RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 26 Novembre 2003 - 26 Novembre 2003 , n. 83
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 26 novembre 2003 (della Regione Emilia-Romagna)
(GU n. 52 del 31-12-2003)

Ricorso della Regione Emilia-Romagna in persona del presidente
della giunta regionale pro tempore Vasco Errani, autorizzato con
deliberazione della giunta regionale n. 1994 del 13 ottobre 2003,
rappresentata e difesa, come da mandato speciale a rogito del notaio
dott. Federico Stame di Bologna, rep. n. 47670 del 21 ottobre 2003.
dall'avv. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi di
Roma, con domicilio eletto in Roma presso l'avv. Luigi Manzi, via
Confalonieri 5;

Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 32 del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante Disposizioni urgenti
per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 229 del 2 ottobre
2003 - suppl. ord. n. 157, ed in particolare dei comuni:
1, 2, 3, 25, 26, lettera a), in quanto prevedono un nuovo
condono edilizio;
25, in quanto non eccettua dal condono gli abusi per i quali
il procedimento sanzionatorio sia gia' iniziato;
26, lettera a), in quanto subordina la sanabilita' alla legge
regionale per gli abusi minori in zone non vincolate, sottraendo a
questo regime gli abusi maggiori e gli abusi minori in zone
vincolate;
3, 25, 26, lettera a), 28, 32, 35, lettere b) e c), 37, 38,
40 e allegato 1, in quanto, con disciplina dettagliata ed
autoapplicativa, stabiliscono le condizioni, le modalita', i termini
e le procedure relative al condono edilizio;
25 e 35, in quanto consentono di «far passare» per gia'
costruite opere in corso di costruzione o ancora da costruire;
37, in quanto prevede un meccanismo di silenzio-assenso;
25, in quanto prevede un limite di volume per ogni singola
richiesta;
1, 2, 3, 25, 26, lettera a), in quanto contenuti in un
decreto-legge, in violazione degli articoli 3, comma primo, 5, 9, 97,
comma primo, 114, comma primo, 117, comma secondo, 117 comma terzo,
118, comma primo, Cost. nonche' del principio di ragionevolezza, di
indisponibilita' dei valori costituzionalmente tutelati e del
principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni.

F a t t o

Lo «storico» condono edilizio fu introdotto dalla legge n. 47 del
1985, come evento assolutamente eccezionale e correlato a rilevanti
innovazioni nella disciplina edilizia. A distanza di nove anni la
legge n. 724 del 1994 riapri' i termini del condono. Ed ora, a
distanza ancora di nove anni, l'art. 32 del decreto-legge n. 269 del
2003 prevede un nuovo condono, riprendendo con modifiche le regole
sostanziali e procedurali del 1985 e del 1994.
L'art. 32 del decreto-legge, che contiene la normativa qui
impugnata, e' intitolato: «Misure per la riqualificazione
urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione
dell'attivita' di repressione dell'abusivismo edilizio, nonche' per
la definizione degli illeciti e delle occupazioni di aree demaniali».
Il comma 1 dichiara la finalita' di «pervenire alla regolarizzazione
del settore». Il comma 2 dichiara altresi' che «la normativa e'
disposta nelle more dell'adeguamento della disciplina regionale al
testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia, approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in conformita'
al titolo V della Costituzione come modificato dalla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3» e che sono «comunque fatte
salve le competenze delle autonomie locali sul governo del
territorio». Il comma 3 precisa che «le condizioni, i limiti e le
modalita' del rilascio del predetto titolo abilitativo sono stabilite
dal presente articolo e dalle normative regionali».
In questi termini, pur se talune delle citate formulazioni non
sembrano davvero perspicue - come quella che non si sa a quali fini
precisa trattarsi di una normativa adottata «nelle more» di un
adeguamento che tra l'altro per la regione Emilia-Romagna e' gia'
avvenuto con la legge regionale 25 novembre 2002, n. 31 (mod. con
l.r. 19 dicembre 2002, n. 37) - l'intitolazione dell'articolo e i
primi commi possono dare l'impressione di una normativa «positiva», o
comunque - per quanto riguarda piu' strettamente il condono - di una
normativa messa a disposizione delle regioni e delle autonomie locali
come un principio facoltizzante, secondo cui la legislazione statale
in materia di «governo del territorio» autorizzerebbe le regioni che
lo ritenessero a permettere ai propri enti locali di rilasciare
concessioni in sanatoria entro i limiti fissati in primo luogo dalle
stesse seguenti disposizioni dell'art. 32, in secondo luogo dalle
leggi delle singole regioni.
Se cosi' fosse, il condono introdotto dall'art. 32 si presterebbe
pur sempre ad obbiezioni di legittimita' e merito - non sembrando
davvero consono alle ragioni di garanzia che presiedono al
riconoscimento di una legislazione statale di principio in materia di
governo del territorio la fissazione di regole che consentono invece
il «non governo o addirittura il malgoverno - ma almeno nessuna
comunita' regionale si vedrebbe costretta ad accettare la sanzione
definitiva di quanto di urbanisticamente disordinato ed irregolare
possa essere accaduto negli ultimi anni.
Sennonche', il carattere rispettoso, se non del territorio,
almeno delle autonomie territoriali si rivela esso stesso pura
apparenza quando si considerino le rimanenti disposizioni
dell'art. 32, dalle quali emergono invece i tratti inconfondibili del
vecchio e classico condono, nella stessa versione della legge n. 47
del 1985 e della legge n. 724 del 1994: insomma, del «solito»
condono, che si prospetta cosi' come evento ciclico e ricorrente
della storia italiana.
Sommando tutti i periodi, ne risulta che - tranne le eccezioni
per le zone soggette a particolari vincoli - chiunque negli ultimi
venti anni abbia effettuato opere edilizie in spregio delle regole
sostanziali e formali di governo del territorio ha potuto o potra'
trarre vantaggio dal proprio illecito, senza che alcuna
considerazione urbanistica possa essergli opposta, alla sola
condizione di versare allo Stato una somma di danaro. E che coloro
che al contrario hanno rinunciato ad opere che pure sarebbero state
per loro vantaggiose in ossequio alla normativa urbanistica o
nell'attesa di regolari permessi avranno una nuova ragione di
chiedersi - se davvero le regole sono queste - se non avrebbero fatto
meglio in passato, e non faranno meglio in futuro, a violare
anch'essi le norme.
In effetti, la «vera» disciplina del nuovo condono inizia con il
comma 25, che stabilisce che «le disposizioni di cui ai capi IV e V
della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e
integrazioni, come ulteriormente modificate dall'art. 39 della legge
23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni,
nonche' dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che
risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano
comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della
volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un
ampliamento superiore a 750 mc», e che «le suddette disposizioni
trovano altresi' applicazione alle opere abusive realizzate nel
termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non
superiori a 750 mc per singola richiesta di titoli abilitativi
edilizi in sanatoria».
Posto che «la misura dell'oblazione e dell'anticipazione degli
oneri concessori, nonche' le relative modalita' di versamento, sono
disciplinate nell'allegato 1» (comma 38), l'operativita' di quanto
enunciato e' poi assicurata dal comma 28, il quale dispone da un lato
che «i termini previsti dalle disposizioni sopra richiamate e
decorrenti dalla data di entrata in vigore dell'art. 39 della legge
23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni,
ove non disposto diversamente, sono da intendersi come riferiti alla
data di entrata in vigore del presente decreto», dall'altro che «per
quanto non previsto dal presente decreto si applicano, ove
compatibili, le disposizioni di cui alla legge 28 febbraio 1985,
n. 47, e al predetto art. 39».
Ulteriori norme sono dettate dal comma 32 («la domanda relativa
alla definizione dell'illecito edilizio, con l'attestazione del
pagamento dell'oblazione e dell'anticipazione degli oneri concessori,
e' presentata ai comune competente, a pena di decadenza, entro il 31
marzo 2004, unitamente alla dichiarazione di cui al modello allegato
e alla documentazione di cui al comma 35») e dal comma 35, il quale
prevede con precisione e dettaglio la documentazione da allegare alla
domanda (pur ammettendo che vi possa essere «ulteriore documentazione
eventualmente prescritta con norma regionale»!). L'allegato 1 precisa
addirittura che la domanda di definizione degli illeciti edilizi
«deve essere compilata utilizzando il modello di domanda allegato».
La disciplina e' completata dalle norme di chiusura del comma 37,
secondo cui «il pagamento degli oneri di concessione, la
presentazione della documentazione di cui al comma 35, della denuncia
in catasto, della denuncia ai fini dell'imposta comunale degli
immobili di cui al d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, nonche', ove
dovute, delle denuncie ai fini della tassa per lo smaltimento dei
rifiuti solidi urbani e per l'occupazione del suolo pubblico, entro
il 30 settembre 2004, nonche' il decorso del termine di ventiquattro
mesi da tale data senza l'adozione di un provvedimento negativo del
comune, equivale a titolo abilitativo edilizio in sanatoria»; e dal
comma 40, che avverte il bisogno di precisare che «alla istruttoria
della domanda di sanatoria si applicano i medesimi diritti e oneri
previsti per il rilascio dei titoli abilitativi edilizi, come
disciplinati dalle amministrazioni comunali per le medesime
fattispecie di opere edilizie», e che «ai fini della istruttoria
delle domande di sanatoria edilizia puo' essere determinato
dall'amministrazione comunale un incremento dei predetti diritti e
oneri fino ad un massimo del 10 per cento da utilizzare con le
modalita' di cui all'art. 2, comma 46, della legge 23 dicembre 1996,
n. 662».
Il quadro ora esposto di una normativa statale che drasticamente
determina - tranne che per specifiche aree di particolare pregio o in
particolari situazioni - il venire meno di qualunque attivita' di
repressione degli abusi edilizi compiuti - con totale frustrazione
anche dell'attivita' amministrativa in corso - non risulta affatto
alterato dai riferimenti che lo stesso art. 32 opera a poteri o
compiti regionali. Si tratta infatti di poteri e compiti che
rimangono nel quadro marginali ed eventuali, o che addirittura
determinano situazioni paradossali.
Gia' si e' accennato che secondo il comma 3 «le condizioni, i
limiti e le modalita' del rilascio del predetto titolo abilitativo
sono stabilite dal presente articolo e dalle normative regionali». Ma
e' evidente, nel contesto complessivo sopra illustrato, che questa
disposizione non puo' essere affatto intesa come un generico rinvio a
quanto sul tema volessero disporre le leggi regionali, ma come un
riferimento ai limitatissimi compiti normativi che il «presente
articolo» riconosce alle regioni.
Di quali compiti normativi si tratti e' presto detto. Su un piano
generale, il comma 33 prevede che le regioni «entro sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore del presente decreto» (e dunque in un
termine brevissimo, tra l'altro coincidente con quello di conversione
del decreto stesso!) emanino «norme per la definizione del
procedimento amministrativo relativo al rilascio del titolo
abilitativo edilizio in sanatoria».
Per vero, non si intende di quali norma possa trattarsi, dato che
il procedimento di condono e' gia' definito dalle disposizioni
richiamate della legge n. 47 del 1985 e 724 del 1994, nonche' dallo
stesso art. 32 del decreto nei commi sopra illustrati. Ed infatti dal
seguito del comma 33 e dal comma 34 si capisce che in realta' cio'
che alle regioni e' concesso di fare e' di inasprire per i propri
cittadini i costi del condono: prevedere «un incremento
dell'oblazione fino al massimo del 10 per cento della misura
determinata nella tabella C allegata», incrementare gli oneri di
concessione fino al massimo del 100 per cento». Inoltre, secondo il
comma 34, la legge regionale dovra' stabilire le «modalita' di
attuazione» della regola che consente a coloro che intendano eseguire
in tutto o in parte le opere di urbanizzazione primaria di «detrarre
dall'importo complessivo quanto gia' versato, a titolo di
anticipazione degli oneri concessori». Ancora, come gia' visto, il
comma 35 ammette che la legge regionale eventualmente preveda
«ulteriore documentazione» da allegare alla domanda di condono.
Questo e' il ruolo generale che l'art. 32 riserva alla
legislazione regionale. Un discorso a parte va poi fatto con
riferimento al comma 26.
Va premesso che l'allegato 1 definisce tra l'altro la «tipologia
delle opere abusive suscettibili di sanatoria alle condizioni di cui
all'art. 7, comma 2» (per vero non si comprende tale riferimento,
dato che l'art. 7 del decreto-legge riguarda tutt'altro). In ogni
modo, tale tipologia distingue le opere abusive numerate da 1 a 6 in
categorie di gravita' decrescente. Precisamente, le tipologie sono le
seguenti:
Tipologia 1. Opere realizzate in assenza o in difformita' del
titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e
alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;
Tipologia 2. Opere realizzate in assenza o in difformita' del
titolo abilitativo edilizio, ma conformi alle norme urbanistiche e
alle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in
vigore del presente provvedimento;
Tipologia 3. Opere di ristrutturazione edilizia come definite
dall'art. 3, comma 1, lettera d) del d. P.R. 6 giugno 2001, n. 380
realizzate in assenza o in difformita' dal titolo abilitativo
edilizio;
Tipologia 4. Opere di restauro e risanamento conservativo
come definite dall'art. 3, comma 1, lettera c) del d. P.R. giugno
2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformita' del titolo
abilitativo edilizio, nelle zone omogenee «A» di cui all'art. 2 del
decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444;
Tipologia 5. Opere di restauro e risanamento conservativo
come definite dall'art. 3, comma 1, lettera c) del d.P.R. giugno
2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformita' del titolo
abilitativo edilizio;
Tipologia 6. Opere di manutenzione straordinaria, come
definite all'art. 3, comma 1, lettera b) del d.P.R. 6 giugno 2001,
n. 380, realizzate in assenza o in difformita' dal titolo abilitativo
edilizio; opere o modalita' di esecuzione non valutabili in termini
di superficie o di volume.
Cio' premesso, il comma 26 dispone che «sono suscettibili di
sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all'allegato 1:
a) numeri da 1 a 3, nell'ambito dell'intero territorio
nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma
27, nonche' 4, 5 e 6 nell'ambito degli immobili soggetti a vincolo di
cui all'art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47;
b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui
all'art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di
legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, con la quale e' determinata
la possibilita', le condizioni e le modalita' per l'ammissibilita' a
sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio».
Ne risulterebbe che, mentre gli abusi piu' gravi, e quelli di
minore gravita' compiuti su immobili vincolati (cioe' i piu' gravi
degli abusi minori), sarebbero senz'altro sanabili alle condizioni
generali, quelli di assoluta minore gravita' (restauro e risanamento
conservativo o addirittura la semplice manutenzione straordinaria)
sarebbero sanabili ... in quanto le singole regioni lo consentano con
le proprie leggi. Precisato che la lettera b) - in quanto riconosce
sia pure limitati poteri regionali - non forma oggetto specifico di
questa impugnazione, e' tuttavia di immediata evidenza che il sistema
che risulterebbe dall'insieme del comma e', come meglio si dira' tra
breve, costituzionalmente inaccettabile per irragionevolezza e
violazione del principio di uguaglianza.
Nei termini esposti, le impugnate disposizioni dell'art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003 sono invasive delle competenze
costituzionali delle regioni e costituzionalmente illegittime per le
seguenti ragioni di

D i r i t t o


Premessa

Conviene in primo luogo ricordare che la ricorrente Regione
propose a suo tempo impugnazione avverso la riapertura del condono
operata dall'art. 39 della legge n. 724 del 1994. Codesta ecc.ma
Corte costituzionale, riconosciuta la legittimazione
all'impugnazione, giudico' nel merito del ricorso con la sentenza
n. 416 del 1995, Al punto 7 in diritto codesta Corte cosi' si
espresse:
«Innanzitutto deve escludersi che la riapertura e l'estensione
dei termini (riferiti all'epoca dell'abuso commesso) del condono
edilizio (peraltro con ulteriori limiti e presupposti riduttivi) il
cui carattere essenziale nella fattispecie e' quello di norma del
tutto eccezionale in relazione ad esigenze di contestuale intervento
sulla disciplina concessoria e a contingenti e straordinarie ragioni
finanziarie e di recupero della base impositiva dei fabbricati,
vanifichi di per se' l'azione di controllo e di repressione delle
amministrazioni ed in particolare delle piu' attente.
Infatti l'entita' del fenomeno di applicazione ed utilizzazione
della norma impugnata nelle varie regioni (con un introito effettivo
di quasi tremila miliardi limitato alla prima fase dei pagamenti),
induce a ritenere la diffusione tutt'altro che isolata del fenomeno
dell'abusivismo edilizio e della persistenza delle relative
costruzioni, compiute nel periodo successivo al 31 ottobre 1983
(termine di riferimento dell'art. 31 legge n. 47 del 1985), fino alla
nuova data di riferimento, 31 dicembre 1993. Cio' e' avvenuto non
solo per il difetto di una attivita' di polizia locale specializzata
sul controllo del territorio, ma anche in conseguenza della scarsa (o
quasi nulla in talune regioni) incisivita' e tempestivita'
dell'azione di controllo e di repressione degli enti locali e delle
regioni, che non e' valsa ad impedire tempestivamente la suddetta
attivita' abusiva o almeno a impedire il completamento e a rimuovere
i relativi manufatti.
Ben diversa sarebbe, invece, la situazione in caso di altra
reiterazione di una norma del genere, soprattutto con ulteriore e
persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del
commesso abusivismo edilizio. Conseguentemente differenti sarebbero i
risultati della valutazione sul piano della ragionevolezza, venendo
meno il carattere contingente e del tutto eccezionale della norma
(con le peculiari caratteristiche della singolarita' ed ulteriore
irripetibilita) in relazione ai valori in gioco, non solo sotto il
profilo della esigenza di repressione dei comportamenti che il
legislatore considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilita'
in via amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della
tutela del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo.
La gestione del territorio sulla base di una necessaria
programmazione sarebbe certamente compromessa sul piano della
ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilita' di
condono-sanatoria con conseguente convinzione di impunita', tanto
piu' che l'abusivismo edilizio comporta effetti permanenti (qualora
non segua la demolizione o la rimessa in pristino), di modo che il
semplice pagamento di oblazione non restaura mai l'ordine giuridico
violato, qualora non comporti la perdita del bene abusivo o del suo
equivalente almeno approssimativo sul piano patrimoniale.».
La ricorrente Regione e' dell'avviso che tale ben diversa
situazione, ipotizzata da codesta Corte nella sentenza del 1995, si
sia purtroppo verificata.
1. - Illegittimita' costituzionale dei commi 1, 2, 3, 25, 26,
lettera a), in quanto dispongono il nuovo condono edilizio, per
violazione dell'art. 117, commi secondo e terzo.
La precedente impugnazione era stata presentata, prima della
riforma costituzionale operata con la legge cost. n. 3 del 2001, con
argomenti che conservano ad avviso della ricorrente regione tutta la
loro validita'.
Non si puo' tuttavia ora non considerare innanzi tutto gli
effetti che la riforma costituzionale ha comportato per quanto
riguarda il riparto di poteri legislativi ordinari tra lo Stato e le
Regioni. Nel nuovo quadro, infatti, il legislatore ordinario statale,
pur godendo di una potesta' legislativa particolarmente ampia, e di
una potesta' esclusiva nei fondamentali rami dell'ordinamento
giuridico (quali l'ordinamento civile e penale e l'ordinamento
processuale), non ha piu' tuttavia una competenza legislativa
assolutamente generale.
Occorre dunque in primo luogo considerare se la disciplina
introdotta dall'art. 32 del decreto-legge qui impugnato trova
giustificazione nei titoli che fondano la competenza legislativa
statale alla stregua dell'art. 117, commi secondo e terzo, Cost.
Ad avviso della ricorrente regione la risposta e' negativa, come
ora si cerchera' di illustrare.
a) Impossibilita' di giustificare la normativa statale nel
quadro della materia «governo del territorio».
Non puo' essere dubbio che la normativa relativa al condono
incide profondamente nella materia «governo del territorio». Va
tuttavia ricordato che in tale materia come in tutte quelle assegnate
alla potesta' concorrente dello Stato e delle Regioni, a termini
dell'art. 117, comma terzo, Cost., la potesta' legislativa spetta
alle regioni, «salvo che per la determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato».
Ora, sembra palese che la disciplina del condono edilizio non
puo' essere considerata in nessun senso «determinazione dei principi
fondamentali» della materia. Al contrario, i principi fondamentali
della materia sono sempre stati e tuttora sono quelli della
disciplina edilizia del territorio, del controllo preventivo sulle
edificazioni e della repressione dei comportamenti illeciti. Cio' del
resto e' chiarissimo nella citata sentenza n. 416: il carattere della
disciplina del condono e' «quello di norma del tutto eccezionale», in
relazione a comportamenti «che il legislatore considera illegali e di
cui mantiene la sanzionabilita' in via amministrativa e penale».
E' dunque evidente che non si tratta di esercizio della potesta'
statale di porre i principi di materia, e che percio' l'intervento
non puo' essere giustificato a questo titolo.
Va precisato, infatti, che il potere statale di «determinazione
dei principi» non comprende oggi, nel nuovo contesto costituzionale,
il potere di disporre in via derogatoria di tali principi,
determinandone la non applicazione per classi determinate e concluse
di comportamenti illeciti realizzati nel passato.
Al contrario, si deve ad avviso della ricorrente regione ritenere
che l'attribuzione allo Stato del compito e del potere di determinare
i principi della materia «governo del territorio» sia correlata ad
una esigenza positiva di assicurare che in tutte le regioni sia
garantita una soglia predefinita di valori connessi al governo del
territorio. Che tale sia il senso delle attribuzioni statali risulta
talora piu' evidente nello stesso testo costituzionale, come accade
ad esempio per la «tutela dell'ambiente» - che, si noti, non e'
limitata agli aspetti di speciale valore paesistico - di cui 117,
comma secondo, lettera s); ma non puo' essere dubbio che tale e'
anche il senso della attribuzione allo Stato di definire i principi
in materia di governo del territorio.
Che invece l'attivazione del condono sia in diretta
contraddizione con tali valori e' del tutto evidente, solo che si
consideri che la base del condono e' il puro scambio tra rinuncia
alla salvaguardia di tali valori in cambio di una somma di denaro. Ma
sul punto non vi e' bisogno di insistere, essendo il disvalore del
condono gia' chiarissimo nella giurisprudenza costituzionale.
b) Impossibilita' di giustificare la normativa statale come
esercizio di potesta' legislativa nella materia del «coordinamento
della finanza pubblica».
L'art. 32 si colloca all'interno di un decreto-legge
complessivamente intitolato: «Disposizioni urgenti per favorire lo
sviluppo e per la correzione dei conti pubblici». La finalita'
complessivamente finanziaria dell'intervento smentisce completamente,
da un lato, il presunto scopo di «regolarizzazione del settore»
proclamato dal comma 1 dell'art. 32, ma certamente costituisce uno
scopo che lo Stato puo' e deve perseguire: cio' non toglie, pero',
che lo debba perseguire nell'ambito dei poteri legislativi che la
Costituzione riconosce al legislatore ordinario, e non al di fuori di
tali poteri.
Non c'e' dubbio, ad esempio, che il legislatore statale avrebbe
potuto perseguire le proprie finalita' nel quadro della propria
potesta' esclusiva in materia di sistema tributario dello Stato.
Avrebbe potuto perseguire i propri scopi anche attraverso la potesta'
concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica» di
cui all'art. 117, comma terzo, dettando nuovi principi sul sistema
tributario e finanziario delle regioni e degli enti locali, come del
resto l'art. 119 gli imporrebbe di fare.
Sembra tuttavia evidente che neppure il riferimento a tale ultima
materia conduce a soddisfare la ricerca di un fondamento
costituzionale alla disciplina statale qui impugnata. Per ragioni
analoghe a quelle sopra esposte va escluso che si tratti della
posizione di principi di materia: i principi di «coordinamento della
finanza pubblica» devono essere norme fondamentali che stabilmente
disciplinano l'assetto finanziario pubblico, non certo norme
eccezionali quali quelle sul condono; ne' d'altronde la posizione di
principi in tale materia e' compatibile con il puro e semplice
asservimento della materia urbanistica ed edilizia alle esigenze
finanziarie.
c) Impossibilita' di giustificare la normativa statale come
esercizio di potesta' legislativa nella materia dell'ordinamento
penale.
Poiche' tra gli effetti del condono edilizia vi e' il venire meno
della punibilita' penale in relazione agli illeciti commessi, va
esaminata l'ipotesi che la potesta' esclusiva statale in tale materia
possa costituire il fondamento giustificativo dell'intera normativa
sul condono edilizio. Si osserva, in primo luogo, che
l'irriducibilita' del condono edilizio alla questione penale e' gia'
stata affermata da codesta ecc.ma Corte costituzionale nel momento
stesso in cui essa ha dichiarato ammissibile il ricorso regionale
avverso l'art. 39 della legge n. 724 del 1994.
In secondo luogo, va precisato che la ricorrente regione non
contesta affatto l'esclusivita' del potere statale nel disporre del
«potere di clemenza» in materia penale. Benche' certo, come statuto
nella sentenza n. 369 del 1988, che il potere di clemenza puo'
incontrare limiti costituzionali, non spetta alle regioni di farli
valere.
Cio' che si contesta, invece, e' che disponendo di cio' di cui lo
Stato poteva - almeno in relazione alle prerogative costituzionali
delle regioni - disporre, lo Stato abbia anche disposto di cio' di
cui non poteva disporre, cioe' della sanzionabilita' in via
amministrativa degli illeciti edilizi.
In altre parole, circa lo scambio tra danaro e punibilita' penale
la regione Emilia-Romagna ritiene di non avere titolo ad
interloquire: e cio' anche se il venire meno della sanzione penale
determina una riduzione di tutela di valori costituzionali di cui
anche le regioni sono responsabili. Spetta infatti allo Stato di
decidere in quali casi la tutela dei valori debba essere affidata
alla sanzione penale.
La regione contesta invece che all'esenzione dalla punibilita'
penale possa o debba accompagnarsi l'accettazione del fatto compiuto
sul terreno, specificamente regionale, dell'amministrazione
dell'urbanistica, con il venire meno della sanzionabilita'
amministrativa degli illeciti.
Ne' si puo' dire che le due cose debbano necessariamente stare
insieme, ne' dal punto di vista teorico ne' da quello pratico. Dal
punto di vista teorico, e' chiaro che l'esenzione dalla punibilita'
penale costituisce per i trasgressori un bene autonomo, distinto da
ogni altro e particolarmente prezioso, data la gravosita' della pena
sia in se' che nelle sue conseguenze generali. Dal punto di vista
pratico, e' agevolmente immaginabile ed organizzabile un sistema che
non comporti neppure sul piano operativo l'interferenza con il
sistema delle sanzioni aunninistrative: ad esempio ozganizzando la
presentazione delle domande di condono penale al di fuori del
circuito dell'amministrazione locale, o sancendo l'inutilizzabilita'
e l'irrilevanza di tali domande nell'ambito dei procedimenti
amministrativi sanzionatori.
Non puo' invece il legislatore statale ordinario decidere
unilateralmente il sacrificio di quei valori del territorio che
sarebbe suo compito costituzionale di tutelare, e che le stesse
regioni, nell'ambito dei propri poteri legislativi e quali componenti
della Repubblica ai sensi dell'art. 114 Cost., hanno il dovere di
difendere.
In conclusione, se ne' la potesta' del legislatore statale
ordinario di fissare i principi del governo del territorio, ne'
quella di fissare i principi di coordinamento della finanza pubblica,
ne' infine l'esclusiva potesta' statale in materia penale
giustificano sul piano costituzionale la normativa qui impugnata, se
ne deve concludere che essa non poteva essere adottata dallo Stato
mediante un atto avente valore di legge ordinaria.
2. - Illegittimita' costituzionale degli stessi commi 1, 2,
3, 25, 26, lettera a), in quanto dispongono il nuovo condono
edilizio, per violazione dei principi di ragionevolezza e di
eguaglianza, dell'art. 97, comma primo, nonche' degli artt. 117 e 118
Cost.
Si e' data qui la precedenza alle ragioni di illegittimita'
costituzionale della normativa impugnata collegati al nuovo riparto
di poteri legislativi tra lo Stato e le regioni. Cio' non toglie,
tuttavia, che conservino piena validita' tutte le ragioni di
doglianza gia' prospettate dalla ricorrente regione con il ricorso
rivolto avverso il condono attivato dalla legge n. 724 del 1994:
ragioni delle quali codesta stessa Corte costituzionale ebbe ad
affermare, nella citata sentenza n. 416 del 1995, che - se pure non
potevano accogliersi di fronte ad una decisione statale che ancora
poteva considerare contrassegnata dai caratteri di un eccezionale
intervento, collegato non solo alle contingenti e temporanee esigenze
finanziarie dello Stato, ma alla definitiva chiusura della vicenda
dell'abusivismo edilizio - sarebbero state invece pienamente valide e
necessariamente da accogliere nell'ipotesi «di altra reiterazione di
una norma del genere, soprattutto con ulteriore e persistente
spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso
abusivismo edilizio».
Tuttavia, piu' che riproporre alla lettera quelle ragioni,
conviene qui riproporre le parole stesse di codesta Corte
costituzionale, gia' citate sopra nella premessa. Nel caso di
ulteriore reiterazione, osserva ancora la sentenza n. 416, verrebbe
meno «il carattere contingente e del tutto eccezionale della norma
con le peculiari caratteristiche della singolarita' ed ulteriore
irripetibilita) in relazione ai valori in gioco, non solo sotto il
profilo della esigenza di repressione dei comportamenti che il
legislatore considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilita'
in via amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della
tutela del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo»,
con conseguente valutazione di irragionevolezza. Infatti, prosegue la
stessa sentenza, «la gestione del territorio sulla base di una
necessaria programmazione sarebbe certamente compromessa sul piano
della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilita' di
condono-sanatoria con conseguente convinzione di impunita', tanto
piu' che l'abusivismo edilizio comporta effetti permanenti (qualora
non segua la demolizione o la rimessa in pristino), di modo che il
semplice pagamento di oblazione non restaura mai l'ordine giuridico
violato, qualora non comporti la perdita del bene abusivo o del suo
equivalente almeno approssimativo sul piano patrimoniale».
Si tratta di considerazioni che, benche' espresse con riferimento
al piano della ragionevolezza, sono agevolmente collegabili ad altri
ed espliciti parametri costituzionali. Viene in rilievo, in primo
luogo, il principio di buon andamento dell'amministrazione di cui
all'art. 97 Cost., evidentemente frustrato dalla inanita' della gran
parte degli sforzi compiuti dalle amministrazioni locali di reprimere
l'abusivismo edilizio. Se e' vero infatti che in taluni casi - ma
non, si ritiene, se non marginalmente nei comuni della ricorrente
regione - proprio l'inerzia delle amministrazioni puo' avere favorito
gli abusi, cio' non toglie affatto che consentire indiscriminatamente
la sanatoria dell'abuso vanifica ogni sforzo gia' presente ed ogni
prospettiva futura (si rammenti che il carattere illecito della
costruzione abusiva non viene meno per il solo decorso del tempo).
Cio' tanto piu' e' vero se si considera che gli sforzi delle
amministrazioni di colpire gli abusi richiedono di necessita' un
tempo non breve per pervenire al risultato concreto, data l'esistenza
delle irrinunciabili garanzie giurisdizionali: che da un lato
doverosamente tutelano chi abusivo in realta' non sia, ma dall'altro
non raramente consentono comunque di procrastinare nel tempo la
sanzione.
Viene poi in rilievo lo stesso principio di uguaglianza, leso da
una normativa che da un lato ingiustamente uguaglia chi ha costruito
in base ad un titolo legittimo e chi ha costruito abusivamente,
dall'altro ingiustamente non consente di riportare ad uguaglianza,
attraverso la sanzione, chi si e' astenuto da comportamenti illeciti
e chi illecitamente li ha compiuti.
E' chiaro, poi, che questi vizi si traducono in una lesione delle
competenze costituzionali della regione, che - a causa del condono -
vede illegittimamente frustrata la propria attivita' legislativa ed
amministrativa di governo del territorio, in quanto gli abusi
compiuti possono sfuggire alle sanzioni amministrative e si
incentivano abusi futuri.
3. - Illegittimita' costituzionale degli stessi commi 1, 2, 3,
25, 26, lettera a), in quanto dispongono il nuovo condono edilizio,
per violazione dell'art. 9 Cost. e del principio costituzionale di
indisponibilila' dei valori costituzionalmente tutelati.
Ad avviso della ricorrente regione le violazioni segnalate al
punto precedente si collegano ad una ulteriore e piu' profonda
violazione del principio implicito nella Costituzione di non
disponibilta', da parte del legislatore ordinario (non importa se
statale o regionale), dei valori costituzionalmente tutelati. Che
l'ordinato assetto del territorio sia un valore costituzionalmente
tutelato non puo' essere messo in discussione, ed e' del resto
evidente - oltre che nell'art. 9, comma secondo Cost. - nella stessa
costruzione costituzionale del governo del territorio come autonoma
materia di legislazione.
Tale valore costituzionale non puo' essere scambiato con valori
puramente finanziari. Il fatto che il sistema della finanza pubblica
si trovi attualmente - ma in realta' da molti anni - in una
situazione difficile non puo' costituire ragione che autorizzi lo
Stato allo «scambio» tra illegalita' edilizia e prestazioni in
danaro.
Sia consentito ricordare alcune argomentazioni svolte nel ricorso
avverso il condono del 1994.
«Proprio la condizione disastrosa della finanza pubblica non puo'
non avvisare della circostanza che, se tale scambio dovesse essere
riconosciuto come costituzionalmente legittimo e consentito, ad esso
fatalmente ed inevitabilmente si tornerebbe a ricorrere ogni volta
che,le stime di probabile gettito lo rendessero «consigliabile».
In altre parole, ogni potenziale costruttore abusivo saprebbe
bene che, poiche' il problema del disavanzo dello Stato non e'
destinato a risolversi, nella sua entita' fondamentale, ne' nel breve
ne' nel medio periodo, ma semmai soltanto a trovare modi di
progressivo «contenimento» ogni suo abuso sara' tollerato e in
prospettiva persino gradito, dato che cio' costituira' occasione per
periodiche «contribuzioni» al bilancio statale.
Ma basta enunciare tale prospettiva per rendere evidente come
essa drasticamente ripugni ai valori costituzionali trasformi
l'imperativo della legalita' in una mera facolta' per chi voglia
semplicemente vivere tranquillo, trasformi la tutela degli interessi
pubblici e dei valori costituzionali cui lo Stato e' chiamato in un
termine meramente economico, rimpiazzabile per veri o presunti
equivalenti monetari, secondo la necessita' dei governanti di trarre
fondi dai governati senza loro troppo dispiacere.».
Come sottolinea la sentenza n. 416 del 1995, «il semplice
pagamento di oblazione non restaura mai l'ordine giuridico violato,
qualora non comporti la perdita del bene abusivo o del suo
equivalente almeno approssimativo sul piano patrimoniale.
In questo senso, il condono edilizio non e' in nessun modo
paragonabile ad altri condoni che pure comportino «clemenza» penale,
quali i condoni fiscali. Infatti, se anche per questi si pone
indubbiamente il problema del complessivo sovvertimento della
legalita', e dell'incoraggiamento che da essi deriva a nuove
illegalita', va pero' osservato che, nell'oggetto specifico, si
tratta di una rinuncia ad una pretesa economica in vista di una
diversa, e sia pure piu' ridotta, pretesa economica: sicche' la
questione acquista, nel suo oggetto specifico, un connotato quasi di
transazione ordinaria in relazione ad una lite patrimoniale.
Il condono edilizia opera invece, anche nel suo oggetto
specifico, su beni e interessi indisponibili e costituzionalmente
tutelati della comunita'. Tali beni, costituzionalmente protetti sia
direttamente in se stessi, sia indirettamente mediante un equilibrato
riparto di competenze tra diversi livelli di responsabilita'
territoriale, appartengono alla comunita' e non possono in linea di
principio essere scambiati con «denaro» da nessun livello di governo,
senza contraddire quella «gerarchia di valori» sottolineata proprio
nella giurisprudenza costituzionale.».
Ne' oggi si puo' trovare una circostanza legittimante nella
«eccezionalita» della disciplina del condono, ovviamente oramai
venuta meno: non si potrebbe certamente ripetere oggi quanto
affermava la sentenza n. 369 del 1988, quando rilevava come andasse
«nettamente distinto, nella legge in esame la legge n. 47 del 1985,
cio' che attiene al futuro, nel quale il legislatore, nel riordinare
la materia, non ammette in alcun modo sanatorie per le opere
contrastanti con gli strumenti urbanistici, da cio' che riguarda il
passato».
Non le vane promesse di ogni passeggero legislatore ordinario, ma
soltanto il rispetto della Costituzione puo' garantire che in ogni
momento presente, e non ogni volta in un lontano futuro, i valori
costituzionali si realizzino nella vita sociale.
Anche in relazione a questi vizi, e' chiaro che essi si traducono
in una lesione delle competenze costituzionali della regione, che - a
causa del condono - vede illegittimamente frustrata la propria
attivita' legislativa ed amministrativa di govemo del territorio, nei
termini gia' esposti al punto precedente.
4. - In subordine: illegittimita' del comma 26. lettera a), in
quanto subordina la sanabilita' alla legge regionale per gli abusi
minori in zone non vincolate, sottraendo alla decisione regionale gli
abusi maggiori e gli abusi minori in zone vincolate.
Come gia' ricordato nella parte in fatto, il comma 26 determina
la paradossale situazione per cui chi ha commesso abusi piu' gravi
puo' senz'altro usufruire della possibilita' del condono, mentre chi
ha commesso abusi meno gravi puo' usufruirne se le regioni lo
prevedono. Sembra chiara la violazione dei principi di ragionevolezza
e di eguaglianza (e mediatamente degli artt. 117 e 118 Cost., per la
ripercussione di quei vizi sulle competenze regionali in materia di
governo del territorio).
La differenza e' verosimilmente da ricondurre - nelle intenzioni
del legislatore - al fatto che, nel d. P.R. n. 380/2001, gli
interventi di cui al comma 26, lettera b), sono soggetti solo a
denuncia di inizio attivita' e non a permesso edilizio: ma tale
differenza ha ripercussioni sul solo piano penalistico, mentre resta
costituzionalmente inaccettabile che gli illeciti amministrativi piu'
gravi siano senz'altro condonabili mentre quelli meno gravi non lo
siano.
Va precisato che ovviamente questa regione non impugna il comma
26, lettera b), ma il comma 26, lettera a) nella parte in cui non
condiziona la sanabilita' dell'illecito amministrativo all'intervento
di una legge regionale che la preveda. Infatti, in relazione ai
profili amministrativi dell'illecito urbanistico, non trova
giustificazione la diretta sanabilita' degli interventi di cui alla
lettera a) e l'eventuale sanabilita' degli interventi di cui alla
lettera b), e la conformita' a Costituzione puo' essere ristabilita
nel modo appena indicato. Sulla scindibilita' del profilo penale dal
profilo dell'illecito amministrativo si richiama qui quanto gia'
esposto al punto 1.
5. - In subordine: illegittimita' del comma 25, in quanto non
eccettua dal condono gli abusi per i quali il procedimento
sanzionatorio sia gia' iniziato.
Anche nella denegata ipotesi che le censure sopra esposte non
risultassero da condividere, la ricorrente regione ritiene che
sarebbe comunque illegittimo che la disciplina qui impugnata non
abbia escluso - dall'ambito di applicazione del condono - gli abusi
per i quali il procedimento sanzionatorio sia gia' iniziato.
E' chiaro, infatti, che, in casi di questo tipo, la possibilita'
di condono risulta ancora piu' irragionevole e maggiormente lesiva
del principio di buon andamento dell'amministrazione: perche' quando
il procedimento sanzionatorio e' gia' iniziato, il condono non arreca
alcun vantaggio al pubblico interesse, ne' in termini di «uscita allo
scoperto» di chi ha commesso l'abuso ne' in termini economici, dato
che spesso le sanzioni urbanistiche hanno carattere pecuniario.
Si puo' ricordare che, nella sentenza n. 369 del 1988 di codesta
Corte, si osservava che «il fondamento sostanziale dell'estinzione di
cui all'art. 38 comma 2 legge n. 47 del 1985 va ricercato nella
valutazione `positiva' che l'ordinamento compie dei comportamenti del
reo, successivi al reato (`autodenuncia'..., pagamento dell'oblazione
ecc), che inducono a credere ad un sia pur parziale `ritorno', anche'
se non del tutto spontaneo, dell'agente alla `normalita''» (punto 4
del Diritto). Pare chiaro che, nei casi in cui il procedimento
sanzionatorio sia gia' iniziato, il fondamento dell'estinzione
dell'illecito (non solo di quello penale, ma anche di quello
amministrativo) sparisce. Si tenga inoltre presente che, sia nella
sentenza n. 369/1988 (punto 6 del Diritto) sia nella sentenza
n. 416/1995 (punto 7 del Diritto) sia nella sentenza n. 427/1995
(punto 3 del Diritto) la Corte costituzionale ha dato rilievo, per
giustificare il condono, all'inefficienza delle amministrazioni nel
controllo sul territorio: inefficienza che non sussiste in relazione
agli abusi per i quali sia in corso il procedimento sanzionatorio.
Premiare chi ha violato le norme urbanistiche ed e' stato gia'
«scoperto», dunque, e' profondamente irragionevole, vanifica
l'attivita' gia' svolta dai comuni e disincentiva le future attivita'
di repressione, dato il carattere ormai ciclico dei condoni (se anche
questo fosse ritenuto legittimo).
Anche tali vizi, naturalmente, si traducono in una lesione delle
competenze costituzionali della regione, che vede illegittimamente
frustrata la propria attivita' legislativa ed amministrativa di
governo del territorio.
6. - In subordine: illegittimita' costituzionale dei commi 3, 25,
26, lettera a), 28, 32, 35, lettera b) e c), 37, 38, 40 e allegato 1,
in quanto, con disciplina dettagliata ed autoapplicativa,
stabiliscono le modalita', i termini e le procedure relative al
condono edilizio.
E' chiaro che l'accoglimento di una delle censure di cui ai nn.
1, 2 e 3 implicherebbe la non applicabilita' delle norme che
disciplinano la procedura di condono (o, qualora codesta Corte lo
ritenesse necessario, la dichiarazione della loro illegittimita'
conseguenziale ex art. 27, legge n. 87/1953).
Qualora, invece, in denegata ipotesi, si' ritenesse che la
previsione di un nuovo condono sia, per qualunque e qui imprevedibile
ragione, legittima, si dovrebbe ad avviso della regione perlomeno
ammettere l'illegittimita' di quelle norme di dettaglio che
stabiliscono le modalita', i termini e le procedure relative al
condono edilizio.
Si fa riferimento, in particolare, alle norme (gia' individuate
nella parte in Fatto) di cui ai commi 28 (concernente i termini), 32
(concernente la presentazione della domanda), 35, lettere b) e c)
(concernente la documentazione da allegare alla domanda), 37 (che
prevede il meccanismo del silenzio-assenso), 38 (quanto meno nella
parte in cui fa riferimento alla misura degli oneri concessori e
delle relative modalita' di versamento) e 40 (concernente i diritti e
gli oneri previsti per l'istruttoria della domanda di sanatoria).
Nonostante quanto disposto dall'art. 32, comma 3 (secondo cui «le
condizioni, i limiti e le modalita' del rilascio del predetto titolo
abilitativo sono stabilite nel presente provvedimento e dalle
normative regionali») e comma 33 (secondo cui «le regioni, entro
sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente provvedimento,
emanano norme per la definizione del procedimento amministrativo
relativo al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria»)
il decreto-legge disciplina il procedimento di condono con norme non
cedevoli, dato che, in casi specifici (gia' ricordati nel Fatto),
prevede poteri di intervento regionali.
Ora, la presenza di norme di dettaglio, per giunta non cedevoli,
potrebbe giustificarsi solo sulla base di una competenza statale
esclusiva: ma non si vede quale materia - fra quelle previste
dall'art. 117 comma secondo, Cost. - possa comprendere le norme sulle
modalita', sui termini e sulle procedure relative al condono
edilizio.
Qualora, invece, si ritenesse che, in virtu' dei commi 3 e 33, le
norme di dettaglio di cui sopra siano cedevoli, esse sarebbero
comunque illegittime. Si puo' ricordare che codesta Corte si e' gia'
espressa sul punto, con un accenno nella sentenza n. 282/2002, punto
4 del Diritto («La nuova formulazione dell'art. 117, comma 3,
rispetto a quella previgente dell'art. 117, comma 1, esprime
l'intento di una piu' netta distinzione fra la competenza regionale a
legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla
determinazione dei principi fondamentali della disciplina») e in modo
piu' chiaro nella sentenza n. 303/2003, punto 16 del Diritto, dove si
statuisce l'inammissibilita' di norme statali di dettaglio cedevoli,
salvo il caso che cio' sia necessario per «assicurare l'immediato
svolgersi di fuzioni amministrative che lo Stato ha attratto per
soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al
rischio della ineffettivita» («Non puo' negarsi che l'inversione
della tecnica di riparto delle potesta' legislative e l'enumerazione
tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere
la possibilita' di dettare norme suppletive statali in materie di
legislazione concorrente, e tuttavia una simile lettura dell'art. 117
svaluterebbe la portata precettiva dell'art. 118, comma primo, che
consente l'attrazione allo Stato, per sussidiarieta' e adeguatezza,
delle funzioni amministrative e delle correlative funzioni
legislative, come si e' gia' avuto modo di precisare. La disciplina
statale di dettaglio a carattere suppletivo determina una temporanea
compressione della competenza legislativa regionale che deve
ritenersi non irragionevole, finalizzata com'e' ad assicurare
l'immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha
attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere
esposte al rischio della ineffettivita»).
Poiche' le norme impugnate non attraggono funzioni allo Stato ex
art. 118, comma 1, tanto e' vero che attribuiscono la competenza ai
comuni, le norme statali di dettaglio risultano, alla stregua dei
principi enunciati, chiaramente illegittime.
Si noti che, nel caso di specie, la lesivita' di una disciplina
di dettaglio, seppure in ipotesi astrattamente cedevoli, e'
particolarmente evidente: visto che le domande di condono devono
essere presentate entro il 31 marzo 2004, ben poca utilita' avrebbe
una legge regionale che intervenisse a disciplinare il relativo
procedimento, dato che essa si applicherebbe solo alle domande non
ancora presentate: con ulteriore disuguaglianza e violazione del
principio di buon andamento dell'amministrazione.
Dunque, se si legittima l'inserimento di norme di dettaglio
cedevoli nelle leggi statali, si rischia di legittimare il completo
esproprio della potesta' legislativa regionale, nel caso in cui
l'applicazione dei nuovi principi statali sia destinata ad esaurirsi,
per volonta' dello stesso legislatore statale, in breve tempo. Ne'
pare possibile eccepire che, in casi come questi, e' l'urgenza di
applicazione della legge statale a giustificare l'invasione della
competenza regionale. A parte il fatto che proprio il caso che ci
occupa dimostra come la valutazione di urgenza sia molto soggettiva,
un equilibrato bilanciam ento delle ipotetiche ragioni di urgenza e
dell'autonomia regionale potrebbe giustificare, al massimo, che lo
Stato detti una disciplina di dettaglio destinata ad operare qualora
le regioni non si attivassero entro un certo termine, ma non certo
una disciplina che immediatamente produca i suoi effetti, in pratica
annullando qualsiasi margine d'azione regionale.
Ne risulta confermata l'illegittimita' delle norme sopra
indicate.
7. - In subordine: ulteriore illegittimita' dei commi 25 e 35, in
quanto consentono di «far passare» per gia' costruite op ere in corso
di costruzione o ancora di costruire. Violazione degli artt. 3, 9,
97, 117 e 118 Cost.
Il comma 25 dell'art. 32 estende il condono alle opere abusive
ultimate entro il 31 marzo 2003: dunque, solo sei mesi prima della
pubblicazione del decreto-legge (l'art. 39 legge n. 724/1994 si
applicava alle opere ultimate un anno prima, l'art. 31 legge
n. 47/1985 alle opere ultimate diciassette mesi prima). Il comma 32
prevede che la domanda sia corredata dalla documentazione «di cui al
comma 35». Questo stabilisce che «la domanda di cui al comma 32 deve
essere corredata dalla seguente documentazione:
a) dichiarazione del richiedente resa ai sensi dell'art. 4
della legge 4 gennaio 1968, n. 15, e successive modificazioni e
integrazioni, con allegata documentazione fotografica, dalla quale
risulti la descrizione delle opere per le quali si chiede il titolo
abilitativo edilizio in sanatoria e lo stato dei lavori relativo;
b) qualora l'opera abusiva superi i 450 metri cubi, da una
perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere e una
certificazione redatta da un tecnico abilitato all'esercizio della
professione attestante l'idoneita' statica delle opere eseguite;
c) ulteriore documentazione eventualmente prescritta con
norma regionale».
Ora, e' intuitivo, ed e' comprovato dall'esperienza dei
precedenti condoni, che, in assenza di norme rigorose sul punto, la
possibilita' del condono fa sorgere la «tentazione» di «far passare»
per gia' costruite opere in corso di costruzione o ancora da
costruire. In altre parole, il condono, che ufficialmente e' rivolto
ad eliminare la sanzionabilita' degli abusi passati, in realta'
produce nuovi abusi presenti.
I commi 25 e 35 contengono norme che non fanno nulla per evitare
questa possibilita' e, anzi, la favoriscono.
In primis, la fissazione di un termine ad quem ravvicinato nel
tempo rende piu' difficile se non impossibile distinguere le opere
ultimate da quelle non ultimate, sia in relazione all'attivita' di
vigilanza amministrativa (che ha avuto poco tempo per svolgersi) sia
in relazione allo stato di degrado dei materiali.
Inoltre, il comma 35 si accontenta, in pratica, di
un'autocertificazione per la prova dello «stato dei lavori»; solo
«qualora l'opera abusiva superi i 450 metri cubi» si richiede «una
perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere» (che, a
quanto pare, dovrebbe esser anch'essa redatta «da un tecnico
abilitato all'esercizio della professione», anche se, letteralmente,
il tecnico e' menzionato solo con riferimento alla certificazione
sull'idoneita' statica).
Ora, e' evidente che questa norma, collegata a quella che fissa
il dies ad quem al 31 marzo 2003, rende concreta la possibilita' di
«far passare» per gia' costruite opere che in quella data erano solo
in corso di costruzione e, addirittura, si presta ad incoraggiare
nuove costruzioni abusive e condonabili, data la difficolta' di
verificare la veridicita' dell'autocertificazione.
E' del tutto irragionevole una norma che fa affidamento sulla
sincerita' di chi ha gia' commesso un abuso; le ragioni della buona
amministrazione e della tutela del territorio (e dunque gli artt. 9,
97, 117 e 118 Cost.) non solo sono menomate dalla sanatoria delle
opere realmente ultimate ma sono ulteriormente poste a repentaglio
dalla possibilita', insita nelle norme di cui sopra, di perpetrare
nuovi abusi e di farli condonare.
Ne' si dica che l'amministrazione puo' dimostrare la non
preesistenza dell'opera:
perche' e' veramente chiedere una probatio diabolica
pretendere che il comune sia in grado di dimostrare che un
determinato manufatto edilizio non esisteva nel marzo 2003!
Dunque, il comma 35 e' illegittimo nella parte in cui non prevede
in tutti i casi la necessita' che il costruttore o il direttore dei
lavori attesti, sotto la propria responsabilita' anche penale,
l'ultimazione dei lavori alla data prevista. Se pure anche in questo
modo non si potrebbe escludere la possibilita' di falsi attestati, e'
tuttavia evidente in primo luogo che una dichiarazione falsa
nell'interesse di terzi e' meno probabile di una dichiarazione falsa
nell'interesse proprio, e inoltre che, dovendo in questa ipotesi di
regola la dichiarazione essere fatta da professionisti, la perizia
falsa rappresenterebbe un illecito particolarmente grave e dunque
poco probabile.
Dal canto suo, il comma 25 e' illegittimo, per violazione dei
medesimi parametri, nella parte in cui fissa il termine del 31 marzo
2003 anziche' uno piu' risalente, che potrebbe essere individuato
considerando quale minimo intervallo ragionevole per la condonabiita'
di abusi passati quello fissato a suo tempo dall'art. 31 legge
n. 47/1985.
8. - In subordine: ulteriore illegittimita' del comma 37, in
quanto prevede un meccanismo di silenzio-assenso. Violazione degli
art. 3, 9, 97, 117 e 118 Cost.
Il comma 37 prevede che, avvenuti alcuni adempimenti, «il decorso
del termine di ventiquattro mesi [dal 30 settembre 2004]... senza
l'adozione di un provvedimento negativo del comune equivale a titolo
abilitativo edilizio in sanatoria». Il d.l. n. 269/2003, dunque,
prevede il meccanismo del silenzio-assenso in relazione alle domande
di sanatoria, laddove tale istituto non e' contemplato neppure dalla
disciplina generale del permesso edilizio (v. art. 20, d.P.R.
n. 380/2001).
Pare chiara l'irragionevolezza di una norma che consente la
sanatoria degli abusi, con tutte le rilevanti conseguenze, in virtu'
del solo decorso del tempo. Tale norma viola gli artt. 9, 97, 117 e
118 Cost., perche' rende eventuale il controllo dei comuni
sull'ammissibilita' delle domande di condono, ledendo ulteriormente
le competenze regionali in materia di governo del territorio.
La lesivita' della norma pare ulteriormente aggravata dal fatto
che, nel caso di specie, non sembra applicabile la norma generale
dell'art. 20 legge n. 241/1990, che attribuisce all'amministrazione,
nei «casi» di cui al primo periodo dell'art. 20, comma 1, il potere
di annullare l'atto di assenso illegittimatuente formato. Ma, se
anche si ritenesse che i comuni possano annullare le concessioni in
sanatoria «sorte» in virtu' del silenzio protratto per il termine
previsto, nell'esercizio di un potere generale di autotutela, la
norma sarebbe comunque illegittima, perche', nel momento in cui si
decide di sanare, a certe condizioni, gli stravolgimenti operati
abusivamente sul territorio, occorre che almeno le condizioni
richieste siano verificate. E' del tutto irragionevole e
discriminatorio assoggettare le domande di permesso che si
riferiscono ad opere sicuramente abusive (perche' dichiarate tali dal
richiedenti) ad un regime di verifica meno severo di quello vigente
per le domande di permesso che vengono dichiarate dagli interessati
conformi alla disciplina urbanistica.
Ne' varrebbe obbiettare che, sul piano del fatto, il termine
previsto e' sufficientemente lungo perche' i comuni si attivino,
perche' proprio il numero delle domande che contemporaneamente
vengono presentate ovviamente aggrava la situazione delle
amministrazioni e ne prolunga i tempi di azione, come la stessa
esperienza dei precedenti condoni ampiamente conferma.
9. - In subordine: ulteriore illegittimita' del comma 25, in
quanto prevede un limite di volume per ogni singola richiesta.
Violazione degli artt. 3, 9, 97, 117 e 118 Cost.
L'art. 32, comma 25, d.l. n. 269/2003, come gia' l'art. 39, legge
n. 724/1994, prevede che siano sanabili le «nuove costruzioni
residenziali non superiori a 750 mc per ogni singola richiesta di
titolo abilitativo edilizio in sanatoria».
Tale norma appare irragionevole e lesiva dei paramenti indicati
in epigrafe nella parte in cui non precisa che non sono ammesse piu'
richieste riferite alla medesima area: e' chiaro, infatti, che, anche
alla luce di quanto previsto dall'art. 39, legge n. 724/1994,
potrebbero essere stati costruiti edifici attigui, ognuno dei quali
rispettoso del limite di volume sanabile, al fine di eludere il
limite stesso. Cio' arrecherebbe un'ulteriore vulnus alle esigenze di
tutela del territorio e alle relative competenze regionali.
10. - In subordine: illegittimita' costituzionale dei commi 1, 2,
3, 25, 26, lett. a) in quanto contenuti in un decreto-legge.
A) Violazione del principio di leale collaborazione e
dell'art. 2, d.lgs. n. 281/1997 per mancato coinvolgimento delle
autonomie regionali.
A quanto risulta, ne' in sede di adozione del decreto legge ne'
in sede di adozione del disegno di legge di conversione le autonomie
regionali sono state consultate attraverso la Conferenza
Stato-regioni. Poiche', come visto, la disciplina qui impugnata
riguarda materie di competenza regionale, tale mancato coinvolgimento
lede il principio di leale collaborazione, espressamente sancito ora
nel titolo V della Costituzione.
In particolare, risulta violato l'art. 2, comma 3, d.lgs.
n. 281/1997, in base al quale «la Conferenza Stato-regioni e'
obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e
di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di
competenza delle regioni o delle province autonome di Trento e di
Bolzano». Ne' si' puo' obiettare che, nel caso di specie, la
consultazione non era possibile, dato che l'art. 2, comma 5, d.lgs.
n. 281 disciplina espressamente i casi di urgenza: «quando il
Presidente del Consiglio dei ministri dichiara che ragioni di urgenza
non consentono la consultazione preventiva, la Conferenza
Stato-Regioni e' consultata successivamente ed il Governo tiene conto
dei suoi pareri: a) in sede di esame parlamentare dei disegni di
legge o delle leggi di conversione dei decreti-legge».
Dunque, la mancata consultazione della Conferenza risulta
comunque illegittima.
Si tenga presente, per comprendere l'importanza del principio di
leale collaborazione nel nuovo titolo V, anche il modo in cui esso
viene concretato dall'art. 11 legge cost. n. 3/2001. La circostanza
che non sia ancora stata realizzata la speciale composizione
integrata della commissione parlamentare per le questioni regionali
non toglie che il principio di partecipazione regionale al
procedimento legislativo delle leggi statali ordinarie, quando queste
intervengono in materia di competenza concorrente, ha ora espresso
riconoscimento costituzionale.
Del resto, e' da sottolineare che codesta Corte costituzionale
gia' nella sent. n. 398 del 1998 (punto 16 del Diritto) ha annullato
una norma legislativa statale incidente sulle competenze regionali
per mancato coinvolgimento delle regioni nel procedimento
legislativo.
B) Inidoneita' del decreto-legge a porre principi fondamentali ex
art. 117, comma 3, Cost.
Si e' gia' visto che in nessun modo la previsione del condono
puo' essere considerato «principio fondamentale» nelle materie del
governo del territorio e del coordinamento della finanza pubblica. Si
vuole qui aggiungere che, se anche codesta Corte non condividesse
tale conclusione, comunque si dovrebbe ritenere incostituzionale
l'uso del decreto-legge per porre principi fondamentali nelle materie
di competenza concorrente, dato che, per propria natura, i principi
fondamentali devono avere carattere di stabilita', dovendo anche
fungere da guida della legislazione regionale, per cui essi non
possono essere fissati in una fonte per sua natura precaria quale il
decreto-legge.
In tal senso si e' pronunciata codesta Corte nella sent.
n. 271/1996, alla quale si puo' accostare la sent. n. 496/1993,
relativa al ricorso per mancato adeguamento di cui al d.lgs.
n. 266/1992 («sarebbe del tutto irragionevole pretendere che il
legislatore provinciale faccia affidamento, ai fini dell'opera di
adeguamento delle proprie discipline normative, su disposizioni, come
quelle del decreto-legge, che sono efficaci soltanto in via
provvisoria e che, per effetto dell'eventuale mancata conversione in
legge, potrebbero successivamente perdere ogni efficacia sin dalla
loro origine»: punto 3 del Diritto).

P. Q. M.

La Regione Emilia-Romagna chiede voglia codesta ecc.ma Corte
costituzionale dichiarare costituzionalmente illegittimo l'art. 32 del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, ed in particolare i commi 1,
2, 3, 25, 26, lett a), 28,32, 35, lett. b) e c), 37, 38, 40 e allegato
1, per le parti e sotto i profili illustrati nel ricorso.

Padova-Roma, addi' 18 novembre 2003

Prof. avv. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi

Menu

Contenuti