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N. 85 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 luglio 2006. |
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Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 6 luglio 2006 (della Regione Veneto)
(GU n. 37 del 13-9-2006 ) |
Rirocorso ex art. 127 Cost., con istanza di sospensiva della
Regione Veneto, in persona del presidente della giunta regionale pro
tempore, autorizzato con deliberazioni della giunta regionale n. 1885
del 13 giugno 2006 e n. 2065 del 27 giugno 2006, rappresentata e
difesa, giusto mandato a margine del presente atto, dall'avv. prof.
Vittorio Domenichelli del Foro di Padova, dall'avv. Romano Morra
dell'Avvocatura regionale, e dall'avv. Luigi Manzi del Foro di Roma,
con domicilio eletto in Roma, presso lo studio dell'avv. Luigi Manzi,
via Confalonieri n. 5;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di incostituzionalita' degli artt. 4, commi 2, 3; 5,
commi 1, 2, 7, 9; 10, comma 1; 91, commi 1, 2 (e disposizioni di cui
alla Parte II, Titolo I e Titolo II, cui ivi si rinvia); 112, comma
5, lettera b); 130, comma 2, lettera c); 98, comma 2; 53, comma 1;
122, commi da 1 a 6; 70; 71; 72; 125, commi 5, 6, 7, 8, 14; 11, comma
4; 81; 82; 83; 84; 85; 86; 87; 88; 55, comma 6; 62, commi 1, 2, 4, 7;
123; 54, comma 4; 56; 57; 122, comma 7; 153; 93; 75; 113; 118, comma
2; 131; 132; 141; 120, comma 2; 6, comma 9, lettera a); 7, comma 8;
240, commi 9, 10; 197; 204; 205; 252, commi 3, 6; 253, commi 3, 10,
11, 22, lettera a); 257, comma 3, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 100 del 2 maggio 2006,
supplemento ordinario n. 107, per violazione degli artt. 76, 117,
commi 2, 3, 4, 5, 6, 118 Cost., e dei principi di ragionevolezza e di
leale collaborazione.
F a t t o
Nella Gazzetta Ufficiale n. 100 del 2 maggio 2006, supplemento
ordinario n. 107, e' stato pubblicato il d.lgs. 12 aprile 2006,
n. 163 (recante Codice dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE), in dichiarata attuazione della delega conferita al
Governo con gli artt. 1, 2 e 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62
(legge comunitaria per il 2004).
La delega riguardava - agli artt. 1, 2 e 25 - l'attuazione delle
direttive comunitarie 2004/17 e 2004/18, entrambe del 31 marzo 2004,
recanti rispettivamente il coordinamento delle procedure di appalto
degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono
servizi di trasporto e servizi postali e il coordinamento delle
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori,
forniture e di servizi: direttive, quindi, aventi ad oggetto non
tutti i «contratti pubblici», ma solo quelli di «rilevanza
comunitaria», nei settori indicati.
La medesima legge n. 62 del 2005 conferiva al Governo una
ulteriore e distinta delega, avente ad oggetto la adozione di «testi
unici delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe
conferite per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di
coordinare le medesime con le norme legislative vigenti nelle stesse
materie, apportando le sole modificazioni necessarie a garantire la
semplificazione e la coerenza logica, sistematica e lessicale della
normativa» (art. 5, comma 1).
Il decreto legislativo approvato dal Governo regola in generale
tutti i contratti pubblici, di lavori, servizi e forniture, siano «di
rilevanza comunitaria», siano essi «sotto soglia».
La regione ricorrente ritiene che le disposizioni del decreto
legislativo n. 163 del 2006 indicate in epigrafe ledano le proprie
competenze per i profili e per i motivi di seguito indicati.
D i r i t t o
1. - Giova premettere che il settore dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture rientra (anche) nelle
competenze della regione, ai sensi degli artt. 117, commi 3 e 4, e
118, commi 1 e 2 Cost.
Se e' vero che la sola circostanza che un determinato oggetto di
disciplina normativa non sia immediatamente riferibile ad una delle
materie elencate nei commi 2 e 3 dell'art. 117 Cost., non e'
sufficiente per ricomprenderlo in toto nell'ambito della competenza
residuale delle regioni (Corte cost., sent. n. 370 del 2003), e' pur
vero che i «lavori pubblici» rappresentano «ambiti di legislazione»
che non integrano una vera e propria materia, ma vanno qualificati a
seconda dell'oggetto al quale afferiscono; pertanto, essi possono
essere ascritti di volta in volta a potesta' legislative esclusive
dello Stato (ad es. le opere richieste da esigenze di difesa o di
sicurezza), ovvero a potesta' legislative concorrenti (cosi' ancora
la sent. 303 del 2003; si pensi ai porti e aeroporti civili, alle
grandi reti di trasporto, alle opere destinate alla produzione,
trasporto e distribuzione nazionale di energia, o quelle volte alla
tutela della salute), ovvero, ancora alla potesta' legislativa
residuale, come nel caso di lavori concernenti infrastrutture di
interesse esclusivamente regionale o locale. Da questo riparto di
competenze deriva la imprescindibile e fondamentale distinzione tra
«lavori pubblici di interesse nazionale» e «lavori pubblici di
interesse regionale».
La medesima distinzione e' da fare per i contratti che hanno ad
oggetto servizi o forniture: si tratta invero di contratti
strumentali alla esecuzione e alla gestione di lavori e di opere
pubbliche, oppure di contratti indispensabili al funzionamento di
enti ed apparati. Pure qui, quindi, accanto a contratti che
interessano esclusivamente lo Stato, vi sono contratti che la regione
puo' disciplinare nell'ambito della potesta' concorrente o di quella
residuale (e in quest'ultimo settore - come «organizzazione
amministrativa» - ricadono senz'altro i contratti per servizi e
forniture posti in essere dalla regione per le esigenze del proprio
apparato).
Nell'ambito delle attribuzioni regionali ricadono pure contratti
pubblici conclusi da altri enti terrioriali, nei limiti in cui la
regione puo' determinarne le funzioni, in applicazione dei principi
di cui all'art. 118, commi 1 e 2, Cost.: da cio' deriva che anche
queste disposizioni costituzionali concorrono a definire i campi
materiali incisi dalle discipline sui contratti.
La riconduzione degli oggetti regolati dal decreto legislativo
n. 163 del 2006 ai lavori pubblici regionali, alla organizzazione
regionale, alle competenze spettanti alla regione ex art. 118, commi
2 e 3, non esclude evidentemente che lo Stato abbia titolo per
determinare aspetti della disciplina, che condizionano ed
interferiscono con le normative della regione; ma dovra' trattarsi di
interventi puntualmente circoscritti entro i limiti costituzionali:
cio' che non e' avvenuto per le disposizioni qui impugnate.
2. - Illegittimita' dell'art. 4, comma 3, per violazione
dell'art. 76 Cost., in relazione agli artt. 1, comma 6, e 5, comma 5,
della legge n. 62 del 2005, e per violazione dell'art. 117, comma 5,
Cost.
Con riferimento ai contratti «di rilevanza comunitaria», il
Governo era stato delegato solamente a emanare «le norme occorrenti
per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli
allegati A) e B): allegati nei quali figurano le direttive 2004/17/CE
e 2004/18/CE (art. 1, comma 1).
In ordine ai rapporti con l'ordinamento comunitario, l'art. 117,
comma 5, Cost., stabilisce che le regioni, in tutte le materie di
loro competenza, provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli
atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura
stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalita' di
esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. La riserva
di legge e' stata assolta mediante la legge n. 11/2005, la quale
ribadisce che le regioni «possono dare immediata attuazione alle
direttive comunitarie», in tutte le materie di loro competenza
(art. 16, comma 1, primo periodo); nell'ottica della sola
«attuazione» delle direttive (prescindendo cioe' dall'esercizio di
altri titoli di competenza statale, che all'evidenza continuano a
sussistere), la legge 11 prevede poi unicamente un intervento dello
Stato con funzione di «sostituzione preventiva» delle regioni
inadempienti, intervento con carattere esclusivamente suppletivo e
cedevole (v. artt. 11, comma 8 e 16, comma 3).
Ebbene, con riferimento alle citate direttive, e in
considerazione delle competenze materiali regionali, la legge di
delega consentiva al Governo solo la attuazione di esse, nei sensi e
nei limiti della legge n. 11 del 2005: come risulta senza ombra di
dubbio dal principio direttivo dell'art. 1, comma 6, della legge
n. 62.
Il decreto legislativo n. 163, in effetti, contiene la
disposizione in se' generalissima dell'art. 4, comma 4, a norma del
quale le disposizioni del codice si applicano, nelle materie di
competenza normativa regionale, concorrente o esclusiva, alle regioni
«nelle quali non sia ancora in vigore la normativa di attuazione e
perdono comunque efficacia dalla entrata in vigore della normativa
adottata da ciascuna regione»; sennonche' questa norma, di sicura
garanzia per le regioni, e' insanabilmente contraddetta dal
precedente comma 3 dello stesso art. 4, che vincola le regioni al
rispetto incondizionato di una serie di norme, fatte rientrare in
oggetti di legislazione statale esclusiva.
Quest'ultima disposizione appare quindi in violazione
dell'art. 117, comma 5, Cost., come attuato dalla legge n. 11/2005, e
dell'art. 76 Cost., in relazione all'art. 1, comma 6, della legge
delega, in quanto, con riferimento ai contratti «di rilevanza
comunitaria», il Governo non si e' limitato a prevedere norme statali
con esclusivo carattere suppletivo e cedevole.
Analoga violazione dell'art. 76 Cost. si ha anche in relazione
alla disciplina dei contratti di interesse regionale «sotto soglia»,
in quanto il vincolo a dettare solo norme suppletive e cedevoli, pur
non derivando dall'art. 117, comma 5, Cost., si imponeva al Governo
per effetto dell'art. 5, comma 5, della medesima legge di delega:
anche nel compito di adozione dei testi unici inglobanti le norme di
attuazione comunitaria e le norme meramente «interne» sulle stesse
materie, il Governo era testualmente ed espressamente tenuto alla
adozione di sole norme suppletive e cedevoli, per quanto potessero
interferire con le competenze regionali.
3. - Illegittimita' dell'art. 4, commi 2, 3, per violazione
dell'art. 76 Cost., in relazione all'art. 25, comma 2, della legge
n. 62 del 2005.
I commi 2 e 3 dell'art. 4 del «Codice dei contratti pubblici»
sono costituzionalmente illegittimi, sotto il profilo dell'«eccesso
di delega», per vizio del procedimento formativo.
Al riguardo, va ricordato che il secondo comma dell'art. 25 della
legge di delega prescriveva espressamente che il decreto legislativo
fosse emanato «sentito il parere della Conferenza unificata di cui
all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281».
Orbene, lo schema di decreto legislativo recante il codice dei
contratti pubblici, deliberato dal Governo il 13 gennaio 2006, e'
stato effettivamente assoggettato al previo parere della Conferenza
unificata Stato-regioni-citta', la quale, tuttavia, si e' pronunciata
(con il parere 9 febbraio 2006) su un testo che, per cio' che attiene
alle disposizioni qui specificamente impugnate, era completamente
differente rispetto a quello poi adottato in via definitiva dal
Consiglio dei ministri con deliberazione 23 marzo 2006,
successivamente emanato dal Presidente della Repubblica ed infine
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
Al fine di rendersi agevolmente conto di cio', va invero
ricordato che l'impugnato art. 4 del d.lgs. n. 163/2006
(disciplinante le competenze legislative di Stato e regioni), nel
testo contenuto nello «schema di decreto» sottoposto al parere della
Conferenza unificata, si riduceva ad una scarna disposizione
letteralmente formulata nei termini che seguono:
1. - Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano
esercitano la potesta' normativa nelle materie di propria competenza
nel rispetto delle disposizioni dettate dal presente codice
relativamente alle materie oggetto di competenza esclusiva dello
Stato e in conformita' ai principi ricavabili dal presente codice
relativamente alle materie oggetto di competenza concorrente.
2. - Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano,
nel rispetto dell'art. 117, secondo comma, lettera e), non possono
prevedere una disciplina della qualificazione e selezione dei
concorrenti, nonche' di svolgimento delle procedure di gara, diversa
da quella prevista nel presente codice».
Come si vede, dunque, l'articolo in questione, nella sua versione
originaria sottoposta alla Conferenza unificata, si limitava a
richiamare genericamente i limiti costituzionali della potesta'
legislativa regionale, ed individuava poi due soli specifici ambiti
di disciplina (qualificazione e selezione dei concorrenti;
svolgimento delle procedure di gara) riconducibili alla competenza
eslcusiva statale in materia di «tutela della concorrenza».
Dopo l'acquisizione del parere della Conferenza unificata,
tuttavia, il Governo ha completamente riscritto l'articolo in esame,
e cio' ha fatto in senso fortemente limitativo della competenza
normativa regionale, nonostante il parere reso dalla Conferenza
fosse, come noto, gia' fortemente negativo.
Piu' precisamente, il nuovo testo dell'art. 4 (poi adottato in
via definitiva dal Governo) non si limita piu' a richiamare le regole
generali attinenti all'esercizio della potesta' legislativa
regionale, ma pretende ora di specificare nel dettaglio le
«sub-materie» di rispettiva competenza dello Stato e delle regioni,
identificando al secondo comma ben cinque ambiti di disciplina
asseritamente riconducibili alla competenza concorrente (mentre il
testo originario della norma nulla stabiliva sul punto), ed elencando
al terzo comma addirittura diciassette «oggetti» (rispetto ai soli
due contenuti nel testo originario) pretesamente riservati alla
competenza statale esclusiva, in ordine ai quali e' del tutto esclusa
una disciplina regionale difforme.
In virtu' di tali radicali e rilevantissime modifiche, l'art. 4
del «Codice» e' stato dunque sostanzialmente innovato rispetto alla
sua versione originaria, deliberata dal Governo (come detto) il
13 gennaio 2006 e quindi sottoposta alla Conferenza unificata il
successivo 9 febbraio.
Da quanto detto consegue pertanto che il nuovo schema di decreto
legislativo rielaborato dal Governo avrebbe dovuto essere nuovamente
sottoposto al prescritto parere della Conferenza unificata prima di
essere definitivamente adottato dal Consiglio dei ministri (e quindi
emanato dal Presidente della Repubblica). E cio' tanto piu' ove si
consideri che le modifiche sostanziali apportate dal Governo al testo
normativo erano venute pesantemente ad incidere - come detto -
proprio sull'ampiezza della competenza normativa riconosciuta alle
regioni, e dunque su un aspetto centrale e qualificante dell'intera
disciplina.
L'adempimento procedimentale specificamente imposto dalla legge
di delega e' stato tuttavia illegittimamente pretermesso, in quanto
il Consiglio dei ministri ha adottato in via definitiva il nuovo
testo del decreto legislativo (con la citata deliberazione 23 marzo
2006) senza previamente acquisire (come era invece doveroso) un nuovo
parere della Conferenza unificata.
Il «limite» stabilito dalla legge di delega e' stato dunque solo
apparentemente rispettato, ma in realta' sostanzialmente violato dal
Governo, il quale ha sottoposto alla Conferenza unificata (per il
parere di competenza) un testo radicalmente diverso (quantomeno per
cio' che riguarda le disposizioni qui impugnate) rispetto a quello
poi adottato dallo stesso Esecutivo e quindi emanato dal Presidente
della Repubblica.
In ragione di cio', l'art. 4, commi 2 e 3, d.lgs. n. 163/2006
deve ritenersi costituzionalmente illegittimo sotto il profilo della
violazione dei c.d. «limiti ulteriori» della delega, non essendo
stato rispettato, nel caso di specie, il «vincolo procedimentale»
previsto dall'art. 25, comma 2, della legge di delega n. 62/2005.
4. - Illegittimita' dell'art. 4, comma 2, limitatamente alle
parole «programmazione di lavori pubblici», «organizzazione
amministrativa», «compiti e requisiti del responsabile del
procedimento», per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost.
L'art. 4, comma 2, relativamente alle materie oggetto di
competenza concorrente, stabilisce anzitutto che le regioni
«esercitano la potesta' normativa nel rispetto dei principi
fondamentali contenuti nelle norme del [...] codice»; e, per questa
parte, il legislatore statale si limita ad individuare l'obbligo
(ovvio) del rispetto dei principi fondamentali della materia, come
previsto dall'art. 117, terzo comma, Cost.; nella seconda parte,
invece, del comma 2, il legislatore delegato si preoccupa di
individuare, «in particolare», una serie di materie (o sub-materie),
che qualifica come oggetto di competenza concorrente.
Con il presente motivo si contesta la riconducibilita' alla
potesta' legislativa ripartita Stato-regioni di alcune delle elencate
materie, e precisamente della «programmazione dei lavori pubblici»,
della «organizzazione amministrativa», dei «compiti e requisiti del
responsabile del procedimento»: settori che non possono
legittimamente rientrare tra gli oggetti di competenza concorrente,
«interferenti» con le competenze regionali sui lavori pubblici, sui
servizi e sulle forniture «di interesse regionale».
Quanto alla «programmazione dei lavori pubblici», la
«programmazione» non e' una «materia» in senso proprio, ma un «metodo
di intervento», metodo secondo il quale, in base alle risorse
disponibili, si indicano i criteri, i tempi, i mezzi finanziari
necessari all'efficace svolgimento di una certa attivita' proiettata
nel futuro, in vista del perseguimento di determinati obiettivi, con
previsione della valutazione dei risultati conseguiti. Puo' ritenersi
un «modo di esercizio delle competenze», da disciplinarsi di volta in
volta con fonti statali o regionali a seconda dell'attinenza
dell'attivita' di programmazione ad ambiti di competenza dello Stato
o delle regioni.
E' dunque da ritenere che, con riferimento ai lavori pubblici «di
interesse regionale», la programmazione ricada in ambito di
competenza residuale delle regioni.
Quanto alla materia «organizzazione amministrativa», nel nuovo
assetto di competenze costituzionali, e con riferimento agli enti non
statali, e' diventata, per stesso riconoscimento della Corte
costituzionale, oggetto di «potesta' legislativa regionale esclusiva»
(sent. n. 17/2004); incomprensibilmente, dunque, il Governo delegato
la ha ricondotta nell'ambito della competenza concorrente, tra
l'altro disattendendo le considerazioni che anche il Consiglio di
Stato aveva svolto nel parere n. 355/2006, sullo schema di decreto
legislativo.
Quanto ai «compiti e requisiti del responsabile del
procedimento», si puo' anche in questo caso rilevare come non si
tratti di un oggetto di potesta' concorrente previsto nel testo
costituzionale. Tale ambito attiene in particolare a profili
organizzativi che, come sopra chiarito, sono lasciati alla libera
regolazione del legislatore regionale.
5. - Illegittimita' degli artt. 10, comma 1, 98, comma 2, nella
parte in cui pongono «princpi fondamentali della materia», per
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.
Per le materie oggetto di legislazione concorrente, il comma 2
dell'art. 4 prevede, come si e' detto, che le regioni siano vincolate
non a tutte le disposizioni del codice (destinato a regolare nel
dettaglio anche i contratti delle amministrazioni statali), ma ai
principi ricavabili da quelle disposizioni: sotto questo profilo, la
prospettiva del decreto legislativo non viene contestata dalla
regione.
Cio', tuttavia, non rende immune da vizi l'art. 98, comma 2, del
codice, il quale stabilisce che «l'approvazione dei progetti
definitivi da parte del consiglio comunale costituisce variante
urbanistica a tutti gli effetti». Non si revoca in dubbio che la
norma ricada nel settore della «approvazione dei progetti ai fini
urbanistici ed espropriativi», che l'art. 4, comma 2, riconduce
correttamente all'art. 117, comma 3 («governo del territorio»); si
contesta invece che la disposizione esprima una regola inderogabile
assai pervasiva, che sottrae al controllo della regione competente la
verifica della variante urbanistica, con conseguente lesione delle
competenze costituzionalmente ad essa spettanti (cfr., su questione
sostanzialmente analoga, la dichiarazione di incostituzionalita'
pronunciata con la sent. n. 206/2001, lettera a) del dispositivo, e
la relativa motivazione al n. 30 della parte in diritto).
Una censura dello stesso tipo di quella appena svolta viene
estesa anche all'art. 10, comma 1, d.lgs. n. 163, secondo il quale vi
deve essere «un responsabile del procedimento, unico per le fasi
della progettazione, dell'affidamento, dell'esecuzione». Secondo la
regione ricorrente, la disposizione rientra nella propria competenza
residuale; tuttavia, per il caso in cui la Corte non riconosca il
vizio denunciato al n. 4, si lamenta che la norma abbia un carattere
cosi' dettagliato da non lasciare alcuna possibilita' di adattamento.
Non si vede per quale motivo fasi che, seppur collegate, sono
strutturalmente, funzionalmente ed economicamente autonome, debbano
di necessita' avere un unico responsabile dei procedimenti; tra
l'altro, si tratta di procedimenti che possono intervenire a notevole
distanza di tempo (si pensi alla gara per la progettazione, e alla
fase di esecuzione).
6. - Illegittimita' parziale dell'art. 4, comma 3, per violazione
dell'art. 117, commi 2, 3, 4, Cost.
All'art. 4, comma 3, del decreto n. 163 il Governo richiama una
serie nutrita di disposizioni del codice, raggruppandole sotto
determinate «etichette», al fine - espressamente indicato - di
imporne la inderogabilita' assoluta da parte delle regioni. Il
presupposto del limite cosi' stabilito - implicito ma evidente - e'
che le disposizioni elitticamente richiamate ricadano in ambiti di
competenza esclusiva statale, ai sensi dell'art. 117, comma 2, Cost.:
e piu' di preciso, negli ambiti di competenza della «tutela della
concorrenza» (oramai classica competenza «trasversale»),
dell'«ordinamento civile» e della «giurisdizione».
La regione contesta decisamente, anzitutto, l'inclusione
nell'elenco di alcuni oggetti, che sono invece ragionevolmente
riconducibili a materie di propria competenza concorrente o
residuale. Cio' vale per le norme relative al «subappalto», alle
«attivita' di progettazione e ai piani di sicurezza», alla
«stipulazione e all'esecuzione dei contratti, ivi compresi direzione
dell'esecuzione, direzione dei lavori, contabilita' e collaudo, ad
eccezione dei profili di organizzazione e contabilita'
amministrative»; e vale, per taluni profili, per i «contratti
relativi alla tutela dei beni culturali». Si tratta di materie,
tutte, non qualificabili (o non completamente qualificabili), come di
competenza esclusiva statale.
Quanto al «subappalto», il collegamento con la tutela della
concorrenza e' cosi' labile che - se fosse sufficiente ad attrarne la
disciplina alla competenza statale - determinerebbe una espansione
abnorme della stessa «tutela», in quanto nelle relazioni
economico-contrattuali non vi e' elemento che non possa in astratto
essere riguardato sotto il profilo concorrenziale. Il subappalto
appartiene piuttosto alle modalita' attraverso le quali viene
raggiunto il risultato «economico» al quale e' preordinato il
contratto.
La «attivita' di progettazione» di opere ed impianti - per come
e' intesa nel codice - non puo' che ritenersi ricompresa nella
funzione legislativa concorrente, in quanto attiene al «governo del
territorio», materia in cui ricade «tutto cio' che attiene all'uso
del territorio e alla localizzazione di impianti ed attivita» (sent.
n. 307/2003,) comprensiva, quindi, delle materie dell'urbanistica e
dell'edilizia (sent. n. 362/2003 e n. 196/2004) e dunque delle
attivita' di progettazione che ad esse sono evidentemente
strumentali. Anche il Consiglio di Stato, nel citato parere
n. 335/2006, proponendo la riformulazione dei commi 2 e 3
dell'art. 4, aveva ricondotto la progettazione dei lavori, forniture
e servizi nell'ambito delle competenze di tipo concorrente.
Con riferimento ai «piani di sicurezza», va innanzitutto rilevata
l'inspiegabile distinzione operata dalla norma tra la «sicurezza del
lavoro», ricondotta correttamente dal comma 2 alla competenza
concorrente, e i «piani di sicurezza», che vengono, invece, ascritti,
dal comma ora impugnato, alla competenza di tipo esclusivo statale.
Ma anche i «piani di sicurezza» sono riconducibili al terzo comma
dell'art. 117 Cost.: alla «sicurezza del lavoro», per cio' che
concerne la riduzione al minimo dei rischi di infortuni dei
lavoratori impiegati nell'appalto; al «governo del territorio», per
la loro funzione di concorrere alla progettazione esecutiva; alla
«istruzione professionale». Ed e' ancora una volta da ricordare che
il Consiglio di Stato, nel citato parere n. 355/2006, nel riformulare
l'art. 4 del decreto legislativo non ha enucleato una materia «piani
della sicurezza» come di competenza esclusiva dello Stato, ma
ricondotto le disposizioni relative nell'ambito della «sicurezza sul
lavoro».
Circa la assenta esclusiva competenza statale in ordine alla
«stipulazione e l'esecuzione dei contratti, ivi compresi direzione
dell'esecuzione, direzione dei lavori, contabilita' e collaudo, ad
eccezione dei profili di organizzazione e contabilita'
amministrative», e' chiaro che si tratta di settori attinenti
piuttosto ad aspetti organizativi e procedurali dell'azione
amministrativa, e che essi vanno inclusi, a seconda dell'oggetto, tra
le materie di competenza concorrente o residuale. Piu'
specificamente, non vengono qui in rilevo la stipulazione e la
esecuzione come regolate dal codice civile, cosi' che possa essere
invocata l'inerenza di tali aspetti alla materia-funzione
«ordinamento civile»; per quanto riguarda poi l'istituto del
«collaudo», non sussiste alcun titolo che giustifichi il
condizionamento statale su una disciplina regionale che, regolando la
materia, preveda l'adozione di atti finalizzati ad assicurare
comportamenti uniformi delle stazioni appaltanti nella realizzazione
dei lavori pubblici di interesse regionale.
Infine, l'ultima parte del comma 3 dell'art. 4 del codice esclude
del tutto la competenza regionale per ogni aspetto concernente la
disciplina dei «contratti relativi alla tutela dei beni culturali».
Certamente la «tutela» dei beni culturali (art. 117, comma 2,
lett. s), Cost.) e' «materia» distinta dalla «valorizzazione» degli
stessi; tuttavia, anche nella materia della tutela dei beni e'
possibile individuare aspetti della disciplina che non assolvono a
una funzione di salvaguardia, come e', ad esempio, per la
determinazione della cauzione, per l'organizzazione amministrativa
degli interventi, per il responsabile dei procedimenti, o per la
stessa approvazione dei progetti. Ne' e' possibile operare qui un
frettoloso giudizio di prevalenza della materia statale su
concomitanti aspetti di competenza regionale: lo vieta il principio
espresso dall'art. 118, comma 3, Cost., che positivamente da' voce
all'interesse regionale proprio per quanto attiene alla «tutela» dei
beni culturali, imponendo alla legge statale di disciplinare «forme
di intesa e coordinamento»; per quanta discrezionalita' si possa
riconoscere in proposito al legislatore nazionale, contraddice
frontalmente con la norma costituzionale la riserva operata sul punto
dal comma 3 dell'art. 4.
7. - Incostituzionalita' parziale dell'art. 4, comma 3, nella
parte in cui prevede che le regioni «non possono prevedere una
disciplina diversa da quella del presente codice», anziche' «non
possono prevedere una disciplina contrastante con i principi
desumibili dal presente codice, in relazione alla tutela della
concorrenza», per violazione degli artt. 76, 117, commi 2, 3, 4, 5,
Cost., e del principio di ragionevolezza.
Il comma 3 dell'art. 4 contiene una disposizione sostanzialmente
di «autoqualificazione»: le norme del codice in essa richiamate sono
tutte ascritte alla competenza esclusiva dello Stato, e ne viene
imposto il rispetto alle regioni.
Nel precedente motivo del ricorso si e' contestato che tutte le
norme siano effettivamente coperte dalla riserva dell'art. 117, comma
2, Cost.; ora invece si contesta che, comunque (anche nell'esercizio
di una materia, come la tutela della concorrenza, ad esso
indiscutibilmente spettante) lo Stato possa vincolare le regioni con
un insieme di norme, dettagliate ed eterogenee, tutte
indiscriminatamente accomunate dal vincolo della inderogabilita'.
Due sono i principi costituzionali da tenere in considerazione.
Il primo: i contratti relativi ai lavori pubblici, ai servizi e
alle forniture «di interesse regionale», sono di competenza
regionale.
Il secondo: la materia esclusiva statale «tutela della
concorrenza», la disciplina della quale puo' interferire con quella
dei «contratti regionali», presenta caratteri peculiari, ben
delineati dalla giurisprudenza della Corte, e riassumibili nella
massima per cui lo Stato non puo' espropriare del tutto le competenze
regionali con norme estremamente dettagliate ed autoapplicative.
La tutela della concorrenza, invero, secondo la nozione
ricostruita dal Giudice delle leggi, costituisce si' «una delle leve
della politica economica statale e pertanto non puo' essere intesa
soltanto in senso statico, ... ma anche in quell'accezione dinamica,
ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche
volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente
sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali». Ma
proprio per cio' «una dilatazione massima di tale competenza, che non
presenta i caratteri di una materia di estensione certa, ma quelli di
una funzione esercitabile sui piu' diversi oggetti, rischierebbe di
vanificare lo schema di riparto dell'art. 117 Cost., che vede
attribuite alla potesta' legislativa residuale e concorrente delle
regioni materie la cui disciplina incide innegabilmente sullo
sviluppo economico».
Si tratta allora di definire l'ambito di operativita' della
competenza legislativa statale attinente alla «tutela della
concorrenza» e conseguentemente la legittimita' dei relativi
interventi statali, in sintonia con l'ampliamento delle attribuzioni
regionali disposto dalla revisione del Titolo V (sent. n. 14/2004).
Soccorre a tal fine l'applicazione del criterio della
«proporzionalita-adeguatezza», di cui la Corte ha fatto applicazione
in tema di affidamento dei servizi pubblici locali, ritenendo
censurabili disposizioni statali tanto dettagliate da risultare
ingiustificate e non proporzionate rispetto all'obiettivo della
tutela della concorrenza, con conseguente illegittima compressione
dell'autonomia regionale (sent. n. 272/2004).
Assai illuminante per il motivo del ricorso qui esposto e' anche
la sentenza n. 482 del 1995, resa nel giudizio che aveva ad oggetto
la c.d. legge Merloni (legge 11 febbraio 1994, n. 109 - Legge quadro
in materia di lavori pubblici), in parte trasfusa nel decreto
legislativo n. 163. Anche la legge n. 109 conteneva una norma di
«autoqualificazione», per la quale le disposizioni della legge stessa
dovevano considerarsi «norme fondamentali di riforma
economico-sociale e principi della legislazione dello Stato». Con la
sentenza n. 482, pur affermando che la complessiva e profonda riforma
introdotta dalla legge sui lavori pubblici riguardava un settore di
importanza nazionale che richiedeva l'attuazione di principi uniformi
su tutto il territorio del Paese, la Corte precisava tuttavia che non
era possibile attribuire a tutte le disposizioni e ad ogni
prescrizione normativa il valore di principio o di norma fondamentale
del settore, ma solo ai «nuclei essenziali del contenuto normativo
che quelle disposizioni esprimono, per i principi enunciati o da esse
desumibili»; conseguentemente, essa riconduceva a legittimita' la
norma di autoqualificazione, limitando il vincolo ai soli principi
desumibili dalla legge Merloni, anziche' a tutte le disposizioni
della legge medesima.
La «autoqualificazione» generale e generica contenuta
nell'art. 4, comma 3, presenta ulteriori profili di irragionevolezza,
considerando separatamente le discipline relative ai contratti «sopra
soglia» e a quelli «sotto soglia» comunitaria.
Per quanto riguarda i contratti «sopra soglia», le finalita' di
tutela della concorrenza sono gia' assolte dalla normativa
comunitaria, rispetto alle quali lo stesso legislatore nazionale, per
i contratti di «propria» competenza, ha ridotti margini di
intervento: per i contratti di interesse regionale, quindi, una
disciplina nazionale che si interponga tra quella comunitaria e
quella regionale appare di regola sproporzionata rispetto al fine,
salvi casi eccezionalissimi, che il legislatore statale dovrebbe
avere l'onere di prospettare e di dimostrare. Nello stesso ordine di
idee si e' mosso il Consiglio di Stato, con particolare riferimento
alle «procedure di gara», pur fatte rientrare nella tutela della
concorrenza (par. n. 3 del parere cit.).
Per i contratti «sotto soglia», nonostante una tendenziale
uniformazione alla disciplina delle direttive, le esigenze di tutela
della concorrenza appaiono attenuate, dovendo tutt'al piu', in
circostanze particolari, come ad es. l'affidamento di una concessione
comportante un valore economico molto limitato, rispondere a
«condizioni di trasparenza che, senza necessariamente comportare un
obbligo di fare ricorso ad una gara, siano, in particolare, tali da
consentire a un'impresa avente sede nel territorio di uno Stato
membro diverso da quello della Repubblica italiana di aver accesso
alle informazioni adeguate relative alla detta concessione prima che
essa sia attribuita, di modo che tale impresa, se lo avesse
desiderato, sarebbe stata in grado di manifestare il proprio
interesse ad ottenere la detta concessione» (Corte di giustizia,
sent. 21 luglio 2005, causa C231/2003).
Se si tengono contemporaneamente presenti le competenze,
regionali e i (limitati, nel senso precisato) poteri statali a tutela
della concorrenza, l'unico modo per ricondurre a costituzionalita' la
previsione generale dell'art. 4, comma 3, e' quello di ridurre la
portata del vincolo che esso impone alle regioni: costringendole al
rispetto non di tutte le numerosissime disposizioni sinteticamente
richiamate, ma solo dei principi da esse ricavabili.
8. - Incostituzionalita' degli artt. 91, commi 1, 2 (e
disposizioni di cui alla Parte II, Titolo I e Titolo II, cui ivi si
rinvia); 112, comma 5, lettera b); 130, comma 2, lettera c); 53,
comma 1; 122, commi da 1 a 6; 70; 71; 72; 125, commi 5, 6, 7, 8, 14;
11, comma 4; 81: 82: 83; 84; 85; 86; 87; 88; 55, comma 6; 62, commi
1, 2, 4, 7; 123; 54, comma 4; 56; 57; 122, comma 7; 153; 93; 75; 113;
118, comma 2; 131; 132; 141; 120, comma 2; 6, comma 9, lettera a); 7,
comma 8; 240, commi 9, 10; 197; 204; 205; 252, commi 3, 6; 253, commi
10, 11; 257, comma 3; del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,
per violazione dell'art. 117, commi 2, 3 e 4, Cost. e del principio
di ragionevolezza.
Per l'eventualita' di mancato accoglimento dei motivi svolti
supra sub 6 e 7, si contestano le seguenti disposizioni del «Codice
dei contratti pubblici» perche', pur se riferibili alla materia
«tutela della concorrenza» (di competenza esclusiva dello Stato),
presentano un carattere di estremo dettaglio e di eccessiva
analiticita', e comprimono dunque illegittimamente l'autonomia
normativa regionale, prevedendo misure sproporzionate ed eccessive
rispetto al fine:
in materia di affidamento di incarichi di progettazione di
importo inferiore alla soglia comunitaria, presentano il suddetto
carattere di eccessiva analiticita', e vengono pertanto
specificamente impugnate per contrasto con il ricordato canone di
ragionevolezza e proporzionalita', le disposizioni di cui
all'art. 91, commi 1 e 2, nonche' le disposizioni di cui alla parte
II, titolo I e titolo II, cui viene ivi fatto rinvio. A tale
riguardo, va ricordato che, per cio' che attiene in via generale ai
contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria, il
legislatore statale dovrebbe limitarsi alla fissazione di principi
fondamentali, volti ad assicurare trasparenza, parita' di trattamento
e non discriminazione, ovvero a regolare il mercato ed a favorire
rapporti concorrenziali nell'ambito dello stesso, senza tuttavia
spingersi - come e' stato invece fatto nel caso di specie - a porre
anche una pervasiva disciplina di dettaglio [si veda sul punto Corte
cost., n. 345/2004, ove si e' ritenuto che l'estensione agli acquisti
sotto soglia di beni e servizi della normativa nazionale di
recepimento della disciplina comunitaria non implichi per gli enti
autonomi l'applicazione di puntuali modalita', ma solo l'osservanza
dei principi desumibili dalla normativa medesima, in particolare
laddove le disposizioni statali impongono la gara, fissano l'ambito
soggettivo ed oggettivo di tale obbligo, limitano il ricorso alla
trattativa privata e collegano alla violazione dell'obbligo sanzioni
civili (nullita' dei contratti) e forme di responsabilita];
per le medesime considerazioni svolte al punto che precede,
ovvero per il carattere di eccessivo dettaglio che lede l'autonomia
normativa regionale, vanno censurati l'art. 112, comma 5, lettera b),
in tema di verifica dei progetti, nonche' l'art. 130, comma 2,
lettera c), laddove prevede l'affidamento della attivita' di
direzione dei lavori a «soggetti scelti con le procedure previste dal
presente codice per l'affidamento degli incarichi di progettazione»;
norma sproporzionata ed eccessiva rispetto al fine, laddove
sembra non consentire alle regioni di legiferare in modo difforme, e'
anche l'art. 53, comma 1, nella parte in cui individua in modo
tassativo ed esclusivo le tipologie di contratti mediante i quali
possono essere realizzati i lavori pubblici, tra l'altro in senso
restrittivo rispetto alle modalita' consentite dall'ordinamento
comunitario. Anche con riferimento a tale disposizione, la rilevata
incostituzionalita' appare particolarmente evidente in relazione alla
categoria dei contratti pubblici di importo inferiore alla soglia
comunitaria;
in tema di «pubblicita» e «termini», vanno censurati
l'art. 122, commi da 1 a 6, e gli artt. 70, 71, 72, in quanto
applicabili agli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria
in forza di specifici richiami ovvero della clausola generale di
rinvio di cui all'art. 121, comma 1. Analoga censura va svolta, per
le medesime ragioni, in relazione all'art. 252, comma 3, nonche'
all'art. 253, commi 10, 11;
presenta un carattere di eccessivo dettaglio anche la
disciplina delle acquisizioni in economia di beni, servizi e lavori:
per cui vanno contestate, sotto tale profilo, le disposizioni
dell'art. 125, commi da 5 a 8 e 14;
anche con riferimento ai criteri di aggiudicazione va
lamentato il carattere di eccessivo dettaglio della disciplina
introdotta dal «Codice»: il che impone dunque di impugnare
specificamente l'art. 11, comma 4, e gli artt. da 81 a 88, che per la
loro estrema analiticita' non lasciano alcun effettivo spazio ad una
autonoma disciplina di dettaglio di fonte regionale;
per analoghe ragioni, vanno impugnati l'art. 55, comma 6, e
l'art. 62, commi 1, 2 e 4, nella parte in cui, prevedendo la
possibilita' di limitare il numero di candidati idonei da invitare
nelle procedure ristrette con riferimento ai soli «lavori di importo
pari o superiore a quaranta milioni di euro», sembrano precludere
irragionevolmente alle regioni la possibilita' di dettare una propria
autonoma disciplina dell'istituto della c.d. «forcella» anche con
riferimento ai contratti sotto soglia;
sempre per il carattere di eccessivo dettaglio, va impugnato
anche l'art. 123, soprattutto in considerazione del fatto che la
«procedura ristretta semplificata» (ivi disciplinata) e' istituto che
trova applicazione agli appalti di lavori sotto soglia. In stretta
correlazione, e per il medesimo motivo, e' lesiva la norma
transitoria dell'art. 257, comma 3, che per il corrente anno 2006
cristallizza gli elenchi previsti dall'art. 23 della legge
n. 109/1994;
per le medesime ragioni di cui sopra, vanno impugnati gli
artt. 54, comma 4, 56, 57, 62, commi 1, 2, 4 e 7, e 122, comma 7, in
quanto per la loro eccessiva analiticita' precludono alle regioni la
possibilita' di dettare una propria autonoma disciplina relativamente
alla procedura negoziata, soprattutto con riferimento (anche in
questo caso) al settore degli appalti sotto soglia;
sempre per il carattere di eccessiva analiticita' che non
lascia alcun effettivo spazio ad una autonoma disciplina regionale di
dettaglio, vanno specificamente impugnati l'art. 153, che regolamenta
la fase di raccolta e selezione delle proposte con riferimento
all'istituto del project financing; l'art. 93 laddove pone una
dettagliata e rigida disciplina dei livelli di progettazione; gli
artt. 75 e 113, che dettano una pervasiva ed analitica disciplina
delle forme di garanzia, nonche', in correlazione, l'art. 252, comma
6; l'art. 118, comma 2, che norma in modo estremamente analitico il
subappalto; l'art. 131, che regolamenta in termini dettagliatissimi i
piani di sicurezza; l'art. 132, nella misura in cui la analitica
disciplina delle varianti in corso d'opera, ivi contenuta, non lascia
alcun autonomo spazio di intervento al legislatore regionale; nonche'
gli artt. 120, comma 2, e 141 in materia di collaudo, sempre per la
estrema analiticita' della disciplina ivi contenuta, di cui e'
addirittura prevista l'ulteriore specificazione ad opera del
regolamento;
da ultimo, sempre con riferimento agli ambiti di disciplina
ascrivibili alla «tutela della concorrenza», vanno censurati gli
artt. 6, comma 9, lettera a), e 7, comma 8, nella misura in cui, per
la loro eccessiva analiticita', precludono alle regioni la
possibilita' di legiferare definendo procedure piu' snelle e
compatibili con l'organizzazione propria delle sezioni regionali
dell'Osservatorio dei contratti pubblici.
Sempre per l'eventualita' di mancato accoglimento dei motivi
svolti supra sub 6 e 7, vanno specificamente impugnati gli articoli
197, 204 e 205 del decreto legislativo n. 163/2006, i quali, pur se
ipoteticamente riferibili alla materia «tutela dei beni culturali»
(di competenza esclusiva dello Stato), presentano comunque un
carattere di estremo dettaglio e di eccessiva analiticita', e
comprimono dunque illegittimamente l'autonomia normativa regionale,
prevedendo - anche in questo caso - misure sproporzionate ed
eccessive rispetto al fine.
Analogo discorso va fatto anche con riferimento alla disciplina
del «contenzioso» (di cui agli artt. 239 e ss.), la quale, pur
essendo certamente riconducibile ad una materia di esclusiva
competenza statale che consente l'introduzione di limiti piu'
penetranti rispetto a quelli ammessi relativamente alla tutela della
concorrenza e dei beni culturali, risulta cionondimeno illegittima
nella misura in cui sia articolata in termini cosi' dettagliati ed
analitici da non lasciare alcuno spazio di intervento al legislatore
regionale. In un tale ottica, vanno specificamente censurati i commi
9 e 10 dell'art. 240, i quali disciplinano in modo eccessivamente
analitico aspetti prettamente organizzativi dell'istituto
dell'accordo bonario, precludendo alle regioni qualsiasi possibilita'
di dettare sul punto una propria autonoma disciplina.
9. - Incostituzionalita' dell'art. 5, comma 1, del decreto
n. 163, per violazione degli artt. 117, comma 6, 118 Cost., e del
principio di leale collaborazione.
9.1. - L'art. 5 del decreto prevede che il Governo detti «con
regolamento la disciplina esecutiva e attuativa» del codice, seguendo
un procedimento al quale partecipano il Consiglio superiore dei
lavori pubblici e il Consiglio di Stato (mentre non si impone la
necessita' del coinvolgimento delle regioni).
Gli aggettivi «esecutivo» ed «attuativo» usati per definire la
capacita' innovativa del regolamento non devono trarre in inganno. Il
compito affidato al Governo non e' affatto limitato alla semplice
posizione di norme di dettaglio e di specificazione di scelte gia'
operate dal codice, ma si estende in molti punti alla fissazione
della disciplina sostanziale: come dimostrano (oltre al lungo elenco
delle «materie» elencate al comma 5) le numerose disposizioni che al
regolamento fanno espresso rinvio (cfr. ad es. gli artt. 40, 94, 124
comma 7, ...), e come e' sottolineato dalla circostanza che, tra le
condizioni per il parere favorevole sullo schema del decreto, la VIII
Commissione permanente della Camera aveva posto l'inserimento del
parere parlamentare nel procedimento di adozione del regolamento
(intervento parlamentare ritenuto necessario, evidentemente, in
ragione della alta politicita' del compito normativo auto-affidatosi
dal Governo; cfr. doc. 1° marzo 2006, lettera g).
Il regolamento e' destinato a valere nella sua integralita' solo
per «amministrazioni ed enti statali», mentre per la generalita'
delle amministrazioni (e quindi anche per le regioni e per i
contratti «di interesse regionale» conclusi da altri soggetti) la
applicabilita' della fonte subordinata e' limitata alle disposizioni
che concernono «gli aspetti di cui all'articolo 4, comma 3»: vale a
dire, tutti quegli aspetti che - secondo il legislatore delegato -
rientrano nella competenza esclusiva dello Stato, ai sensi del
secondo comma dell'art. 117 Cost.
Il testo definitivamente approvato supera cosi' i dubbi che
potevano sorgere dallo schema preliminare deliberato dal Governo il
13 gennaio 2006: come rilevato nel parere della Conferenza unificata
del 9 febbraio, l'originario art. 5 pareva vincolare ogni e qualsiasi
amministrazione a tutte le norme regolamentari ricadenti nelle
materie o nei settori o sugli oggetti indicati in termini amplissimi
nello stesso art. 5 (in particolare all'allora comma 4, ora 5), tutti
considerati ex lege come rientranti nella «competenza legislativa
statale esclusiva».
Nonostante la pur significativa modifica apportata, l'art. 5
continua a ledere le competenze costituzionalmente attribuite alla
regione; e non si tratta soltanto della incostituzionalita' che
deriva dall'avere l'art. 4, comma 3, del decreto ricompreso tra le
materie statali esclusive settori ed oggetti che tali non sono
affatto (v. supra n. 6). Ad ogni buon conto, la regione chiede la
dichiarazione di illegittimita' delle norme che piu' direttamente
rinviano al regolamento governativo la disciplina di quegli oggetti:
si tratta degli artt. 120, comma 2, e 141, in materia di collaudo
(per i motivi sopra illustrati al n. 8).
In termini piu' generali, la disposizione dell'art. 5 e'
illegittima per gli ulteriori profili e motivi che seguono.
9.2. - Il comma 6 dell'art. 117 Cost. limita il potere
regolamentare dello Stato alle sole materie nelle quali esso ha
«legislazione esclusiva». Per ritenere che l'art. 5, d.lgs. n. 163
non contrasti con tale norma, non basta pero' la semplice
considerazione che il vincolo al regolamento e' ora limitato agli
aspetti indicati dal precedente art. 4, comma 3 (eventualmente
ridotti per effetto della dichiarazione di incostituzionalita'
richiesta con il presente ricorso).
Letteratura e giurisprudenza costituzionale hanno definitivamente
messo in rilievo che non tutte le materie indicate all'art. 117,
comma 2, Cost. sono nettamente distinguibili e separabili dalle
materie di competenza regionale; al contrario, molte «materie» dello
Stato (le materie «trasversali», le «non-materie», le
«materie-valori» ...) sono in grado di condizionare le competenze
regionali, senza tuttavia - di regola - esaurirle o assorbirle
integralmente. Tra queste rientra senz'altro la «tutela della
concorrenza», come hanno ampiamente mostrato decisioni della Corte
(v. sent. n. 272/2004, e le argomentazioni sopra esposte).
La distinzione non puo' non riflettersi sull'interpretazione del
comma 6 dell'art. 117.
Se la disciplina di una materia statale trasversale porta a
(configurare legittimamente una specifica funzione statale, intestata
ad organi dello Stato, puo' forse concedersi che quella stessa
funzione sia regolabile dallo Stato tanto in via legislativa quanto
in via regolamentare (si pensi ai compiti di approvazione di certi
piani o elenchi, oppure alla disciplina di strutture dell'apparato
centrale che siano destinate ad operare in settori regionali, e cosi'
via). Ma se la materia trasversale dell'art. 117 Cost. consente allo
Stato solo di indirizzare e di vincolare, in modo piu' o meno
penetrante, la funzione normativa della regione, per quale motivo i
vincoli non dovrebbero assumere la esclusiva forma della legge o
dell'atto avente forza di legge? Per quale motivo si dovrebbe
differenziare - sotto questo aspetto - tra i vincoli espressi dai
principi fondamentali (non apponibili con regolamento: cfr. sentt.
nn. 303/2003; 364/2003) e i vincoli espressi dalla disciplina delle
materie trasversali, se la struttura e il modo di operare dei vincoli
sono - come sono - i medesimi?
Il sesto comma dell'art. 117 Cost. - che ben puo' dirsi
precipitato e svolgimento della giurisprudenza formatasi sul vecchio
Titolo V - svolge una funzione essenziale di garanzia delle regioni:
esso vuole che l'autonomia politica di questi enti territoriali sia
limitata solo da atti riconducibili direttamente o in via mediata al
Parlamento, luogo della rappresentanza nazionale, nel quale le
decisioni politiche sono assunte con procedure formalizzate e
pubbliche, con il concorso, ovviamente in grado diverso, di
maggioranza e di opposizioni; esso impedisce che il solo Governo, con
la maggioranza che lo sostiene, possa orientare l'azione delle
politicamente variegate autonomie regionali.
Una diversa lettura della disposizione costituzionale che qui si
assume violata finisce con il privarla di significato normativo. A
tale esito invero si giunge, quando si sostiene che il sesto comma
dell'art. 117 consente allo Stato di vincolare le,egioni in via
regolamentare in tutti i casi in cui le puo' vincolare in via
legislativa: a seguire la tesi, e per dare significato al disposto
costituzionale, si dovrebbe dire che - in mancanza di esso - lo Stato
potrebbe intervenire con regolamento anche la' dove non puo'
condizionare le regioni mediante la legge. Ma se la conseguenza e'
cosi' aberrante, la tesi non puo' essere accettabile.
La incostituzionalita' di regolamenti statali in materie
«trasversali», dalla cui disciplina possono derivare vincoli per le
regioni, non e' smentita dalla giurisprudenza che ammette la
costituzionalita', nelle stesse materie, di particolari atti
amministrativi attraverso i quali lo Stato fissa agli enti autonomi
standard, indirizzi e obiettivi: il riferimento e' naturalmente alla
giurisprudenza sulle disposizioni che regolano la determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni in materia sanitaria (v. la
sent. n. 88/2003). Questi atti amministrativi sono infatti chiamati a
sviluppare e a ulteriormente determinare finalita' e obiettivi
specifici, gia' puntualmente determinati dalla legge; inoltre, nel
procedimento della loro formazione entra (e deve necessariamente
entrare) l'apporto decisorio delle regioni.
Altro e' invece il caso della comune potesta' regolamentare, non
legata alla legge dal medesimo tipo di rapporto (e fino a quando non
lo sia: che', se lo fosse, il «regolamento» sarebbe soggetto allo
stesso regime degli atti amministrativi di indirizzo: v. la sent.
n. 134/2006).
Traendo le conclusioni sul punto, l'art. 5, comma 1, e'
illegittimo, per violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost., nella
parte in cui prevede la applicabilita' alle regioni, e ai contratti
di «interesse regionale», delle disposizioni regolamentari riferite
ai settori che l'art. 4, comma 3, ascrive alla «tutela della
concorrenza».
9.3. - In via subordinata, la regione ricorrente propone
questione di costituzionalita' dell'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 163,
nella parte in cui non prevede che le disposizioni regolamentari in
materia di «tutela della concorrenza» siano adottate previa intesa
con la Conferenza Stato-regioni, ai fini della loro applicabilita'
alle regioni e ai contratti «di interesse regionale».
Il regolamento - nelle parti in cui regola i contratti pubblici
per profili diversi dall'«ordinamento civile», dalla «giurisdizione»
e dalla «giustizia amministrativa» - e' destinato ad interferire con
le competenze costituzionalmente spettanti alla regione sui lavori
pubblici (come riconosciuto dalla Corte con la fondamentale sent.
n. 303/2003; supra, n. 1), sulla organizzazione amministrativa
propria e degli enti da essa dipendenti, sulla disciplina delle
funzioni amministrative.
Di qui la necessita' che la competenza statale sulla «tutela
della concorrenza» sia coordinata con le competenze regionali
attraverso il modulo collaborativo dell'intesa: la presenza nella
legislazione ordinaria di formule collaborative e' gia' stata
valorizzata dalla Corte per escludere la incostituzionalita' della
disciplina impugnata (v. sent. n. 303/2003; sent. n. 431/2005, in
materia di «difesa», altra materia esclusiva statale), mentre in
altre occasioni la intesa con la conferenza Stato-regioni e' stata
introdotta con sentenza additiva, per ricondurre a costituzionalita'
la legge statale impugnata (ad es. con la sent. n. 134/2006).
Del resto, e' significativo che lo stesso decreto legislativo per
taluni aspetti della disciplina preveda la adozione di norme
regolamentari previa «intesa in sede di Conferenza unificata» (art.
201, comma 3; art. 204, comma 3, art. 252 comma 3), o «sentita la
Conferenza unificata» (art. 204, comma 4), oppure «sentita la
Conferenza Stato-regioni» (art. 253, comma 10) (ne' ovviamente
rileva, a questi effetti, che alcune di queste disposizioni siano
state impugnate, in quanto istituiscono potesta' regolamentari o in
quanto consentono norme eccessivamente dettagliate).
10. - Incostituzionalita' parziale dell'art. 5, comma 1, per
violazione degli artt. 76, 117, comma 5, Cost.
Specifici vizi di costituzionalita' concernono l'art. 5, d.lgs.
n. 163, nella parte in cui prevede l'applicabilita' alle regioni del
regolamento governativo, nelle materie dell'art. 4, comma 3, con
riferimento ai contratti «di rilevanza comunitaria». La censura e'
svolta per il caso di mancato accoglimento del motivo, piu' generale
ed assorbente, illustrato al precedente n. 9.
Si e' sottineato sopra il rilievo che, ai fini della valutazione
di costituzionalita' del decreto legislativo n. 163, deve essere
assegnato all'art. 117, comma 5, Cost., e alla conseguente legge
n. 11 del 2005. La legge n. 11 (norme di procedura a parte, qui non
rilevanti) prevede alcune «interferenze» statali nel compito
regionale di attuazione. E nessuna di esse consente la adozione di
norme regolamentari vincolanti.
Il primo tipo di intervento statale - con funzione di
«sostituzione preventiva» delle regioni inadempienti - e' gia' stato
richiamato. Per quanto ora interessa, e' da evidenziare che esso si
traduce in «disposizioni legislative» niente affatto inderogabili, ma
suppletive e cedevoli (art. 16, comma 3). Ed anche ad ammettere che
la «sostituzione preventiva» possa avvenire in via regolamentare, i
conseguenti regolamenti dovranno avere pur essi il medesimo carattere
suppletivo e cedevole: cio' che non e' affatto riconosciuto dalla
disposizione impugnata.
Un secondo tipo di intervento statale e' ipotizzato dalla legge
n. 11/2005 per il caso in cui la disciplina comunitaria da attuare
tocchi sia materie regionali, sia materie elencate all'art. 117,
comma 2, Cost.
(Non interessa considerare qui un terzo tipo di intervento
nazionale, considerato dalla legge n. 11 - art. 16, comma 1, secondo
periodo - per il caso in cui le direttive tocchino materie di
legislazione concorrente; in tale ipotesi la inammissibilita' dei
regolamenti deriva dalla natura stessa della competenza concorrente,
come in sostanza ammette lo stesso art. 5, d.lgs. n. 163).
Nel caso dunque in cui entrino in gioco competenze ex art. 117,
comma 2, Cost., lo Stato «indica i criteri e formula le direttive ai
quali si devono attenere le regioni e le province autonome ai fini
del soddisfacimento di esigenze di carattere unitario, del
perseguimento degli obiettivi della programmazione economica e del
rispetto degli impegni derivanti dagli obblighi internazionali»: la
legge di attuazione dell'art. 117, comma 5, Cost., non prevede dunque
alcun esproprio di competenze regionali, ma solo la prefissione di
obiettivi rientranti nell'ambito di specifiche finalita'; ed aggiunge
poi la regola che i criteri e le direttive sono dettati a) con legge
o con atto avente forza di legge, oppure, b) con i regolamenti
previsti dall'art. 11, sulla base della legge comunitaria», oppure,
c) «mediante deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta
del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le
politiche comunitarie, d'intesa con i Ministri competenti secondo le
modalita' di cui all'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59».
A prescindere dalle considerazioni generali svolte al precedente
n. 2, la legge n. 11/2005 - nelle materie del secondo comma
dell'art. 117 Cost., che interferiscono con materie regionali (come
e' per la materia che ci occupa) - non consente comunque la adozione
delle consuete norme regolamentari.
Da un lato, infatti, «i regolamenti previsti dall'art. 11» della
legge n. 11/2005 sono quelli specificamente autorizzati dalla legge
comunitaria a dare attuazione alle direttive, con puntuale
prefissione legislativa di «principi e criteri direttivi», «qualora
le direttive consentano scelte in ordine alle modalita' della loro
attuazione»: ma nessuna autorizzazione del genere e' contenuta nella
legge delega n. 62 del 2005, che anzi, quando non vi da' direttamente
attuazione, sempre ragiona di attuazione delle direttive mediante
decreti legislativi.
D'altro lato, la deliberazione del Consiglio dei ministri - che
volesse rivolgere alle regioni criteri e direttive ai fini di tutela
degli interessi statali nelle materie trasversali - per essere valida
dovrebbe essere adottata «secondo le modalita' di cui all'art. 8
della legge 15 marzo 1997, n. 59»: e quindi, come dispone il
richiamato art. 8, «previa intesa con la Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome».
Le considerazioni svolte portano a ritenere illegittima - per
violazione dell'art. 117, comma 5, come attuato dalla legge
n. 11/2005 - la previsione del potere regolamentare dell'art. 5,
d.lgs. n. 163/2006, nella parte in cui si riferisce ai contratti di
interesse regionale «di rilevanza comunitaria»; in subordine, nella
parte in cui non prevede che il regolamento sia adottato di intesa
con la Conferenza Stato-regioni, come previsto dall'art. 8 della
legge n. 59 del 1997.
La censura ora argomentata non perde il proprio fondamento con il
rilevo che la legge n. 11 del 2005 e' fonte di livello primario, e
che fonte di livello primario e' pure il decreto legislativo
impugnato. In primo luogo, la legge n. 11 e' diretta attuazione
dell'art. 117 Cost., tale da implicare sia che le sue disposizioni
«possono essere modificate, derogate, sospese o abrogate da
successive leggi solo attraverso l'esplicita indicazione delle
disposizioni da modificare, derogare, sospendere o abrogare» (cosi'
l'art. 21), sia che essa puo' essere «ad un tempo il parametro di
valutazione della legittimita' costituzionale degli atti legislativi
dello Stato e delle regioni in materia ed il criterio interpretativo
degli stessi», come incisivamente si esprime la sent. n. 12/2006, a
proposito degli artt. 5 e 6, legge n. 131/2003, di attuazione
dell'art. 117, quinto e nono comma Cost. In secondo luogo, e
conseguentemente, una deroga cosi' rilevante e significativa al
sistema delineato dalla legge n. 11/2005 - come quella introdotta sul
punto dal decreto legislativo n. 163 - avrebbe dovuto costituire
oggetto di uno specifico principio o criterio direttivo della legge
di delega, principio o criterio di cui non vi e' traccia nella legge
n. 62 del 2005.
Tale ultima considerazione induce a censurare l'art. 5, comma 1,
d.lgs. n. 163, anche per violazione dell'art. 76 Cost., avendo il
Governo ecceduto dalla delega conferitagli, e potendo la regione
dolersi della violazione, in quanto si tratta del mancato rispetto di
previsioni dirette a conformare la propria autonomia nella attuazione
delle direttive comunitarie.
11. - Illegittimita' dell'art. 5, comma 2, per violazione
dell'art. 117, commi 3 e 4, e dell'art. 76 Cost.
Il comma 2 dell'art. 5 rimette al regolamento di determinare le
disposizioni di esso che - in quanto «esecutive o attuative di
disposizioni rientranti ai sensi dell'art. 4, comma 3, in ambiti di
legislazione statale esclusiva» - sono applicabili anche alle
regioni.
Una autoqualificazione statale delle norme applicabili alle
Regioni, pur potendosene apprezzare la ratio, non puo' essere operata
con un regolamento governativo, soprattutto quando, come nel caso, al
regolamento e' lasciato un margine di discrezionalita' assai ampio.
In effetti, la disposizione impugnata finisce con il rimettere al
regolamento sia i limiti orizzontali della competenza della regione
(attraverso la definizione «in negativo» dei suoi ambiti di
competenza), sia i limiti verticali (attraverso la posizione di
vincoli piu' o meno penetranti, destinati ad operare all'interno
delle materie regionali interferenti con quelle statali). Ma questo
compito deve essere assolto direttamente dalla legge o da un atto
equiparato: lo impongono in primo luogo l'art. 117, commi 2-4, Cost.,
e il principio di legalita' che regola i rapporti Stato-regioni.
12. - Illegittimita' dell'art. 5, commi 7 e 9, per violazione
dell'art. 117, commi 3 e 4, Cost.
Le disposizioni impugnate consentono a tutte le stazioni
appaltanti di adottare propri capitolati, oppure di far proprio il
capitolato generale adottato dal Ministro delle infrastrutture
(questo per gli appalti di lavori).
Secondo il parere reso dal Consiglio di Stato sullo schema del
decreto, «non vi e' alcuna limitazione dei poteri regionali», stante
la facoltativita' della previsione (cosi' con specifico riferimento
all'ultimo comma dell'art. 5). Cio' e' vero per quanto riguarda la
regione come stazione appaltante, mentre non e' affatto vero per le
altre stazioni, le quali appaltino lavori pubblici «di interesse
regionale».
Le disposizioni impugnate escludono che la legge regionale possa
prevedere la approvazione di un apposito capitolato generale, oppure
la adozione da parte di tutte le stazioni appaltanti di schemi
uniformi di capitolati speciali; in tal modo, pero', esse ledono la
competenza legislativa spettante alla regione sui lavori pubblici «di
interesse regionale», oltre che la competenza sulla organizzazione
propria e degli enti da essa dipendenti.
13. - Incostituzionalita' dell'art. 253, comma 3, e comma 22,
lettera a), per violazione degli artt. 117, secondo, terzo, quarto,
quinto comma, e 118 Cost.
L'art. 253, comma 3, primo periodo, dispone che «per i lavori
pubblici, fino all'entrata in vigore del regolamento di cui all'art.
5, continuano ad applicarsi il decreto del Presidente della
Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, il decreto del Presidente della
Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34, e le altre disposizioni
regolamentari vigenti che, in base al presente codice, dovranno
essere contenute nel regolamento di cui all'art. 5, nei limiti di
compatibilita' con il presente codice». Il comma 22, lettera a), del
medesimo art. 253 stabilisce poi che, fino all'entrata in vigore del
regolamento, i lavori in economia (di cui all'art. 125) sono
disciplinati dal d.P.R. n. 554/1999 «nei limiti di compatibilita' con
le disposizioni del presente codice».
Le norme rinviano alla disciplina regolamentare statale per tutti
i lavori pubblici «di interesse regionale». Esse sono quindi lesive
delle competenze regionali per i motivi esposti ai precedenti nn. 4,
6, 8 e 9, qui integralmente richiamati, nella parte in cui richiamano
le norme regolamentari «di attuazione» della disciplina primaria
corrispondentemente denunciata in quei motivi di ricorso.
14. - Istanza di sospensione.
Le ampie argomentazioni svolte ai punti che precedono hanno
evidenziato l'illegittimita' costituzionale delle impugnate
disposizioni del «Codice dei contratti pubblici».
L'imminente entrata in vigore del Codice, prevista per il 1°
luglio 2006, giustifica anche la richiesta di sospensione
dell'esecuzione delle medesime disposizioni impugnate, che qui si
formula ai sensi del combinato disposto degli artt. 35 e 40 della
legge n. 87/1953.
Al riguardo, va ricordato che la Regione Veneto, nel legittimo
esercizio della potesta' legislativa alla stessa costituzionalmente
attribuita, si e' dotata di una specifica disciplina in materia di
«lavori pubblici di interesse regionale», contenuta nella legge
regionale 7 novembre 2003, n. 27.
L'applicazione dell'impugnato «Codice dei contratti pubblici»
nell'ambito dell'ordinamento giuridico particolare della Regione
Veneto, pertanto, determinerebbe una situazione di pressoche'
assoluta incertezza normativa giacche' comporterebbe la sostanziale
impossibilita' di individuare con ragionevole certezza la disciplina
legislativa applicabile, nel Veneto, ai lavori pubblici di interesse
regionale.
In proposito, non vale a scongiurare tale paventato, gravissimo,
pregiudizio il richiamo all'art. 4, comma 4, del codice, ai sensi del
quale «nelle materie di competenza normativa regionale, concorrente o
esclusiva, le disposizioni del presente codice si applicano alle
regioni nelle quali non sia ancora in vigore la normativa di
attuazione»: giacche' tale previsione normativa, che sembrerebbe,
prima facie salvaguardare la citata legge regionale veneta
n. 27/2003, e' in realta' contraddetta e vanificata dal disposto di
cui al precedente comma 3 del medesimo art. 4, il quale vieta in modo
assoluto alle regioni di «prevedere una disciplina diversa da quella
del presente codice» in relazione ad un'ampia gamma di «oggetti»
riconducibili alla complessiva disciplina dei «contratti pubblici».
Risulta pertanto del tutto evidente che l'applicazione del
decreto legislativo n. 163/2006 renderebbe in concreto impossibile
individuare e scindere, nell'ambito del corpus normativo della legge
regionale veneta n. 27/2003, le disposizioni da considerarsi
implicitamente abrogate, in quanto disciplinanti in modo difforme dal
codice gli «oggetti» elencati dal citato comma 3 dell'art. 4, e le
disposizioni che potrebbero invece rimanere in vigore in quanto
conformi alla sopravvenuta fonte statale, o comunque riconducibili ad
ambiti di competenza normativa regionale concorrente o esclusiva.
L'esecuzione delle impugnate disposizioni del codice
comporterebbe pertanto il «rischio» di un «irreparabile pregiudizio»,
innanzitutto, «all'ordinamento giuridico», in quanto determinerebbe,
come detto, una situazione di totale incertezza normativa in merito
alla individuazione della disciplina applicabile ai «lavori pubblici
di interesse regionale», con conseguente gravissimo vulnus per il
fondamentale principio della «certezza del diritto».
In secondo luogo, vi sarebbe il rischio di un irreparabile
pregiudizio anche per l'«interesse pubblico» sotteso alla disciplina
degli affidamenti pubblici, in quanto la situazione di incertezza
normativa conseguente all'applicazione del codice si ripercuoterebbe
inevitabilmente sull'affidamento e sull'esecuzione dei contratti
pubblici, pregiudicando di conseguenza, piu' in generale,
l'efficienza ed il buon andamento della pubblica amministrazione.
Da ultimo, i ricordati effetti sulla «certezza del diritto» che
deriverebbero dall'esecuzione delle impugnate disposizioni normative
potrebbero comportare un grave pregiudizio agli stessi «diritti dei
cittadini», ovvero, piu' precisamente, dei soggetti che intendano
partecipare ad una procedura di affidamento di un appalto pubblico,
ovvero abbiano in essere un rapporto contrattuale con una pubblica
amministrazione.
In definitiva, dunque, sembrano ricorrere, nel caso di specie,
tutti i presupposti ai quali il citato art. 35 della legge n. 87/1953
subordina l'adozione, da parte di codesta Corte, dell'ordinanza di
sospensione dell'esecuzione degli atti impugnati di cui all'art. 40
della medesima legge n. 87.
Ad ulteriore riprova di cio', consideri infine la Corte che i
ricordati pregiudizievoli effetti conseguenti all'applicazione del
Codice interverrebbero in un settore fondamentale e trainante
dell'economia veneta ovvero quello dei lavori pubblici: settore che
coivolge, ad un tempo, i rilevantissimi interessi pubblici riconnessi
alla realizzazione delle opere e delle infrastrutture pubbliche, e
gli altrettanto rilevanti interessi privati facenti capo ai soggetti
esecutori delle opere medesime (ed in ultima analisi alla stessa
collettivita', che di tali opere fruisce). La situazione di assoluta
e grave incertezza normativa che conseguirebbe all'applicazione delle
impugnate disposizioni rischierebbe pertanto di paralizzare questo
vitale settore dell'economia, pregiudicando la programmazione e
l'esecuzione dei lavori pubblici in una regione che, forse piu' di
ogni altra in questo momento, vede dipendere il mantenimento della
sua economia e le sue condizioni di vita, anche sotto il profilo
ambientale, proprio dalla realizzazione di un'adeguata e moderna rete
di opere infrastrutturali.
P. Q. M.
Chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale, previa sospensione
dell'esecuzione, dichiari la illegittimita' costituzionale delle
disposizioni indicate in epigrafe.
Si depositano i seguenti documenti:
1) deliberazione della giunta regionale n. 1885 del 13 giugno
2006 di autorizzazione al ricorso;
2) deliberazione integrativa della giunta regionale n. 2065
del 27 giugno 2006 di autorizzazione al ricorso;
3) artt. 4 e 5 dello schema di decreto legislativo approvati
dal Consiglio dei ministri il 13 gennaio 2006 (atto n. 606 Senato
della Repubblica);
4) parere 9 febbraio 2006 della Conferenza unificata reso
sullo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei
miniastri il 13 gennaio 2006.
Padova-Venezia-Roma, addi' 30 giugno 2006
Avv. Prof. Vittorio Domenichelli - Avv. Romano Morra - Avv. Luigi
Manzi
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