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N. 84 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 giugno 2006. |
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Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 30 giugno 2006 (della Regione Toscana)
(GU n. 36 del 6-9-2006 ) |
Ricorso della Regione Toscana in persona del presidente pro
tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 474
del 26 giugno 2006, rappresentato e difeso, per mandato in calce al
presente atto, dagli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni e presso
lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del
Viminale n. 43;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli:
4, secondo e terzo comma;
5, primo e secondo e quarto comma;
48;
75, primo comma;
84, secondo, terzo, ottavo e nono comma;
88;
121, primo comma;
122, secondo, terzo, quinto e sesto comma;
124, secondo, quinto e sesto comma;
131, primo comma
del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE), per violazione degli artt. 76, 117 e 118
della Costituzione, nonche' per violazione del principio della leale
cooperazione.
In attuazione della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per
l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia
alle Comunita' europee. Legge comunitaria 2004) e' stato approvato il
d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi
a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE) pubblicato sul Supplemento ordinario
n. 107/L alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 100 del
2 maggio 2006 - serie generale.
Il decreto legislativo ha lo scopo di recepire nel nostro
ordinamento le direttive comunitarie 2004/17 e 2004/18, entrambe del
31 marzo 2004, recanti rispettivamente il coordinamento delle
procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia,
degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali e il
coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di lavori forniture e di servizi.
Sulla prima stesura del testo e' stato espresso parere negativo
dalla Conferenza Stato-regioni in data 9 febbraio 2006 (doc. 1). In
particolare le regioni hanno lamentato:
sul piano del metodo, l'opportunita' ed anzi la doverosita'
in «ossequio alle indicazioni piu' volte espresse dalla Corte
costituzionale ed in continuita' con la prassi partecipativa piu'
volte sperimentata in occasione dell'emanazione di precedenti
normative nazionali di avviare un percorso condiviso e concertato con
le regioni, attesa la valenza e la portata di un provvedimento di
questa importanza»;
sul piano del contenuto, una dilatazione degli spazi
riservati alla competenza statale tali da contribuire «a determinare
tra Stato e regioni un assetto delle competenze legislative e dei
rispettivi ruoli ispirato al riconoscimento dello Stato quale unico
soggetto titolato a normare il settore dei lavori, dei servizi e
delle forniture pubblici, in aperta contraddizione con un'ormai
consolidata interpretazione dell'art. 117 che riconosce anche alle
regioni potesta' legislativa nei settori in parola».
Il testo del decreto legislativo e' stato, solo in parte,
modificato sulle scorta delle indicazioni espresse dalla Conferenza
Stato-regioni.
In esecuzione di quanto previsto dall'art. 25 della legge delega,
anche il Consiglio di Stato si e' espresso sullo schema di decreto
legislativo, con il parere n. 335/2006 (doc. 2), sollevando diversi
rilievi.
In particolare in detto parere il Consiglio di Stato ha
evidenziato:
che i contratti di pubblici lavori, servizi e forniture non
integrano una materia a se' stante, ma si qualificano a seconda
dell'oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti
di volta in volta a potesta' legislative esclusive dello Stato ovvero
a potesta' legislative concorrenti;
che percio', salvo che per gli aspetti riconducibili alla
potesta' legislativa esclusiva statale in tema di tutela della
concorrenza e ordinamento civile, deve essere riconosciuto spazio per
la legislazione regionale;
che tale competenza regionale va riconosciuta per i contratti
di interesse della regione, restando di competenza dello Stato i
contratti stipulati da amministrazioni e enti statali.
Da tali premesse il Consiglio di Stato ha tratto la conseguenza
che sono sottratti all'intervento regionale, perche' attinenti alla
tutela della concorrenza e all'ordinamento civile: la qualificazione
e selezione dei concorrenti, i criteri di aggiudicazione, il
subappalto e la vigilanza sul mercato affidata ad una autorita'
indipendente.
Invece e' stato ritenuto ammissibile l'intervento regionale in
riferimento ai profili organizzativi, procedurali, tra i quali la
progettazione dei lavori, servizi e forniture, la direzione lavori,
il collaudo, i compiti ed i requisiti del responsabile del
procedimento.
Il Consiglio di Stato ha altresi' rilevato ammissibile
l'intervento del legislatore regionale in relazione ai contratti al
di sotto della soglia comunitaria, ove compete allo Stato la
fissazione di comuni principi, che assicurino trasparenza, parita' di
trattamento e non discriminazione, senza che pero' ricorra l'esigenza
(di derivazione comunitaria) di estendere il grado di uniformita'
alla disciplina di dettaglio.
Il Codice e' destinato a sostituire una pletora di normative
(leggi, decreti e regolamenti) in materia di appalti tanto al di
sotto quanto al di sopra della soglia di applicazione delle direttive
comunitarie, unificando in un unico testo normativo la disciplina
riguardante i contratti pubblici di lavori servizi e forniture.
L'entrata in vigore del d.lgs. n. 163/2006 non completa,
peraltro, l'opera di codificazione atteso che per il perfezionamento
del nuovo sistema di regolazione degli appalti pubblici e' prevista
l'emanazione di un apposito regolamento di attuazione.
Cio' in difformita' con la disciplina previgente che prevedeva,
per lo meno in materia di fomiture e di servizi, una disciplina
unitaria (non dettagliata) per gli appalti sopra la soglia
comunitaria (attraverso i d.lgs. n. 157/1995 e n. 358/1992 di
recepimento delle direttive comunitarie) ma lasciava alla
legislazione regionale ampi spazi di disciplina in riferimento agli
appalti sotto la soglia comunitaria. Accanto alle normative relative
ai settori di fornitura e servizi, la legge n. 109/1994 si poneva
come legge di recepimento delle direttive comunitarie in materia di
lavori pubblici e come disciplina di riferimento per l'affidamento di
lavori al di sotto della soglia comunitaria.
Si deve far presente che la Regione Toscana ha una disciplina
organica in materia di appalti di servizi e forniture (l.r. 8 marzo
2001, n. 12 - Disciplina dell'attivita' contrattuale regionale - e
d.P.G.R. 5 settembre 2001, n. 45/R - Regolamento di attuazione della
l.r. 8 marzo 2001, n. 12 - Disciplina dell'attivita' contrattuale
regionale) relativa agli appalti indetti dalla regione medesima e
dagli enti regionali, mentre si sta apprestando a predisporre una
legge unitaria in materia di appalti di servizi forniture e lavori
pubblici da applicarsi anche alle autonomie locali che disciplinera'
tutti quegli aspetti dei settori in parola, comunque riconducibili
alla sfera di competenza regionale.
Il codice in esame, cosi' come emanato dal Governo, scardina
quindi l'assetto normativo regionale gia' costituito e lascia ben
pochi spazi alla futura regolamentazione della materia da parte della
regione medesima.
In particolare il testo presenta profili di dubbia legittimita'
costituzionale, nella parte in cui il legislatore statale si riserva
di legiferare (anche attraverso i successivi regolamenti) in ambiti
piu' propriamente riconducibili a competenze di tipo concorrente o
residuale delle regioni.
Pertanto si propone la presente impugnazione, basata sui seguenti
motivi di:
D i r i t t o
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, secondo e terzo
comma, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
Le disposizioni in esame sono mirate a definire il quadro delle
competenze normative statali e regionali nello specifico settore
degli appalti pubblici.
Il comma 2 dispone che nelle materie oggetto di competenza
concorrente «le regioni esercitano la potesta' normativa nel rispetto
dei principi fondamentali contenuti nelle norme del presente codice,
in particolare in tema di programmazione dei lavori pubblici,
approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi,
organizzazione amministrativa, compiti e requisiti del responsabile
del procedimento, sicurezza del lavoro».
Se la sicurezza sul lavoro e' individuata dall'art. 117 della
Costituzione, terzo comma, tra le materie di competenza concorrente,
con conseguente correttezza della disposizione, non e' invece
comprensibile la riconduzione alla potesta' legislativa concorrente
degli ulteriori aspetti previsti dalla norma.
In particolare, la programmazione dei lavori pubblici,
l'approvazione dei progetti, i compiti ed i requisiti del
responsabile del procedimento non appaiono riconducibili a materie
soggette alla legislazione concorrente, per cui non si comprende
perche' le regioni debbano essere vincolate al rispetto dei principi
statali, con riferimento agli appalti di competenza della regione
stessa nonche' degli enti regionali e locali. Infatti, in relazione a
tali profili, il citato parere del Consiglio di Stato, ha rilevato
ammissibile l'intervento del legislatore regionale.
Similmente non appare costituzionalmente legittimo l'aver
ricondotto alla potesta' legislativa concorrente gli aspetti relativi
all'«organizzazione amministrativa».
La Corte costituzionale ha, infatti, chiarito (sent. n. 17/2004)
come, nell'assetto delle competenze costituzionali configurato dal
nuovo Titolo V, parte II, della Costituzione, le competenze in
materia di ordinamento ed organizzazione amministrativa, per gli enti
diversi da quelli statali, e' transitato nella potesta' residuale
delle regioni. La precedente materia di competenza concorrente
dell'«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti
dalla regione» deve ad oggi considerarsi confluita nella competenza
legislativa esclusiva/residuale delle regioni.
Ed ancora si e' espressa sul punto la Corte costituzionale
riconfermando che «la materia innominata dell'organizzazione
amministrativa delle regioni e degli enti pubblici regionali - e'
preclusa allo Stato (a maggior ragione attraverso disposizioni di
dettaglio), e spetta alla competenza residuale delle regioni (v.
sent. n. 2 del 2004), ovviamente nel rispetto dei limiti
costituzionali (v. sent. n. 274 del 2003)» (sent. n. 380/2004).
Ne deriva, pertanto, che in tale materia lo Stato non e'
legittimato ad emanare principi fondamentali vincolanti per il
legislatore regionale il quale e', al contrario, obbligato, al
rispetto di quanto indicato dall'art. 117 della Costituzione, primo
comma, ovvero all'osservanza delle norme costituzionali, nonche' dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali.
Ne' possono qui profilarsi esigenze di carattere unitario che
consentono un'assunzione in sussidiarieta' da parte dello Stato, non
ravvisandosi, nel caso di specie, le specifiche condizioni
individuate dalla Corte costituzionale a legittimazione di tale
sussidiarieta': il rispetto dei criteri di proporzionalita' e
ragionevolezza ed il rispetto del principio di leale collaborazione,
in base al quale la funzione deve, comunque essere amministrata
attraverso intese con le regioni espropriate delle loro competenze
(sent. n. 303/2003, sent. n. 6/2004).
Ed anzi, riconoscere l'esistenza di esigenze unitarie in punto di
programmazione dei lavori pubblici, approvazione dei progetti,
compiti e requisiti del responsabile del procedimento, organizzazione
amministrativa implica, da una parte il disconoscimento in radice del
modello regionalistico voluto dalla Costituzione e dall'altra la
compressione delle legittime esigenze di differenziazione e
valorizzazione delle specifiche peculiarita' degli enti connotati da
autonomia costituzionalmente garantita.
La disposizione, pertanto, nella parte in cui riconduce alla
competenza concorrente anche l'organizzazione amministrativa, nonche'
la programmazione dei lavori pubblici, l'approvazione dei progetti, i
compiti e requisiti del responsabile del procedimento viola il
disposto degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
Il comma terzo prevede che le regioni non possano adottare una
disciplina diversa da quella del codice in relazione alla
qualificazione e selezione dei concorrenti, alle procedure di
affidamento, esclusi i profili di organizzazione amministrativa, ai
criteri di aggiudicazione, al subappalto, ai poteri di vigilanza
dell'Autorita', all'attivita' di progettazione, ai piani di
sicurezza, alla stipulazione e all'esecuzione dei contratti, ivi
compresi direzione dell'esecuzione, direzione dei lavori,
contabilita' e collaudo, ad eccezione dei profili di organizzazione e
contabilita' amministrativa, al contenzioso.
In riferimento ai piani di sicurezza va, in primo luogo,
evidenziato come non risulti compatibile con l'assetto costituzionale
delle competenze la scissione operata dalla norma tra «sicurezza del
lavoro» ricondotta correttamente dal secondo comma alla competenza
regionale di tipo concorrente e «piani di sicurezza» che vengono
ascritti, dal terzo comma, alla competenza di tipo esclusivo statale
(con conseguente, prevista inderogabilita' da parte della
legislazione regionale).
I piani di sicurezza assolvono infatti ad una duplice funzione,
comunque riconducibile nell'ambito di competenza concorrente
costituzionalmente riconosciuto alle regioni.
In primo luogo l'individuazione delle tipologie dei piani di
sicurezza e degli appalti in relazione ai quali sia ritenuta
necessaria la predisposizione dei piani medesimi, la determinazione
dei contenuti minimi dei piani, le modalita' di scorporo degli oneri
per la sicurezza da sottrarsi al ribasso di gara non possono che
essere finalizzati a garantire ai lavoratori impiegati nell'appalto
condizioni tali ridurre al minimo i rischi di infortuni con
conseguente necessaria riconduzione della disciplina dei piani stessi
alla piu' generale materia della «sicurezza del lavoro» in relazione
alla quale l'art. 117 della Costituzione riconosce alle regioni una
competenza di tipo concorrente.
E' pur vero che, secondo quanto affermato dalla Corte
costituzionale, la tutela e sicurezza del lavoro puo' riguardare
profili di pertinenza statale esclusiva, laddove siano coinvolti
aspetti attinenti alla determinazione dei livelli essenziali, ovvero
ai rapporti intersoggettivi datore di lavoro/lavoratore per loro
natura riconducibili alla materia «ordinamento civile» (sent.
n. 50/2005), ma e' anche vero che la disciplina dei piani di
sicurezza non coinvolge aspetti in alcun modo riconducibili agli
ambiti predetti essendo la stessa preordinata, come piu' sopra
evidenziato alla sola individuazione, analisi e valutazione dei
rischi concreti in riferimento alle lavorazioni interessate, nonche'
all'individuazione di misure preventive e protettive dirette al
contenimento dei rischi derivanti dalle lavorazioni medesime.
In secondo luogo i piani di sicurezza, costituiscono parte
integrante della progettazione esecutiva delle opere e, come tali,
sono destinati ad avere anche ricadute nell'ambito del «governo del
territorio», materia che viene, comunque, ricondotta dall'art. 117
della Costituzione alla competenza regionale di tipo concorrente.
Ne' puo' negarsi che la determinazione del contenuto dettagliato
dei piani di sicurezza (stante il rispetto dei principi fondamentali
che lo Stato e', comunque, chiamato a fissare) e' strettamente
connesso alla realta' imprenditoriale e territoriale cui il piano
stesso e' diretto, realta' la cui conoscenza, tutela e valorizzazione
non puo' che essere affidata al legislatore di livello regionale.
A supporto della suddetta tesi della ricorrente va qui richiamato
il citato parere del Consiglio di Stato n. 335/2006; il medesimo,
infatti, nel riformulare l'art. 4, terzo comma ha proposto il testo
seguente:
«Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, nel
rispetto dell'art. 117, secondo comma, lettere e) ed l) della
Costituzione non possono prevedere una disciplina diversa da quella
del presente Codice in relazione: alla qualificazione e selezione dei
concorrenti, ai criteri di aggiudicazione, al subappalto, ai poteri
di vigilanza sul mercato degli appalti affidati all'Autorita' per la
vigilanza sul mercato degli appalti affidati all'Autorita' per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, alla
stipulazione e all'esecuzione dei contratti, ad eccezione dei profili
di organizzazione amministrativa e di contabilita', nonche' al
contenzioso».
Risulta evidente che il Consiglio di Stato non ha proceduto ad
un'enucleazione della materia «piani della sicurezza» per ascriverla
alla competenza esclusiva dello Stato ma l'ha correttamente
ricondotto nell'ambito della materia «sicurezza sul lavoro» che, in
esecuzione di quanto disposto dall'art. 117 della Costituzione, viene
attribuita, dal secondo comma dell'articolo in esame, alla competenza
concorrente delle regioni.
Analoghe argomentazioni valgono in riferimento all'attivita' di
progettazione.
Il terzo comma in esame dichiara di competenza esclusiva statale,
ex art. 117, secondo comma della Costituzione, tutta l'attivita' di
progettazione.
Tale affermazione, tuttavia, non risulta coerente con il medesimo
art. 117 della Costituzione che non consente di ritenere rientrante
nell'elenco del secondo comma la progettazione dei lavori, dei
servizi e delle forniture.
Tale profilo, infatti, non e' incluso nel citato elenco di
materie riservate allo Stato e nemmeno in quelle soggette alla
legislazione concorrente: percio' sussiste la potesta' regionale a
disciplinare l'aspetto in esame in riferimento agli appalti di
lavori, servizi e forniture di competenza della regione, degli enti
regionali e locali. Come infatti, affermato dalla Corte
costituzionale nella sent. n. 282/2002 il nuovo riparto della
potesta' legislativa risultante dalla riforma del Titolo V, parte II,
della Costituzione impone non tanto la ricerca di uno specifico
titolo costituzionale di legittimazione dell'intervento regionale,
quanto, al contrario, un' indagine sulla sussistenza di riserve,
esclusive o parziali, di competenza statale, riserve che non sembrano
rawisarsi nel caso di specie.
In denegata ipotesi, la progettazione dei lavori, in quanto volta
a portare alla realizzazione di opere sul territorio, sarebbe
riconducibile alla materia del «governo del territorio», materia in
cui ricade «tutto cio' che attiene all'uso del territorio e alla
localizzazione di impianti ed attivita» (sent. n. 307/2003,)
comprensiva, quindi delle materie dell'urbanistica e dell'edilizia
(sent. n. 362/2003 e n. 196/2004). Ma in tal caso, si tratterebbe
comunque di materia soggetta a potesta' legislativa concorrente, e
quindi di competenza regionale da esplicarsi nel rispetto dei
principi stabiliti dallo Stato. Pertanto la norma sarebbe comunque
illegittima perche' non potrebbe ipotizzarsi una potesta' esclusiva
statale per la progettazione dei lavori.
Invece la progettazione di forniture e servizi non e' mai
riconducibile ad alcuna competenza statale costituzionalmente
riconosciuta, e va pertanto ascritta, come sopra rilevato, alla
competenza residuale delle regioni.
Oltre tutto la «progettazione di forniture e servizi», nella
sostanza, viene a coincidere con la disciplina dei capitolati
generali e speciali, strumenti diretti alla definizione degli aspetti
giuridici e tecnici dei contratti e, come tali, da ricondursi
necessariamente nella sfera di autonomia del singolo ente appaltante.
Resta, naturalmente, estranea alla materia della progettazione
cosi' intesa, tutta la disciplina degli affidamenti degli incarichi
di progettazione, attratti dalle materie espressamente enucleate dal
comma in esame sotto la rubrica «qualificazione e selezione dei
concorrenti» e «procedure di affidamento».
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, commi primo,
secondo e quarto per violazione degli artt. 117 e 118 della
Costituzione - Violazione del principio di leale cooperazione.
L'art. 5, primo comma dispone che con futuro regolamento verra'
dettata la disciplina attuativa del codice per i contratti pubblici
di lavori, servizi e forniture delle amministrazioni statali. Il
regolamento si applichera' anche ai contratti di tutte le altre
amministrazioni compresi gli enti regionali e locali, per gli aspetti
che l'art. 4, terzo comma, ha indicato come riservati allo Stato.
Il secondo comma prevede che il regolamento indica quali
disposizioni, esecutive o attuative di quelle di cui all'art. 4 comma
3 in ambiti di legislazione statale esclusiva, siano applicabili
anche alle regioni.
La presente censura e' collegata a quanto eccepito in relazione
all'art. 4 terzo comma. In particolare il legislatore, avendo
ricondotto alla potesta' legislativa esclusiva statale anche aspetti
che invece non vi rientrano (precisamente le attivita' di
progettazione ed i piani di sicurezza) ammette che il regolamento
disciplini tali aspetti anche per i contratti delle regioni ed
ammette, con una ulteriore estensione, che il regolamento indichi
quali altre norme si applichino alle regioni, perche' attuative di
disposizioni rientranti nel suddetto art. 4 comma 3.
Invece i due suddetti profili delle attivita' di progettazione e
dei piani di sicurezza non sono riconducibili alla potesta' esclusiva
statale (per i motivi esposti al precedente punto) e percio' il
regolamento non e' fonte abilitata a dettare una normativa anche per
le regioni.
Il novellato art. 117, sesto comma della Costituzione limita
infatti la potesta' regolamentare dello Stato solo alle materie in
cui il medesimo ha competenza esclusiva; il che non e' in riferimento
ai piani di sicurezza e all'attivita' di progettazione.
In denegata ipotesi, quand'anche si ritenessero legittimi i commi
1 e 2 dell'art. 5 in esame, sarebbe comunque incostituzionale il
quarto comma, il quale disciplina la procedura per l'adozione del
regolamento senza prevedere alcun coinvolgimento regionale.
Infatti l'ampio e dettagliato contenuto del regolamento va ad
interferire con competenze regionali per cui, in attuazione del
principio della leale collaborazione, sarebbe necessario che
l'emanando regolamento fosse subordinato ad attivita' concertative
con le regioni.
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 48 per violazione
degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
L'art. 48 disciplina le modalita' con cui le stazioni appaltanti
devono procedere al controllo sul possesso, da parte dei concorrenti,
dei requisiti di capacita' economica-finanziaria e
tecnico-organizzativa, richiesti dal bando di gara o dalla lettera
d'invito.
In particolare il primo comma e' diretto a disciplinare il
controllo «a campione» ed il secondo comma quello «puntuale» avente
ad oggetto l'aggiudicatario ed il secondo in graduatoria.
Il primo comma prevede che il controllo sia espletato su una
percentuale non inferiore al 10 delle offerte presentate, che detto
controllo venga effettuato prima dell'apertura delle offerte, con
conseguente sospensione della procedura di gara, che ai concorrenti
debba essere assegnato un termine non inferiore a 10 giorni per la
trasmissione della documentazione comprovante il possesso dei
suddetti requisiti, nonche' le conseguenti sanzioni in caso di
mancata presentazione della documentazione ovvero in caso di mancata
conferma dei requisiti dichiarati.
Se la scelta del suddetto regime sanzionatorio e' logicamente
riconducibile ad una competenza di tipo statale che assicuri
uniformita' in relazione ad un aspetto di cosi' notevole rilevanza,
non altrettanto puo' dirsi in riferimento agli altri contenuti della
norma in questione.
La percentuale dei soggetti da controllare, le modalita'
procedurali con cui la singola stazione appaltante procede al
suddetto controllo non possono, infatti, che ricondursi nell'ambito
dell'autonomia organizzativa della stazione appaltante medesima.
Fermo, infatti, il principio dettato dall'art 71 del d.P.R. 28
dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di documentazione amministrativa) in base al
quale le amministrazioni sono tenute ad effettuare idonei controlli,
anche a campione, sulle autodichiarazioni rese dai concorrenti, le
modalita' procedurali con cui questo principio viene attuato sono
espressione di scelte autonome ed organizzative delle amministrazioni
medesime. Il comma in esame detta una modalita' di espletamento dei
controlli indifferenziata in relazione a tutte le procedure di gara,
con la conseguente necessaria sospensione della procedura di gara
stessa.
La norma mutua il contenuto dall'art. 10, comma 1-quater della
legge n. 109/1994, estendendolo anche i settori delle forniture e dei
servizi, senza tenere in ragionevole conto le differenze e le
peculiarita' che questi settori hanno rispetto a quello dei lavori
pubblici. Se, infatti, il controllo sul possesso dei requisiti
tecnico-organizzativi ed economico-finanziari degli esecutori di
lavori pubblici puo' ritenersi soddisfatto con l'acquisizione delle
attestazione SOA e quindi puo' presumibilmente esaurirsi in tempi
brevi, non altrettanto puo' dirsi per il controllo sulle
dichiarazioni rese dai concorrenti in appalti diretti all'affidamento
di forniture o servizi.
I requisiti richiesti nei settori delle forniture e dei servizi
(servizi espletati, fatturato, organico, attrezzature ecc.) non
trovano un analogo organismo che li attesti, ma devono esere
controllati, dalla stazione appaltante, separatamente ed
analiticamente con conseguente dilatazione dei tempi necessari alla
conclusione dei controlli medesimi.
Ben potrebbero, quindi, le stazioni appaltanti decidere modalita'
diverse di controllo, al fine di limitare gli effetti negativi della
sospensione della gara, laddove la mancata conferma dei requisiti
posseduti da un concorrente, e quindi la sua illegittima
partecipazione, non infici il procedimento di gara nel suo complesso.
In caso, infatti, di aggiudicazione con il criterio del prezzo
piu' basso la valutazione della singola offerta non dipende da una
comparazione fra le offerte medesime che rende, come nel caso di
aggiudicazione all'offerta economicamente piu' vantaggiosa,
ragionevole anticipare il momento del controllo.
Tutto cio' senza tenere conto che, oltre ai requisiti
tecnico-orgnizzativi ed economico-finanziari i concorrenti
dichiarano, ai fini della partecipazione alla gara, anche il possesso
dei requisiti di ordine generale previsti dall'art. 38 del codice.
Le stazioni appaltanti, quindi, si trovano davanti alla scelta o
di effettuare una duplice procedura di controllo (durante la gara sui
requisiti tecnico-economici e dopo l'aggiudicazione provvisoria sui
requisiti giuridici), ovvero di unificare i due procedimenti, con
conseguente eccessiva dilatazione dei tempi della gara stessa ed a
discapito del generale principio di semplificazione.
Non puo' che ribadirsi, quindi, l'illegittimita' del comma in
esame dovendo la disciplina del procedimento di controllo sulle
autodichiarazioni rese dai concorrenti, essere rimessa all'autonomia
organizzativa della stazione appaltante che potra' modularla in
maniera differenziata per contemperare al meglio i vari interessi
coinvolti.
Analoghe argomentazioni possono essere sostenute in relazione al
secondo comma della norma, in particolare laddove lo stesso impone
alle stazioni appaltanti di controllare, oltre all'aggiudicatario
anche il concorrente che segue in graduatoria.
Come sopra gia' evidenziato, fermo il principio dell'obbligo di
effettuare controlli a campione e puntuali, le modalita' di
individuazione dei concorrenti oggetto del predetto controllo devono
essere ricondotti nell'ambito dell'autonomia organizzativa della
singola stazione appaltante.
Per quanto sopra, la norma viola il disposto dell'art. 117 della
Costituzione in quanto detta una disciplina dettagliata ed
autoapplicativa in una materia, l'organizzazione amministrativa, che
la Costituzione attribuisce alla competenza legislativa residuale
delle regioni.
Ne' possono qui profilarsi esigenze di carattere unitario che
consentano un'assunzione in sussidiarieta' da parte dello Stato,
sussidiarieta' che, come gia' detto, comporterebbe, in punto di
organizzazione amministrativa, da una parte il disconoscimento in
radice del modello regionalistico voluto dalla Costituzione e
dall'altra la compressione delle legittime esigenze di
differenziazione e valorizzazione delle specifiche peculiarita' degli
enti connotati da autonomia costituzionalmente garantita.
La norma pertanto viola il disposto dell'art. 118 della
Costituzione.
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 75 primo comma, per
violazione dell' art. 117.
Il primo comma dell'art. 75 prevede che l'offerta sia corredata
da una garanzia pari al due per cento del prezzo base indicato nel
bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione a
scelta dell'offerente.
La disposizione, che si trova collocata nella sezione II del
Titolo I - Contratti di rilevanza comunitaria - trova applicazione,
in virtu' del richiamo operato dall'art. 121 del codice medesimo,
anche per i contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria.
Ne deriva, quindi, l'obbligo per tutte le stazioni appaltanti
(comprese le regioni e gli enti regionali e locali) di richiedere, a
garanzia delle offerte presentate, una cauzione di importo pari a
quello indicato dall'art. 75, primo comma, in tutte le procedure di
gara, aventi ad oggetto forniture servizi e lavori, indipendentemente
dal tipo di procedura posta in essere e dall'importo del contratto
oggetto dell'affidamento.
Se le modalita' di costituzione della cauzione, i contenuti
specifici della stessa possono considerarsi attinenti a profili
concernenti l'ordinamento civile e, quindi, come tali riconducibili
alla competenza esclusiva dello Stato, non altrettanto puo' dirsi per
la parte della disposizione impugnata, la quale attiene, invece, a
profili piu' strettamente organizzativi che come tali devono essere
ricondotti alla competenza residuale delle regioni.
La richiesta della cauzione a garanzia dell'offerta comporta,
infatti, sia nella fase della gara che nella fase successiva
(procedimento si svincolo) adempimenti in termini burocratici che ben
possono e devono essere tenuti considerazione dalla singola stazione
appaltante al fine di poter effettuare un giusto contemperamento dei
vari interessi coinvolti: quello della semplificazione e quello dell'
acquisizione delle necessarie garanzie a corredo dell'offerta.
Puo', infatti, apparire eccessivo, per alcune procedure di gara
di importo limitato, da una parte obbligare tutti i concorrenti alla
presentazione della cauzione provvisoria (che comporta, comunque una
notevole esposizione in termini di tempo ed economici) e dall'altro
appesantire l'attivita' amministrativa degli uffici con gli
adempimenti necessari concomitanti e successivi alla procedura di
gara medesima.
Le predette valutazioni non possono che essere ricondotte
nell'ambito dell'attivita' organizzativa del singolo ente.
Ne' puo' negarsi che l'esigenza di assicurare la serieta' nella
presentazione delle offerte da parte dei concorrenti puo', comunque,
ottenersi anche con strumenti diversi.
Basti qui citare l'art. 25 della l.r. Toscana n. 12/2001 che
prevede la costituzione della cauzione provvisoria da parte del solo
concorrente aggiudicatario. In base alla predetta disposizione la
costituzione della cauzione costituisce condizione per l'emanazione
del provvedimento di aggiudicazione definitiva mentre la sua mancata
costituzione determina, ai sensi dell'art. 11 della legge regionale
medesima, l'esclusione del concorrente, per un periodo di tre anni,
dalle altre procedure di gara indette dall'amministrazione stessa.
Il primo comma dell'art. 75, pertanto, nella parte in cui non
consente alle regioni di modulare la richiesta della cauzione in modo
differenziato a seconda del tipo di procedura e di importo viola la
competenza residuale delle regioni in materia di organizzazione e
quindi l'art. 117 della Costituzione.
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 84, comma secondo,
terzo, ottavo e nono, per violazione degli artt. 76, 117 e 118 della
Costituzione.
L'art. 84 disciplina la composizione ed il funzionamento della
commissione giudicatrice nel caso in cui l'aggiudicazione avvenga con
il criterio dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa, sia per le
procedure di importo superiore alla soglia comunitaria, sia, in
virtu' del richiamo operato dall'art. 121 del codice, per le
procedure di importo inferiore.
La norma e' in contrasto con gli artt. 117 e 118 della
Costituzione.
Non puo', infatti, negarsi che l'individuazione del numero dei
componenti (comma 2), della qualifica del presidente (comma 3) e dei
commissari (comma 8) nonche' le modalita' di selezione degli stessi
(commi 8 e 9) debbano essere ricondotti nell'ambito organizzativo
della singola stazione appaltante che potra' modularli tenendo conto
della complessita' dell'oggetto della gara, nonche' dell'importo
della medesima.
Tutto cio' non esime naturalmente la regione dal rispetto dei
principi di trasparenza, parita' di trattamento e non
discriminazione, (di cui sono esplicitazione i commi non impugnati
della disposizione in esame) insiti nell'ordinamento e a cui la
regione deve, comunque, sottostare.
Nella denegata ipotesi in cui si riconduca la disciplina ed il
funzionamento della Commissione di aggiudicazione nell'ambito delle
«procedure di affidamento» di competenza esclusiva statale, in quanto
attinenti alla «tutela della concorrenza», vanno qui richiamati i
criteri individuati dalla Corte costituzionale atti a rendere
legittimo un intervento statale nella materia.
Non appaiono, infatti, qui configurabili ne' il carattere
macroeconomico (sent. n. 14/2004) ne' il criterio della
ragionevolezza ed adeguatezza (sent. n. 272/2004) necessari a fondare
l'intervento legislativo statale, dovendosi lo stesso limitare a
porre disposizioni di carattere generale e non disposizioni di
dettaglio, come quella in esame e come quelle saranno oggetto del
futuro regolamento.
Ed infatti, mai fino all'emanazione del Codice, lo Stato si era
spinto a dettare una disciplina specifica in materia di composizione
e funzionamento delle commissioni in relazione agli appalti di
forniture e di servizi ne' di importo superiore ne' di importo
inferiore alla soglia comunitaria.
E sotto tale profilo la norma e', altresi', censurabile, per
eccesso di delega.
L'art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62, infatti ha delegato
il Governo a compilare un unico testo normativo recante le norme in
materia di procedure di appalto disciplinate dalle Direttive
comunitarie n. 2004/17 e n. 2004/18, coordinando anche le altre
disposizioni in vigore e a semplificare le procedure di affidamento
che non costituiscono diretta applicazione delle normative
comunitarie, per contenere i tempi e per la massima flessibilita'
degli strumenti giuridici.
Dunque i criteri direttivi non consentivano l'emanazione di nuove
disposizioni se non per ragioni di semplificazione, ragioni che
sicuramente non si ravvisano nella norma in esame.
Tale eccesso di delega si traduce in una lesione delle competenze
regionali e puo', quindi, essere eccepito in questa sede.
Ne', tanto meno, trattandosi di aspetti organizzativi, sono
invocabili, a giustificazione della norma, esigenze di carattere
unitario che legittimino la disposizione ai sensi dell'art. 118 della
Costituzione.
Di qui il vizio eccepito.
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 88 per violazione
degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
L'art. 88 disciplina dettagliatamente il procedimento di verifica
e di esclusione delle offerte ritenute anormalmente basse.
In particolare sono stabilite le modalita' ed i tempi con cui
l'amministrazione deve richiedere i giustificativi alle imprese; la
convocazione dell'offerente ed i tempi della stessa.
Il profilo in esame non attiene a quello che il parere del
Consiglio di Stato n. 355/06 definisce il nucleo essenziale del
Codice, vale a dire gli aspetti di tutela della concorrenza quali la
qualificazione e selezione dei concorrenti, i criteri di
aggiudicazione, il subappalto e la vigilanza sul mercato degli
appalti affidata ad una autorita' indipendente.
Nel caso in esame, posto il principio - indiscutibile - per cui
l'offerta anomala va verificata e stabiliti i criteri di verifica
(artt. 86 e 87), si tratta di organizzare il procedimento attraverso
il quale procedere a detta verifica in contraddittorio con l'impresa.
E' pertanto certo che tale profilo attiene all'organizzazione e
quindi rientra nelle attribuzioni della regione, in riferimento ai
contratti della regione, degli enti regionali e locali.
Ne', come accennato, e' possibile sostenere che «la tutela della
concorrenza» costituisca un titolo legittimante le suddette
disposizioni.
La giurisprudenza costituzionale, in merito all'artt. 117,
secondo comma, lettera e) della Costituzione, ha rilevato che tale
norma «evidenzia l'intendimento del legislatore costituzionale del
2001 di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica
che attengono allo sviluppo dell'intero paese.... L'intervento
statale si giustifica dunque per la sua rilevanza macroeconomica:
solo in tale quadro e' mantenuta allo Stato la facolta' di adottare
sia specifiche misure di rilevante entita', sia regimi di aiuto
ammessi dall'ordinamento comunitario (fra i quali gli aiuti de
minimis), purche' siano in ogni caso idonei quanto ad accessibilita'
a tutti gli operatori ed impatto complessivo, ad incidere
sull'equilibrio economico generale» (sentenza n. 14/2004 e nello
stesso senso n. 272/2004; n. 77/2005).
La disciplina del procedimento con cui eseguire la verifica delle
offerte anomale non ha un impatto complessivo sull'economia; inoltre
la disciplina stessa e' dettagliata e minuziosa e percio'
l'intervento non rispetta i criteri dell'idoneita' e della
proporzionalita' rispetto al perseguimento di una esplicitata
esigenza unitaria (cosi' Corte costituzionale, sentenze nn. 4/2004;
36/2004; 64/2005).
Per i suddetti motivi sussistono le denunciate illegittimita'.
7) Illegittimita' costituzionale degli artt. 121, primo comma;
122, secondo, terzo, quinto e sesto comma; 124, secondo, quinto e
sesto comma, per violazione degli artt. 76, 117 e 118 della
Costituzione.
L'art. 121 dispone al primo comma che ai contratti pubblici
aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture di importo inferiore
alle soglie di rilevanza comunitaria si applicano le disposizioni
della parte I, della parte IV e della parte V nonche' quelle della
parte II del Codice, in quanto non derogate dalle norme dello
specifico titolo. In sostanza la disciplina di tutti i contratti
pubblici sotto soglia viene assimilata a quella dei contratti sopra
soglia salva la previsione di tempi e pubblicazioni ridotte; tuttavia
e' introdotto l'obbligo generalizzato di pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale per tutti i bandi.
L'art. 122, nei commi qui contestati, disciplina dettagliatamente
le modalita' ed i tempi di pubblicita' e di comunicazione per i
contratti di lavori pubblici sotto soglia; l'art. 124 disciplina gli
stessi aspetti, con riferimento agli appalti di servizi e forniture
sotto soglia.
Le norme impugnate si pongono in contrasto con gli artt. 117 e
118 della Costituzione nella parte in cui non prevedono uno spazio
per il legislatore regionale di disciplina del procedimento
relativamente ai contratti di appalti pubblici di lavori, forniture e
servizi sotto soglia.
In merito a tale profilo sono determinanti i principi stabiliti
dalla giurisprudenza costituzionale con riferimento ai servizi
pubblici locali a rilevanza economica, principi che sono applicabili,
per l'analogia delle problematiche giuridiche sottese, anche al
settore dei contratti pubblici.
La Corte ha chiarito che:
la competenza statale a legiferare nella materia sussiste
solo nei limiti delle disposizioni generali finalizzate alla tutela
della concorrenza; piu' precisamente e' affermato che «la
legittimazione statale e' riferibile solo alle disposizioni di
carattere generale che disciplinano le modalita' di gestione e
l'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica....
Solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme
regionali» (sentenza n. 272/2004 e sentenza n. 29/2006);
il titolo di legittimazione statale della tutela della
concorrenza non puo' essere eccessivamente dilatato perche' cio'
rischierebbe di vanificare lo schema di riparto dell'art. 117 della
Costituzione che vede attribuite alla potesta' legislativa residuale
e concorrente delle regioni materie la cui disciplina incide
innegabilmente sullo sviluppo economico, sul governo del territorio:
l'intervento statale si giustifica pertanto solo in ragione della sua
rilevanza macroeconomica (sent. n. 14/2004);
in ogni caso l'intervento del legislatore statale deve essere
ragionevole e proporzionato rispetto agli obiettivi attesi: il
criterio della proporzionalita' e dell'adeguatezza appare quindi
essenziale per verificare se la tutela della concorrenza legittimi o
meno l'intervento statale (sentenza n. 272/2004 citata). In
applicazione di tale criterio di proporzionalita' ed adeguatezza,
nella sentenza n. 272/2004, la Corte costituzionale ha ritenuto
incostituzionale l'art. 113, comma 7, secondo e terzo periodo, del
decreto legislativo n. 267/2000 perche' prevedeva dettagliatamente e
con tecnica autoapplicativa i vari criteri di aggiudicazione della
gara per la concessione dei servizi.
Proprio in applicazione dei suddetti principi, le norme impugnate
sono costituzionalmente illegittime.
In virtu' del richiamo operato, dall'art. 121 alle parti del
Codice dirette a disciplinare gli appalti di importo superiore alla
soglia comunitaria, il legislatore statale arriva a disciplinare in
relazione agli appalti sotto soglia tutta una serie di istituti fino
ad oggi demandati, senza alcuna censura da parte dello Stato, alla
competenza regionale.
Basti qui pensare a quanto gia' detto in riferimento all'obbligo
di acquisire la cauzione in tutte le procedure di gara (art. 75) o al
procedimento di individuazione delle offerte anormalmente basse (art.
86, primo e secondo comma. Ma il livello di dettaglio appare ancora
piu' evidente se si pensa al procedimento per l'acquisizione delle
giustificazioni in relazione alle offerte anomale, dettato dall'art.
86, quinto comma, laddove il legislatore si spinge a sancire
l'obbligo inderogabile per i concorrenti, di corredare l'offerta, sin
dalla presentazione, delle giustificazioni delle voci di prezzo che
concorrono a formare l'offerta stessa.
L'estensione di un simile dettaglio procedurale anche per appalti
di rilevanza economica assai modesta non appare legittimo alla luce
del criterio di ragionevolezza e proporzionalita' piu' volte invocato
dalla Corte costituzionale al fine di delimitare il potere
legislativo statale nella materia della «tutela della concorrenza».
Fermi i principi (di derivazione comunitaria) dell'obbligo di
procedere, in contraddittorio con il concorrente, alla verifica degli
elementi costitutivi dell'offerta, la disciplina dettagliata ed
autoapplicativa che viene delinearsi in virtu' del suddetto richiamo
non trova alcuna giustificazione nelle competenze che la Costituzione
attribuisce allo Stato in materia di «tutela della concorrenza».
Se si pensa, inoltre, che anche per gare di rilevanza ed importo
modesto il concorrente si trova gravato dall'onere di dettagliare
nell'offerta i singoli elementi costitutivi della stessa, appare
chiaro come venga qui violato ogni principio volto a garantire la
semplificazione e la massima partecipazione delle imprese alle
procedure di gara.
L'affidabilita' dell'offerta, alla cui valutazione e' diretto il
sistema della verifica delle offerte anormalmente basse, ben puo'
essere, invece, garantita attraverso meccanismi diversi non solo di
individuazione della soglia di anomalia ma anche e soprattutto
attraverso un procedimento differenziato che, in ragione dell'importo
e del tipo di procedura, possa eventualmente posticipare la richiesta
degli elementi giustificativi dell'offerta, ad un momento successivo
all'espletamento della gara, indirizzandola al solo concorrente
aggiudicatario. Tutto cio' con notevole semplificazione del
procedimento a vantaggio del concorrente e della stazione appaltante.
(Si veda a tal proposito l'art. 19 della l.r. Toscana n. 12/2001).
Gli artt. 122 e 124 sono, invece, disposizioni che in modo
dettagliato ed esaustivo disciplinano le modalita' di pubblicita' e
comunicazione per gli appalti pubblici sotto soglia, senza che tale
compressione dell'autonomia regionale, in riferimento alla potesta'
legislativa concernente i contratti di competenza della regione,
degli enti dipendenti e locali appaia per alcun motivo giustificata.
In primo luogo, infatti, gli appalti sotto soglia non hanno una
valenza macroeconomica perche' non incidono in modo rilevante sul
mercato (basti pensare a molteplici appalti di servizi e forniture
quali i servizi di pulizia, di formazione professionale, le forniture
di materiale per uffici di importo contenuto).
In ogni caso, come sopra evidenziato, in virtu' della «tutela
della concorrenza» e' possibile vincolare il legislatore regionale
solo con disposizioni di carattere generale, mentre nel caso concreto
si dettano anche disposizioni di dettaglio puntuale.
Infine, l'intervento legislativo effettuato con le norme in esame
non risponde ai criteri di proporzionalita' ed adeguatezza. Una
volta, infatti, che il legislatore statale ha posto la regola che
tutte le procedure di gara devono essere pubblicizzate con forme e
tempi adeguati, ben puo' essere demandata all'autonomia regionale la
modulazione del procedimento nel dettaglio, modulazione che potra'
tener conto, se del caso, della maggiore o minore rilevanza economica
dell'appalto.
Cio' soprattutto, per quanto concerne le forme di pubblicita',
tenuto conto che, la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, comporta
una notevole esposizione economica per la stazione appaltante,
esposizione che appare ragionevole solo qualora l'importo e la
complessita' della gara la giustifichino. Ed, infatti, in relazione
ai contratti sotto soglia le leggi regionali hanno gia' da tempo
disciplinato il procedimento, ivi comprese le forme di pubblicita' e
comunicazione, senza alcuna eccezione da parte statale.
Le argomentazioni sopra riportate trovano conferma nel piu' volte
citato parere del Consiglio di Stato, ove nella riformulazione
dell'art. 4, al terzo comma si e' previsto, tra l'altro, che le
regioni «devono attenersi ai principi in materia di concorrenza
previsti dal presente codice in tema di procedure di gara e di
contratti sotto soglia comunitaria.».
Quindi e' chiaro che per i contratti sotto soglia si ammette
l'intervento regionale: tale riformulazione della norma e'
giustificata nel parere in esame con la seguente considerazione:
«Quanto ai contratti al di sotto della soglia comunitaria,
compete allo Stato la fissazione di comuni principi, che assicurino
trasparenza, parita' di trattamento e non discriminazione, senza che
pero' ricorra l'esigenza (di derivazione comunitaria) di estendere il
grado di uniformita' alla disciplina di dettaglio. Quale sia poi
l'ambito di tali principi vincolanti per le regioni e' stato chiarito
dalla giurisprudenza costituzionale che, proprio con riferimento agli
acquisti sotto soglia di beni e servizi, ha riconosciuto la
legittimita' dell'applicabilita' alle regioni dei soli principi
desumibili dalla normativa nazionale di recepimento della disciplina
comunitaria, la' dove impongono la gara, fissano l'ambito soggettivo
ed oggettivo di tale obbligo, limitano il ricorso alla trattativa
privata e collegano alla violazione dell'obbligo sanzioni civili e
forme di responsabilita' (Corte cost. n. 345 del 2004 in cui viene
fatta distinzione tra le norme di principio in una materia
trasversale quale la tutela della concorrenza e i principi
fondamentali nei casi di legislazione concorrente)» ( paragrafo 3).
Le impugnate disposizioni non rispettano i suddetti principi
cosi' violando l'art. 117 della Costituzione.
Similmente e' violato l'art. 118 della Costituzione perche' non
sussistono motivi di carattere unitario che impongano una minuziosa
ed identica disciplina normativa, dettata dal legislatore statale, in
relazione alle forme di pubblicita' e di comunicazione per gli
appalti sotto soglia e perche', in ogni caso, non sussiste alcuna
previsione di coinvolgimento delle regioni che sarebbe invece
necessario in applicazione dei principi stabiliti dalla Corte
costituzionale gia' con la nota sentenza n. 303/2003.
Le disposizioni impugnate violano anche l'art. 76 della
Costituzione perche' non rispettano i principi ed i criteri direttivi
della legge delega.
L'art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62, infatti ha delegato
il Governo a compilare un unico testo normativo recante le norme in
materia di procedure di appalto disciplinate dalle Direttive
comunitarie 2004/17 e 2004/18, coordinando anche le altre
disposizioni in vigore e a semplificare le procedure di affidamento
che non costituiscono diretta applicazione delle normative
comunitarie, per contenere i tempi e per la massima flessibilita'
degli strumenti giuridici.
Dunque i criteri direttivi non consentivano l'emanazione di una
normativa completa e dettagliata anche per i contratti sotto soglia,
di lavori, servizi e forniture. Tale eccesso di delega si traduce in
una lesione delle competenze regionali e dunque puo' essere eccepito
in questa sede.
8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 131, comma 1, per
violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione. Violazione del
principio di leale cooperazione.
Il comma primo dell'art. 131 prevede che il governo, su proposta
dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali, della salute,
delle infrastrutture e dei trasporti e delle politiche comunitarie,
sentite le organizzazioni sindacali ed imprenditoriali maggiormente
rappresentative, approva le modifiche che si rendono necessarie al
regolamento recato dal decreto del Presidente della Repubblica 3
luglio 2003, n. 222, in materia di piani di sicurezza nei cantieri
temporanei o mobili, in conformita' alle direttive comunitarie e alla
relativa normativa nazionale di recepimento.
Tale previsione si ricollega a quanto previsto nell'art. 4, in
relazione ai piani di sicurezza; come rilevato al precedente punto
1), tale norma ha riconosciuto una competenza esclusiva dello Stato
in materia di piani di sicurezza e, conseguentemente, il dettaglio
dei contenuti dei piani medesimi e' demandato al regolamento in
esame, emanato a modifica del precedente d.P.R. 3 luglio 2003,
n. 222, ai sensi dell'art. 131 del d.lgs. n. 163/2006.
La previsione del predetto regolamento e' costituzionalmente
illegittima.
Se infatti, come sostenuto al preceduto punto 1) la disciplina
dei piani di sicurezza va ascritta alla competenza legislativa
concorrente delle regioni, allora deve ritenersi precluso, a seguito
della riforma del Titolo V della Costituzione, un regolamento statale
nella materia spettando alla regione la «gestione normativa» della
stessa, che potra' essere esercitata attraverso fonti legislative o
regolamentari.
Il novellato art. 117, comma 6, della Costituzione limita,
infatti, la potesta' regolamentare dello Stato soltanto alle materie
in cui esso ha competenza legislativa esclusiva, fatta salva la
possibilita' di delega alle regioni. In ogni altra ipotesi (materie
di competenza concorrente e residuale) il potere regolamentare e'
affidato agli enti regionali.
Nella denegata ipotesi, invece, in cui fosse riconosciuta una
competenza esclusiva dello Stato in riferimento alla disciplina dei
piani di sicurezza, il predetto regolamento troverebbe applicazione
anche nei confronti delle regioni ai sensi dell'art. 117, comma VI,
della Costituzione. Le regioni si troverebbero, pertanto, di fronte
ad un quadro normativo dettagliato ed autoapplicativo, a totale
compressione delle diverse esigenze e peculiarita' di cui ogni
autonomia locale e' espressione.
E cio' senza il necessario coinvolgimento dei livelli regionali
nella predisposizione dello stesso, in violazione del principio di
leale collaborazione, piu' volte richiamato dalla Corte
costituzionale.
P. Q. M.
Si chiede che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita'
costituzionale delle norme impugnate, per i profili ed i motivi
indicati nel presente ricorso.
Firenze-Roma, addi' 29 giugno 2006
Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni
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