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N. 83 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 giugno 2006. |
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Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 30 giugno 2006 (della Regione Piemonte)
(GU n. 36 del 6-9-2006 ) |
Ricorso per la Regione Piemonte in persona della Presidente pro
tempore prof. Mercedes Bresso, in forza di autorizzazione della
giunta regionale d.G.R. n. 22-3174 del 19 giugno 2006, con la
rappresentanza e difesa dell'avv. Anita Ciavarra e dell'avv. prof.
Emiliano Amato e con elezione di domicilio presso quest'ultimo in
Roma, via Crescenzio n. 9 per procura speciale a margine del presente
atto;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la declaratoria di illegittimita' costituzionale del decreto
legislativo 24 marzo 2006, n. 157 «Disposizioni correttive ed
integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 in
relazione al paesaggio» con specifico rilievo degli artt. 1, 5, 8,
10, 11, 12, 13, 16, 24 in quanto modificano e sostituiscono
rispettivamente gli artt. 5, 135, 138, 140, 141, 142, 143, 146, 156
del d.lgs. n. 42/2004, per violazione degli artt. 76, 97, 117, 118,
120 della Costituzione, dei principi di leale collaborazione,
sussidiarieta', adeguatezza, proporzionalita', buon andamento della
Pubblica amministrazione, sotto i profili di seguito specificati nei
motivi di diritto.
Premesso in fatto nel Supplemento ordinario n. 102 alla Gazzetta
Ufficiale - Serie generale - n. 97 del 27 aprile 2006 e' stato
pubblicato il decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157,
«Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo
22 gennaio 2004 n. 42 in relazione al paesaggio».
In seguito alla legge di delega 6 luglio 2002, n. 137 il Governo
emano' il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 «Codice dei beni
culturali e del paesaggio» ed ora ha emanato il detto decreto
legislativo del 24 marzo 2006, n. 157, del quale per le modalita'
della sua emanazione e per la sua impostazione con riferimento alle
specifiche norme come indicate in epigrafe, la Regione Piemonte
ravvisa illegittimita' costituzionale e lesivita' delle proprie
prerogative istituzionali e sfera di competenza per i seguenti motivi
di
D i r i t t o
Violazione degli artt. 76, 97, 117, 118, 120 della Costituzione.
Violazione dei principi di leale collaborazione, sussidiarieta',
adeguatezza, proporzionalita', buon andamento della Pubblica
Amministrazione.
I) Aspetti generali.
La legge di delega 6 luglio 2002, n. 137 all'art. 10 stabiliva
che il Governo emanasse entro diciotto mesi decreto legislativo per
il riassetto e la codificazione dei beni culturali ed ambientali,
compiendo adeguamento agli artt. 117 e 118 della Costituzione ed alla
normativa comunitaria ed internazionale, decreto legislativo da
adottarsi sentito il parere della Conferenza unificata di cui
all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Veniva quindi emanato il decreto legislativo 22 gennaio 2004,
n. 42 «Codice dei beni culturali e del paesaggio», correntemente
detto Codice Urbani.
Successivamente con deliberazione del Consiglio dei ministri
adottata nella riunione del 18 novembre 2005 veniva formulato schema
di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative
al decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42, enunciandosi
l'applicazione del comma 4 dell'art. 10 della legge di delega
6 luglio 2002, n. 137.
La Conferenza dei presidenti delle regioni e province autonome
esprimeva il 26 gennaio 2006 parere sullo schema di decreto che
evidenziava gravi rilievi di negativo giudizio per il metodo e per il
merito.
Come espresso nel detto documento del 26 gennaio 2006 (che la
Regione Piemonte condivide e che si deposita, facendosi ad esso piu'
volte riferimento nel presente ricorso) «il testo ora vigente del
Codice Urbani e' stato il frutto di un lungo e faticoso lavoro di
rilettura dei testi normativi in materia di paesaggio, svolto
congiuntamente dalle regioni e dal Ministero, con l'obiettivo di
razionalizzare il sistema di tutela e di valorizzazione alla luce
della Convenzione europea del paesaggio del 2000 (in corso di
ratifica da parte dello Stato) e in coerenza con il nuovo assetto
costituzionale. Pertanto, il testo vigente del Codice e' stato
concordato avendo trovato il punto di mediazione per il quale, ad un
ampliamento delle forme di collaborazione di coinvolgimento del
Ministero nell'esercizio delle funzioni di pianificazione e gestione
dei vincoli, corrisponde la significativa semplificazione
amministrativa del sistema di tutela. Lo schema del decreto
legislativo proposto, invece, mantiene detti poteri aggiuntivi al
Ministero e contestualmente fa venir meno gli aspetti innovativi
richiamati. Si evidenzia, pertanto, che viene disattesto l'accordo
consolidato, con palese violazione del principio di leale
collaborazione, riaprendo in tal modo la lunga stagione conflittuale
tra Stato e regioni in materia di gestione del paesaggio, che si era
conclusa con l'adozione del Codice Urbani. Cio' avverrebbe
ingiustificatamente e senza nemmeno attendere un congruo periodo per
monitorare e valutare gli esiti e gli effetti delle disposizioni del
Codice vigente, tenuto conto che le regioni sono in regola con i
tempi fissati dal Codice stesso per svolgere la verifica e
l'eventuale adeguamento dei piani».
La Conferenza delle regioni e province autonome, sottolineato che
«le regioni non sono state ammesse in condizione di partecipare ai
lavori di elaborazione del testo» ha in particolare evidenziato «la
palese violazione della delega legislativa di cui il provvedimento
intende costituire l'attuazione. L'art. 10, comma 4, della legge
n. 137 del 2002 ammette, infatti, esclusivamente l'emanazione di
"disposizioni correttive e integrative" del Codice dei beni culturali
e del paesaggio "nel rispetto degli stessi principi e criteri
direttivi e con le medesime procedure".
Dunque, tale delega e' stata conferita esclusivamente per
introdurre limitate modificazioni del testo normativo precedentemente
approvato, che risultassero necessarie alla luce di un primo
monitoraggio della sua applicazione. Viceversa, lo schema di decreto
in esame, introduce una generale riconsiderazione della materia,
fondata su principi e con l'introduzione di previsioni normative
apposte, relative al riparto delle competenze tra lo Stato e gli Enti
regionali e locali, al sistema della pianificazione paesaggistica e
ai suoi rapporti con gli strumenti di governo del territorio, alla
gestione dei vincoli.
Si e' di fronte, in modo indiscutibile, ad una riconsiderazione
tardiva, e percio' non consentita, dei contenuti della Parte Terza
del Codice Urbani, con la riedizione di una potesta' legislativa gia'
esercitata entro il termine massimo previsto dalla medesima legge di
delega».
Venivano altresi' esposti nel merito numerosi, seri e gravi
rilievi, esprimendosi nel complesso una valutazione fortemente
critica, su cui in seguito si tornera'.
I rilievi espressi dalle regioni non hanno avuto seguito alcuno.
Quanto sopra costituisce puntuale violazione del procedimento di
formazione delle norme considerate con riguardo ai limiti ed alle
specifiche prescrizioni della legge di delega, integrandosi
violazione dell'art. 76 della Costituzione.
Si aggiunge il contrasto con il principio di leale
collaborazione con riguardo alle modalita' concrete con le quali si
e' svolto il procedimento ed in relazione altresi' all'affidamento
riposto dalle regioni nelle modalita' di concertazione
precedentemente attuate con il Ministro competente.
Le predette considerazioni non hanno rilievo meramente formale.
La definizione unilaterale delle nuove disposizioni, senza alcun
sostanziale confronto con le regioni e le autonomie locali ha
determinato un'impostazione fortemente accentratrice sulle attivita'
degli organi statali e la sottovalutazione delle effettive esigenze
di integrazione di atti pianificatori attinenti a diversi oggetti e
di tempestivita' e puntualita' di atti ed interventi gestionali sul
territorio, senza adeguata considerazione, seppur cio' non fosse
obbiettivo della modifica normativa, delle competenze regionali e
delle autonomie locali.
La primarieta' del valore costituzionale di tutela del paesaggio,
che e' compito della Repubblica, si articola tanto nella competenza
statale di cui all'art. 117, comma 2, lett. s) di tutela
dell'ambiente e dei beni culturali tanto nella competenza concorrente
di cui all'art. 117, comma 3 nelle materie della valorizzazione dei
beni culturali ed ambientali e del governo del territorio.
Come piu' volte enunciato da codesta ecc.ma Corte, non e'
configurabile una materia riconducibile in senso tecnico in via
esclusiva alla «tutela dell'ambiente», qualificandosi l'ambiente come
«valore» costituzionalmente protetto, che in quanto tale delinea una
sorta di materia «trasversale» in ordine alla quale si manifestano
competenze diverse che ben possono essere regionali, spettando allo
Stato il compito di fissare «standard» di tutela uniformi sull'intero
territorio nazionale e potendo d'altro canto porre in essere le
regioni interventi legislativi nelle materie di propria competenza
che attuino anche finalita' di tutela ambientale (fra le altre sent.
259/04; 307/03).
Si vedra' in seguito come il decreto legislativo n. 157/2006
esorbiti per piu' aspetti dalla corretta individuazione di «standard»
di tutela ambientale per disporre in modo pervasivo ed imperativo in
ambiti di competenza regionale. Qui si vuole evidenziare che la
compresenza e l'intreccio di conpetenze statali e regionali richiede
necessariamente un modus operandi improntato al canone della leale
collaborazione.
«La Corte ha costantemente affermato che il principio di leale
collaborazione deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono
fra Stato e Regioni (...). Una delle sedi piu' qualificate per
l'elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della
leale collaborazione e' attualmente il sistema della Conferenza
Stato-regioni ed autonomie locali. Al suo interno si sviluppa il
confronto tra i due grandi sistemi ordinamentali della Repubblica, in
esito al quale si individuano soluzioni concordate di questioni
controverse» (sent. 31/2006).
L'assenza di adeguato confronto sulle disposizioni emanande si
riverbera su tutta l'impostazione della novella considerata.
Il decreto delegato ha introdotto una serie di importanti
innovazioni modificando significativamente parti di disciplina con
mutamento di impostazione e di contenuti essenziali, concretizzando
esorbitanza dai limiti della legge di delega come sopra ricordati e
quindi violazione dell'art. 76 Cost. che rileva in ordine alle
competenze regionali, che vengono sotto piu' aspetti
significativamente compresse o pretermesse, come in prosieguo si
specifichera' in relazione alle singole disposizioni.
Il decreto legislativo n. 157/2006 procede ad un rifacimento ex
novo della disciplina della parte terza del Codice Urbani, senza
apprezzabile razionale giustificazione in ordine al perseguimento di
esigenze unitarie e superando senza tenerne conto la legislazione
regionale vigente in materia, particolarmente intesa al coordinamento
ed integrazione delle diverse competenze settoriali, insieme alla
organizzazione di funzioni gia' attuata nel territorio, in contrasto
anche con il principio di buon andamento della pubblica
amministrazione, per l'ingiustificato rivolgimento apportato a
funzioni e procedure attualmente vigenti ed efficacemente operative
in ambito regionale.
Il decreto legislativo n. 157/2006 nelle rilevanti innovazioni
introdotte e' connotato da spiccato centralismo e dalla separazione
delle attivita' e competenze indirizzate alla tutela paesaggistica
dalle competenze rivolte alla cura di tutti gli altri interessi
pubblici che con essa interagiscono, appartenenti alla competenza
legislativa regionale ed all'attivita' amministrativa delle regioni e
delle autonomie locali.
Il principio di sussidarieta' non ha trovato corretta
applicazione. L'attrazione alla sede ministeriale o degli organi
statali decentrati compiuta dal decreto legislativo non e'
oggettivamente giustificata da esigenze di considerazione unitaria a
livello nazionale degli interessi coinvolti.
Il principio dell'unitarieta' fonda la competenza statale laddove
siano ravvisabili esigenze di uniformita' ed omogeneita' strategica,
con la definizione di standard di tutela ambientale ed espletamento
di attivita' di rilievo nazionale, pur sempre con il contemperamento
delle procedure di leale collaborazione e di intesa per la
codeterminazione dei contenuti interessanti anche l'ambito di
competenza regionale, mentre i principi di differenziazione e di
adeguatezza richiedono la rimessione all'attivita' legislativa
regionale ed all'azione amministrativa dei livelli di governo locale
dell'adattamento delle misure di tutela ai diversi contesti
territoriali.
II) Le predette considerazioni riguardano in particolar modo le
norme indicate in epigrafe.
Si richiama ancora il parere della Conferenza delle regioni «Nel
merito delle nuove previsioni legislative si riscontra la loro
evidente pervasivita' della autonomia legislativa e organizzativa
delle regioni. Aldila' di poche disposizioni volte al chiarimento del
significato della normativa pregressa, la maggior parte delle norme
sono dirette a limitare gli ambiti di discrezionalita' del
legislatore regionale nella definizione dei compiti propri e degli
enti locali, in materia di tutela del paesaggio e di gestione dei
relativi vincoli, con un maggior dettaglio circa l'iter
amministrativo degli atti e dei contenuti degli stessi. Nella
proposta si ritorna a definire il concorso della regione e degli enti
locali alla tutela del paesaggio come una mera delega di funzioni, in
aperto contrasto con il principio stabilito dall'art. 9 della
Costituzione. Peraltro per l'esercizio di dette funzioni si prevedono
tempi estremamente rapidi e incongrui (per tutti, si pensi al termine
di novanta giorni per l'elaborazione e approvazione dei piani
paesaggistici), la cui scadenza comporta l'immediato intervento in
via sostitutiva dell'amministrazione statale, non cadenzato con
l'osservanza dei rigorosi principi dettati dalla recente
giurisprudenza costituzionale».
Vengono in specifico rilievo:
1) L'art. 1 alla lett. a) modifica l'art. 5 comma 6 del
d.lgs. n. 42/2004 che, in tema di cooperazione delle regioni e degli
enti pubblici territoriali in materia di tutela del patrimonio
culturale, aveva sancito il conferimento alle regioni delle funzioni
amministrative di tutela dei beni paesaggistici in relazione alle
disposizioni della parte terza del codice.
La nuova disposizione stabilisce invece che dette funzioni
amministrative sono «esercitate dallo Stato e dalle regioni»
introducendo una parallela competenza dello Stato che si estende a
tutti gli ambiti amministrativi considerati, ben al di la' dei
compiti essenziali di tutela e di salvaguardia di valori, principi,
criteri unitari, e finisce per soverchiare e comunque in sostanza
controllare l'attivita' amministrativa regionale anche in ambiti di
competenza di quest'ultima.
2) L'art. 5 sostituisce l'art. 135 del d.lgs. n. 42/2004.
Anche in questa disposizione al primo comma vi e' l'affermazione
di contemporanea competenza dello Stato e delle regioni in tutto
l'ambito di attivita' amministrative afferenti alla tutela e
valorizzazione del paesaggio ed in specifico della pianificazione
paesaggistica, gia' funzione regionale.
La stessa estensione della pianificazione paesaggistica, nei suoi
due strumenti di piano paesaggistico o di piano
urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori
paesaggistici - attraverso il quale ultimo in particolare si sono
attuate da parte di molte regioni, e fra queste della Regione
Piemonte, significativi interventi di tutela diffusa dei valori
ambientali e paesaggistici (forse non sufficienti, ma certo mai
attuati prima dell'impegno profuso dalle regioni) - subisce
ridimensionamento e limitazione.
Come puntualmente rilevato nel parere espresso dalla Conferenza
delle regioni e province autonome, i commi 1 e 2 dell'art. 135
comportano una significativa modificazione della individuazione
dell'oggetto della pianificazione paesaggistica, secondo la quale,
pur indicandosi che il piano concerne l'intero territorio regionale,
si specifica pero' che esso proceda alla puntuale individuazione e
regolamentazione d'uso con riferimento alle sole aree sottoposte a
vincolo paesaggistico.
In tal modo si abbandona la visione di una pianificazione volta
alla tutela del valore paesaggistico diffuso del territorio per
tornare ad un pianificazione meramente strumentale alla conservazione
delle aree vincolate.
L'ambito di applicazione della pianificazione di competenza delle
regioni diviene residuale, con l'evidente compromissione del
significato e dell'utilita' dell'elaborazione di piani
urbanistico-terriotoriali con valenza paesaggistica. Di conseguenza
vengono meno le condizioni per attivare la tutela paesaggistica anche
attraverso gli strumenti di pianificazione comunale, secondo il
principio di mutualita' integrativa.
Tutto cio' determina sostanziale riduzione dell'attivita'
pianificatoria del territorio nella sua complessita' e capacita' di
soddisfare piu' esigenze pubbliche e di salvaguardia dei valori della
tutela del paesaggio e dei beni culturali ed ambientali che sul
territorio si radicano e si presentano in una molteplicita' di
aspetti anche al di la' delle aree sottoposte a vincolo (sent.
378/2000).
Parimenti anche le funzioni di valorizzazione dei beni culturali
ed ambientali ne risultano diminuite.
Si evidenzia una involuzione della concezione del paesaggio
inteso quale elemento settoriale, che appare anche dai contenuti ora
assegnati al piano paesaggistico.
Il terzo comma dell'art. 135 non riporta piu' l'obbligo per il
piano paesaggistico di individuare gli «obbiettivi di qualita'
paesaggistica» quale fondamento della disciplina di tutela e
valorizzazione di ciascun ambito territoriale, nonostante che cio'
sia stabilito dalla Convenzione europea del paesaggio, peraltro
appena ratificata dallo Stato italiano con la legge 9 gennaio 2006,
n. 14.
3) Ulteriormente concorrono alla diminuzione e limitazione
della portata delle funzioni regionali di pianificazione
paesaggistica le disposizioni di cui agli artt. 142 e 143 del d.lgs.
n. 42/2004 come sostituti dagli artt. 12 e 13 del decreto impugnato.
Come puntualmente rilevato nel parere della Conferenza delle
regioni e province autonome, l'art. 142 novellato reintroduce
relativamente alle categorie oggetto di tutela per legge «la
illimitata vigenza del vincolo paesaggistico, eliminando la
competenza del piano paesaggistico a specificare e disciplinare detti
ambiti, sulla base di analisi puntuali dei contesti regionali e dei
relativi elementi caratterizzanti».
Quanto all'art. 143 novellato esso evidenzia nelle definizioni di
cui al comma 1 le limitazioni gia' sopra rilevate con riferimento
all'art. 135.
Inoltre ai commi 3, 4 e 5 del medesimo articolo le nuove
disposizioni «sanciscono in maniera perentoria l'obbligo delle
regioni di elaborare i piani paesaggistici congiuntamente al
Ministero, previa conclusione di un apposito accordo, al fine di
accedere a forme di semplificazione della gestione dei vincoli,
peraltro individuate in modo piu' limitato rispetto a quanto
anteriormente previsto».
4) In relazione alle norme riguardanti il regime
autorizzativo, deve constatarsi la accentuata limitazione degli
ambiti di autonomia legislativa ed organizzativa regionale, anche
rispetto al conferimento di funzioni agli enti locali, con pervasivo
vincolo alle determinazioni degli organi ministeriali, senza che le
innovazioni introdotte appaiano effettivamente necessarie per il
rispetto di esigenze di unitarieta' e giustificate secondo i canoni
di proporzionalita' ed adeguatezza. Il rilievo attiene in particolare
dall'art. 146, commi 3 e 10 del d.lgs. n. 42/2004 come sostituito
dall'art. 16 del decreto impugnato.
Si richiamano ancora i rilievi formulati dalla Conferenza delle
regioni e province autonome «Vengono a cadere la effettiva gestione
della competenza autorizzativa da parte delle regioni, che viene
vanificata dal carattere vincolante del parere delle soprintendenze,
in particolare per le regioni che non abbiano piani paesaggistici
rielaborati congiuntamente con il Ministero e l'autonomia nella
individuazione degli enti cui delegare le competenze autorizzative,
cosa gia' risolta nella maggior parte delle regioni con atto
normativo e, quasi nella generalita' dei casi, verso le
amministrazioni comunali, sostanzialmente precluse a questa funzione.
(...)
Le modifiche riportano le competenze in capo alle regioni o
eventualmente alle province, con gravi conseguenze di tipo
organizzativo e di personale.
Nella quasi totalita' dei casi, tutte le pratiche in corso alla
data della entrata in vigore delle modifiche, in assenza di una norma
transitoria, dovrebbero essere trasmesse alla regione in quanto unico
organo competente al loro espletamento. (Si determina)
l'appesantimento dei processi edilizi a causa della gestione
accentrata del sistema autorizzativo e dell'aumento delle fasi del
procedimento, con le conseguenti ricadute negative di carattere
economico sull'utenza, obbligata a sostenere oneri aggiuntivi a
fronte degli ulteriori adempimenti amministrativi e l'aggravio, a
carico degli enti locali, degli oneri attualmente gravanti sul
Ministero, per l'eventuale contenzioso avverso le decisioni assunte
dalla Soprintendenza: difatti, mentre l'attuale contenzioso si
concentra nei confronti degli atti di annullamento a seguito di
riesame degli organi statali, nel sistema ipotizzato anche i
provvedimenti negativi derivanti dalla valutazione della sola
Soprintendenza, sarebbero comunque imputabili all'Ente che emana il
provvedimento».
Per tali considerazioni e' ravvisabile anche la violazione del
principio di buon andamento della Pubblica amministrazione.
5) Sotto altro aspetto l'estrema pervasivita' delle nuove
disposizioni si esprime nella fissazione di termini procedurali per
l'emanazione di atti di competenza regionale, che non sono
giustificati da esigenze di generale tutela od uniformita' di
comportamenti e che oltretutto vengono stabiliti in tempi assai
ristretti ed incongruenti con la natura ed il contenuto delle
attivita' a cui si riferiscono.
Il rilievo concerne specificamente l'art. 138, comma 3 come
innovato dall'art. 8 del decreto impugnato, laddove prevede sessanta
giorni per la deliberazione della commissione regionale di proposta
per la dichiarazione di notevole interesse pubblico; l'art. 140,
comma 1, come innovato dall'art. 10 del decreto impugnato, laddove
prevede il termine di sessanta giorni per l'emanazione del
provvedimento regionale di dichiarazione di notevole interesse
pubblico.
6) L'impostazione pregiudizialmente centralistica che
impronta la novella si manifesta infine con particolare evidenza
nella accentuazione del potere sostitutivo statale, il cui esercizio
e' attribuito al Ministero ed alle Sovrintendenze con automatico
effetto allo scadere di termini prefissati all'attivita' regionale e,
come si e' prima rilevato, in taluni casi anche troppo
restrittivamente ed incongruamente stabiliti.
Vengono specificamente in considerazione: l'art. 141, comma 1 del
d.lgs. n. 42/2004 come sostituito dall'art. 11 del decreto impugnato,
che fa scattare l'attivita' sostitutiva del competente organo
ministeriale periferico allo scadere dei termini di sessanta giorni
di cui agli artt. 138 e 140, di cui si e' detto al punto precedente,
e che riguardano attivita' di valutazione ampiamente discrezionale;
l'art. 143, comma 3 del d.lgs. n. 42/2004 come sostituito
dall'art. 13 del decreto impugnato, che stabilisce che, qualora la
regione non provveda entro novanta giorni dalla stipulazione
dell'accordo relativo al piano paesaggistico formato con elaborazione
congiunta alla sua approvazione, ad essa provveda in via sostitutiva
il Ministro; l'art. 146, comma 10 del d.lgs. n. 42/2004 come
sostituito con l'art. 16 del decreto impugnato, che assegna alla
soprintendenza competente l'attivita' in via sostitutiva per il
mancato rilascio entro sessanta giorni dell'autorizzazione sui
progetti di opere; l'art. 156, commi 1 e 3 del d.lgs. n. 42/2004 come
sostituto dall'art. 24 del decreto impugnato, che prevedono
l'attivita' in via sostitutiva del Ministro al decorso dei termini
stabiliti per la verifica e l'adeguamento alle nuove disposizioni dei
piani paesaggistici gia' redatti.
Le predette norme contrastano con l'art. 120 della Costituzione,
in quanto il potere sostitutivo e' configurato come un ovvio
automatismo che interviene sulla cadenzata attivita' delle regioni e
degli enti locali anziche' quale intervento di natura comunque
eccezionale rispetto allo svolgimento delle funzioni amministrative
da parte delle regioni e degli enti locali, che incontra puntuali
condizioni e limiti affinche' non risulti lesivo dei principi di
sussidiarieta' e di leale collaborazione.
Tali condizioni e limiti, che piu' volte l'ecc.ma Corte ha
evidenziato: a) la sostituzione puo' prevedersi esclusivamente per il
compimento di atti od attivita' la cui obbligatorieta' sia il
riflesso di interessi unitari alla cui salvaguardia sia presidio il
potere sostitutivo, affinche' esso non contraddica l'attribuzione
della funzione amministrativa all'ente sostituito; b) il potere
sostitutivo deve essere esercitato da un organo di governo, stante
l'attitudine di esso ad incidere sull'autonomia, costituzionalmente
rilevante, dell'ente sostituito; c) la legge deve apprestare congrue
garanzie procedimentali per l'esercizio del potere sostitutivo in
conformita' al principio di leale collaborazione, espressamente
richiamato dall'art. 120, comma 2, ultimo periodo della Costituzione,
in modo che l'ente sostituito sia comunque messo in grado di evitare
la sostituzione attraverso l'autonomo adempimento e di interloquire
nello stesso procedimento (sent. n. 227/2004; 43/2004; 313/2003;
177/1988 153/2006; 416/1995), non sono rispettati dalle disposizioni
in questione, con conseguente loro illegittimita'.
P. Q. M.
Piaccia all'ecc.ma Corte, dichiarare l'illegittimita'
costituzionale del decreto legislativo 24 marzo 2006 n. 157
«Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo
22 gennaio 2004 n. 42 in relazione al paesaggio» con specifico
rilievo degli artt. 1, 5, 8, 10, 11, 12, 13, 16, 24 in quanto
modificano e sostituiscono rispettivamente gli artt. 5, 135, 138,
140, 141, 142, 143, 146, 156 del d.lgs. n. 42/2004, per violazione
degli artt. 76, 97, 117, 118, 120 della Costituzione, dei principi di
leale collaborazione, sussidiarieta', adeguatezza, proporzionalita',
buon andamento della Pubblica amministrazione, sotto i profili
specificati nei motivi sovraesposti.
Torino - Roma, addi' 22 giugno 2006
Avv. Anita Ciavarra
Avv. prof. Emiliano Amato
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