Ricorso n. 84 del 29 maggio 2012 (Provincia autonoma di Trento)
Ricorso della Provincia autonoma di Trento (cod. fisc.
...), in persona del Presidente della Giunta provinciale
pro-tempore Lorenzo Dellai, autorizzato con deliberazione della
Giunta provinciale n. 1002 di data 18 maggio 2012 (doc. 1),
rappresentata e difesa, come da procura speciale n. rep. 27740 del 21
maggio 2012 (doc. 2), rogata dal dott. Tommaso Sussarellu, Ufficiale
rogante della Provincia, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (cod.
fisc. ...) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod.
fisc. ...) dell'Avvocatura della Provincia di Trento e
dall'avv. Luigi Manzi (cod. fisc. ...) di Roma, con
domicilio eletto in Roma nello studio di questi in via Confalonieri,
n. 5;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale:
dell'articolo 17, comma 4, lettera c);
dell'articolo 35, comma 4;
del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante "Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitivitita'", come convertito, con modificazioni, nella legge 24
marzo 2012, n. 27, pubblicata nel supplemento ordinario n. 53/L alla
G.U. n. 71 del 24 marzo 2012,
Per violazione:
dell'articolo 8, n. 1), dell'articolo 9, n. 3); dell'articolo
16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n.
670;
del Titolo VI dello Statuto speciale, e in particolare degli
articoli 70, 75 e 79; nonche' degli articoli 103, 104 e 107 del
medesimo Statuto speciale;
del decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1978,
n. 1017;
dell'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica
19 novembre 1987, n. 526, ed in particolare dell'articolo 15;
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266;
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, ed in
particolare degli articoli 9, 10 e 10 bis;
per i profili di seguito illustrati.
Fatto
Il d.l. 1/2012, come risultante dalla legge di conversione n.
27/2012, contiene disposizioni eterogenee, distribuite
rispettivamente nel TITOLO I (Concorrenza), nel TITOLO II
(Infrastrutture) e nel TITOLO III (Europa), volte a favorire la
concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita' del
Paese.
Nell'ambito delle predette disposizioni si collocano alcune norme
che si collegano a precedenti disposizioni statali, rispettivamente
contenute nel d.l. n. 98 del 2011 e nel d.l. n. 201 del 2011, gia'
oggetto di impugnazione da parte di questa Provincia (rispettivamente
con ricorso n. 97, dep. il 21 settembre 2011 e n. 34, dep. il 28
febbraio 2012).
In particolare, l'art. 17, co. 4, lett. c), modifica testualmente
l'art. 28 d.l. 98/2011 in materia di rete distributiva dei
carburanti, aggiungendo nel comma 4 dello stesso articolo 28 il
seguente periodo: "I comuni non rilasciano ulteriori autorizzazioni o
proroghe di autorizzazioni relativamente agli impianti
incompatibili"). Come detto, l'articolo 28, co. 3 e 4, del d.l. n. 98
del 2011 e' stato gia' impugnato dalla Provincia autonoma di Trento.
L'art. 35, co. 4, per parte sua, incrementa "in relazione alle
maggiori entrate rivenienti nei territori delle autonomie speciali
dagli incrementi delle aliquote dell'accisa sull'energia elettrica"
il "concorso alla finanza pubblica delle Regioni a statuto speciale e
delle Province autonome di Trento e Bolzano previsto dall'articolo
28, comma 3, primo periodo del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.
201". Anche l'articolo 28, co. 3, del d.l. n. 201 del 2011 e' stato
impugnato dalla Provincia autonoma di Trento.
Le due disposizioni del d.l. n. 1 del 2012 cosi' individuate
presentano dunque profili di lesivita' delle competenze provinciali e
di illegittimita' costituzionale analoghi a quelli evidenziati nei
precedenti ricorsi. E'vero che - trattandosi di disposizioni
modificative o integrative - le auspicate pronunce su tali ricorsi
riverbererebbero i loro effetti anche su tali nuove disposizioni.
Tuttavia, per completezza argomentativa ed espositiva ritiene la
ricorrente Provincia di portare anche tali nuove disposizioni alla
diretta attenzione di codesta ecc.ma Corte costituzionale.
In effetti, ad avviso della Provincia autonoma di Trento, le
disposizioni succitate risultano lesive delle proprie prerogative
costituzionali e statutarie per le seguenti ragioni di
Diritto
1) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 17, comma 4, lettera
c).
Come esposto in narrativa, la lettera c) del co. 4 dell'articolo
17 modifica testualmente il comma 4 dell'art. 28 del d.l. 98/2011
aggiungendo un ulteriore periodo nell'ambito della disciplina
relativa alla rete distributiva dei carburanti, per effetto della
quale: "I comuni non rilasciano ulteriori autorizzazioni o proroghe
di autorizzazioni relativamente agli impianti incompatibili».
Anche la modifica del comma 4 dell'articolo 28 del d.l. n. 98 del
2011 interviene nella materia del commercio, di competenza
legislativa provinciale, fissando regole, ed imponendo direttamente
ai Comuni un'attivita' amministrativa puntuale (meglio un limite a
tale attivita'), senza che l'intervento legislativo statale trovi
alcuna giustificazione o fondamento costituzionale.
La potesta' normativa ed amministrava provinciale sono
riconducibili infatti agli ambiti di competenza statutaria
concorrente (articolo 9, n. 3) e 16, dello Statuto speciale), a cui
si e' aggiunta - solo per la parte in cui e' maggiore - la competenza
residuale di cui al comma 4 dell'articolo 117 Cost.
Nella materia, la potesta' legislativa provinciale e' stata
ripetutamente esercitata, da ultimo con la legge 30 luglio 2010, n.
17 (Disciplina dell'attivita' commerciale), che al Capo IV ha
definito una normativa dettagliata relativa ai distributori di
carburante, autosufficiente e del tutto indipendente da tale decreto.
Come gia' contestato, sia in relazione al comma 3 che al comma 4
dell'articolo 28 del d.l. n. 98 del 2011, va poi sottolineato che
sono illegittime le disposizioni statali che pretendono di
disciplinare la materia prescrivendo direttamente comportamenti ai
Comuni, o fissando a questi limitazioni.
E' pacifico che in materia di competenza legislativa provinciale
i vincoli eventualmente desumibili dalla legislazione statale non
operano comunque in via diretta, ma determinano solo un obbligo di
adeguamento, come espressamente sancito dall'articolo 2, comma 1, d.
lgs. 266/1992, mentre - nelle more dell'adeguamento provinciale -
rimangono in vigore le disposizioni locali (ed in caso di mancato
adeguamento lo Stato puo' impugnare nei sei mesi la legislazione
provinciale).
Inoltre, le funzioni amministrative in materia non possono poi
essere attribuite o distribuite dallo Stato, essendo il compito
riservato alla Provincia dall'articolo 16 Statuto e dalle norme di
attuazione: le quali espressamente confermano che nelle materie di
competenza spetta comunque alla Provincia trasferire ai Comuni del
territorio - conformandole - le funzioni amministrative che leggi
generali della Repubblica, nella restante parte del territorio
nazionale, attribuiscano ai minori enti locali (cfr. l'articolo 15
del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526, di "estensione alla Regione
Trentino - Alto Adige ed alle province autonome di Trento e di
Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della
Repubblica 24 luglio 1977, n. 616").
La legislazione provinciale ha poi applicato il principio di
sussidiarieta' ed adeguatezza conferendo le funzioni autorizzazione
degli impianti alla stessa Provincia, mentre i comuni sono solo
destinatari delle relative comunicazioni (articolo 36).
Ovviamente, cosi' come le eventuali chiusure degli impianti
devono essere disposte dalla Provincia, lo stesso vale per le ipotesi
relative al divieto di rilascio di nuove autorizzazioni o per il
rilascio di proroghe di autorizzazioni relative agli impianti
incompatibili.
E' dunque palesemente illegittima una normativa statale - quale
quella introdotta dalla lettera c) del comma 4, dell'art. 17 qui
impugnata - che direttamente impone ai comuni un divieto di
rilasciare ulteriori autorizzazioni o proroghe di autorizzazioni
relativamente agli impianti incompatibili.
Ne consegue che il comma 4 dell'articolo 28 del decreto-legge n.
98 del 2011, come modificato dalla lettera c) del comma 4
dell'articolo 17 del decreto legge n. l del 2012, nella parte in cui
impone attivita' amministrativa ai comuni del territorio provinciale
o limitazioni all'attivita' amministrativa, si pone in contrasto con
l'articolo 9, n. 3), e con l'articolo 16 dello Statuto speciale, e
con le correlative norme di attuazione, tra le quali il decreto del
Presidente della Repubblica 31 luglio 1978, n. 1017 (Norme di
attuazione dello Statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige
in materia di artigianato, incremento della produzione industriale,
cave e torbiere, commercio, fiere e mercati) e il decreto del
Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla
Regione Trentino - Alto Adige ed alle Province autonome di Trento e
di Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della
Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), che all'articolo 15 dispone che
le funzioni amministrative che le leggi generali dello Stato
conferiscono ai comuni debbono intendersi conferite anche ai comuni
delle Province autonome, qualora non rientrino nelle materie di
competenza provinciale e che al trasferimento ai comuni di funzioni
amministrative rientranti nelle materie di competenza provinciale si
provvede con legge provinciale.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 35, comma 4.
Il comma 4 dell'articolo 35 e' diretto ad assicurare al bilancio
statale entrate pari a 235 milioni di euro annui a decorrere dal
2012, che ai sensi del comma 3 dell'articolo 35 devono essere
destinate all'estinzione dei debiti pregressi delle amministrazioni
statali.
Alla predetta finalita' si provvede, secondo il comma 4, con le
maggiori entrate rivenienti nei territori delle autonomie speciali
dagli incrementi delle aliquote dell'accisa sull'energia elettrica
disposti dai decreti del Ministro dell'Economia e delle Finanze del
30 dicembre 2011, concernenti l'aumento dell'accisa sull'energia
elettrica a seguito della cessazione dell'applicazione
dell'addizionale comunale e provinciale all'accisa sull'energia
elettrica; secondo il predetto comma 4 in relazione a tali maggiori
entrate il concorso previsto dall'articolo 28, comma 3, del
decreto-legge n. 201/2011, e' incrementato di 235 milioni di euro
annui a decorrere dall'anno 2012 e la quota di maggior gettito pari a
6,4 milioni di euro annui a decorrere dal 2012 derivante all'erario
dai decreti di cui alla stessa disposizione resta acquisita al
bilancio dello Stato.
Il predetto comma 3 dell'articolo 28 del decreto-legge n. 201 del
2011, richiamato dalla norma in epigrafe - che, come avvertito in
narrativa, e' stato gia' impugnato da questa Provincia autonoma -
prevede un concorso alla finanza pubblica delle autonomie speciali e
degli enti locali appartenenti a quelle che esercitano le funzioni in
materia di finanza locale nella misura ivi indicata (rispettivamente
860 milioni di euro e 60 milioni di euro) da stabilirsi con le
procedure previste dall'articolo 27, della legge n. 42 del 2009, a
decorrere dall'anno 2012. E la stessa norma prevede che, fino
all'emanazione delle norme di attuazione di cui all'articolo 27 della
legge n. 42 del 2009, il predetto importo complessivo sia
accantonato, proporzionalmente alla media degli impegni finali
registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a valere
sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali.
Il comma 4 dell'articolo 35, in quanto diretto ad ulteriormente
incrementare il concorso delle autonomie speciali al risanamento
della finanza pubblica, senza il preventivo e necessario momento di
confronto e di intesa con lo Stato, appare illegittimo e lesivo per
le stesse ragioni gia' evidenziate con riferimento e nei confronti
dell'articolo 28, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011: si tratta, in
definitiva, della stessa disposizione, che ora viene solo
incrementata nella sua misura.
Tuttavia, per rispetto del principio di completezza di ogni
singolo ricorso, si rinnovano qui tali motivi, con l'avvertenza che
essi riproducono quelli gia' proposti, salvo ora il riferimento
specifico all'art. 35, comma 4:
Siamo, dunque, di fronte ad una ulteriore rilevante
sottrazione di risorse alle Regioni speciali, che si aggiunge a
quelli previsti dall'art. 14 di. 78/2010, dall'art. 20, co. 5, di.
98/2011 e dall'art. 1, co. 8, d.l. 138/2011. In piu', viene disposto
un taglio di risorse anche a carico degli enti locali situati nei
territori delle autonomie speciali dotate di competenza in materia di
finanza locale. Quest'ultimo taglio, in realta', incide in sostanza
sempre sulla Provincia, come risulta dal terzo periodo del comma 3 e
dall'art. 81, co. 2, St., che vincola la Provincia a finanziare
adeguatamente i comuni (esso dispone infitti che "allo scopo di
adeguare le finanze dei comuni al raggiungimento delle finalita' e
all'esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi, le province di
Trento e di Bolzano corrispondono ai consumi stessi idonei mezzi
finanziari, da concordare fra il Presidente della relativa Provincia
ed una rappresentanza unitaria dei rispettivi comuni"). Comunque, in
base alla giurisprudenza costituzionale le Regioni sono legittimate a
difendere davanti alla Corte anche l'autonomia finanziaria dei comuni
(v. sentt. 298/2009, 278/10, punto 14.1, 169/2007, punto 3, 95/2007,
417/2005, 196/2004, 533/2002).
Tale sottrazione di risorse non ha alcuna base statutaria. Al
contrario, le disposizioni dello Statuto, a partire dal fondamentale
art. 75, sono rivolte ad assicurare alla Provincia le finanze
necessarie all'esercizio delle funzioni: ed e' chiaro che la
devoluzione statutaria di importanti percentuali dei tributi riscossi
nella provincia non avrebbe alcun senso, se poi fosse consentito alla
legge ordinaria dello Stato di riportare all'erario tali risorse, per
di piu' con determinazione unilaterale e meramente potestativa.
Per di piu', come gia' piu' volte ricordato, l'art. 79 dello
Statuto di autonomia disciplina ormai in modo preciso, esaustivo ed
esclusivo le regole secondo le quali le Province assolvono gli
"obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento
comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di
coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa
statale" (comma 1): e - come lo stesso art. 79 esplicitamente precisa
- tali regole "possono essere modificate esclusivamente con la
procedura prevista dall'articolo 104 ", mentre "fino alla loro
eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di
finanza pubblica di cui al comma 1" (comma 2). Ed il comma 4
ribadisce che "le disposizioni statali relative all'attuazione degli
obiettivi di perequazione e di solidarieta'... non trovano
applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in
ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo".
Il comma 3 dell'art. 79 attribuisce alle Province autonome poteri
di coordinamento finanziario con riferimento agli enti locali, nel
quadro della generale competenza legislativa provinciale in materia
di finanza locale prevista dall'art. 80 St. Nell'esercizio di tale
competenza e' stata adottata la l.p. 36/1993, il cui art. 3 dispone
tra l'altro che "in sede di definizione dell'accordo previsto
dall'articolo 81 dello Statuto speciale sono stabilite, oltre alla
quantita' delle risorse finanziarie da trasferire ai comuni e agli
altri enti locali, le misure necessarie a garantire il coordinamento
della finanza comunale e quella provinciale, con particolare
riferimento alle misure previste dalla legge finanziaria per il
perseguimento degli obiettivi della finanza provinciale correlati al
patto di stabilita' interno.
Con le disposizioni statutarie sopra ricordate l'impugnato art.
35, comma 4. si pone in insanabile conflitto.
Le risorse spettanti alla Provincia non possono essere
semplicemente "acquisite" dallo Stato, mentre la Provincia stessa e
gli enti locali concorrono al risanamento della finanza pubblica nei
modi direttamente previsti dall'art. 79 o comunque in quelli regolati
dall'art. 79 (v. il comma 3). Si tratta di un regime speciale, che
non puo' essere alterato unilateralmente dal legislatore ordinario.
Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e
Regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente
riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale: v. le sentt.
82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010.
Non puo' ingannare il rinvio alle norme di attuazione dello
Statuto.
In primo luogo, l'accantonamento previsto in attesa delle norme
di attuazione e' gia' autonomamente lesivo, traducendosi in una
sottrazione delle risorse disponibili per la Provincia, al di fuori
delle regole di coordinamento finanziario stabilite dall'art. 79.
In secondo luogo, quanto alle stesse norme di attuazione, l'art.
79 e' modificabile solo con la procedura di cui all'art. 104 St. e
non in sede di attuazione. In terzo luogo, l'art. 35, co. 4,
determina (illegittimamente) un vincolo di contenuto per le norme di
attuazione, per cui il rinvio alla fonte "concertata" appare
fittizio. Inoltre, "fino all'emanazione delle norme di attuazione.
l'importo complessivo di 920 milioni e' accantonato. a valere sulle
quote di compartecipazione ai tributi erariali". Dunque, la riduzione
delle risorse e' operata direttamente e unilateralmente dal
legislatore statale, in contrasto con lo Statuto e con il principio
consensuale che domina i rapporti tra Stato e Regioni speciali in
materia finanziaria (v. le sentt. sopra citate).
In definitiva, come detto, l'art. 35, co. 4, viola l'art. 79 St.,
co. 1, 2, e 4, primo periodo, perche' i modi in cui la Provincia
concorre al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica o sono
fissati direttamente dallo stesso art. 79 o vanno concordati tra
Stato e Provincia, sempre in base all'art. 79.
Il fatto che l'art. 35, comma 4, determini un incremento del
fondo di cui all'art. 28, co. 3, fa si' che - ovviamente - anche per
tale incremento valgano tutte le regole gia' contestate in relazione
a tale disposizione.
Tuttavia, poiche' la lesivita' e l'illegittimita' costituzionale
di tali meccanismi non dipende in se' dal rinvio, ma dal contenuto
della disposizione alla quale si rinvia, per questa parte non occorre
formulare qui autonome censure, automaticamente operando quelle gia'
proposte nel ricorso avverso l'art. 28, comma 3, del decreto-legge 6
dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n.
214.
Anche la nuova disposizione dell'art. 35, comma 4, stabilisce che
"la quota di maggior gettito pari a 6,4 milioni annui a decorrere dal
2012 derivante all'Erario dai decreti di cui al presente comma resta
acquisita al bilancio dello Stato". Trattasi della stessa
disposizione gia' contestata in relazione al d.l. n. 201 del 2011, e
dunque di disposizione che risulterebbe in ogni modo travolta, in
quanto illegittimita' costituzionale consequenziale, dall'auspicata
declaratoria di illegittimita' resa in relazione a tale decreto.
In ogni modo, valgono anche in relazione alla disposizione ora
citata le seguenti censure.
L'art. 79 dello Statuto, che - come visto - definisce in modo
preciso ed esaustivo le modalita' con cui le Province concorrono
"all'assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti
dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle
altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla
normativa statale" (co. 1), e aggiunge che "le misure di cui al comma
1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista
dall'articolo 104 e fino alla loro eventuale modificazione
costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui
al comma 1" (co. 2), e che, "al fine di assicurare il concorso agli
obiettivi di finanza pubblica, la regione e le province concordano
con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi relativi
al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi di bilancio
da conseguire in ciascun periodo" (co. 3).
Sia il comma 3 (" Non si applicano le misure adottate per le
regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale") che
il comma 4, poi, stabiliscono la non applicazione alle Province delle
norme statali che, in questa materia, valgono per altre Regioni.
Proprio perche' agli artt. 75 e 79 St. si e' derogato con una
fonte primaria "ordinaria" (in realta', un d.l. convertito), l'art.
35, comma 4, viola anche gli artt. 103 (che prevede il procedimento
di revisione costituzionale per le modifiche dello Statuto), 104 (che
prevede la possibilita' di modificare "le norme del titolo VI... con
legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per
quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province")
e l'art. 107 (che disciplina la speciale procedura per l'adozione
delle norme di attuazione dello Statuto) dello Statuto speciale.
In quanto connessa al disposto incremento delle aliquote
dell'accisa sull'energia elettrica a seguito della cessazione
dell'applicazione dell'addizionale comunale e provinciale all'accisa
sull'energia elettrica, la disposizione che riserva allo Stato le
maggiori entrate rivenienti nei territori delle autonomie speciali,
viola altresi' l'articolo 70 dello Statuto speciale che devolve
integralmente alle province autonome il provento dell'imposta
erariale, riscossa nei rispettivi territori, sull'energia elettrica
ivi consumata.
Qualora la disposizione statale fosse da ricondursi alle ipotesi
di riserva all'erario, in relazione ed in connessione agli effetti
finanziari derivanti dall'aumento delle aliquote delle accise, la
disposizione si pone altresi' in contrasto con la normativa di
attuazione statutaria contenuta nel decreto legislativo 16 marzo
1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale)
che disciplina la riserva all'erario (articoli 9, 10 e 10-bis).
Ne' e' infatti possibile sostenere che la norma censurata sia
giustificata in virtu' del d. lgs. 268/1992. Essa, infatti, non
rispetta affatto i requisiti posti dall'art. 9 d. lgs. 268/1992 per
la riserva all'erario del "gettito derivante da maggiorazioni di
aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi". Tali requisiti sono
stati sintetizzati dalla sentenza di codesta Corte n. 182/2010,
secondo la quale "tale articolo richiede, per la legittimita' della
riserva statale, che: a) detta riserva sia giustificata da «finalita'
diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma 1,
lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992, e
cioe' da finalita' diverse tanto dal «raggiungimento degli obiettivi
di riequilibrio della finanza pubblica» (art. 10, comma 6) quanto
dalla copertura di «spese derivanti dall'esercizio delle funzioni
statali delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b); b)
il gettito sia destinato per legge «alla copertura, ai sensi
dell'art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche spese di
carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di
competenza della regione o delle province, ivi comprese quelle
relative a calamita' naturali»; c) il gettito sia «temporalmente
delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale
e quindi quantificabile»".
L'assenza di tali requisiti e' evidente nel caso della
maggiorazione di aliquote dell'accisa sull'energia elettrica, dato
che manca la destinazione a "nuove specifiche spese di carattere non
continuativo", la delimitazione temporale e la contabilita' distinta,
essendo la norma finalizzata, alla copertura degli oneri individuati
nei co. 1 e 3 dell'art. 35 del d.l. n. 1 del 2012.
Escluso che la norma possa trovare fondamento nell'art. 9 d. lgs.
268/1992, e' anche da escludere che essa possa ricondursi all'art. 10
e all'art. 10-bis del medesimo decreto.
In primo luogo, abrogato l'art. 78 dello Statuto e soppressa la
somma spettante in base ad esso (v. anche l'art. 79, co. 1, St.),
sono da ritenere inapplicabili le norme attuative dell'art. 78, quale
l'art. 10 d. lgs. 268/1992. Questo vale anche per l'art. 10, co. 6,
strettamente connesso alla disciplina dell'accordo (menzionato in due
punti del comma 6) relativo alla determinazione della quota
variabile, ora soppressa.
Inoltre, l'art. 10, co. 6, prevedeva un meccanismo consensuale
per far partecipare le Province "al raggiungimento degli obiettivi di
riequilibrio della finanza pubblica" che e' stato ora sostituito da
quelli, sempre consensuali, regolati dall'art. 79: anche sotto questo
profilo, dunque, il meccanismo precedente non risulta piu' operativo.
Conferma espressa di cio' si ricava dal testo attuale dell'art. 79,
co. 4, secondo cui "le disposizioni statali relative all'attuazione
degli obiettivi di perequazione e di solidarieta', nonche' al
rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilita' interno,
non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province
e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente
articolo".
Qualora, in denegata ipotesi, non si ritenesse superato l'art.
10, co. 6, si dovrebbe perlomeno riconoscere che la determinazione
della quota in questione dovrebbe pur sempre rispettare il principio
di leale collaborazione e, in particolare, il principio consensuale
che domina le relazioni finanziarie fra lo Stato e le Regioni
speciali. In altre parole, anche venuto meno l'accordo per la
determinazione della quota variabile, lo Stato avrebbe pur sempre
dovuto cercare l'accordo con la Provincia di Trento, non potendo
unilateralmente alterare le regole sulle compartecipazioni e gli
strumenti con cui la Provincia partecipa al risanamento finanziario,
disciplinati dall'art. 79 dello Statuto.
Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e
Regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente
riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale.
Cosi', ad es., la sent. n. 82 del 2007 ha riconosciuto che "la
previsione normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto
speciale e il Ministero dell'economia e delle finanze, per la
determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonche' dei
relativi pagamenti, deve considerarsi un'espressione" della "speciale
autonomia in materia finanziaria di cui godono le predette Regioni,
in forza dei loro statuti" (punto 6 del Diritto); e nella sent. n.
353 del 2004 la Corte ha affermato che il metodo dell'accordo (sempre
per la determinazione delle spese), introdotto per la prima volta
dalla legge finanziaria per il 1998 e riprodotto in tutte le leggi
finanziarie successivamente adottate, deve essere tendenzialmente
preferito ad altri, dato che «la necessita' di un accordo tra lo
Stato e gli enti ad autonomia speciale nasce dall'esigenza di
rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi».
Si puo' ricordare anche la sent. n. 39 del 1984, che ha annullato
un atto ministeriale che aveva unilateralmente modificato l'elenco
delle imposte ai fini dell'art. 49 dello Statuto, precisando che "il
legislatore statale ben potrebbe intervenire, se lo ritenesse
opportuno, nell'ambito della sua specifica competenza in materia: ma
dovrebbe farlo, comunque, dopo aver sentito la Regione (art. 65
Statuto Friuli - Venezia Giulia) e avendo i poteri per mettere ordine
nella complessa vicenda senza turbare i delicati rapporti coll'Ente
Regione".
Pertinente e' anche il richiamo alla sent. n. 98 del 2000, che ha
giudicato di alcune norme legislative statali che disponevano la
riserva a favore dell'erario delle entrate derivanti da altre
disposizioni e che erano contestate per violazione dello Statuto
siciliano e delle relative norme di attuazione. La Corte ha
riconosciuto l'esistenza del "principio... di leale cooperazione fra
Stato e Regione, che domina le relazioni fra i livelli di governo la'
dove si verifichino, come in queste ipotesi accade, interferenze fra
le rispettive sfere e i rispettivi ambiti finanziari", e ha
sottolineato che "sono espressioni significative di tale esigenza le
norme di attuazione di altri statuti speciali, le quali, a tal
proposito, contemplano procedimenti cui sono chiamate a partecipare
le Regioni". La Corte ha, dunque, statuito che le norme impugnate
dovevano prevedere "procedimenti non unilaterali, ma che contemplino
una partecipazione della Regione direttamente interessata".
Il principio consensuale e' stato ribadito piu' di recente, in
relazione alla Provincia di Trento, dalla sent. 133/2010. La
Provincia aveva impugnato l'art. 9bis, co. 5, d.l. 78/2009, che
attribuiva al Presidente del Consiglio dei ministri il potere di
fissare «i criteri per la rideterminazione, a decorrere dall'anno
2009, dell'ammontare dei proventi spettanti a regioni e province
autonome, compatibilmente con gli statuti di autonomia delle regioni
ad autonomia speciale e delle citate province autonome, ivi' compresi
quelli afferenti alla compartecipazione ai tributi erariali statali».
La Corte ha accolto le questioni sollevate nel ricorso, ritenendo che
tale norma incidesse sui rapporti finanziari intercorrenti tra lo
Stato, la Regione e le Province autonome, e che "pertanto avrebbe
dovuto essere approvata con il procedimento previsto dal citato art.
104 dello statuto speciale, ove e' richiesto il necessario accordo
preventivo di Stato e Regione".
In effetti, e' assolutamente inaccettabile che lo Stato, con una
fonte primaria unilateralmente adottata, alteri in modo rilevante
l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e Provincia, laddove il
principio consensuale e' da tempo riconosciuto in questa materia ed
e' stato ribadito proprio con la recente riforma statutaria.