N.   84  RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 giugno 2006.
 
Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 30 giugno 2006 (della Regione Toscana)

(GU n. 36 del 6-9-2006 )

    Ricorso  della  Regione  Toscana  in  persona  del presidente pro
tempore,  autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 474
del  26  giugno 2006, rappresentato e difeso, per mandato in calce al
presente  atto,  dagli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni e presso
lo  studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del
Viminale n. 43;

    Contro  il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli:
          4, secondo e terzo comma;
          5, primo e secondo e quarto comma;
         48;
         75, primo comma;
         84, secondo, terzo, ottavo e nono comma;
         88;
        121, primo comma;
        122, secondo, terzo, quinto e sesto comma;
        124, secondo, quinto e sesto comma;
        131, primo comma
del  d.lgs.  12  aprile  2006,  n. 163 (Codice dei contratti pubblici
relativi  a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CE  e  2004/18/CE),  per violazione degli artt. 76, 117 e 118
della  Costituzione, nonche' per violazione del principio della leale
cooperazione.
    In attuazione della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per
l'adempimento  di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza dell'Italia
alle Comunita' europee. Legge comunitaria 2004) e' stato approvato il
d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi
a   lavori,   servizi  e  forniture  in  attuazione  delle  direttive
2004/17/CE   e   2004/18/CE)  pubblicato  sul  Supplemento  ordinario
n. 107/L alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 100 del
2 maggio 2006 - serie generale.
    Il  decreto  legislativo  ha  lo  scopo  di  recepire  nel nostro
ordinamento  le direttive comunitarie 2004/17 e 2004/18, entrambe del
31   marzo  2004,  recanti  rispettivamente  il  coordinamento  delle
procedure  di  appalto  degli  enti  erogatori di acqua e di energia,
degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali e il
coordinamento   delle   procedure  di  aggiudicazione  degli  appalti
pubblici di lavori forniture e di servizi.
    Sulla  prima  stesura del testo e' stato espresso parere negativo
dalla  Conferenza  Stato-regioni in data 9 febbraio 2006 (doc. 1). In
particolare le regioni hanno lamentato:
        sul  piano  del metodo, l'opportunita' ed anzi la doverosita'
in  «ossequio  alle  indicazioni  piu'  volte  espresse  dalla  Corte
costituzionale  ed  in  continuita'  con la prassi partecipativa piu'
volte   sperimentata   in  occasione  dell'emanazione  di  precedenti
normative nazionali di avviare un percorso condiviso e concertato con
le  regioni,  attesa  la  valenza e la portata di un provvedimento di
questa importanza»;
        sul   piano   del  contenuto,  una  dilatazione  degli  spazi
riservati  alla competenza statale tali da contribuire «a determinare
tra  Stato  e  regioni  un assetto delle competenze legislative e dei
rispettivi  ruoli  ispirato al riconoscimento dello Stato quale unico
soggetto  titolato  a  normare  il  settore dei lavori, dei servizi e
delle  forniture  pubblici,  in  aperta  contraddizione  con un'ormai
consolidata  interpretazione  dell'art.  117 che riconosce anche alle
regioni potesta' legislativa nei settori in parola».
    Il  testo  del  decreto  legislativo  e'  stato,  solo  in parte,
modificato  sulle  scorta delle indicazioni espresse dalla Conferenza
Stato-regioni.
    In esecuzione di quanto previsto dall'art. 25 della legge delega,
anche  il  Consiglio  di Stato si e' espresso sullo schema di decreto
legislativo,  con  il parere n. 335/2006 (doc. 2), sollevando diversi
rilievi.
    In   particolare  in  detto  parere  il  Consiglio  di  Stato  ha
evidenziato:
        che  i  contratti di pubblici lavori, servizi e forniture non
integrano  una  materia  a  se'  stante,  ma si qualificano a seconda
dell'oggetto  al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti
di volta in volta a potesta' legislative esclusive dello Stato ovvero
a potesta' legislative concorrenti;
        che  percio',  salvo  che  per gli aspetti riconducibili alla
potesta'  legislativa  esclusiva  statale  in  tema  di  tutela della
concorrenza e ordinamento civile, deve essere riconosciuto spazio per
la legislazione regionale;
        che tale competenza regionale va riconosciuta per i contratti
di  interesse  della  regione,  restando  di competenza dello Stato i
contratti stipulati da amministrazioni e enti statali.
    Da  tali  premesse il Consiglio di Stato ha tratto la conseguenza
che  sono  sottratti all'intervento regionale, perche' attinenti alla
tutela  della concorrenza e all'ordinamento civile: la qualificazione
e   selezione  dei  concorrenti,  i  criteri  di  aggiudicazione,  il
subappalto  e  la  vigilanza  sul  mercato  affidata ad una autorita'
indipendente.
    Invece  e'  stato  ritenuto ammissibile l'intervento regionale in
riferimento  ai  profili  organizzativi,  procedurali, tra i quali la
progettazione  dei  lavori, servizi e forniture, la direzione lavori,
il   collaudo,   i  compiti  ed  i  requisiti  del  responsabile  del
procedimento.
    Il   Consiglio   di   Stato   ha  altresi'  rilevato  ammissibile
l'intervento  del  legislatore regionale in relazione ai contratti al
di  sotto  della  soglia  comunitaria,  ove  compete  allo  Stato  la
fissazione di comuni principi, che assicurino trasparenza, parita' di
trattamento e non discriminazione, senza che pero' ricorra l'esigenza
(di  derivazione  comunitaria)  di  estendere il grado di uniformita'
alla disciplina di dettaglio.
    Il  Codice  e'  destinato  a  sostituire una pletora di normative
(leggi,  decreti  e  regolamenti)  in  materia di appalti tanto al di
sotto quanto al di sopra della soglia di applicazione delle direttive
comunitarie,  unificando  in  un  unico testo normativo la disciplina
riguardante i contratti pubblici di lavori servizi e forniture.
    L'entrata   in   vigore  del  d.lgs.  n. 163/2006  non  completa,
peraltro,  l'opera di codificazione atteso che per il perfezionamento
del  nuovo  sistema di regolazione degli appalti pubblici e' prevista
l'emanazione di un apposito regolamento di attuazione.
    Cio'  in  difformita' con la disciplina previgente che prevedeva,
per  lo  meno  in  materia  di  fomiture e di servizi, una disciplina
unitaria   (non   dettagliata)   per  gli  appalti  sopra  la  soglia
comunitaria   (attraverso  i  d.lgs.  n. 157/1995  e  n. 358/1992  di
recepimento   delle   direttive   comunitarie)   ma   lasciava   alla
legislazione  regionale  ampi spazi di disciplina in riferimento agli
appalti  sotto la soglia comunitaria. Accanto alle normative relative
ai  settori  di  fornitura  e servizi, la legge n. 109/1994 si poneva
come  legge  di recepimento delle direttive comunitarie in materia di
lavori pubblici e come disciplina di riferimento per l'affidamento di
lavori al di sotto della soglia comunitaria.
    Si  deve  far  presente  che la Regione Toscana ha una disciplina
organica  in  materia di appalti di servizi e forniture (l.r. 8 marzo
2001,  n. 12  -  Disciplina dell'attivita' contrattuale regionale - e
d.P.G.R.  5 settembre 2001, n. 45/R - Regolamento di attuazione della
l.r.  8  marzo  2001,  n. 12 - Disciplina dell'attivita' contrattuale
regionale)  relativa  agli  appalti  indetti dalla regione medesima e
dagli  enti  regionali,  mentre  si sta apprestando a predisporre una
legge  unitaria  in  materia di appalti di servizi forniture e lavori
pubblici  da applicarsi anche alle autonomie locali che disciplinera'
tutti  quegli  aspetti  dei settori in parola, comunque riconducibili
alla sfera di competenza regionale.
    Il  codice  in  esame,  cosi'  come emanato dal Governo, scardina
quindi  l'assetto  normativo  regionale  gia' costituito e lascia ben
pochi spazi alla futura regolamentazione della materia da parte della
regione medesima.
    In  particolare  il testo presenta profili di dubbia legittimita'
costituzionale,  nella parte in cui il legislatore statale si riserva
di  legiferare  (anche attraverso i successivi regolamenti) in ambiti
piu'  propriamente  riconducibili  a competenze di tipo concorrente o
residuale delle regioni.
    Pertanto si propone la presente impugnazione, basata sui seguenti
motivi di:

                            D i r i t t o

    1)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4, secondo e terzo
comma, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    Le  disposizioni  in esame sono mirate a definire il quadro delle
competenze  normative  statali  e  regionali  nello specifico settore
degli appalti pubblici.
    Il  comma  2  dispone  che  nelle  materie  oggetto di competenza
concorrente «le regioni esercitano la potesta' normativa nel rispetto
dei  principi fondamentali contenuti nelle norme del presente codice,
in  particolare  in  tema  di  programmazione  dei  lavori  pubblici,
approvazione  dei  progetti  ai  fini  urbanistici  ed espropriativi,
organizzazione  amministrativa,  compiti e requisiti del responsabile
del procedimento, sicurezza del lavoro».
    Se  la  sicurezza  sul  lavoro e' individuata dall'art. 117 della
Costituzione,  terzo comma, tra le materie di competenza concorrente,
con   conseguente  correttezza  della  disposizione,  non  e'  invece
comprensibile  la  riconduzione alla potesta' legislativa concorrente
degli ulteriori aspetti previsti dalla norma.
    In   particolare,   la   programmazione   dei   lavori  pubblici,
l'approvazione   dei   progetti,   i   compiti  ed  i  requisiti  del
responsabile  del  procedimento  non appaiono riconducibili a materie
soggette  alla  legislazione  concorrente,  per  cui non si comprende
perche'  le regioni debbano essere vincolate al rispetto dei principi
statali,  con  riferimento  agli  appalti di competenza della regione
stessa nonche' degli enti regionali e locali. Infatti, in relazione a
tali  profili,  il  citato parere del Consiglio di Stato, ha rilevato
ammissibile l'intervento del legislatore regionale.
    Similmente   non   appare   costituzionalmente  legittimo  l'aver
ricondotto alla potesta' legislativa concorrente gli aspetti relativi
all'«organizzazione amministrativa».
    La  Corte costituzionale ha, infatti, chiarito (sent. n. 17/2004)
come,  nell'assetto  delle  competenze costituzionali configurato dal
nuovo  Titolo  V,  parte  II,  della  Costituzione,  le competenze in
materia di ordinamento ed organizzazione amministrativa, per gli enti
diversi  da  quelli  statali,  e' transitato nella potesta' residuale
delle  regioni.  La  precedente  materia  di  competenza  concorrente
dell'«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti
dalla  regione»  deve ad oggi considerarsi confluita nella competenza
legislativa esclusiva/residuale delle regioni.
    Ed  ancora  si  e'  espressa  sul  punto  la Corte costituzionale
riconfermando   che   «la   materia   innominata  dell'organizzazione
amministrativa  delle  regioni  e  degli enti pubblici regionali - e'
preclusa  allo  Stato  (a  maggior ragione attraverso disposizioni di
dettaglio),  e  spetta  alla  competenza  residuale delle regioni (v.
sent.   n. 2   del   2004),   ovviamente   nel  rispetto  dei  limiti
costituzionali (v. sent. n. 274 del 2003)» (sent. n. 380/2004).
    Ne  deriva,  pertanto,  che  in  tale  materia  lo  Stato  non e'
legittimato  ad  emanare  principi  fondamentali  vincolanti  per  il
legislatore  regionale  il  quale  e',  al  contrario,  obbligato, al
rispetto  di  quanto indicato dall'art. 117 della Costituzione, primo
comma,  ovvero all'osservanza delle norme costituzionali, nonche' dei
vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario  e  dagli  obblighi
internazionali.
    Ne'  possono  qui  profilarsi  esigenze di carattere unitario che
consentono  un'assunzione in sussidiarieta' da parte dello Stato, non
ravvisandosi,   nel   caso   di   specie,  le  specifiche  condizioni
individuate  dalla  Corte  costituzionale  a  legittimazione  di tale
sussidiarieta':   il  rispetto  dei  criteri  di  proporzionalita'  e
ragionevolezza  ed il rispetto del principio di leale collaborazione,
in  base  al  quale  la  funzione  deve, comunque essere amministrata
attraverso  intese  con  le regioni espropriate delle loro competenze
(sent. n. 303/2003, sent. n. 6/2004).
    Ed anzi, riconoscere l'esistenza di esigenze unitarie in punto di
programmazione   dei  lavori  pubblici,  approvazione  dei  progetti,
compiti e requisiti del responsabile del procedimento, organizzazione
amministrativa implica, da una parte il disconoscimento in radice del
modello  regionalistico  voluto  dalla  Costituzione  e dall'altra la
compressione   delle   legittime   esigenze   di  differenziazione  e
valorizzazione  delle specifiche peculiarita' degli enti connotati da
autonomia costituzionalmente garantita.
    La  disposizione,  pertanto,  nella  parte  in cui riconduce alla
competenza concorrente anche l'organizzazione amministrativa, nonche'
la programmazione dei lavori pubblici, l'approvazione dei progetti, i
compiti  e  requisiti  del  responsabile  del  procedimento  viola il
disposto degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    Il  comma  terzo  prevede che le regioni non possano adottare una
disciplina   diversa   da   quella   del  codice  in  relazione  alla
qualificazione   e  selezione  dei  concorrenti,  alle  procedure  di
affidamento,  esclusi  i profili di organizzazione amministrativa, ai
criteri  di  aggiudicazione,  al  subappalto,  ai poteri di vigilanza
dell'Autorita',   all'attivita'   di   progettazione,   ai  piani  di
sicurezza,  alla  stipulazione  e  all'esecuzione  dei contratti, ivi
compresi    direzione    dell'esecuzione,   direzione   dei   lavori,
contabilita' e collaudo, ad eccezione dei profili di organizzazione e
contabilita' amministrativa, al contenzioso.
    In  riferimento  ai  piani  di  sicurezza  va,  in  primo  luogo,
evidenziato come non risulti compatibile con l'assetto costituzionale
delle  competenze la scissione operata dalla norma tra «sicurezza del
lavoro»  ricondotta  correttamente  dal secondo comma alla competenza
regionale  di  tipo  concorrente  e  «piani di sicurezza» che vengono
ascritti,  dal terzo comma, alla competenza di tipo esclusivo statale
(con   conseguente,   prevista   inderogabilita'   da   parte   della
legislazione regionale).
    I  piani  di sicurezza assolvono infatti ad una duplice funzione,
comunque   riconducibile   nell'ambito   di   competenza  concorrente
costituzionalmente riconosciuto alle regioni.
    In  primo  luogo  l'individuazione  delle  tipologie dei piani di
sicurezza  e  degli  appalti  in  relazione  ai  quali  sia  ritenuta
necessaria  la  predisposizione dei piani medesimi, la determinazione
dei  contenuti minimi dei piani, le modalita' di scorporo degli oneri
per  la  sicurezza  da  sottrarsi  al ribasso di gara non possono che
essere  finalizzati  a garantire ai lavoratori impiegati nell'appalto
condizioni   tali  ridurre  al  minimo  i  rischi  di  infortuni  con
conseguente necessaria riconduzione della disciplina dei piani stessi
alla  piu' generale materia della «sicurezza del lavoro» in relazione
alla  quale  l'art. 117 della Costituzione riconosce alle regioni una
competenza di tipo concorrente.
    E'   pur   vero   che,   secondo  quanto  affermato  dalla  Corte
costituzionale,  la  tutela  e  sicurezza  del lavoro puo' riguardare
profili  di  pertinenza  statale  esclusiva,  laddove siano coinvolti
aspetti  attinenti alla determinazione dei livelli essenziali, ovvero
ai  rapporti  intersoggettivi  datore  di  lavoro/lavoratore per loro
natura   riconducibili   alla  materia  «ordinamento  civile»  (sent.
n. 50/2005),  ma  e'  anche  vero  che  la  disciplina  dei  piani di
sicurezza  non  coinvolge  aspetti  in  alcun modo riconducibili agli
ambiti  predetti  essendo  la  stessa  preordinata,  come  piu' sopra
evidenziato  alla  sola  individuazione,  analisi  e  valutazione dei
rischi  concreti in riferimento alle lavorazioni interessate, nonche'
all'individuazione  di  misure  preventive  e  protettive  dirette al
contenimento dei rischi derivanti dalle lavorazioni medesime.
    In  secondo  luogo  i  piani  di  sicurezza,  costituiscono parte
integrante  della  progettazione  esecutiva delle opere e, come tali,
sono  destinati  ad avere anche ricadute nell'ambito del «governo del
territorio»,  materia  che  viene, comunque, ricondotta dall'art. 117
della Costituzione alla competenza regionale di tipo concorrente.
    Ne'  puo' negarsi che la determinazione del contenuto dettagliato
dei  piani di sicurezza (stante il rispetto dei principi fondamentali
che  lo  Stato  e',  comunque,  chiamato  a  fissare) e' strettamente
connesso  alla  realta'  imprenditoriale  e territoriale cui il piano
stesso e' diretto, realta' la cui conoscenza, tutela e valorizzazione
non puo' che essere affidata al legislatore di livello regionale.
    A supporto della suddetta tesi della ricorrente va qui richiamato
il  citato  parere  del  Consiglio di Stato n. 335/2006; il medesimo,
infatti,  nel  riformulare l'art. 4, terzo comma ha proposto il testo
seguente:
        «Le  Regioni  e le Province autonome di Trento e Bolzano, nel
rispetto  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettere  e)  ed  l) della
Costituzione  non  possono prevedere una disciplina diversa da quella
del presente Codice in relazione: alla qualificazione e selezione dei
concorrenti,  ai  criteri di aggiudicazione, al subappalto, ai poteri
di  vigilanza sul mercato degli appalti affidati all'Autorita' per la
vigilanza  sul  mercato  degli  appalti affidati all'Autorita' per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, alla
stipulazione e all'esecuzione dei contratti, ad eccezione dei profili
di  organizzazione  amministrativa  e  di  contabilita',  nonche'  al
contenzioso».
    Risulta  evidente  che  il Consiglio di Stato non ha proceduto ad
un'enucleazione  della materia «piani della sicurezza» per ascriverla
alla   competenza   esclusiva   dello  Stato  ma  l'ha  correttamente
ricondotto  nell'ambito  della materia «sicurezza sul lavoro» che, in
esecuzione di quanto disposto dall'art. 117 della Costituzione, viene
attribuita, dal secondo comma dell'articolo in esame, alla competenza
concorrente delle regioni.
    Analoghe  argomentazioni  valgono in riferimento all'attivita' di
progettazione.
    Il terzo comma in esame dichiara di competenza esclusiva statale,
ex  art.  117, secondo comma della Costituzione, tutta l'attivita' di
progettazione.
    Tale affermazione, tuttavia, non risulta coerente con il medesimo
art.  117  della Costituzione che non consente di ritenere rientrante
nell'elenco  del  secondo  comma  la  progettazione  dei  lavori, dei
servizi e delle forniture.
    Tale  profilo,  infatti,  non  e'  incluso  nel  citato elenco di
materie  riservate  allo  Stato  e  nemmeno  in  quelle soggette alla
legislazione  concorrente:  percio'  sussiste la potesta' regionale a
disciplinare  l'aspetto  in  esame  in  riferimento  agli  appalti di
lavori,  servizi  e forniture di competenza della regione, degli enti
regionali   e   locali.   Come   infatti,   affermato   dalla   Corte
costituzionale   nella  sent.  n. 282/2002  il  nuovo  riparto  della
potesta' legislativa risultante dalla riforma del Titolo V, parte II,
della  Costituzione  impone  non  tanto  la  ricerca di uno specifico
titolo  costituzionale  di  legittimazione dell'intervento regionale,
quanto,  al  contrario,  un'  indagine  sulla sussistenza di riserve,
esclusive o parziali, di competenza statale, riserve che non sembrano
rawisarsi nel caso di specie.
    In denegata ipotesi, la progettazione dei lavori, in quanto volta
a  portare  alla  realizzazione  di  opere  sul  territorio,  sarebbe
riconducibile  alla  materia del «governo del territorio», materia in
cui  ricade  «tutto  cio'  che  attiene all'uso del territorio e alla
localizzazione   di   impianti   ed  attivita»  (sent.  n. 307/2003,)
comprensiva,  quindi  delle  materie dell'urbanistica e dell'edilizia
(sent.  n. 362/2003  e  n. 196/2004).  Ma in tal caso, si tratterebbe
comunque  di  materia  soggetta a potesta' legislativa concorrente, e
quindi  di  competenza  regionale  da  esplicarsi  nel  rispetto  dei
principi  stabiliti  dallo  Stato. Pertanto la norma sarebbe comunque
illegittima  perche'  non potrebbe ipotizzarsi una potesta' esclusiva
statale per la progettazione dei lavori.
    Invece  la  progettazione  di  forniture  e  servizi  non  e' mai
riconducibile   ad   alcuna   competenza  statale  costituzionalmente
riconosciuta,  e  va  pertanto  ascritta,  come  sopra rilevato, alla
competenza residuale delle regioni.
    Oltre  tutto  la  «progettazione  di  forniture e servizi», nella
sostanza,  viene  a  coincidere  con  la  disciplina  dei  capitolati
generali e speciali, strumenti diretti alla definizione degli aspetti
giuridici  e  tecnici  dei  contratti  e,  come  tali,  da ricondursi
necessariamente nella sfera di autonomia del singolo ente appaltante.
    Resta,  naturalmente,  estranea  alla materia della progettazione
cosi'  intesa,  tutta la disciplina degli affidamenti degli incarichi
di  progettazione, attratti dalle materie espressamente enucleate dal
comma  in  esame  sotto  la  rubrica  «qualificazione e selezione dei
concorrenti» e «procedure di affidamento».
    2)   Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  5,  commi  primo,
secondo  e  quarto  per  violazione  degli  artt.  117  e  118  della
Costituzione - Violazione del principio di leale cooperazione.
    L'art.  5,  primo comma dispone che con futuro regolamento verra'
dettata  la  disciplina attuativa del codice per i contratti pubblici
di  lavori,  servizi  e  forniture  delle amministrazioni statali. Il
regolamento  si  applichera'  anche  ai  contratti  di tutte le altre
amministrazioni compresi gli enti regionali e locali, per gli aspetti
che l'art. 4, terzo comma, ha indicato come riservati allo Stato.
    Il   secondo  comma  prevede  che  il  regolamento  indica  quali
disposizioni, esecutive o attuative di quelle di cui all'art. 4 comma
3  in  ambiti  di  legislazione  statale esclusiva, siano applicabili
anche alle regioni.
    La  presente  censura e' collegata a quanto eccepito in relazione
all'art.  4  terzo  comma.  In  particolare  il  legislatore,  avendo
ricondotto  alla potesta' legislativa esclusiva statale anche aspetti
che   invece   non   vi   rientrano  (precisamente  le  attivita'  di
progettazione  ed  i  piani  di sicurezza) ammette che il regolamento
disciplini  tali  aspetti  anche  per  i  contratti  delle regioni ed
ammette,  con  una  ulteriore  estensione, che il regolamento indichi
quali  altre  norme  si applichino alle regioni, perche' attuative di
disposizioni rientranti nel suddetto art. 4 comma 3.
    Invece  i due suddetti profili delle attivita' di progettazione e
dei piani di sicurezza non sono riconducibili alla potesta' esclusiva
statale  (per  i  motivi  esposti  al  precedente punto) e percio' il
regolamento  non e' fonte abilitata a dettare una normativa anche per
le regioni.
    Il  novellato  art.  117,  sesto  comma della Costituzione limita
infatti  la  potesta'  regolamentare dello Stato solo alle materie in
cui il medesimo ha competenza esclusiva; il che non e' in riferimento
ai piani di sicurezza e all'attivita' di progettazione.
    In denegata ipotesi, quand'anche si ritenessero legittimi i commi
1  e  2  dell'art.  5  in esame, sarebbe comunque incostituzionale il
quarto  comma,  il  quale  disciplina la procedura per l'adozione del
regolamento senza prevedere alcun coinvolgimento regionale.
    Infatti  l'ampio  e  dettagliato  contenuto del regolamento va ad
interferire  con  competenze  regionali  per  cui,  in attuazione del
principio   della   leale   collaborazione,  sarebbe  necessario  che
l'emanando  regolamento  fosse  subordinato ad attivita' concertative
con le regioni.
    3)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  48  per violazione
degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    L'art.  48 disciplina le modalita' con cui le stazioni appaltanti
devono procedere al controllo sul possesso, da parte dei concorrenti,
dei     requisiti     di     capacita'     economica-finanziaria    e
tecnico-organizzativa,  richiesti  dal  bando di gara o dalla lettera
d'invito.
    In  particolare  il  primo  comma  e'  diretto  a disciplinare il
controllo  «a  campione» ed il secondo comma quello «puntuale» avente
ad oggetto l'aggiudicatario ed il secondo in graduatoria.
    Il  primo  comma  prevede  che  il controllo sia espletato su una
percentuale  non inferiore al 10 delle offerte presentate, che detto
controllo  venga  effettuato  prima  dell'apertura delle offerte, con
conseguente  sospensione  della procedura di gara, che ai concorrenti
debba  essere  assegnato  un termine non inferiore a 10 giorni per la
trasmissione   della   documentazione  comprovante  il  possesso  dei
suddetti  requisiti,  nonche'  le  conseguenti  sanzioni  in  caso di
mancata  presentazione della documentazione ovvero in caso di mancata
conferma dei requisiti dichiarati.
    Se  la  scelta  del  suddetto regime sanzionatorio e' logicamente
riconducibile   ad  una  competenza  di  tipo  statale  che  assicuri
uniformita'  in  relazione ad un aspetto di cosi' notevole rilevanza,
non  altrettanto puo' dirsi in riferimento agli altri contenuti della
norma in questione.
    La   percentuale   dei  soggetti  da  controllare,  le  modalita'
procedurali  con  cui  la  singola  stazione  appaltante  procede  al
suddetto  controllo  non possono, infatti, che ricondursi nell'ambito
dell'autonomia organizzativa della stazione appaltante medesima.
    Fermo,  infatti,  il  principio dettato dall'art 71 del d.P.R. 28
dicembre  2000,  n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di documentazione amministrativa) in base al
quale  le amministrazioni sono tenute ad effettuare idonei controlli,
anche  a  campione,  sulle autodichiarazioni rese dai concorrenti, le
modalita'  procedurali  con  cui  questo principio viene attuato sono
espressione di scelte autonome ed organizzative delle amministrazioni
medesime.  Il  comma in esame detta una modalita' di espletamento dei
controlli  indifferenziata in relazione a tutte le procedure di gara,
con  la  conseguente  necessaria  sospensione della procedura di gara
stessa.
    La  norma  mutua  il contenuto dall'art. 10, comma 1-quater della
legge n. 109/1994, estendendolo anche i settori delle forniture e dei
servizi,  senza  tenere  in  ragionevole  conto  le  differenze  e le
peculiarita'  che  questi  settori hanno rispetto a quello dei lavori
pubblici.  Se,  infatti,  il  controllo  sul  possesso  dei requisiti
tecnico-organizzativi  ed  economico-finanziari  degli  esecutori  di
lavori  pubblici  puo' ritenersi soddisfatto con l'acquisizione delle
attestazione  SOA  e  quindi  puo' presumibilmente esaurirsi in tempi
brevi,   non   altrettanto   puo'   dirsi   per  il  controllo  sulle
dichiarazioni rese dai concorrenti in appalti diretti all'affidamento
di forniture o servizi.
    I  requisiti  richiesti nei settori delle forniture e dei servizi
(servizi  espletati,  fatturato,  organico,  attrezzature  ecc.)  non
trovano  un  analogo  organismo  che  li  attesti,  ma  devono  esere
controllati,    dalla    stazione    appaltante,   separatamente   ed
analiticamente  con  conseguente dilatazione dei tempi necessari alla
conclusione dei controlli medesimi.
    Ben potrebbero, quindi, le stazioni appaltanti decidere modalita'
diverse  di controllo, al fine di limitare gli effetti negativi della
sospensione  della  gara,  laddove  la mancata conferma dei requisiti
posseduti   da   un   concorrente,   e   quindi  la  sua  illegittima
partecipazione, non infici il procedimento di gara nel suo complesso.
    In  caso,  infatti,  di aggiudicazione con il criterio del prezzo
piu'  basso  la  valutazione della singola offerta non dipende da una
comparazione  fra  le  offerte  medesime  che rende, come nel caso di
aggiudicazione    all'offerta    economicamente   piu'   vantaggiosa,
ragionevole anticipare il momento del controllo.
    Tutto   cio'   senza   tenere   conto  che,  oltre  ai  requisiti
tecnico-orgnizzativi    ed    economico-finanziari    i   concorrenti
dichiarano, ai fini della partecipazione alla gara, anche il possesso
dei requisiti di ordine generale previsti dall'art. 38 del codice.
    Le  stazioni appaltanti, quindi, si trovano davanti alla scelta o
di effettuare una duplice procedura di controllo (durante la gara sui
requisiti  tecnico-economici  e dopo l'aggiudicazione provvisoria sui
requisiti  giuridici),  ovvero  di  unificare i due procedimenti, con
conseguente  eccessiva  dilatazione  dei tempi della gara stessa ed a
discapito del generale principio di semplificazione.
    Non  puo'  che  ribadirsi,  quindi, l'illegittimita' del comma in
esame  dovendo  la  disciplina  del  procedimento  di controllo sulle
autodichiarazioni  rese dai concorrenti, essere rimessa all'autonomia
organizzativa  della  stazione  appaltante  che  potra'  modularla in
maniera  differenziata  per  contemperare  al meglio i vari interessi
coinvolti.
    Analoghe  argomentazioni possono essere sostenute in relazione al
secondo  comma  della  norma, in particolare laddove lo stesso impone
alle  stazioni  appaltanti  di  controllare, oltre all'aggiudicatario
anche il concorrente che segue in graduatoria.
    Come  sopra  gia' evidenziato, fermo il principio dell'obbligo di
effettuare   controlli   a  campione  e  puntuali,  le  modalita'  di
individuazione  dei concorrenti oggetto del predetto controllo devono
essere  ricondotti  nell'ambito  dell'autonomia  organizzativa  della
singola stazione appaltante.
    Per  quanto sopra, la norma viola il disposto dell'art. 117 della
Costituzione   in   quanto   detta   una  disciplina  dettagliata  ed
autoapplicativa  in una materia, l'organizzazione amministrativa, che
la  Costituzione  attribuisce  alla  competenza legislativa residuale
delle regioni.
    Ne'  possono  qui  profilarsi  esigenze di carattere unitario che
consentano  un'assunzione  in  sussidiarieta'  da  parte dello Stato,
sussidiarieta'  che,  come  gia'  detto,  comporterebbe,  in punto di
organizzazione  amministrativa,  da  una  parte il disconoscimento in
radice   del  modello  regionalistico  voluto  dalla  Costituzione  e
dall'altra    la    compressione    delle   legittime   esigenze   di
differenziazione e valorizzazione delle specifiche peculiarita' degli
enti connotati da autonomia costituzionalmente garantita.
    La   norma   pertanto  viola  il  disposto  dell'art.  118  della
Costituzione.
    4)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 75 primo comma, per
violazione dell' art. 117.
    Il  primo  comma dell'art. 75 prevede che l'offerta sia corredata
da  una  garanzia  pari al due per cento del prezzo base indicato nel
bando  o  nell'invito,  sotto  forma  di cauzione o di fideiussione a
scelta dell'offerente.
    La  disposizione,  che  si  trova  collocata nella sezione II del
Titolo  I  - Contratti di rilevanza comunitaria - trova applicazione,
in  virtu'  del  richiamo  operato dall'art. 121 del codice medesimo,
anche per i contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria.
    Ne  deriva,  quindi,  l'obbligo  per tutte le stazioni appaltanti
(comprese  le regioni e gli enti regionali e locali) di richiedere, a
garanzia  delle  offerte  presentate,  una cauzione di importo pari a
quello  indicato  dall'art. 75, primo comma, in tutte le procedure di
gara, aventi ad oggetto forniture servizi e lavori, indipendentemente
dal  tipo  di  procedura posta in essere e dall'importo del contratto
oggetto dell'affidamento.
    Se  le  modalita'  di  costituzione  della  cauzione, i contenuti
specifici  della  stessa  possono  considerarsi  attinenti  a profili
concernenti  l'ordinamento  civile e, quindi, come tali riconducibili
alla competenza esclusiva dello Stato, non altrettanto puo' dirsi per
la  parte  della  disposizione impugnata, la quale attiene, invece, a
profili  piu'  strettamente organizzativi che come tali devono essere
ricondotti alla competenza residuale delle regioni.
    La  richiesta  della  cauzione  a garanzia dell'offerta comporta,
infatti,  sia  nella  fase  della  gara  che  nella  fase  successiva
(procedimento si svincolo) adempimenti in termini burocratici che ben
possono  e devono essere tenuti considerazione dalla singola stazione
appaltante  al fine di poter effettuare un giusto contemperamento dei
vari interessi coinvolti: quello della semplificazione e quello dell'
acquisizione delle necessarie garanzie a corredo dell'offerta.
    Puo',  infatti,  apparire eccessivo, per alcune procedure di gara
di  importo limitato, da una parte obbligare tutti i concorrenti alla
presentazione  della cauzione provvisoria (che comporta, comunque una
notevole  esposizione  in termini di tempo ed economici) e dall'altro
appesantire   l'attivita'   amministrativa   degli   uffici  con  gli
adempimenti  necessari  concomitanti  e  successivi alla procedura di
gara medesima.
    Le   predette  valutazioni  non  possono  che  essere  ricondotte
nell'ambito dell'attivita' organizzativa del singolo ente.
    Ne'  puo'  negarsi che l'esigenza di assicurare la serieta' nella
presentazione  delle offerte da parte dei concorrenti puo', comunque,
ottenersi anche con strumenti diversi.
    Basti  qui  citare  l'art.  25  della l.r. Toscana n. 12/2001 che
prevede  la costituzione della cauzione provvisoria da parte del solo
concorrente  aggiudicatario.  In  base  alla predetta disposizione la
costituzione  della  cauzione costituisce condizione per l'emanazione
del  provvedimento di aggiudicazione definitiva mentre la sua mancata
costituzione  determina,  ai sensi dell'art. 11 della legge regionale
medesima,  l'esclusione  del concorrente, per un periodo di tre anni,
dalle altre procedure di gara indette dall'amministrazione stessa.
    Il  primo  comma  dell'art.  75, pertanto, nella parte in cui non
consente alle regioni di modulare la richiesta della cauzione in modo
differenziato  a  seconda del tipo di procedura e di importo viola la
competenza  residuale  delle  regioni  in materia di organizzazione e
quindi l'art. 117 della Costituzione.
    5)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  84, comma secondo,
terzo,  ottavo e nono, per violazione degli artt. 76, 117 e 118 della
Costituzione.
    L'art.  84  disciplina  la composizione ed il funzionamento della
commissione giudicatrice nel caso in cui l'aggiudicazione avvenga con
il  criterio dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa, sia per le
procedure  di  importo  superiore  alla  soglia  comunitaria, sia, in
virtu'  del  richiamo  operato  dall'art.  121  del  codice,  per  le
procedure di importo inferiore.
    La  norma  e'  in  contrasto  con  gli  artt.  117  e  118  della
Costituzione.
    Non  puo',  infatti,  negarsi che l'individuazione del numero dei
componenti  (comma 2), della qualifica del presidente (comma 3) e dei
commissari  (comma  8) nonche' le modalita' di selezione degli stessi
(commi  8  e  9)  debbano essere ricondotti nell'ambito organizzativo
della  singola stazione appaltante che potra' modularli tenendo conto
della  complessita'  dell'oggetto  della  gara,  nonche' dell'importo
della medesima.
    Tutto  cio'  non  esime  naturalmente la regione dal rispetto dei
principi    di    trasparenza,   parita'   di   trattamento   e   non
discriminazione,  (di  cui  sono esplicitazione i commi non impugnati
della  disposizione  in  esame)  insiti  nell'ordinamento  e a cui la
regione deve, comunque, sottostare.
    Nella  denegata  ipotesi  in cui si riconduca la disciplina ed il
funzionamento  della  Commissione di aggiudicazione nell'ambito delle
«procedure di affidamento» di competenza esclusiva statale, in quanto
attinenti  alla  «tutela  della  concorrenza», vanno qui richiamati i
criteri   individuati  dalla  Corte  costituzionale  atti  a  rendere
legittimo un intervento statale nella materia.
    Non   appaiono,  infatti,  qui  configurabili  ne'  il  carattere
macroeconomico    (sent.    n. 14/2004)   ne'   il   criterio   della
ragionevolezza ed adeguatezza (sent. n. 272/2004) necessari a fondare
l'intervento  legislativo  statale,  dovendosi  lo  stesso limitare a
porre  disposizioni  di  carattere  generale  e  non  disposizioni di
dettaglio,  come  quella  in  esame e come quelle saranno oggetto del
futuro regolamento.
    Ed  infatti,  mai fino all'emanazione del Codice, lo Stato si era
spinto  a dettare una disciplina specifica in materia di composizione
e  funzionamento  delle  commissioni  in  relazione  agli  appalti di
forniture  e  di  servizi  ne'  di  importo  superiore ne' di importo
inferiore alla soglia comunitaria.
    E  sotto  tale  profilo  la  norma e', altresi', censurabile, per
eccesso di delega.
    L'art.  25 della legge 18 aprile 2005, n. 62, infatti ha delegato
il  Governo  a compilare un unico testo normativo recante le norme in
materia   di   procedure  di  appalto  disciplinate  dalle  Direttive
comunitarie  n. 2004/17  e  n. 2004/18,  coordinando  anche  le altre
disposizioni  in  vigore e a semplificare le procedure di affidamento
che   non   costituiscono   diretta   applicazione   delle  normative
comunitarie,  per  contenere  i  tempi e per la massima flessibilita'
degli strumenti giuridici.
    Dunque i criteri direttivi non consentivano l'emanazione di nuove
disposizioni  se  non  per  ragioni  di  semplificazione, ragioni che
sicuramente non si ravvisano nella norma in esame.
    Tale eccesso di delega si traduce in una lesione delle competenze
regionali e puo', quindi, essere eccepito in questa sede.
    Ne',  tanto  meno,  trattandosi  di  aspetti  organizzativi, sono
invocabili,  a  giustificazione  della  norma,  esigenze di carattere
unitario che legittimino la disposizione ai sensi dell'art. 118 della
Costituzione.
    Di qui il vizio eccepito.
    6)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  88  per violazione
degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    L'art. 88 disciplina dettagliatamente il procedimento di verifica
e di esclusione delle offerte ritenute anormalmente basse.
    In  particolare  sono  stabilite  le modalita' ed i tempi con cui
l'amministrazione  deve  richiedere i giustificativi alle imprese; la
convocazione dell'offerente ed i tempi della stessa.
    Il  profilo  in  esame  non  attiene  a  quello che il parere del
Consiglio  di  Stato  n. 355/06  definisce  il  nucleo essenziale del
Codice,  vale a dire gli aspetti di tutela della concorrenza quali la
qualificazione   e   selezione   dei   concorrenti,   i   criteri  di
aggiudicazione,  il  subappalto  e  la  vigilanza  sul  mercato degli
appalti affidata ad una autorita' indipendente.
    Nel  caso  in esame, posto il principio - indiscutibile - per cui
l'offerta  anomala  va  verificata  e stabiliti i criteri di verifica
(artt.  86 e 87), si tratta di organizzare il procedimento attraverso
il quale procedere a detta verifica in contraddittorio con l'impresa.
    E'  pertanto  certo che tale profilo attiene all'organizzazione e
quindi  rientra  nelle  attribuzioni della regione, in riferimento ai
contratti della regione, degli enti regionali e locali.
    Ne',  come accennato, e' possibile sostenere che «la tutela della
concorrenza»   costituisca   un   titolo   legittimante  le  suddette
disposizioni.
    La   giurisprudenza  costituzionale,  in  merito  all'artt.  117,
secondo  comma,  lettera  e) della Costituzione, ha rilevato che tale
norma  «evidenzia  l'intendimento  del legislatore costituzionale del
2001  di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica
che   attengono  allo  sviluppo  dell'intero  paese....  L'intervento
statale  si  giustifica  dunque  per la sua rilevanza macroeconomica:
solo  in  tale quadro e' mantenuta allo Stato la facolta' di adottare
sia  specifiche  misure  di  rilevante  entita',  sia regimi di aiuto
ammessi  dall'ordinamento  comunitario  (fra  i  quali  gli  aiuti de
minimis),  purche' siano in ogni caso idonei quanto ad accessibilita'
a   tutti   gli   operatori   ed  impatto  complessivo,  ad  incidere
sull'equilibrio  economico  generale»  (sentenza  n. 14/2004  e nello
stesso senso n. 272/2004; n. 77/2005).
    La disciplina del procedimento con cui eseguire la verifica delle
offerte  anomale non ha un impatto complessivo sull'economia; inoltre
la   disciplina   stessa   e'   dettagliata  e  minuziosa  e  percio'
l'intervento   non   rispetta   i   criteri  dell'idoneita'  e  della
proporzionalita'   rispetto   al  perseguimento  di  una  esplicitata
esigenza  unitaria  (cosi' Corte costituzionale, sentenze nn. 4/2004;
36/2004; 64/2005).
    Per i suddetti motivi sussistono le denunciate illegittimita'.
    7)  Illegittimita'  costituzionale  degli artt. 121, primo comma;
122,  secondo,  terzo,  quinto  e sesto comma; 124, secondo, quinto e
sesto  comma,  per  violazione  degli  artt.  76,  117  e  118  della
Costituzione.
    L'art.  121  dispone  al  primo  comma  che ai contratti pubblici
aventi  ad  oggetto  lavori, servizi e forniture di importo inferiore
alle  soglie  di  rilevanza  comunitaria si applicano le disposizioni
della  parte  I,  della parte IV e della parte V nonche' quelle della
parte  II  del  Codice,  in  quanto  non  derogate  dalle norme dello
specifico  titolo.  In  sostanza  la  disciplina di tutti i contratti
pubblici  sotto  soglia viene assimilata a quella dei contratti sopra
soglia salva la previsione di tempi e pubblicazioni ridotte; tuttavia
e' introdotto l'obbligo generalizzato di pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale per tutti i bandi.
    L'art. 122, nei commi qui contestati, disciplina dettagliatamente
le  modalita'  ed  i  tempi  di  pubblicita' e di comunicazione per i
contratti  di lavori pubblici sotto soglia; l'art. 124 disciplina gli
stessi  aspetti,  con riferimento agli appalti di servizi e forniture
sotto soglia.
    Le  norme  impugnate  si pongono in contrasto con gli artt. 117 e
118  della  Costituzione  nella parte in cui non prevedono uno spazio
per   il   legislatore   regionale  di  disciplina  del  procedimento
relativamente ai contratti di appalti pubblici di lavori, forniture e
servizi sotto soglia.
    In  merito  a tale profilo sono determinanti i principi stabiliti
dalla   giurisprudenza  costituzionale  con  riferimento  ai  servizi
pubblici locali a rilevanza economica, principi che sono applicabili,
per  l'analogia  delle  problematiche  giuridiche  sottese,  anche al
settore dei contratti pubblici.
    La Corte ha chiarito che:
        la  competenza  statale  a  legiferare nella materia sussiste
solo  nei  limiti delle disposizioni generali finalizzate alla tutela
della   concorrenza;   piu'   precisamente   e'   affermato  che  «la
legittimazione  statale  e'  riferibile  solo  alle  disposizioni  di
carattere  generale  che  disciplinano  le  modalita'  di  gestione e
l'affidamento  dei servizi pubblici locali di rilevanza economica....
Solo  le  predette  disposizioni non possono essere derogate da norme
regionali» (sentenza n. 272/2004 e sentenza n. 29/2006);
        il  titolo  di  legittimazione  statale  della  tutela  della
concorrenza  non  puo'  essere  eccessivamente  dilatato perche' cio'
rischierebbe  di  vanificare lo schema di riparto dell'art. 117 della
Costituzione  che vede attribuite alla potesta' legislativa residuale
e   concorrente  delle  regioni  materie  la  cui  disciplina  incide
innegabilmente  sullo sviluppo economico, sul governo del territorio:
l'intervento statale si giustifica pertanto solo in ragione della sua
rilevanza macroeconomica (sent. n. 14/2004);
        in ogni caso l'intervento del legislatore statale deve essere
ragionevole  e  proporzionato  rispetto  agli  obiettivi  attesi:  il
criterio  della  proporzionalita'  e  dell'adeguatezza  appare quindi
essenziale  per verificare se la tutela della concorrenza legittimi o
meno   l'intervento   statale   (sentenza   n. 272/2004  citata).  In
applicazione  di  tale  criterio  di proporzionalita' ed adeguatezza,
nella  sentenza  n. 272/2004,  la  Corte  costituzionale  ha ritenuto
incostituzionale  l'art.  113,  comma 7, secondo e terzo periodo, del
decreto  legislativo n. 267/2000 perche' prevedeva dettagliatamente e
con  tecnica  autoapplicativa  i vari criteri di aggiudicazione della
gara per la concessione dei servizi.
    Proprio in applicazione dei suddetti principi, le norme impugnate
sono costituzionalmente illegittime.
    In  virtu'  del  richiamo  operato,  dall'art. 121 alle parti del
Codice  dirette  a disciplinare gli appalti di importo superiore alla
soglia  comunitaria,  il legislatore statale arriva a disciplinare in
relazione  agli appalti sotto soglia tutta una serie di istituti fino
ad  oggi  demandati,  senza alcuna censura da parte dello Stato, alla
competenza regionale.
    Basti  qui pensare a quanto gia' detto in riferimento all'obbligo
di acquisire la cauzione in tutte le procedure di gara (art. 75) o al
procedimento di individuazione delle offerte anormalmente basse (art.
86,  primo  e secondo comma. Ma il livello di dettaglio appare ancora
piu'  evidente  se  si pensa al procedimento per l'acquisizione delle
giustificazioni  in relazione alle offerte anomale, dettato dall'art.
86,  quinto  comma,  laddove  il  legislatore  si  spinge  a  sancire
l'obbligo inderogabile per i concorrenti, di corredare l'offerta, sin
dalla  presentazione,  delle giustificazioni delle voci di prezzo che
concorrono a formare l'offerta stessa.
    L'estensione di un simile dettaglio procedurale anche per appalti
di  rilevanza  economica assai modesta non appare legittimo alla luce
del criterio di ragionevolezza e proporzionalita' piu' volte invocato
dalla   Corte   costituzionale   al  fine  di  delimitare  il  potere
legislativo statale nella materia della «tutela della concorrenza».
    Fermi  i  principi  (di  derivazione comunitaria) dell'obbligo di
procedere, in contraddittorio con il concorrente, alla verifica degli
elementi  costitutivi  dell'offerta,  la  disciplina  dettagliata  ed
autoapplicativa  che viene delinearsi in virtu' del suddetto richiamo
non trova alcuna giustificazione nelle competenze che la Costituzione
attribuisce allo Stato in materia di «tutela della concorrenza».
    Se  si pensa, inoltre, che anche per gare di rilevanza ed importo
modesto  il  concorrente  si  trova gravato dall'onere di dettagliare
nell'offerta  i  singoli  elementi  costitutivi  della stessa, appare
chiaro  come  venga  qui  violato ogni principio volto a garantire la
semplificazione  e  la  massima  partecipazione  delle  imprese  alle
procedure di gara.
    L'affidabilita'  dell'offerta, alla cui valutazione e' diretto il
sistema  della  verifica  delle  offerte anormalmente basse, ben puo'
essere,  invece,  garantita attraverso meccanismi diversi non solo di
individuazione  della  soglia  di  anomalia  ma  anche  e soprattutto
attraverso un procedimento differenziato che, in ragione dell'importo
e del tipo di procedura, possa eventualmente posticipare la richiesta
degli  elementi giustificativi dell'offerta, ad un momento successivo
all'espletamento  della  gara,  indirizzandola  al  solo  concorrente
aggiudicatario.   Tutto   cio'   con   notevole  semplificazione  del
procedimento a vantaggio del concorrente e della stazione appaltante.
(Si veda a tal proposito l'art. 19 della l.r. Toscana n. 12/2001).
    Gli  artt.  122  e  124  sono,  invece,  disposizioni che in modo
dettagliato  ed  esaustivo disciplinano le modalita' di pubblicita' e
comunicazione  per  gli appalti pubblici sotto soglia, senza che tale
compressione  dell'autonomia  regionale, in riferimento alla potesta'
legislativa  concernente  i  contratti  di  competenza della regione,
degli enti dipendenti e locali appaia per alcun motivo giustificata.
    In  primo  luogo, infatti, gli appalti sotto soglia non hanno una
valenza  macroeconomica  perche'  non  incidono in modo rilevante sul
mercato  (basti  pensare  a molteplici appalti di servizi e forniture
quali i servizi di pulizia, di formazione professionale, le forniture
di materiale per uffici di importo contenuto).
    In  ogni  caso,  come  sopra evidenziato, in virtu' della «tutela
della  concorrenza»  e'  possibile vincolare il legislatore regionale
solo con disposizioni di carattere generale, mentre nel caso concreto
si dettano anche disposizioni di dettaglio puntuale.
    Infine, l'intervento legislativo effettuato con le norme in esame
non  risponde  ai  criteri  di  proporzionalita'  ed adeguatezza. Una
volta,  infatti,  che  il  legislatore statale ha posto la regola che
tutte  le  procedure  di gara devono essere pubblicizzate con forme e
tempi  adeguati, ben puo' essere demandata all'autonomia regionale la
modulazione  del  procedimento  nel dettaglio, modulazione che potra'
tener conto, se del caso, della maggiore o minore rilevanza economica
dell'appalto.
    Cio'  soprattutto,  per  quanto concerne le forme di pubblicita',
tenuto conto che, la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, comporta
una  notevole  esposizione  economica  per  la  stazione  appaltante,
esposizione  che  appare  ragionevole  solo  qualora  l'importo  e la
complessita'  della  gara la giustifichino. Ed, infatti, in relazione
ai  contratti  sotto  soglia  le  leggi regionali hanno gia' da tempo
disciplinato  il procedimento, ivi comprese le forme di pubblicita' e
comunicazione, senza alcuna eccezione da parte statale.
    Le argomentazioni sopra riportate trovano conferma nel piu' volte
citato  parere  del  Consiglio  di  Stato,  ove  nella riformulazione
dell'art.  4,  al  terzo  comma  si  e' previsto, tra l'altro, che le
regioni  «devono  attenersi  ai  principi  in  materia di concorrenza
previsti  dal  presente  codice  in  tema  di  procedure di gara e di
contratti sotto soglia comunitaria.».
    Quindi  e'  chiaro  che  per  i contratti sotto soglia si ammette
l'intervento   regionale:   tale   riformulazione   della   norma  e'
giustificata nel parere in esame con la seguente considerazione:
        «Quanto  ai  contratti  al di sotto della soglia comunitaria,
compete  allo  Stato la fissazione di comuni principi, che assicurino
trasparenza,  parita' di trattamento e non discriminazione, senza che
pero' ricorra l'esigenza (di derivazione comunitaria) di estendere il
grado  di  uniformita'  alla  disciplina  di dettaglio. Quale sia poi
l'ambito di tali principi vincolanti per le regioni e' stato chiarito
dalla giurisprudenza costituzionale che, proprio con riferimento agli
acquisti   sotto  soglia  di  beni  e  servizi,  ha  riconosciuto  la
legittimita'  dell'applicabilita'  alle  regioni  dei  soli  principi
desumibili  dalla normativa nazionale di recepimento della disciplina
comunitaria,  la' dove impongono la gara, fissano l'ambito soggettivo
ed  oggettivo  di  tale  obbligo, limitano il ricorso alla trattativa
privata  e  collegano  alla violazione dell'obbligo sanzioni civili e
forme  di  responsabilita'  (Corte cost. n. 345 del 2004 in cui viene
fatta   distinzione   tra  le  norme  di  principio  in  una  materia
trasversale   quale   la   tutela  della  concorrenza  e  i  principi
fondamentali nei casi di legislazione concorrente)» ( paragrafo 3).
    Le  impugnate  disposizioni  non  rispettano  i suddetti principi
cosi' violando l'art. 117 della Costituzione.
    Similmente  e'  violato l'art. 118 della Costituzione perche' non
sussistono  motivi  di carattere unitario che impongano una minuziosa
ed identica disciplina normativa, dettata dal legislatore statale, in
relazione  alle  forme  di  pubblicita'  e  di  comunicazione per gli
appalti  sotto  soglia  e  perche', in ogni caso, non sussiste alcuna
previsione   di  coinvolgimento  delle  regioni  che  sarebbe  invece
necessario   in  applicazione  dei  principi  stabiliti  dalla  Corte
costituzionale gia' con la nota sentenza n. 303/2003.
    Le   disposizioni   impugnate   violano  anche  l'art.  76  della
Costituzione perche' non rispettano i principi ed i criteri direttivi
della legge delega.
    L'art.  25 della legge 18 aprile 2005, n. 62, infatti ha delegato
il  Governo  a compilare un unico testo normativo recante le norme in
materia   di   procedure  di  appalto  disciplinate  dalle  Direttive
comunitarie   2004/17   e   2004/18,   coordinando   anche  le  altre
disposizioni  in  vigore e a semplificare le procedure di affidamento
che   non   costituiscono   diretta   applicazione   delle  normative
comunitarie,  per  contenere  i  tempi e per la massima flessibilita'
degli strumenti giuridici.
    Dunque  i  criteri direttivi non consentivano l'emanazione di una
normativa  completa e dettagliata anche per i contratti sotto soglia,
di  lavori, servizi e forniture. Tale eccesso di delega si traduce in
una  lesione delle competenze regionali e dunque puo' essere eccepito
in questa sede.
    8)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  131,  comma 1, per
violazione  degli  artt. 117 e 118 della Costituzione. Violazione del
principio di leale cooperazione.
    Il  comma primo dell'art. 131 prevede che il governo, su proposta
dei  Ministri  del  lavoro  e  delle politiche sociali, della salute,
delle  infrastrutture  e dei trasporti e delle politiche comunitarie,
sentite  le  organizzazioni sindacali ed imprenditoriali maggiormente
rappresentative,  approva  le  modifiche che si rendono necessarie al
regolamento  recato  dal  decreto  del  Presidente della Repubblica 3
luglio  2003,  n. 222,  in materia di piani di sicurezza nei cantieri
temporanei o mobili, in conformita' alle direttive comunitarie e alla
relativa normativa nazionale di recepimento.
    Tale  previsione  si  ricollega a quanto previsto nell'art. 4, in
relazione  ai  piani  di sicurezza; come rilevato al precedente punto
1),  tale  norma ha riconosciuto una competenza esclusiva dello Stato
in  materia  di  piani di sicurezza e, conseguentemente, il dettaglio
dei  contenuti  dei  piani  medesimi  e'  demandato al regolamento in
esame,  emanato  a  modifica  del  precedente  d.P.R.  3 luglio 2003,
n. 222, ai sensi dell'art. 131 del d.lgs. n. 163/2006.
    La  previsione  del  predetto  regolamento  e' costituzionalmente
illegittima.
    Se  infatti,  come  sostenuto al preceduto punto 1) la disciplina
dei  piani  di  sicurezza  va  ascritta  alla  competenza legislativa
concorrente  delle regioni, allora deve ritenersi precluso, a seguito
della riforma del Titolo V della Costituzione, un regolamento statale
nella  materia  spettando  alla regione la «gestione normativa» della
stessa,  che  potra' essere esercitata attraverso fonti legislative o
regolamentari.
    Il  novellato  art.  117,  comma  6,  della  Costituzione limita,
infatti,  la potesta' regolamentare dello Stato soltanto alle materie
in  cui  esso  ha  competenza  legislativa  esclusiva, fatta salva la
possibilita'  di  delega alle regioni. In ogni altra ipotesi (materie
di  competenza  concorrente  e  residuale) il potere regolamentare e'
affidato agli enti regionali.
    Nella  denegata  ipotesi,  invece,  in cui fosse riconosciuta una
competenza  esclusiva  dello Stato in riferimento alla disciplina dei
piani  di  sicurezza, il predetto regolamento troverebbe applicazione
anche  nei  confronti delle regioni ai sensi dell'art. 117, comma VI,
della  Costituzione.  Le regioni si troverebbero, pertanto, di fronte
ad  un  quadro  normativo  dettagliato  ed  autoapplicativo, a totale
compressione  delle  diverse  esigenze  e  peculiarita'  di  cui ogni
autonomia locale e' espressione.
    E  cio'  senza il necessario coinvolgimento dei livelli regionali
nella  predisposizione  dello  stesso, in violazione del principio di
leale    collaborazione,    piu'   volte   richiamato   dalla   Corte
costituzionale.
                              P. Q. M.
    Si  chiede  che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita'
costituzionale  delle  norme  impugnate,  per  i  profili ed i motivi
indicati nel presente ricorso.
        Firenze-Roma, addi' 29 giugno 2006
               Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni

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