Ricorso della Regione Siciliana, in persona  del  Presidente  pro tempore,   rappresentato   e   difeso,   sia    congiuntamente    che disgiuntamente, giusta procura a margine  del  presente  atto,  dagli Avvocati Beatrice Fiandaca e Marina Valli, elettivamente  domiciliato presso la sede dell'Ufficio della  Regione  Siciliana  in  Roma,  via Marghera n. 36, ed autorizzato a proporre ricorso  con  deliberazione della Giunta regionale allegata;

    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  pro  tempore, domiciliato per la carica in Roma,  Palazzo  Chigi,  Piazza  Colonna, 370, presso gli Uffici della Presidenza del Consiglio dei ministri, e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni  urgenti  per  la  concorrenza,   lo   sviluppo   delle infrastrutture   e   la   competitivita'»,   come   convertito,   con modificazioni, con legge 24 marzo 2012, n. 27,  pubblicata  nella  24

marzo 2012, n. 71, S.O.,

        quanto all'articolo 2, comma 4 per  violazione  dell'art.  36 dello Statuto e delle correlate norme di attuazione di cui al  d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 e in  particolare  dell'art.  2  nonche'  del principio di leale collaborazione;

        quanto all'articolo 35, commi 4 e 5 per violazione  dell'art. 36 dello Statuto e delle correlate norme  di  attuazione  di  cui  al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 e in particolare dell'art.  2  nonche' dell'art.  43  dello  Statuto  stesso  e  del.  principio  di   leale collaborazione;

        quanto all'articolo 35, commi 8, 9, 10 e  13  per  violazione degli articoli 20, 36 e 43 dello Statuto e dell'art. 2 del d.P.R.  n. 1074 del 1965 nonche' dell'art. 10 L.C.  n.  3/2001  con  riferimento agli artt. 117, comma 3 e 119, commi 1 e 2 della Costituzione.

 

                              F a t t o

 

    Nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 24 marzo 2012, n. 71, S.O. e' stata pubblicata la legge 24 marzo  2012,  n.  27,  di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti  per  la  concorrenza,  lo  sviluppo

delle infrastrutture e la competitivita'».

    Al Titolo I, Capo I del  decreto-legge  in  argomento,  l'art.  2 prevede l'istituzione del  «Tribunale  delle  imprese»  ampliando  in misura significativa la sfera di  competenza  delle  attuali  sezioni specializzate in materia di proprieta' industriale  e  intellettuale, istituite dal decreto legislativo  n.  168  del  2003  presso  alcuni tribunali e corti d'appello.  Le  sezioni  specializzate  in  materia d'impresa, se non  gia'  previste,  sono  istituite  presso  tutti  i tribunali e corti d'appello con sede nel capoluogo di ogni regione.

    Il comma  3  dell'articolo  in  esame  aggiunge  un  comma  1-ter all'art. 13 del d.P.R. n. 115/2002 che raddoppia, per i  processi  di competenza  delle  sezioni  specializzate,  il  contributo  unificato previsto dal T.U. spese di giustizia.

    Il successivo comma 4 dell'articolo  2  dispone  che  il  maggior gettito derivante dall'aumento del contributo  unificato  e'  versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato, quanto a euro 600.000  per  ciascuno  degli  anni  2012  e  2013,  per  essere destinato agli oneri derivanti dall'istituzione delle  nuove  sezioni

specializzate in materia di impresa e per la restante parte al  fondo istituito ai sensi dell'articolo 37, comma 10, del  d.l.  n.  98  del 2011. Dal 2014, l'intero  maggior  gettito  e',  invece,  versato  al citato fondo.

    L'art. 35 recante «Misure per la tempestivita' dei pagamenti, per l'estinzione dei  debiti  pregressi  delle  amministrazioni  statali, nonche' disposizioni in materia di tesoreria unica» dispone, ai commi 4 e 5, la riserva all'erario  delle  maggiori  entrate  ottenute  nei territori delle Regioni a Statuto speciale e delle Province  autonome di Trento  e  di  Bolzano  dall'incremento  dell'accisa  sull'energia elettrica e, con tali risorse, provvede, in  gran  parte,  a  coprire l'onere derivante dall'attuazione del comma 1  (quantificato  in  235 milioni di euro annui  a  decorrere  dal  2012),  recante  interventi finalizzati ad  accelerare  il  pagamento  dei  crediti  commerciali, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame e connessi a transazioni commerciali per l'acquisizione  di  servizi  e forniture, certi, liquidi  ed  esigibili,  corrispondenti  a  residui

passivi del bilancio dello Stato.

    Di tale maggior gettito pari complessivamente a 241,4 milioni  di euro, il comma  4  prevede  che  235  milioni  di  euro  annui  siano destinati dalle Regioni a statuto speciale e dalle Province  Autonome al  concorso  alla  finanza  pubblica,  cifra  che  si  aggiunge   al contributo alla finanza pubblica che i medesimi enti sono chiamate  a

dare, ai sensi dell'art. 28, comma 3, del decreto-legge  n.  201/2011 (cosiddetto «salva Italia») e quantificato in  860  milioni  annui  a decorrere dall'anno 2012.

    I rimanenti 6,4 milioni di euro restano acquisiti all'erario  dal 2012.

    Ai sensi  del  successivo  5  comma  le  variazioni  di  bilancio conseguenti all'applicazione del suindicato comma 4 sono disposte con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

    I commi 8, 9, 10 e 13 del medesimo art. 35 assoggettano al regime di tesoreria unica gli enti e organismi gia' destinatari  del  regime di tesoreria c.d. mista, sospeso fino al 31 dicembre 2014.

    Le disposizioni surriportate si profilano  illegittime  e  lesive dei parametri statutari e costituzionali come individuati in epigrafe per i seguenti motivi.

 

                            D i r i t t o

 

Art. 2, comma 4.

    Violazione dell'articolo 36  dello  Statuto  e  delle  «Norme  di attuazione  dello  Statuto  della  Regione   Siciliana   in   materia finanziaria»  di  cui  al  d.P.R.  26  luglio  1965,  n.  1074  e  in particolare   dell'art.   2,   nonche'   del   principio   di   leale collaborazione.

    La norma rubricata prevede la destinazione all'erario statale del maggior  gettito  derivante  dall'aumento  del  contributo  unificato stabilito dal comma 3 del medesimo articolo.

    Tuttavia, la destinazione del gettito  delle  entrate  tributarie riscosse  nel  territorio  della  Regione   Siciliana   puo'   essere sottoposta a deroghe e limitazioni solo qualora ricorrano determinate condizioni. La prima, e cioe' quella  della  novita',  e'  stata  ben individuata dalla giurisprudenza di codesta Corte che,  con  sentenza

n. 49 del 1972 ha precisato che «per nuova entrata tributaria, di cui all'art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, contenente le norme di attuazione  dello  Statuto  della  Regione   Siciliana   in   materia finanziaria, deve intendersi non un tributo nuovo, ma solo un'entrata derivante  da  un  atto  impositivo  nuovo,  in  mancanza  del  quale l'entrata non si sarebbe verificata, a nulla rilevando che  il  nuovo atto impositivo introduca un tributo nuovo o ne aumenti soltanto  uno precedente». Tuttavia l'atto  impositivo  nuovo  deve  soddisfare  il

requisito della specificita' dello  scopo  cosi'  come  espressamente previsto dall'art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n.  1074,  contenente le norme di attuazione  dello  Statuto  della  Regione  Siciliana  in materia finanziaria. Ed invero, dalle previsioni recate  dagli  artt. 36 dello Statuto e dall'articolo 2 del  d.P.R.  26  luglio  1965,  n.

1074, emerge la regola generale secondo  la  quale,  a  parte  talune individuate  eccezioni,  tra  le  quali  sono  da  ricomprendere   le (effettivamente)  nuove  entrate  tributarie  il  cui   gettito   sia destinato con apposite  leggi  alla  copertura  di  oneri  diretti  a soddisfare particolari finalita'  contingenti  o  continuative  dello

Stato  specificate  nelle  leggi  medesime,  spettano  alla   Regione Siciliana,  oltre  alle  entrate  tributarie  da  essa   direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate.

    Ora, la norma  in  esame,  malgrado  preveda  un  incremento  del gettito di un'imposta preesistente, non indica,  come  dovrebbe,  una specifica destinazione dello stesso che ne giustifichi l'attribuzione allo Stato assolvendo cosi' alla prescrizione contenuta  dall'art.  2

del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, per  potersi  fare  eccezione  al principio devolutivo - da esso stabilito ai sensi dell'art. 36  dello Statuto speciale - di «tutte le entrate tributarie erariali  riscosse nell'ambito  del  suo  territorio,  dirette  o  indirette,   comunque denominate» ed e', pertanto, lesiva dei parametri rubricati.

    La  natura  di  «entrata  tributaria  erariale»  del   contributo unificato e' gia' stata affermata da  codesta  Eccellentissima  Corte con la sentenza n. 73 del 2005.

    Ne consegue la spettanza alla  Regione  non  potendo  prescindere dalla circostanza che la riserva al bilancio statale dei proventi  in questione non appare correlata, tranne forse che per  il  2012  e  il 2013  ma  certamente  non  per  gli  anni  successivi,  a  specifiche finalita' che configurino il requisito della clausola di destinazione

richiesta dall'art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, per potersi fare eccezione al principio devolutivo.

    Un ulteriore vulnus al sistema finanziario garantito alla Regione deriva dalla norma impugnata nella  parte  in  cui,  riservando  allo Stato il maggior gettito derivante dai nuovi importi fissati  per  il contributo unificato nel processo dinanzi alle sezioni  specializzate in materia d'impresa, non prevede  la  partecipazione  della  Regione

Siciliana al procedimento di ripartizione tra  Stato  e  Regione  dei relativi proventi riscossi in Sicilia.

    Codesta ecc.ma Corte costituzionale decidendo giudizi  instaurati da questa Regione ha piu' di una volta stigmatizzato l'illegittimita' costituzionale dell'assenza di  una  tale  previsione  che  viola  il «principio di leale cooperazione, dal  momento  che  le  clausole  di riserva all'erario di nuove  entrate  (contenute  nelle  disposizioni censurate) costituiscono un meccanismo di deroga  alla  regola  della spettanza alla Regione del gettito dei tributi erariali (salve alcune eccezioni)  riscosso  nel  territorio  della  medesima,  e  la   loro

attuazione incide,  dunque,  direttamente  sulla  effettivita'  della garanzia  dell'autonomia  finanziaria  regionale»  (cosi'  sent.   n. 228/2001 e in termini le precedenti sentenze  n.  98,  n.  347  e  n. 348/2000).

Art. 35, commi 4 e 5.

    Violazione dell'art 36 dello Statuto e delle correlate  norme  di attuazione in materia finanziaria, in particolare dell'art. 2  d.P.R. n. 1074/1965, nonche' dell'art.  43  dello  Statuto  medesimo  e  del principio di leale collaborazione.

    La norma rubricata prevede, ai commi 4 e  5,  un  incremento  del concorso delle Regioni a statuto speciale e delle  Province  autonome di Trento e Bolzano - gia'  previsto  dall'art.  28,  comma  3  primo periodo del d.l. 6  dicembre  2011,  n.  201,  come  convertito,  con modificazioni, con legge 23 dicembre 2011,  n.  214  -  alla  finanza pubblica mediante la destinazione a  questa  delle  maggiori  entrate derivanti ai  predetti  enti  dall'incremento  delle  aliquote  delle accise   sull'energia   elettrica   a   seguito   della    cessazione

dell'applicazione dell'addizionale comunale e provinciale  all'accisa sull'energia elettrica e stabilisce che le conseguenti variazioni  di bilancio  (comma  5)  siano  effettuate  con  decreti  del  Ministero dell'economia e delle finanze.

    La disposizione in esame si aggiunge  all'altra,  precedentemente emanata dallo Stato, dell'art. 28, comma 3 del d.l. 6 dicembre  2011, n. 201, come convertito, con modificazioni,  con  legge  23  dicembre 2011, n. 214, impugnata da questa Regione con ricorso iscritto al  n.

39/2012 del Registro Ricorsi di Codesta Ecc.ma Corte.

    Analogamente a quanto prospettato per la precedente questione  di legittimita' costituzionale, la norma sottoposta oggi a scrutinio  di costituzionalita' dispone per le Autonomie Speciali fra le  quali  la Sicilia la riserva all'erario delle  maggiori  entrate  ottenute  nei

territori  delle  stesse  dall'aumento  del  gettito   delle   accise sull'energia  elettrica.  Cio'  provoca  un  evidente   vulnus   alle prerogative statutarie dal momento che l'aumento di  gettito  non  e' destinato alla Regione Siciliana  per  il  soddisfacimento  dei  suoi bisogni indistinti ma per assicurare, da parte della Regione  stessa, l'incremento del concorso  previsto  dall'art.  28,  comma  3,  primo periodo del decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201,  a  decorrere dall'anno 2012. Cio' con  conseguente  violazione  del  principio  di leale collaborazione oltre che dell'art. 36 dello Statuto e dell'art. 2 delle relative norme di attuazione in materia finanziaria.

    Ed invero il surriportato meccanismo  si  profila  illegittimo  e lesivo delle prerogative statutarie come sopra individuate in quanto, oltre a sottrarre alla Regione il gettito di sua spettanza necessario alla copertura del fabbisogno finanziario della stessa, dispone senza che  sia  stato  assicurato  il  rispetto  delle  procedure  previste

dall'art. 27 della legge n. 42/2009, tendenti a  garantire  modalita' applicative dei detti meccanismi di concorso  alla  finanza  pubblica che siano rispettose delle peculiarita' di questa regione  a  statuto speciale.

    La  destinazione  finale  all'erario  dello  Stato,  del  gettito derivante  dalle  maggiori  entrate  di  spettanza  della  Regione  e concernente l'incremento delle  aliquote  delle  accise  sull'energia elettrica    a    seguito    della    cessazione    dell'applicazione dell'addizionale  comunale  e  provinciale  all'accisa   sull'energia elettrica  coinvolgendo  questa  Regione,   avrebbe   dovuto   essere quantomeno determinata sentita la ricorrente, e quindi tale omissione configura violazione  del  principio  di  leale  collaborazione  che, secondo consolidata giurisprudenza costituzionale,  deve  ispirare  i rapporti fra Stato e Regioni. (fra le tante: Corte costituzionale  n. 31 del 2006).

    La disposizione in esame  viola  inoltre  palesemente  l'art.  43 dello Statuto.

    Ed invero, la commissione paritetica ivi prevista -  composta  da quattro  membri  -  e'  titolare  di   una   speciale   funzione   di partecipazione al procedimento legislativo, in quanto,  «determinera' le norme» relative sia al passaggio alla Regione degli uffici  e  del personale dello Stato sia all'attuazione dello statuto stesso.  Detta

Commissione  rappresenta,  dunque,  un  essenziale  raccordo  tra  la Regione e il legislatore statale,  funzionale  al  raggiungimento  di tali specifici obiettivi che nella fattispecie in esame sussistono  e che sono stati vulnerati dal Governo statale  con  grave  pregiudizio delle prerogative statutarie.

    Parimenti risulta violato il principio della leale collaborazione per effetto dell'immediata applicazione delle  norme  impugnate  alla regione Siciliana senza alcuna previa interlocuzione con la medesima.

    In proposito si osserva che, secondo un  principio  costantemente affermato dalla giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte, in tali  casi «l'illegittimita' della condotta  dello  Stato  risiede  nel  mancato tentativo di raggiungere l'intesa, che richiede, in applicazione  del

principio di leale cooperazione, che le parti abbiano dato  luogo  ad uno sforzo per dar vita all'intesa stessa, da realizzare e ricercare, laddove occorra, attraverso reiterate trattative volte a superare  le divergenze che ostacolino il raggiungimento  di  un  accordo»  (Corte costituzionale n. 255/2011). Peraltro, Codesta Corte ha costantemente affermato: «che il principio di leale collaborazione deve  presiedere a tutti i rapporti che intercorrono  tra  Stato  e  Regioni:  la  sua elasticita' e la sua adattabilita' lo rendono particolarmente  idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti ..., attenuando i dualismi  ed evitando eccessivi irrigidimenti. La genericita' di questo parametro, se utile per i  motivi  sopra  esposti,  richiede  tuttavia  continue precisazioni e concretizzazioni.  Queste  possono  essere  di  natura legislativa, amministrativa o giurisdizionale, a partire dalla  ormai copiosa  giurisprudenza  di  questa  Corte.  Una  delle   sedi   piu' qualificate per l'elaborazione di regole destinate  ad  integrare  il parametro della leale collaborazione e' attualmente il sistema  delle Conferenze Stato-regioni  e  autonomie  locali.  Al  suo  interno  si

sviluppa il confronto tra i due grandi  sistemi  ordinamentali  della Repubblica, in esito al quale si individuano soluzioni concordate  di questioni controverse» (Corte costituzionale n. 31 del 2006).

    In  ossequio  alla  suddetta  previa  intesa,   applicativa   del principio di leale collaborazione, lo Stato avrebbe dovuto concordare al previsto tavolo di confronto per il  coordinamento  della  finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome  istituito dall'art.  27  della  legge   n.   42/2009   presso   la   Conferenza Stato-regioni, le modalita' applicative della norma oggi sottoposta a scrutinio di costituzionalita'.

    In proposito Codesta Ecc.ma Corte ha evidenziato (sentenza n. 204 del 1993) che il sistema complessivo dei rapporti tra lo Stato  e  le regioni  deve   essere   improntato   al   principio   della   «leale collaborazione»,  ed  ha  avvertito  il  Governo  che,  ogniqualvolta intenda provvedere, nonostante il mancato raggiungimento  dell'intesa con le regioni, ha l'obbligo di motivare adeguatamente le ragioni  di interesse   nazionale   che   lo   hanno   determinato   a   decidere

unilateralmente.

    Quest'obbligo, ribadito nella sentenza n.  116  del  1994  e  poi nella successiva sentenza n. 338 dello stesso anno, evidenzia come il ruolo assunto  dalla  Conferenza  Stato-regioni  sia  fondamentale  e determinante per favorire l'accordo e la collaborazione tra  l'uno  e le altre.

    Codesta Corte ha, infatti, precisato (sentenza n. 116/94) «che la Conferenza e' la sede privilegiata del confronto e della negoziazione politica tra lo Stato e le regioni (e le province  autonome)  ...  in quanto tale, la Conferenza  e'  un'istituzione  operante  nell'ambito della comunita'  nazionale  come  strumento  per  l'attuazione  della cooperazione tra lo Stato, le regioni e le province autonome».

Art. 35, commi 8, 9, 10 e 13.

    Violazione degli artt. 20, 36 e 43 dello Statuto  e  dell'art.  2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 nonche' dell'art. 10 L.C. n.  3/2001  con riferimento agli artt. 117,  comma  3  e  119,  commi  1  e  2  della Costituzione.

    Le disposizioni in esame  assoggettano  al  regime  di  tesoreria unica gli enti e organismi gia' destinatari del regime  di  tesoreria c.d. mista, sospeso fino al 31 dicembre 2014.

    L'applicabilita'  anche  alla  nostra  Regione  del  sistema   di tesoreria tradizionale consegue non solo alla mancanza,  nella  norma che lo  (re)introduce  in  via  generale,  di  apposita  clausola  di esclusione ma dallo stesso ambito dei  destinatari  individuati  come visto nei soggetti giuridici ai quali si applicava in  precedenza  (e

dovrebbe nuovamente applicarsi dal 1° gennaio 2015) il  c.d.  sistema misto.

    Sopprimendosi ogni distinzione fra  entrate  proprie  ed  entrate provenienti dal bilancio statale  le  Regioni  non  possono  detenere alcuna giacenza presso il proprio tesoriere o cassiere.

    E cio' non solo per  il  futuro  atteso  anche  che  il  comma  9 stabilisce uno strettissimo scadenzario, i  cui  termini  sono  tutti trascorsi, per il versamento delle disponibilita'  depositate  presso tesorieri o cassieri alla data di entrata in vigore  del  decreto  ed impone altresi' lo smobilizzo  entro  il  prossimo  30  giugno  degli investimenti finanziari,  la  cui  individuazione  e'  rimessa  a  un decreto del Dipartimento del  Tesoro,  con  conseguente  riversamento delle risorse presso la tesoreria statale.

    Quale  norma  di  chiusura,  al  comma   13,   e'   prevista   la rinegoziazione dei contratti di tesoreria e di cassa  in  essere  con diritto per l'ente di recedere dal contratto nel caso in cui  non  si raggiunga l'accordo.

    Quanto ai precedenti normativi in materia e' appena  il  caso  di accennare che un primo intervento, recato dall'art. 31 della legge n. 468 del 1978, obbligava le Regioni a  depositare  «le  disponibilita' liquide» in conti correnti non vincolati con il Tesoro «limitatamente alle assegnazioni, contributi e quanto altro proveniente dal bilancio dello Stato». Di poi, anche nei suoi sviluppi  piu'  restrittivi,  il regime applicato alle  Regioni  ha  previsto  solo  un  limite  delle complessive  disponibilita'  regionali   suscettibili   di   rimanere

depositate presso aziende di credito.

    E al riguardo codesto Giudice  delle  leggi  se  ha  ritenuto  la validita' di un tetto non ha mai mancato di  ribadire  la  necessita' che il meccanismo della giacenza  obbligatoria  di  fondi  presso  le tesorerie dello Stato non si trasformi in «un  anomalo  strumento  di controllo sulla gestione  finanziaria  regionale,  che  si  presti  a

venire  manovrato  in  modo  da  precludere  o   da   ostacolare   la disponibilita' delle somme occorrenti alle Regioni per  l'adempimento dei loro compiti istituzionali. Se si verificasse in  tal  senso  una reale  menomazione  dell'autonomia  finanziaria,  alle  Regioni   non mancherebbero i mezzi per invocarne ed ottenerne la tutela» (sentenze n. 155 del 1977, n. 94 del 1981 e n. 61 del 1987).

    Giova a questo punto sottolineare, proprio al  fine  di  ottenere tale tutela, che mai, neanche anteriormente alla vigenza  del  d.lgs. n. 279/1997, le Regioni e in particolare la Regione  Siciliana,  sono state destinatarie, come al presente stabilito, delle disposizioni di cui all'art. 1 della legge n. 720/1984.

    La sentenza costituzionale n. 243 del 1985 ripercorrendo i tratti essenziali della disciplina originaria della citata legge n.  720  ha messo  innanzitutto  in  luce  «lo  scarto  che  si  riscontra,   con immediatezza, fra il titolo ed il contenuto normativo della legge  n. 720. Per chi analizzi le  disposizioni  della  legge  stessa,  appare

evidente, cioe', che il "sistema" in questione e'  binario  piuttosto che unitario: in quanto gli enti ed organismi pubblici dei  quali  si tratta  non  sono  assoggettati  ad  una  comune  disciplina,  bensi' suddivisi in due tabelle annesse (A e B).

    E cosi' "quanto agli enti ed organismi inclusi nella  tabella  A, il  primo  periodo  dell'art.  1,  primo  comma,  prevede  unicamente "contabilita'  speciali  aperte  presso  le  sezioni   di   tesoreria provinciale dello Stato":  attraverso  le  quali  devono  effettuarsi tutte  "le  operazioni  di  incasso  e  di  pagamento",   sicche'   i "tesorieri" e i "cassieri" degli enti e degli organismi medesimi, pur menzionati sia dal primo che dal  secondo  comma  dell'art.  1,  sono destinati a non mantenere - una volta realizzato il nuovo "sistema" - alcuna giacenza di tesoreria.».

    Viceversa per le Regioni (incluse in tabella B) vigeva il divieto di «mantenere disponibilita' depositate a qualunque titolo presso  le aziende di credito di cui all'art. 5 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, e successive  modificazioni  ed  integrazioni,  per  un

importo superiore  al  12  per  cento  dell'ammontare  delle  entrate previste dal bilancio  di  competenza  ...»,  percentuale  nel  tempo abbassata ma sempre mantenuta.

    Nella stessa  pronuncia  la  differenza  che  passa  tra  sistema originariamente previsto per le Regioni e quello oggi esteso anche  a detti  enti  e'  descritta  come  «opzione  fra  il  coordinamento  e l'accentramento  finanziario,  cioe'  fra  una  serie  di   tesorerie regionali dotate di  proprie  giacenze,  sebbene  circoscritte  nella predetta  misura  del  quattro  per  cento,  e  tesorerie   puramente nominali, ridotte in sostanza ad  agenti  del  tesoriere  unico,  sia quanto agli incassi sia quanto ai pagamenti.».

    Al  principio  dell'affidamento  alla   Tesoreria   statale,   si accompagnava  l'eccezione  posta  nei  confronti  di  questa  Regione dall'art. 38, secondo comma, della legge 7  agosto  1982,  n.  526  e dall'art. 2, terzo comma, della legge 29 ottobre 1984, n. 720,  norme che stabilivano che, ai fini di determinare il limite delle somme  da depositare presso la tesoreria statale, non  fossero  computabili  le entrate della Regione Siciliana, ai sensi dell'art. 36 dello  Statuto e delle relative disposizioni di attuazione  in  materia  finanziaria (d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074) e  quelle  alla  medesima  dovute  o versate secondo l'art. 38 di detto statuto.

    Con  sentenza  n.  61  del  1987  codesta   ecc.ma   Corte,   pur circoscrivendo l'ambito delle entrate proprie della Regione Siciliana ai tributi dalla stessa deliberati ha riaffermato l'esclusione  dalla Tesoreria unica di tali entrate, esclusione parimenti sancita per  le entrate proprie della Regione Trentino-Alto Adige con sentenza n.  62 del 1987.

    Da evidenziare come le sentt. nn. 61 e 62 cit. abbiano  avuto  ad oggetto disposizioni statali, art. 35 della legge n. 41/1986,  aventi come quelle in esame un'efficacia circoscritta nel tempo.

    Ribadito quindi che il regime  di  tesoreria  oggi  imposto  alle Regioni rappresenta per esse una novita' assoluta  si  rammenta  che, quando ancora non si dibatteva di federalismo  ne'  si  profilava  la modifica del Titolo V della Costituzione, codesta Corte  ha  mostrato di dubitare che «il legislatore statale ordinario sia  competente  ad

estendere alle Regioni il sistema  della  tesoreria  unica»  come  si evince dalla locuzione «anche a ritenere» premessa a detta  frase  al par. 3 lettera c) della parte in diritto della suindicata sentenza n. 243 del 1985.

    Ora risulta  all'evidenza  che  con  il  c.d.  cresci  Italia  il legislatore sottopone per un triennio tutte le autonomie regionali ad un  regime  di  assoluto  controllo  dei  flussi  di  cassa  relativi pressocche' a tutte le somme, qualunque sia la loro provenienza.

    Alla luce di quanto sin qui esposto la  scelta  radicale  operata dal legislatore statale di  non  lasciare  alcuna  disponibilita'  in giacenza presso il tesoriere della Regione e'  lesiva  dell'autonomia regionale intesa in termini sostanziali poiche' impedisce all'ente di adempiere tempestivamente ai propri compiti istituzionali.

    E cosi' non  alla  tutela  della  Repubblica  ma  piuttosto  alle esclusive esigenze del bilancio dello  Stato  risulta  effettivamente finalizzato l'intervento in questione, intervento che va  ben  al  di la' del coordinamento della finanza  pubblica  che,  oltretutto,  per esser tale e rispettare l'art. 117, comma 3 della  Costituzione,  che lo prevede come materia di legislazione concorrente, deve lasciare al legislatore regionale la possibilita', del tutto  preclusa  nel  caso che ci occupa, di conformare la sua azione ai principi fissati  dallo Stato.

    E' evidente,  pertanto,  che  le  finalita'  che  il  legislatore dichiara di  perseguire  sono  contraddette  dalle  misure  poste  in essere.

    L'azzeramento delle tesorerie regionali cosi' come  l'obbligo  di disinvestire produrranno effetti economici  e  finanziari  disastrosi non solo per le Regioni, basti pensare al ritardo che si  registrera' nei loro pagamenti.

    Tra le ulteriori spese che gli enti saranno tenuti  a  sopportare non sono da trascurare i maggiori oneri  derivanti  da  contratti  di tesoreria e cassa nei quali il  costo  del  servizio  non  puo'  piu' essere abbattuto tenendo conto della liquidita' in giacenza.

    E,   fatalmente,   alle   difficolta'    che    sorgeranno    per l'Amministrazione    nell'esercizio    delle     proprie     funzioni amministrative si accompagneranno disagi per i cittadini e le imprese che con la Regione entrano in rapporto, sopratutto  se  in  veste  di creditori.

    Per quanto  riguarda  specificamente  la  Regione  Siciliana,  si rileva quindi che la nuova normativa statale contrasta con  l'assetto finanziario che deriva alla Regione  dall'art.  36  dello  Statuto  e dalle  relative  norme  di  attuazione,   d.P.R.   n.   1074/1965   e segnatamente art. 2, e con l'art. 20, sempre dello  Statuto,  secondo il quale in Sicilia l'esercizio di tutte le  funzioni  amministrative fa capo al Presidente e agli Assessori. La disciplina de qua  inoltre disattende del tutto il principio, come visto sempre e  pacificamente affermato,  dell'esclusione  dalla  Tesoreria  unica  delle   entrate proprie, quanto meno nell'accezione ristretta  indicata  dalla  sent. 61/1987 e - poiche' non configura  mere  modalita'  tecnico-contabili per il versamento di  somme  dovute  dallo  Stato  alla  Regione  ma, quantomeno, una deroga alle norme di attuazione dello Statuto di  cui al d.P.R. n.  1074/1965  -  non  puo'  essere  introdotta  con  legge ordinaria senza  violare  l'art.  43  dello  Statuto  che  stabilisce l'apposita procedura da seguire.

    Si precisa infine che le disposizioni  impugnate  non  potrebbero sfuggire alle censure di questa Regione nemmeno ove potessero  essere ritenute coerenti con il riparto di competenze fra Stato e Regioni di cui all'art. 117 Cost. e con l'autonomia finanziaria sancita per  gli enti territoriali dall'art. 119 Cost.

    E cio' atteso che, ai sensi dell'art. 10 della L.C. n. 3/2001, le suindicate  norme  costituzionali  sono  applicabili   alla   Regione Siciliana solo se, e nella misura  in  cui,  comportino  un'autonomia maggiore rispetto a quella gia' in  precedenza  spettante,  evenienza che non ricorre in materia finanziaria e tributaria stante l'ampiezza dei poteri gia' ascritti alla  Regione  Siciliana,  a  termini  dello Statuto.

    Pertanto, in  subordine,  la  Regione  si  duole  altresi'  della violazione da parte dell'art. 35, commi 8-10 e 13,  del  d.l.  1/2012 del suindicato art. 10  con  riferimento  all'art.  117,  comma  3  e all'art. 119, commi 1 e 2 della Costituzione.

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