prevedendo che quest'ultimo  la  possa  esercitare  in
modo totalmente unilaterale. 
    In tali casi,  per  costante  giurisprudenza  costituzionale  (si
vedano per tutte le sentenze n. 6 del 2004, n. 383 del 2005 e  n.  11
del 2011), e'  invece  necessario  disporre  che  le  funzioni  siano
esercitate mediante  modalita'  procedimentali  che  garantiscano  la
paritarieta' tra lo Stato e la Regione interessata,  in  particolare,
prevedendo  la  necessita'  dell'intesa  e/o  comunque  predisponendo
strumenti di controllo della correttezza (e del rispetto della  leale
collaborazione) della decisione finale adottata che si caratterizzino
per la loro terzieta' (come avveniva nella vigenza dell'abrogato art.
10, comma 1, d.lgs. 68/2011). 
    Infine, la norma  viola  altresi'  l'art.  119,  comma  2,  della
Costituzione: il comma 7 in esame precludendo la partecipazione,  sin
dall'inizio,  delle  Regioni  alla  definizione  delle  strategie  di
gestione del sistema tributario e di contrasto all'evasione  fiscale,
appare lesivo del principio costituzionale sancito dall'invocato art.
119,  comma  2,  Cost.,  secondo  cui  le  Regioni  dispongono  delle
compartecipazioni al  gettito  dei  tributi  erariali  riferibile  al
proprio territorio. Prescindere  dalle  specificita'  presenti  nelle
diverse parti del paese, significa, infatti,  incidere  negativamente
sulla fonte di entrata fiscale riconosciuta di  spettanza  regionale,
cosi' come stabilito  dalla  Costituzione,  la  quale  -  ad  oggi  -
assicura  il  maggior  gettito,   trattandosi   di   tributi   propri
«derivati». 
    2.2) Ed ancora, la modifica al d.lgs. 68/2011 di cui si tratta e'
incostituzionale anche sotto  l'ulteriore  profilo  della  violazione
dell'art.  77,  comma  2,  Cost.  nonche'  del  principio  di   leale
collaborazione. 
    A tal fine si rileva  che  il  d.lgs.  68/2011,  recante  appunto
Disposizioni in materia di  autonomia  di  entrata  delle  regioni  a
statuto ordinario e delle province,  nonche'  di  determinazione  dei
costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario  (c.d.  decreto
sul federalismo regionale e  provinciale),  e'  stato  approvato  con
procedura rafforzata, nel rispetto delle norme  sul  procedimento  di
approvazione contenute nella relativa legge delega  n.  42  del  2009
(intesa Regioni ed Enti Locali, parere Commissioni). 
    Per contro, non sono ravvisabili - in parte qua - le  ragioni  di
straordinaria necessita' e urgenza richieste dall'art. 77  Cost.:  il
comma 7 in esame detta infatti la disciplina  ordinaria  applicabile,
per il futuro, ai fini dell'adozione dell'atto di  indirizzo  per  il
conseguimento degli obiettivi di politica fiscale. 
    A  tal  fine  si  richiama  preliminarmente   la   giurisprudenza
costituzionale che ammette, nei giudizi in via principale promossi da
ricorsi delle Regioni, l'invocazione di parametri esterni al Titolo V
della Parte seconda della Costituzione, qualora la violazione di essi
si traduca in una lesione delle competenze  costituzionali  dell'ente
ricorrente (sentenza n. 116 del 2006): nel caso di specie, come sopra
esposto,  la  disposta  soppressione  della  intesa  con  le  Regioni
determina una sicura lesione delle competenze regionali in materia di
coordinamento della finanza pubblica  e  del  sistema  tributario  ai
sensi  dell'art.  117,  comma  3,  Cost.,   oltre   che   un   vulnus
all'autonomia finanziaria regionale ex art. 119 Cost. 
    E'   inoltre   utile   richiamare   in   proposito   la   recente
giurisprudenza  costituzionale  in  terna   di   illegittimita'   del
decreto-legge per difetto dei presupposti  di  necessita'  e  urgenza
(sentenze n. 128 del 2008 e n. 171 del 2007): ai fini in  esame,  con
la  sentenza  n.  128  del  2008,  la  Corte  ha  precisato  che  «la
preesistenza di una situazione di fatto comportante la  necessita'  e
l'urgenza di provvedere  tramite  l'utilizzazione  di  uno  strumento
eccezionale, quale il  decreto-legge,  costituisce  un  requisito  di
validita' costituzionale dell'adozione del predetto atto, di modo che
l'eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura in  primo
luogo un vizio di illegittimita' costituzionale del decreto-legge che
risulti   adottato    al    di    fuori    dell'ambito    applicativo
costituzionalmente previsto. [...] lo scrutinio di  costituzionalita'
??deve svolgersi su un piano  diverso''  rispetto  all'esercizio  del
potere legislativo, in  cui  ??le  valutazioni  politiche  potrebbero
essere prevalenti'', avendo ??la  funzione  di  preservare  l'etto
delle fonti normative e, con esso, il rispetto dei  valori  a  tutela
dei quali tale compito e' predisposto''; ha aggiunto che ??il difetto
dei presupposti di legittimita' della decretazione d'urgenza, in sede
di scrutinio di costituzionalita'' deve ??risultare evidente'2bc;, e che
tale difetto di presupposti, ??una volta intervenuta la  conversione,
si traduce in un vizio in procedendo della  relativa  legge''  ed  ha
escluso, con cio', l'eventuale efficacia sanante di quest'ultima, dal
momento che ??affermare che tale legge di conversione  sana  in  ogni
caso i vizi del decreto, significherebbe attribuire  in  concreto  al
legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale
delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla  produzione
delle fonti primarie''». Cio' premesso la Corte, nel caso  all'esame,
ha escluso il requisito della straordinarieta' del caso di necessita'
ed urgenza di provvedere, sul presupposto che «L'epigrafe del decreto
reca l'intestazione ??Disposizioni urgenti in  materia  tributaria  e
finanziaria''  ed  il  preambolo  e'  cosi'  testualmente  formulato:
??Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza  di  interventi  di
carattere finanziario per il riequilibrio dei conti pubblici, nonche'
di misure per il riordino di settori della  pubblica  amministrazione
[....]''. 
    Nessun  collegamento  e'  ravvisabile  tra  tali  premesse  e  la
previsione  dell'esproprio   del   teatro   Petruzzelli,   [...]   In
definitiva, il collegamento  formale  dell'esproprio  alle  tematiche
della finanza pubblica non solo non e' individuabile, ma neppure  e',
in un modo o nell'altro,  indicato.  In  particolare,  riguardo  alla
finalita', indicata dalla norma nella sua premessa, ??di garantire la
celere ripresa delle attivita' culturali di pubblico interesse presso
il teatro Petruzzelli di Bari'', la  riorganizzazione  dell'attivita'
di una fondazione lirica,  che  intervenga  anche  sul  regime  della
titolarita' degli immobili adibiti a teatro, non presenta di per  se'
il carattere della straordinaria necessita' ed urgenza,  risolvendosi
invece in una ordinaria modificazione degli assetti stabiliti per  la
gestione delle attivita' culturali in ambito  locale;  e  la  ripresa
dell'attivita' culturale non appare collegata, quanto meno secondo un
rapporto di immediatezza qualificabile in  termini  di  urgenza,  sia
pure relativa, alla titolarita' di beni immobili  utilizzati  per  lo
svolgimento delle attivita'  teatrali,  e  quindi  alla  esigenza  di
convertire in proprieta' pubblica quella dei privati». 
    E'  di  tutta  evidenza  come  i  principi  enunciati  nella   su
richiamata sentenza siano utilmente invocabili anche con  riferimento
ai profili rilevati con la presente censura, trattandosi,  anche  nel
caso all'odierno esame, di una normativa che non  interviene  su  una
situazione di fatto preesistente  che  presenta  ragioni  di  urgenza
specifica, ma prevede, invece, una disciplina a regime. 
    Sul punto si richiama  ulteriormente  una  recentissima  sentenza
della Corte costituzionale n. 22 del 2012 che, in un caso analogo, ha
escluso la sussistenza del carattere  di  necessita'  e  di  urgenza,
rilevando che «Questa Corte, con giurisprudenza costante, ha ritenuto
ammissibili le questioni di legittimita'  costituzionale  prospettate
da una Regione, nell'ambito di un  giudizio  in  via  principale,  in
riferimento a parametri diversi da quelli,  contenuti  nel  Titolo  V
della Parte seconda della Costituzione, riguardanti il riparto  delle
competenze tra lo Stato e le Regioni, quando sia  possibile  rilevare
la  ridondanza  delle  asserite  violazioni  su  tale  riparto  e  la
ricorrente abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese e le
ragioni della lamentata lesione (ex plurimis,  sentenze  n.  128  del
2011, n. 326 del 2010, n. 116 del 2006, n. 280 del 2004). 
    Con riferimento all'art. 77 Cost., questa Corte  ha  ribadito  in
parte qua la giurisprudenza  sopra  ricordata,  riconoscendo  che  le
Regioni possono impugnare un decreto-legge per motivi attinenti  alla
pretesa violazione del medesimo art. 77, «ove adducano  che  da  tale
violazione   derivi   una   compressione   delle   loro    competenze
costituzionali» (sentenza n. 6 del 2004). 
    Nella fattispecie, la Regione Liguria, che ha sollevato questione
di legittimita' costituzionale per violazione dell'art.  77,  secondo
comma, Cost., motiva  la  ridondanza  della  suddetta  censura  sulle
proprie attribuzioni costituzionali, facendo leva sul  fatto  che  le
norme  impugnate  incidono  su  un  ambito  materiale  di  competenza
legislativa  concorrente  (??protezione  civile'').   Attraverso   il
ricorso al decreto-legge,  lo  Stato  avrebbe  vincolato  le  Regioni
utilizzando uno strumento improprio, ammesso dalla  Costituzione  per
esigenze del tutto diverse;  inoltre,  l'approvazione  di  una  nuova
disciplina ??a regime'', attraverso la corsia accelerata della  legge
di conversione, pregiudicherebbe la possibilita' per  le  Regioni  di
rappresentare le proprie esigenze nel procedimento legislativo. 
    Questa Corte condivide l'individuazione, operata  dalla  suddetta
ricorrente, dell'ambito materiale di incidenza delle norme impugnate,
con   la   conseguenza   che   la   violazione   denunciata   risulta
potenzialmente idonea a determinare una  lesione  delle  attribuzioni
costituzionali delle Regioni (in tal senso, ex plurimis, sentenze  n.
6 del 2004 e n. 303 del 2003). 
    Ricorrono,  quindi,  le  condizioni  per  prendere  in  esame  la
questione relativa alla  pretesa  violazione  dell'art.  77,  secondo
comma, Cost. da parte delle norme statali impugnate. 
    [...] Va rilevato altresi'  che  le  disposizioni  di  cui  sopra
regolano i rapporti finanziari tra Stato  e  Regioni  in  materia  di
protezione civile non con riferimento ad uno o piu' specifici  eventi
calamitosi, o in relazione a situazioni gia' esistenti e bisognose di
urgente intervento normativo, ma in via generale e ordinamentale  per
tutti i casi futuri di possibili eventi calamitosi, di  cui  all'art.
2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992. Si tratta quindi
di una normativa ??a  regime'',  del  tutto  slegata  da  contingenze
particolari [...]». 
    In  conclusione,  si  osserva  come  l'utilizzo  improprio  dello
strumento della decretazione d'urgenza, in  un  ambito  materiale  di
potesta' legislativa concorrente, quale e' quello in esame,  abbia  -
di fatto - privato le Regioni della possibilita'  di  far  valere  le
proprie ragioni. 
    In  altri  termini,  una  modifica  cosi'  rilevante  del  d.lgs.
68/2011, quale e' evidentemente la soppressione della prevista intesa
di cui all'art. 10, comma l, citato, non avrebbe  potuto  prescindere
dalla procedura  rafforzata  imposta  dalla  L.  delega  42/2009  per
l'approvazione del d.lgs 68 medesimo e,  quindi,  anche  per  le  sue
modificazioni;  l'abrogazione  disposta   attraverso   la   procedura
accelerata del decreto-legge e della relativa legge di conversione ha
pregiudicato,  di  fatto,  la  possibilita'   per   le   Regioni   di
rappresentare le proprie esigenze nel procedimento legislativo di cui
si tratta e, per tale profilo, si  eccepisce  l'ulteriore  motivo  di
incostituzionalita' della norma per violazione del principio di leale
collaborazione. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 35, commi 8, 9 e 10, nella
parte in cui prevede che a decorrere dalla data di entrata in  vigore
del decreto-legge (24 gennaio 2012) e fino al 31  dicembre  2014,  il
regime di tesoreria mista introdotto dal d.lgs. 279/1997 e'  sospeso,
in violazione dell'art. 117, commi 3 e 4, e dell'art. 119, commi 1, 2
e 4, della Costituzione. 
    3.1) Il comma 8 dell'art. 35 in esame dispone,  ai  pretesi  fini
della  tutela  dell'unita'   economica   della   Repubblica   e   del
coordinamento della finanza pubblica, che, a decorrere dalla data  di
entrata in vigore del decreto-legge (24 gennaio 2012) e  fino  al  31
dicembre 2014, sia sospeso il regime di  tesoreria  mista  introdotto
dal d.lgs. 279/1997. 
    Il sistema di cui al su citato d.lgs. 279/1997  riconosceva  agli
enti (Regioni comprese) la piena disponibilita' di quanto incassato a
titolo di entrate tributarie ed extratributarie,  canoni,  indennizzi
(ma anche dalla vendita di immobili),  che  veniva  gestito  pertanto
attraverso proprie banche tesoriere; i soli  trasferimenti  da  parte
dello Stato erano tenuti in un conto  infruttifero  presso  la  Banca
d'Italia. 
    In altri termini, il d.lgs. 279/1997 ha consentito  alle  Regioni
di gestire fuori dalla tesoreria dello Stato, tutte le  c.d.  entrate
proprie: da cio', evidentemente, e' derivata una  maggiore  capacita'
di  programmazione  delle  risorse  proprie,  dovuta  ad  un  maggior
controllo delle  risorse  liquide  e  disponibili,  oltre  che  nuove
opportunita' di autofinanziamento; cio'  in  coerenza  con  il  ruolo
delle Regioni nel nuovo assetto costituzionale  delineato  a  seguito
della riforma del Titolo V della Costituzione. 
    Ebbene, con la disposizione  oggetto  dell'odierna  questione  di
incostituzionalita', viene imposta l'applicazione della vecchia legge
n. 720 del 1984, la quale prevedeva di accentrare tutte le liquidita'
in capo alla Banca d'Italia, a cui d'ora in poi  dovranno  rivolgersi
le pubbliche amministrazioni,  ivi  comprese  le  Regioni,  per  ogni
mandato di pagamento. In particolare,  l'art.  35,  comma  8  del  DL
1/2012 (convertito con modifiche con legge n. 27, del 24 marzo  2012)
ha stabilito la sospensione, fino al 31 dicembre 2014, del regime  di
tesoreria mista che consentiva agli Enti il  deposito  delle  risorse
proprie presso le proprie banche tesoriere, con la sola esclusione da
tale sistema delle risorse dei predetti  enti  e  organismi  pubblici
rivenienti da operazioni di mutuo, prestito e  ogni  altra  forma  di
indebitamento non sorrette da alcun contributo in conto capitale o in
conto interessi da parte dello Stato, delle  Regioni  e  delle  altre
pubbliche amministrazioni. In ogni caso, vale la regola  secondo  cui
dette risorse debbano essere utilizzate prioritariamente all'utilizzo
delle risorse infruttifere. 
    In conseguenza di  tali  disposizioni,  due  sono  le  principali
ricadute sulle Regioni e sugli Enti locali: 
        a) la remunerazione delle giacenze fruttifere viene stabilita
con decreto del Ragioniere dello Stato (attualmente con  Decreto  del
Ragioniere Generale dello Stato 13 maggio 2011  e'  fissata  all'1);
tale remunerazione risultera' inferiore rispetto  a  quella  prevista
dagli specifici contratti regolanti i servizi di tesoreria regionale; 
        b) diviene impossibile il temporaneo impiego della liquidita'
eccedente con prodotti finanziari (es. pronti contro termine). 
    Inoltre, dall'applicazione della nuova  disciplina  consegue  una
diminuzione di risorse fruttifere di interessi, tenuto  conto  che  i
trasferimenti tra Enti soggetti al regime della tesoreria unica  (es.
trasferimenti a Comuni/Province, alle Asl, ecc.)  affluiscono  sempre
sulle disponibilita' infruttifere dell'Ente beneficiario. 
    I successivi commi 9 e 10 dell'art. 35 in esame, regolano poi gli
adempimenti conseguenti al richiamato regime della  tesoreria  unica,
prevedendo l'obbligo anche per le Regioni [rectius le proprie  banche
tesoriere] di versare immediatamente il 50 dei depositi  liquidi  ed
esigibili tenuti in banca  sulle  rispettive  contabilita'  speciali,
sotto conto fruttifero, aperte presso la tesoreria unica,  mentre  la
restante parte dovra' essere riversata entro il 16 aprile; tutti  gli
investimenti finanziari  degli  enti  (che  saranno  dettagliati  dal
Ministero dell'economia e delle finanze con decreto da emanare  entro
il 30 aprile), inoltre, dovranno  essere  smobilizzati  entro  il  30
giugno  ad  eccezione  di  quelli  in  titoli  di  stato  italiani  e
affluiranno sulle contabilita' speciali  presso  la  Banca  d'Italia.
Alla luce di tutto quanto sopra e'  pertanto  evidente  che,  con  il
ritorno al vecchio sistema di tesoreria unica le Regioni, non avranno
piu' disponibilita' diretta delle proprie risorse  depositate  presso
il sistema bancario: il tesoriere di ciascun  ente  potra'  e  dovra'
soltanto curare pagamenti e riscossioni, senza potere gestire, pero',
la liquidita' dell'ente, secondo le disposizioni e  le  decisioni  di
quest'ultimo. 
    Si tratta evidentemente di una grave  limitazione  dell'autonomia
delle Regioni e degli Enti Locali  cosi'  privati  di  un  importante
strumento  di  gestione  finanziaria  oltre  che  di   una   notevole
liquidita'. 
    Non solo, verra' a mancare  un'ulteriore  entrata  derivante  dai
minori interessi attivi che tali somme, depositate presso il  sistema
bancario,  riuscivano  a  produrre  grazie  ai   tassi   maggiormente
vantaggiosi,  ottenuti  a  seguito   di   procedure   di   gara   per
l'affidamento del servizio di tesoreria, superiori al  tasso  dell'1
previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia  per
ciascun Ente. La Regione  poi  si  trovera'  a  dover  rinegoziare  i
contratti di tesoreria gia' stipulati, nei quali la disponibilita' di
liquidita' rappresenta senz'altro uno degli elementi centrali. 
    Il previsto accentramento presso la Banca d'Italia delle  risorse
ed  entrate  proprie  delle  Regioni,   alle   condizioni   stabilite
unilateralmente  dalla  Ragioneria  dello  Stato,  presenta   diversi
profili di lesione dell'autonomia regionale. 
    3.2) Innanzitutto le disposizioni impugnate  arrecano  un  vulnus
all'autonomia   finanziaria   delle   Regioni   ed   in   particolare
dell'autonomia di gestire dette risorse, in contrasto con l'art. 119,
comma 1,  della  Costituzione  il  quale  stabilisce  l'autonomia  di
entrata e di spesa di Regioni ed Enti Locali. 
    Il  su  richiamato  principio   costituzionale,   di   previsione
dell'autonomia decisionale delle Regioni in materia  finanziaria,  e'
leso  dalla  norma   in   esame,   la   quale   impone,   del   tutto
illegittimamente,  alle  Regioni  puntuali  vincoli  e  modalita'  di
gestione ed utilizzo delle risorse proprie (si veda in tal  senso  la
recentissima sentenza della Corte costituzionale n. 22/2012). 
    3.3) La norma  poi  e'  ulteriormente  lesiva  delle  prerogative
regionali costituzionalmente garantite in  materia  di  coordinamento
della finanza pubblica e del  sistema  tributario,  materia  affidata
alla potesta' concorrente delle Regioni,  per  contrasto  con  l'art.
117, comma 3, nonche' con l'art. 119, comma 2, della Costituzione, in
base al quale le Regioni hanno risorse  autonome  e  stabiliscono  ed
applicano tributi ed entrate proprie. 
    E' noto infatti che la materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica  e  del  sistema  tributario  e'  soggetta   alla   potesta'
legislativa   concorrente   Stato-Regioni,   per   cui   e'   ammesso
l'intervento statale nei limiti dei principi fondamentali. 
    La denunciata lesione sussiste nel caso di specie in  quanto  con
le norme di cui si tratta sono imposti alle Regioni vincoli  puntuali
di utilizzo delle risorse proprie, prevedendo l'obbligo  di  gestione
unicamente   attraverso   la   Banca   d'Italia,   alle    condizioni
predeterminate unilateralmente dalla Ragioneria dello Stato. 
    La giurisprudenza  costituzionale  ha  a  riguardo  chiarito  che
attraverso l'imposizione  di  vincoli  specifici  di  utilizzo  delle
risorse si violano i criteri  e  limiti  che  presiedono  all'attuale
sistema di autonomia finanziaria regionale, delineato dal nuovo  art.
119 Cost. (sent. n. 423/2004,  118/2006);  in  particolare  e'  stato
rilevato, ad esempio, che  le  norme  che  fissano  vincoli  puntuali
rispetto a singole voci di spesa dei bilanci della  Regione  e  degli
enti locali non costituiscono principi fondamentali di  coordinamento
della finanza pubblica, ai  sensi  dell'articolo  117,  terzo  comma,
della Costituzione, e ledono, pertanto,  l'autonomia  finanziaria  di
spesa garantita dall'articolo 119 della  Costituzione  (  cfr.  Corte
cost. sent. 36/2004, 417/2005, 449/2005). 
    Quindi, la  legge  statale  non  puo'  fissare  vincoli  puntuali
relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle  Regioni,  perche'
altrimenti sarebbe lesa l'autonomia finanziaria  di  spesa  garantita
dall'art. 119 Cost. (sentenze n. 297 del 2009; n. 120  del  2008;  n.
169 del 2007). 
    In altri termini, le norme impugnate non  si  prestano  in  alcun
modo, per il loro livello di dettaglio, ad individuare  un  principio
fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, ma  introducono
vincoli  puntuali  nella  gestione  e  nell'utilizzo  delle   risorse
finanziarie regionali, determinando cosi' un'inammissibile  ingerenza
nell'autonomia finanziaria delle Regioni medesime, tanto piu' ove  si
consideri la norma di cui si tratta e' destinata ad investire risorse
non trasferite dallo Stato ma autonomamente reperite dalla Regione. 
    3.4)  Ancora,  la  norma,  condizionando  in  maniera   rilevante
l'autonomia  delle  Regioni  nella  gestione  delle  proprie  risorse
comporta evidenti ricadute nell'esercizio delle funzioni di spettanza
regionale, esclusiva e/o concorrente, in violazione  anche  dell'art.
117, commi 3 e 4, Cost. e del principio posto dall'art. 119, comma 4,
il quale  sancisce  la  corrispondenza  tra  le  risorse  finanziarie
disponibili e le funzioni attribuite in titolarita'  a  ciascun  ente
territoriale. Tali norme  costituzionali,  di  cui  si  eccepisce  la
lesione, consentono infatti alle Amministrazioni regionali l'utilizzo
dei mezzi finanziari riconosciuti per  l'esercizio  delle  competenze
loro affidate. 
    Condizionando percio' l'uso delle risorse di spettanza regionale,
si limita anche la sfera di  autonomia  normativa  ed  amministrativa
regionale. Detto ritorno al centralismo nella gestione delle  risorse
appare poi un inammissibile passo indietro  rispetto  all'assetto  in
vigore gia' prima della riforma  del  Titolo  V  (si  ricorda  a  tal
proposito che il regime della tesoreria mista  era  stato  introdotto
con legge del 1997), cio' in contrasto con l'orientamento espresso in
tal senso dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 200/2009). 
    Non solo, la  Corte  costituzionale,  con  specifico  riferimento
all'art. 119 Cost. ha chiarito che, se pure il sistema  delineato  da
detto articolo non e' in grado  di  dispiegare  pienamente  i  propri
effetti sino al momento in cui non sara' pienamente operante la legge
statale espressamente prevista per  il  coordinamento  della  finanza
pubblica e del sistema tributario, cio' tuttavia non  significa  che,
anche prima della sua attuazione legislativa, l'art.  119  Cost.  non
sia in grado di imporre alcuni precetti  direttamente  operanti.  Tra
questi e' stato individuato anche  quello  consistente  nel  «divieto
imposto di procedere  in  senso  inverso  a  quanto  oggi  prescritto
dall'art.   119   della   Costituzione,   e   cosi'   di   sopprimere
semplicemente,  senza  sostituirli,  gli  spazi  di  autonomia   gia'
riconosciuti dalle leggi statali in vigore, alle Regioni e agli  enti
locali,  o  di  procedere  a  configurare  un   sistema   finanziario
complessivo che contraddica i principi del medesimo art. 119»  (cosi'
la sent. n. 423 del 2004, par. 3.3 del Considerato  in  diritto,  che
richiama  le  sentt.  nn.  320,  241  e  37  del  2004).  Ebbene,  le
disposizioni qui contestate hanno invece - evidentemente -  l'effetto
di sopprimere spazi di autonomia finanziaria gia'  riconosciuti  alle
Regioni  e  pongono  delle  norme  direttamente  contrastanti  con  i
principi desumibili dall'art. 119 Cost. 
    I  commi  9  e  10  dell'art.  35  in   parola   sono   meramente
consequenziali rispetto alla disposta sospensione  del  regime  della
c.d. tesoreria mista, e pertanto sono affetti dai medesimi  vizi  sin
qui evidenziati in relazione al comma 8. 
 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si conclude affinche'  piaccia  all'Ecc.ma  Corte  costituzionale
dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli  art.  1,  comma  4;
art. 35, commi 7, 8, 9 e 10, del decreto-legge n. 1/2012, cosi'  come
convertito dalla legge di conversione  24  marzo  2012,  n.  27,  per
violazione degli artt. 77, 117, commi 3 e 4, 118, 119, commi 1 , 2  e
4,  Cost.  nonche'  per  violazione   del   principio   della   leale
cooperazione. 
    Si deposita la delibera della Giunta  Regionale  n.  437  del  21
maggio 2012. 
 
      Firenze-Roma, 22 maggio 2012 
 
                              Avv. Bora 
 
 

 

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