Ricorso n. 87 del 12 novembre 2014 (Regione Lombardia)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 12 novembre 2014 (della Regione Lombardia)..
(GU n. 2 del 2015-01-14)
Ricorso della Regione Lombardia (codice fiscale: …),
con sede in Milano (20124), piazza Citta' di Lombardia n. 1, in
persona del Presidente pro tempore Roberto Maroni, rappresentata e
difesa, in forza di procura a margine del presente atto cd in virtu'
della deliberazione di Giunta regionale n. X/2370 del 19 settembre
2014 (doc.1), dal Prof. Avv. Giovanni Guzzetta (codice fiscale:
…; pec: …; fax:
..), presso il cui studio in Roma, via Federico Cesi n. 72,
ha eletto domicilio e dall'Avv. Viviana Fidani (codice fiscale:
…; pec: …) -
Ricorrente.
Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del
Consiglio dei Ministri pro tempore, con sede in Roma (00187), Palazzo
Chigi - Piazza Colonna n. 370, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, con domicilio in Roma (00186), via dei
Portoghesi n. 12 - resistente.
Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del
decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante "Misure urgenti per
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la
digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica,
l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle
attivita' produttive (Sblocca Italia)", pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana del 12 settembre 2014, n. 212,
limitatamente all'art. 35, di tale atto normativo.
Fatto
1. Con decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, il Governo ha
varato "Misure ungenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione
delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la
semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e
per la ripresa delle attivita' produttive", ritenuta, per quanto qui
interessa, "la straordinaria necessita' e urgenza di emanare
disposizioni in materia ambientale per (...) il superamento di
eccezionali situazioni di crisi connesse alla gestione dei rifiuti".
2. In particolare, l'art. 35, dell'atto normativo in esame, ha
introdotto "misure urgenti per l'individuazione e la realizzazione di
impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali,
costituenti infrastrutture strategiche di preminente interesse
nazionale".
3. Il primo comma della norma in commento, affida ad un decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare, su proposta
del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del territorio e del Mare,
entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del
decreto-legge, l'individuazione degli impianti di recupero di energia
e di smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, gia' esistenti sul
territorio nazionale, ovvero da realizzare per attuare un sistema
integrato e moderno di gestione di tali rifiuti, al fine di
conseguire l'autosufficienza nazionale e superare le procedure di
infrazione europea. Gli impianti in questione vengono qualificati
come infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale ai
fini della tutela della salute e dell'ambiente.
4. Il secondo comma dell'art. 35, stabilisce che tutti gli
impianti, sia esistenti che da realizzare, devono essere autorizzati
a saturazione del carico termico, imponendo alle competenti autorita'
di adeguare in questi termini le autorizzazioni integrate ambientali
degli impianti esistenti, entro sessanta giorni dalla data di entrata
in vigore del decreto-legge.
5. Il terzo comma della norma in esame, dedicato agli impianti di
futura realizzazione, stabilisce che i medesimi dovranno essere
realizzati conformemente alla classificazione di impianti di recupero
energetico R1, di cui all'allegato C alla parte IV del Codice
dell'Ambiente. Per gli impianti gia' esistenti, invece, il quarto
comma dell'art. 35, impone alle competenti autorita' di verificare,
entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del
decreto-legge, la sussistenza dei requisiti per la qualificazione
degli impianti medesimi come impianti di recupero energetico R1,
revisionando in tal senso e nello stesso termine di sessanta giorni
le autorizzazioni integrate ambientali, ove ne ricorrano i
presupposti.
6. Ancora, il quinto comma della norma in commento impone che
negli impianti di recupero dovra' essere data priorita' al
trattamento dei rifiuti urbani prodotti nel territorio nazionale e, a
saturazione del carico termico, potranno essere inoltre trattati
rifiuti speciali non pericolosi o pericolosi a solo rischio
sanitario. Anche in questo caso, si impone alle competenti autorita'
di adeguare in questi termini le autorizzazioni integrate ambientali
degli impianti, nel medesimo termine di sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore del decreto-legge.
7. Il sesto comma dell'art. 35, stabilisce il dimezzamento dei
termini di espletamento delle procedure di espropriazione per
pubblica utilita', di valutazione di impatto ambientale e di
autorizzazione integrata ambientale degli impianti di cui al comma 1,
estendendo il dimezzamento dei termini residui anche per i
procedimenti che siano gia' in corso alla data di entrata in vigore
del decreto-legge.
8. Da ultimo, il settimo comma dell'art. 35, prevede
l'applicazione del potere sostitutivo del Governo ex art. 8, legge n.
131/2003, nel caso di mancato rispetto dei termini di cui al comma 2
(modifica delle AIA con autorizzazione degli impianti a saturazione
del carico termico, entro sessanta giorni), al comma 4 (valutazione
della compatibilita' degli impianti esistenti con le caratteristiche
degli impianti di recupero R1, ed eventuale adeguamento delle
relative AIA, entro sessanta giorni), al comma 5 (adeguamento delle
AIA alle priorita' di trattamento dei rifiuti urbani prodotti nel
territorio nazionale nonche', a saturazione del carico termico, dei
rifiuti non pericolosi o pericolosi a solo rischio sanitario, entro
sessanta giorni), e al comma 6 (dimezzamento dei termini dei
procedimenti di espropriazione per P.U., di V.I.A. e di A.I.A., in
corso o da eseguire in relazione agli impianti di cui al comma 1).
9. Le norme introdotte dall'art. 35, del d.l. n. 133 del 2014,
sono avvinte da numerosi profili di illegittimita', e meritano di
essere dichiarate incostituzionali da codesta Ecc.ma Corte alla luce
dei seguenti motivi di
Diritto
I. Incostituzionalita' del d.l. 12 settembre 2014, n. 133, e
dell'articolo 35, di tale atto normativo, per violazione
dell'articolo 77, comma 2, della Costituzione, in combinato disposto
con gli articoli 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.
1. In primo luogo, l'art. 35, del d.l. n. 133 del 2014, deve
essere dichiarato incostituzionale per insussistenza dei presupposti
di cui all'art. 77, secondo comma, della Costituzione, che ammette la
decretazione d'urgenza all'esclusivo fine di fronteggiare casi
straordinari di necessita' ed urgenza.
Come ha recentemente chiarito codesta Ecc.ma Corte con la
pronuncia n. 220 del 2013, l'adozione di un decreto-legge trova la
propria legittimazione esclusivamente nella sussistenza di casi
straordinari che necessitino di essere disciplinati immediatamente,
in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessita'.
Per questo motivo, peraltro, il legislatore ordinario, con una
norma di portata generale, ha previsto che il decreto-legge debba
contenere "misure di immediata applicazione" (art. 15, comma 3, della
legge 23 agosto 1988, n. 400). La Consulta ha riconosciuto come la
norma in esame, pur non avendo, sul piano formale, rango
costituzionale, esprime ed esplicita cio' che deve ritenersi
intrinseco alla natura stessa del decreto-legge, che entrerebbe in
contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni
destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo, in quanto
recanti, come nel caso di specie, discipline mirate alla costruzione
di un nuovo sistema di gestione dei rifiuti (cfr. sentenza n. 22 del
2012).
Per quanto riguarda il caso qui in esame, deve Osservarsi che,
sebbene il preambolo del d.l. n. 133/2014 riconosca "la straordinaria
necessita' e urgenza di emanare disposizioni in materia ambientale
per (...) il superamento di eccezionali situazioni di crisi connesse
alla gestione dei rifiuti", in realta', il problema della gestione
dei rifiuti sia tutt'altro che eccezionale e accidentale.
E' fin troppo noto, infatti, che la necessita' di interventi
strutturali sul sistema della gestione dei rifiuti sul territorio
italiano non sia affatto una circostanza accidentale e sopravvenuta,
che puo' essere ricollegata ad un "caso straordinario", passibile, in
quanto tale, di essere disciplinato in via d'urgenza.
Ne sono conferma le varie procedure di infrazione gia' avviate
dall'Unione europea contro l'Italia per mancato adeguamento alle
direttive di settore, nonche' i numerosi interventi del legislatore,
nazionale e regionale, in materia, come pure i tristemente noti fatti
di cronaca anche piu' recente.
Di conseguenza, affidare la risoluzione di una problematica
radicata e strutturale alla decretazione d'urgenza, si mostra elusivo
dei principi di cui all'art. 77, secondo comma, della Costituzione.
2. La "risposta" operata con il decreto-legge in oggetto,
peraltro, non si presenta nemmeno in termini di soluzione
"emergenziale" in attesa di una ipotetica revisione complessiva della
disciplina, ma si propone - in modo incompatibile con i presupposti
costituzionali richiesti e con la conseguente natura circostanziata
delle soluzioni normative divisate - di realizzare e attuare un
"sistema integrato e moderno di gestione di tali rifiuti atto a
conseguire la sicurezza nazionale nell'autosufficienza e superare le
procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di
settore" qualificando, altresi', gli impianti interessati come
"infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale ai fini
della tutela della salute e dell'ambiente".
In questa prospettiva non si puo' non cogliere una finalita' di
riassetto ordinamentale, del tutto estranea alla natura del vettore
normativo utilizzato, con conseguente illegittima compressione delle
competenze legislative e amministrative che alle Regioni spettano in
relazione a tali interventi di carattere "ordinamentale".
Con riserva di ulteriore approfondimento in seguito, non si puo'
negare, infatti, che l'intervento intersechi, anche sulla base di
quanto chiarito da codesta eccellentissima Corte, profili di
competenza materiale quali la tutela della salute, il governo del
territorio (e in particolare la localizzazione degli impianti) e la
produzione dell'energia (attesa la finalita' del decreto, rivolto "a
conseguire la sicurezza nazionale nell'autosufficienza" -
evidentemente anche energetica - ed a potenziare gli "impianti di
recupero energetico di cui al punto R1 (nota 4), allegato C, del
decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152"; anche mediante l'imposto
utilizzo "a saturazione del carico termico").
Quella che vorrebbe introdursi attraverso la decretazione
d'urgenza, insomma, costituisce una vera e propria riforma organica e
di sistema, volta a risolvere un problema "strutturale" del nostro
Paese, che come tale non puo' trovare la propria legittimazione in un
decreto-legge.
Sotto ulteriore, ma concorrente profilo, le misure introdotte dal
contestato art. 35, del resto, non possono nemmeno considerarsi di
immediata applicazione, anche in considerazione dei profili e delle
competenze tecnico-amministrative ad esse connesse, le quali
presuppongono tempi ed accertamenti istruttori amministrativi
complessi.
Si chiede, dunque, che venga dichiarata l'incostituzionalita'
dell'art. 35, del d.l. n. 133/2014, sotto il profilo in esame.
3. In secondo luogo, il d.l. n. 133/2014, come pure,
specificamente, il relativo art. 35, meritano di essere dichiarati
incostituzionali per difetto di omogeneita' e di coerenza delle
misure introdotte dal Governo.
Quanto all'intero atto normativo, l'estrema eterogeneita' degli
interventi adottati e' ravvisabile sin dall'epigrafe del
provvedimento ("Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese,
la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto
idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive").
Essa e' resa ancora piu' evidente dal relativo, ampio, preambolo,
ove si attesta la straordinaria necessita' ed urgenza di provvedere
con misure volte tanto ad "accelerare e semplificare la realizzazione
di opere infrastrutturali strategiche, indifferibili e urgenti,
nonche' per favorire il potenziamento delle reti autostradali e di
telecomunicazioni e migliorare la funzionalita' aeroportuale", quanto
a disciplinare la "materia ambientale per la mitigazione del rischio
idrogeologico, la salvaguardia degli ecosistemi, l'adeguamento delle
infrastrutture idriche e il superamento di eccezionali situazioni di
crisi connesse alla gestione dei rifiuti, nonche' di introdurre
misure per garantire l'approvvigionamento energetico e favorire la
valorizzazione delle risorse energetiche nazionali', quanto, infine,
a realizzare la "semplificazione burocratica, il rilancio dei settori
dell'edilizia e immobiliare, il sostegno alle produzioni nazionali
attraverso misure di attrazione degli investimenti esteri e di
promozione del Made in Italy, nonche' per il rifinanziamento e la
concessione degli ammortizzatori sociali in deroga alla normativa
vigente al fine di assicurare un'adeguata tutela del reddito dei
lavoratori e sostenere la coesione sociale".
Ad analoghe conclusioni si perviene, ovviamente, in base
all'analisi delle disposizioni introdotte dai ben dieci capi del
decreto-legge impugnato.
Come noto, codesta Ecc.ma Corte collega il riconoscimento
dell'esistenza dei presupposti fattuali, di cui all'art. 77, secondo
comma, Cost., ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un
decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal
punto di vista funzionale e finalistico (cfr. sentt. n. 171 del 2007,
n. 121 del 2008).
Recentemente codesta Corte ha ulteriormente evidenziato, sul
punto, che l'art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400
(Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza
del Consiglio dei Ministri) - la' dove prescrive che il contenuto del
decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al
titolo» - pur non avendo, in se' e per se', rango costituzionale,
costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma
dell'art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell'intero
decreto-legge al caso straordinario di necessita' e urgenza, che ha
indotto il Governo ad avvalersi dell'eccezionale potere di esercitare
la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del
Parlamento (Corte cost., sent. n. 22 del 2012).
Il difetto di coerenza e di omogeneita' riguarda anche le singole
disposizioni contenute nell'art. 35, che impongono alle autorita'
competenti regionali e locali il rispetto di tempistiche non
coordinate e in potenziale conflitto fra loro. In particolare, ai
sensi dei commi 2, 4 e 5, della disposizione in esame, le competenti
autorita' dovranno adeguare le autorizzazioni integrate ambientali
degli impianti entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore
del decreto-legge, e cioe' prima ancora che il Governo abbia
individuato, con il D.P.C.M. di cui al comma 1, da emanarsi entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, gli
impianti di recupero e smaltimento esistenti o da realizzare.
4. Deve evidenziarsi, da ultimo, quanto all'ammissibilita' della
presente eccezione, che i vizi sopra denunciati ridondano, come
anticipato, nella menomazione delle attribuzioni costituzionali della
Regione Lombardia e nel vulnus della sua autonomia finanziaria,
costituzionalmente tutelati dagli articoli 117, terzo comma, e 119
della Costituzione.
In particolare, la disciplina introdotta dal Governo incide sulle
competenze regionali in materia di governo del territorio, di
pianificazione territoriale ed urbanistica, di tutela della salute,
di produzione dell'energia, di coordinamento della finanza regionale
e del sistema tributario, di servizi pubblici locali.
Piu' precisamente, le norme contestate recano significative
ripercussioni sulla programmazione regionale lombarda di recente
approvazione, in particolare sull'autosufficienza riguardante lo
smaltimento mediante recupero energetico dei rifiuti indifferenziati.
Peraltro, nel quadro degli obiettivi della nuova pianificazione, la
Regione ha attivato dei tavoli di lavoro con operatori e
amministratori locali per la gestione delle istruttorie di rispettiva
competenza, anche al fine di sperimentare la decommissioning di
alcuni impianti.
Inoltre, l'autorizzazione generalizzata degli impianti con
saturazione del carico termico, con le conseguenti ripercussioni in
termini di emissioni, puo' risultare penalizzante rispetto alle
specifiche condizioni sanitarie delle aree interessate dalla presenza
di questi impianti, specie nel territorio del bacino padano,
caratterizzato da condizioni climatiche favorevoli all'accumulo degli
inquinanti. La misura, dunque, incide sulla competenza regionale in
materia di tutela della salute, vanificando gli accertamenti
istruttori gia' compiuti dalle competenti autorita' all'atto di
concessione dell'autorizzazione integrata degli impianti.
Da ultimo, deve rilevarsi che il sistema di smaltimento dei
rifiuti in Regione Lombardia e' stato gestito in modo tale da creare
delle condizioni concorrenziali, che hanno ottimizzato la tariffa di
smaltimento per il servizio al cittadino; la disciplina introdotta
dalle norme impugnate, con il conseguente ingresso nel mercato di
ulteriori rifiuti a costi nuovamente negoziabili, potrebbe comportare
anche l'aggravio della tariffa per i cittadini lombardi, con
conseguente compressione dell'autonomia finanziaria di entrata della
Regione.
Da quanto detto discende l'ammissibilita' della presente
questione di legittimita' costituzionale. Codesta Corte, infatti, con
giurisprudenza costante, ritiene che le Regioni possano impugnare un
decreto-legge per motivi attinenti alla pretesa violazione dell'art.
77 Cost., "ove adducano che da tale violazione derivi una
compressione delle loro competenze costituzionali" (sentenza n. 6 del
2004; cfr. anche sentt. nn. 128 del 2011, 326 del 2010, 116 del 2006,
280 del 2004). Alla luce delle considerazioni che precedono, si
insiste per la declaratoria di illegittimita' costituzionale
dell'art. 35, del d.l. 12 settembre 2014, n. 133, per violazione
dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione, in combinato
disposto con gli articoli 117, commi secondo e terzo, e 119, Cost.
II. Incostituzionalita' dell'art. 35, del d.l. 12 settembre 2014, n.
133, per violazione degli articoli 11 e 117, comma 1, della
Costituzione, in relazione alla direttiva 2001/42/CE (c.d. Direttiva
VAS), in combinato disposto con l'art. 117, secondo e terzo comma,
Cost.
1. Come si e' anticipato in fatto, l'art. 35, del d.l. n. 133 del
2014, contempla un vero e proprio programma integrato nazionale per
la gestione dei rifiuti urbani e speciali mediante impianti di
recupero energetico. La norma stabilisce, infatti, che gli impianti
di recupero inseriti nel D.P.C.M. di cui al comma 1, sono qualificati
come infrastrutture di preminente interesse nazionale, che i medesimi
devono essere autorizzati ad operare a saturazione del carico
termico, che dovranno rispondere alle caratteristiche degli impianti
R1, e che, non sussistendo vincoli di bacino, all'interno degli
stessi dovra' essere data priorita' al trattamento dei rifiuti urbani
provenienti dall'intero territorio nazionale.
Insomma, quello individuato dalla norma impugnata costituisce un
vero e proprio atto di pianificazione in materia di gestione dei
rifiuti.
Come tale, allora, alla luce della direttiva 2001/42/CE, recepita
nell'ordinamento italiano dal decreto legislativo n. 152/2006, detto
piano avrebbe dovuto essere assoggettato alla valutazione ambientale
strategica, la quale deve precedere, ex art. 3, par. 2, lett. a),
della citata direttiva, "tutti i piani e i programmi che sono
elaborati (...) per la valutazione della gestione dei rifiuti" (negli
stessi termini dispone Part. 6, comma 2, lett. a), dell'attuativo
d.lgs. n. 152/2006).
Ancora, l'art. 4 della direttiva, rubricato "Obblighi generali",
stabilisce che "la valutazione ambientale di cui all'art. 3 deve
essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o del
programma ed anteriormente alla sua adozione o all'avvio della
relativa procedura legislativa".
Ai sensi degli articoli da 5 a 12 della menzionata direttiva,
poi, la procedura di VAS deve comprendere lo svolgimento di una
verifica di assoggettabilita', l'elaborazione del rapporto
ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del piano
o del programma, del rapporto e degli esiti delle consultazioni,
l'espressione di un parere motivato, l'informazione sulla decisione e
il monitoraggio.
Alla luce di quanto precede, l'art. 35, del d.l. n. 133 del 2014,
si mostra incostituzionale, per violazione dell'art. 117, comma 1,
della Costituzione, in relazione ai suddetti obblighi stabiliti dalla
Direttiva VAS, in quanto adotta un vero e proprio programma nazionale
in materia di gestione integrata dei rifiuti, senza aver dato luogo
alla necessaria procedura di VAS, con cio' violando gli scopi
perseguiti dal legislatore europeo.
2. Ne' si dica che le suddette norme in materia di valutazione
ambientale strategica non riguarderebbero l'attivita' legislativa
degli Stati membri.
In senso contrario depongono, in primo luogo, gli articoli 2 e 4
della direttiva. Il primo stabilisce che per "piani e programmi"
devono intendersi anche quelli "che sono previsti di posizioni
legislative" (art. 2, lett. a); il secondo, come accennato, prevede
che la procedura di VAS debba essere avviata "anteriormente all'avvio
della procedura legislativa" di adozione del piano o programma. Alle
considerazioni di ordine testuale si aggiunga anche che, ad accedere
a siffatta interpretazione, gli obblighi imposti a livello europeo
sarebbero facilmente eludibili dallo Stato, che potrebbe occultare
sotto il nomen juris dell'atto normativo un provvedimento che reca in
se' i connotati essenziali di un atto di programmazione generale, il
quale deve essere obbligatoriamente sottoposto alla prescritta
valutazione di impatto.
E' appena il caso di dire che una diversa interpretazione della
direttiva in contrasto con il suo significato letterale,
richiederebbe a codesta Corte di investire mediante rinvio
pregiudiziale ex art. 267 TFUE la Corte di Giustizia dell'Unione
europea.
In secondo luogo, anche a voler ritenere che il legislatore
statale sia sottratto, nell'esercizio della funzione legislativa,
all'Osservanza delle procedure in materia di VAS, in cui queste
ultime possano essere esperite al momento dell'attuazione della
legge, la norma impugnata sarebbe comunque illegittima.
L'art. 35, del d.l. n. 133/2014, infatti, non contempla in
assoluto l'esperimento di siffatte procedure, nemmeno nel momento
attuativo, e specificamente per l'adozione del decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri chiamato ad individuare gli impianti di
recupero esistenti o da realizzare sul territorio nazionale, per il
raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla norma. E' evidente,
infatti, che la scelta degli impianti da considerare quali
infrastrutture di preminente interesse nazionale ("il Presidente del
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare, individua, con proprio
decreto, gli impianti di recupero di energia e di smaltimento dei
rifiuti urbani e speciali, esistenti o da realizzare", art. 35, comma
1, del d.l., evidenziatura aggiunta), con le conseguenze delineate
dal legislatore in termini di operativita' al massimo del carico
termico e di trattamento dei rifiuti provenienti da tutto il
territorio nazionale al fine di garantire l'autosufficienza,
costituisca un'operazione di rilevantissimo impatto ambientale.
La circostanza, infatti, che, nell'esercizio della propria
discrezionalita' amministrativa, l'Autorita' competente a rilasciare
l'autorizzazione abbia stabilito un vincolo per un livello di carico
sub-massimo, richiederebbe quanto meno di verificare se
un'utilizzazione a pieno regime non abbia ricadute ambientali nocive.
Il Governo, dunque, avrebbe dovuto necessariamente prevedere che
la stessa venisse assoggettata a VAS, anche alla luce della
necessita' di definire criteri univoci per la distribuzione
territoriale degli impianti, e per la valutazione degli impatti
discendenti dalle scelte localizzative da assumere. La disciplina
censurata, insomma, elude le finalita' perseguite dalla citata
direttiva, quali quella di garantire un elevato livello di protezione
dell'ambiente e di contribuire all'integrazione delle considerazioni
ambientali all'atto dell'elaborazione, dell'adozione e
dell'approvazione dei piani e programmi, assicurando che i medesimi
siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo
sostenibile.
3. Anche in questo caso, da ultimo, e' bene evidenziare che le
dedotte violazioni arrecano un vulnus alle competenze attribuite alla
Regione Lombardia.
In particolare, come si e' gia' ampiamente argomentato nel
precedente motivo, la disciplina introdotta dal Governo incide sulle
competenze regionali in materia di governo del territorio, di
pianificazione territoriale ed urbanistica, di produzione
dell'energia, di servizi pubblici locali, nonche' in materia di
tutela della salute, attratte alla competenza legislativa concorrente
e residuale delle Regioni. Per onere di brevita', si rimanda dunque a
tutte le considerazioni gia' esposte nel I motivo di ricorso, le
quali confermano l'ammissibilita' della presente eccezione, in quanto
la normativa censurata determina, anche a fronte delle censure qui
dedotte, una lesione delle competenze regionali stabilite dalla
Costituzione.
4. Ne' potrebbe in senso contrario sostenersi che, a fronte della
finalita' anche di tutela ambientale dell'intervento, la quale
costituisce, secondo l'interpretazione di codesta Corte, un c.d.
"materia trasversale", le attribuzioni regionali dovrebbero subire
una indiscriminata compressione, sino alla totale pretermissione
rispetto all'interesse ambientale.
Tale premessa infatti non potrebbe essere condivisa per distinte
e concorrenti ragioni.
Innanzitutto, perche' la finalita' ambientale non e' l'unica
perseguita dall'intervento normativo statale. Il primo comma
dell'art. 35, infatti, non menziona nemmeno, esplicitamente, la
finalita' ambientale, ma si sofferma sulla finalita' di assicurare
"la sicurezza nazionale nell'autosufficienza e superare le procedure
di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore",
soggiungendo, a proposito dell'individuazione degli impianti, che
"l'obiettivo e' quello di progressivo riequilibrio socio economico
fra le aree del territorio nazionale", ai fini del concorso "allo
sviluppo della raccolta differenziata e al riciclaggio", mentre
deprimono "il fabbisogno di discariche".
In secondo luogo, la finalita' di "potenziamento e creazione di
impianti di recupero energetico" anche al fine di deprimere "il
fabbisogno di discariche", mostrano da parte del legislatore la
volonta' di perseguire le finalita' ambientali privilegiando una
delle modalita' possibili e consentite, la quale pero' si realizza
attraverso la produzione di energia, ed e' pertanto, dal punto di
vista delle "materie" interessate, ad essa intrinsecamente
intrecciata.
Infine, com'e' noto, codesta Corte, nel riconoscere la
particolare rilevanza costituzionale della tutela dell'ambiente nelle
politiche legislative, e la sua idoneita' a giustificare alterazioni
del riparto costituzionale (su cui si tornera' infra al punto
successivo), ha costantemente e contestualmente riconosciuto che tali
alterazioni non debbano essere necessariamente assolute (cfr. C.
cost., 58/2013; 93/2013), ma che vadano accompagnate da adeguate
giustificazioni in termini di ragionevolezza, adeguatezza e
proporzionalita', nonche' da garanzie, innanzitutto procedimentali,
di tipo collaborativo. Sotto il primo profilo, ad esempio, la Corte,
pur quando ha riconosciuto la prevalenza della specifica disciplina
statale in presenza di esigenze ambientali incomprimibili, ha
comunque ammesso la residua potesta' delle Regioni di assicurare, ad
esempio, livelli di tutela maggiori di quelli previsti dallo Stato
(cfr. ad es. sent. 58/2013).
La questione e' vieppiu' complessa se si considera che, dal
complessivo intervento - finalizzato, come si e' detto, anche a
consentire (o comunque a non escludere) una redistribuzione dei
carichi di smaltimento tra le varie Regioni italiane - la tutela
ambientale non si presenta in termini di un'operazione "win-win", il
cui esito comporta un "trade-off" tra l'ipotetico miglioramento
ambientale complessivo sul territorio nazionale e la possibilita' di
un concreto peggioramento relativo delle condizioni ambientali delle
Regioni, sulle quali l'impatto della nuova disciplina produrra' con
certezza i propri effetti in conseguenza del riequilibrio imposto tra
le aree e le condizioni di smaltimento. Se si considera che lo stesso
decreto-legge dichiara che tale riequilibrio non viene operato solo
per ragioni ambientali, ma anche per finalita' "di progressivo
n'equilibrio socio economico fra le aree del territorio nazionale"
(art. 35, primo comma, d.l.), ben si comprende come si debba
escludere che l'intervento possa risolversi in una pura e semplice
espropriazione delle competenze legislative ed amministrative
regionali, senza peraltro alcuna "compensazione collaborativa".
Stante quanto precede, la disciplina introdotta dall'art. 35, del
d.l. n. 133 del 2014, deve essere dichiarata incostituzionale per
violazione dell'art. 117, primo comma della Costituzione, in
relazione agli obblighi in materia di VAS imposti dalla direttiva
2001/42/CE, in combinato disposto con l'art. 117, commi 2 e 3, Cost.
III. Incostituzionalita' dell'art. 35, del d.l. 12 settembre 2014, n.
133, per violazione dell'art. 117, commi 2 e 3, in combinato disposto
con gli articoli 118 e 120 della Costituzione. Violazione del
principio di leale collaborazione.
1. Come noto, per costante giurisprudenza di questa Corte, la
disciplina dei rifiuti si colloca nell'ambito della tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, di competenza esclusiva statale ex
art. 117, comma 2, lett. s), della Costituzione. Tuttavia
quest'ultima interferisce, per la sua natura, con altri interessi e
competenze, di talche', mentre deve intendersi riservato allo Stato
il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero
territorio nazionale, resta comunque ferma la competenza delle
Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli
propriamente ambientali (cfr. sent. n. 62 del 2008).
Alla luce della pervasivita' della materia in esame, codesta
Consulta ha sottolineato come, qualora si tratti di verificare la
compatibilita' costituzionale di norme statali che abbiano
disciplinato il fenomeno della gestione dei rifiuti, "e' necessario
valutare se l'incidenza della normativa sulle materie regionali
immediatamente contigue sia tale da compromettere il riparto
costituzionale di cui al titolo V della Parte II della Costituzione,
oltre il limite della adeguatezza, rispetto alla citata finalita' di
fissazione dei livelli di tutela uniformi" (in termini, sent. n. 249
del 2009; cfr. anche sent. 378 del 2007).
2. Cio' posto, l'art. 35, del d.l. n. 133/2014, introduce misure
in materia di gestione dei rifiuti, che coinvolgono le competenze di
diversi livelli di Governo. Vengono in rilievo, in primo luogo, le
competenze regionali e locali in materia di governo del territorio,
di pianificazione urbanistica ed edilizia, di produzione di energia,
di gestione dei servizi pubblici locali, nonche' di tutela della
salute.
L'intervento normativo in esame, tuttavia, nel perseguire un
livello uniforme di tutela a livello nazionale nella materia
ambientale, compromette senz'altro, oltre il limite dell'adeguatezza,
le suddette sfere di competenza regionale.
Per quanto riguarda gli impatti sulla pianificazione regionale,
si osservi come le misure introdotte dal contestato art. 35, hanno
significative ripercussioni sulla programmazione regionale di recente
approvazione, in particolare sull'autosufficienza riguardante lo
smaltimento tramite recupero energetico dei rifiuti indifferenziati.
Piu' precisamente, la Giunta regionale lombarda, su indirizzo del
Consiglio, ha adottato specifiche disposizioni (DGR n. 497/2013, doc.
2 e l.r. n. 9/2013, doc. 3), per evitare un sovradimensionamento di
impianti di trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati, esubero
gia' evidente nelle analisi a supporto del processo di nuova
pianificazione regionale e di cui allo scenario di Piano al 2020
(doc. 4).
In tale scenario, e nell'ambito degli obiettivi della nuova
pianificazione per la gestione dei rifiuti, la Regione inoltre ha
attivato dei tavoli di lavoro con operatori e amministratori locali
per la valutazione tecnica di un'ipotesi di decommissioning di alcuni
impianti.
Le misure introdotte dall'art. 35, dunque, incidono e vanificano
gli sforzi e gli obiettivi di pianificazione e attuazione delle
politiche regionali di questi anni, che hanno portato ad una tendenza
alla diminuzione della produzione di rifiuti urbani pro-capite
stimabile intorno al -2% (doc. 4), e alla definizione di nuovi
obiettivi inerenti l'incremento della raccolta differenziata e di
prevenzione nella produzione del rifiuto, obiettivi previsti nel
piano di prossima approvazione.
Si consideri, sempre sotto il profilo in esame, come l'intervento
normativo contestato riguarda in particolare la Regione Lombardia, la
quale conta ben 11 impianti di incenerimento di Piano/per rifiuti
urbani (che costituiscono la piu' ampia dotazione regionale nella
gestione dei rifiuti urbani indifferenziati presente nel Paese).
3. Quanto, ancora, agli impatti sulla tutela della salute, va
Osservato come gli impianti della Regione Lombardia hanno ottimizzato
il processo, l'adozione di sistemi di presidio ambientale
(abbattimento fumi e recupero scorie), e il recupero del calore
mediante reti di teleriscaldamento, in relazione alle tipologie di
rifiuti raccolti e alle caratteristiche di questi ultimi. La
variazione della qualita' del rifiuto alimentato all'impianto,
conseguente alla normativa introdotta dal Governo, ridurra'
l'efficienza dei processi ottimizzati e aggravera' i relativi impatti
ambientali e sanitari.
Analogamente, va ancora una volta ribadito, la saturazione del
carico termico sugli impianti che, ad oggi, presentano limitazioni,
imposta dall'art. 35, non tiene in alcun conto le motivazioni
ambientali, territoriali e di tutela della salute che hanno indotto
l'Autorita' competenze all'apposizione di specifici vincoli. In
particolare, l'autorizzazione ad operare con saturazione del carico
termico potrebbe risultare penalizzante per le condizioni sanitarie
delle aree interessate dalla presenza di questi impianti, specie nel
bacino padano, territorio caratterizzato da forti pressioni
antropiche e condizioni orografiche e meteoclimatiche favorevoli
all'accumulo degli inquinanti, che in caso di massima saturazione
renderebbero difficile il conseguimento del rispetto dei valori
limite di qualita' dell'aria.
Stante quanto precede, e' evidente come il Governo,
nell'introdurre la contestata disciplina uniforme, abbia travalicato
i limiti di adeguatezza al medesimo imposti a fronte
dell'interferenza nelle sfere di attribuzione regionale, vanificando
altresi' il lavoro pluriennale svolto in Regione Lombardia per
ottenere l'autosufficienza in materia di gestione dei rifiuti, e per
contenere, anche attraverso il rispetto dei principi europei di
prossimita', le conseguenze a livello di impatto ambientale e
sanitario derivanti dai processi di trattamento dei rifiuti.
4. Le considerazioni che precedono impongono la declaratoria di
illegittimita' costituzionale dell'art. 35, del d.l. n. 133 del 2014,
per violazione dei principi costituzionali in materia di riparto
delle competenze sanciti dall'art. 117, commi secondo e terzo, della
Costituzione.
Concorrono con la predetta violazione anche ulteriori, gravi,
profili di illegittimita' delle disposizioni impugnate. Ci si
riferisce al fatto che la disciplina contestata, la quale, come
detto, incide su diverse materia di competenza regionale, quali la
tutela della salute e il governo del territorio, non prevede alcuna
forma di collaborazione, a nessun livello, con le Regioni e con gli
altri enti territoriali interessati dal sistema di gestione dei
rifiuti pianificato dal legislatore.
Come noto, in materia di tutela dell'ambiente questa Corte ha
riconosciuto che "non si puo' discutere di materia in senso tecnico,
perche' la tutela ambientale e' da intendere come valore
costituzionalmente protetto, che in quanto tale delinea una sorta di
«materia trasversale», in ordine alla quale si manifestano competenze
diverse, anche regionali, fermo restando che allo Stato spettano le
determinazioni rispondenti ad esigenze meritevoli di disciplina
uniforme sull'intero territorio nazionale" (ex multis: sentenza n.
171/2012, n. 235/2011, n. 225/2009, n. 12/2009). Ne consegue che il
legislatore statale e' tenuto a garantire il principio di leale
collaborazione, "che per la sua elasticita' consente di aver riguardo
alle peculiarita' delle singole situazioni" ed impone alla legge
statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle
regioni, a salvaguardia delle loro competenze (ex plurimis, sentenze
n. 50/2005, n. 231/2005, 213/2006, n. 133/2006).
Nulla di tutto cio' e' stato previsto nel caso di specie.
Ci si riferisce, in primo luogo, alla disciplina recata dal primo
comma dell'art. 35. Quest'ultimo incarica il Presidente del Consiglio
dei Ministri di individuare con decreto (su proposta del Ministro
dell'Ambiente), quali saranno gli impianti di trattamento gia'
esistenti o da costruire, da qualificare come infrastrutture
strategiche di preminente interesse nazionale.
Come si vede, per l'individuazione degli impianti in questione
non e' previsto alcun coinvolgimento delle Regioni e degli enti
locali, ne' in forma individuale, ne' attraverso il sistema delle
conferenze, sebbene si tratti di una scelta che incide, in misura
rilevante, sulle competenze regionali in materia di governo del
territorio e di pianificazione urbanistica ed edilizia (per gli
impianti di nuova costruzione), nonche' su quelle in materia di
produzione dell'energia e di tutela della salute (per gli impianti
gia' esistenti che dovranno essere autorizzati a saturazione del
carico termico).
Ora, in un recente precedente, codesta Corte ha ritenuto la
compatibilita' con il dettato costituzionale dell'art. 195, comma 1,
lett. f), del Codice dell'Ambiente, censurato per violazione del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 118 e 120 Cost.,
proprio perche' quest'ultimo, attribuendo allo Stato l'individuazione
con D.P.C.M. degli impianti di recupero e di smaltimento di
preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e
lo sviluppo del Paese, aveva previsto la previa consultazione della
Conferenza Unificata. In quell'occasione, la Corte ha ritenuto che la
norma non eludesse il principio di leale collaborazione, in quanto
"la norma impugnata prevede che la predetta funzione di
individuazione degli impianti sia esercitata "sentita la conferenza
unificata di cui all'art. 8, del decreto legislativo 28 agosto 1997,
n. 281", e tale forma di coinvolgimento delle Regioni e degli enti
locali si rivela adeguata, incidendo la predetta attivita' su
competenze regionali (governo del territorio, tutela della salute)
concorrenti, in ordine alle quali spetta comunque allo Stato dettare
i principi fondamentali" (sent. n. 249 del 2009).
Le considerazioni che precedono acquistano ancor piu' rilevanza
se si considera, come detto, che la policy messa in atto dal Governo
e' destinata a creare una tensione "interna" alla finalita' di tutela
dell'ambiente, in quanto finisce per mettere in contrapposizione
l'esigenza di tutela "nazionale" con quella di livello regionale.
Cio' rende evidente l'importanza di una collaborazione tra gli enti
interessati, volta a consentire - tramite l'apporto di ognuno - il
raggiungimento di un punto di equilibrio - tra i tanti astrattamente
possibili - quanto piu' prossimo ad un "ottimo paretiano", con
esclusione di soluzioni che sacrifichino eccessivamente un interesse,
senza assicurare una soddisfazione relativamente ottimale dell'altro.
5. Ma la violazione dei principi di sussidiarieta' e di leale
collaborazione di cui agli articoli 118 e 120 Cost. riguarda anche le
ulteriori disposizioni dell'art. 35.
Come si e' premesso in fatto, queste ultime impongono alle
autorita' competenti al rilascio delle AIA, il relativo adeguamento
entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del
decreto-legge, consentendo l'operativita' degli impianti a
saturazione del carico termico, qualificandoli, qualora ne ricorrano
le condizioni, come impianti di recupero R1, nonche' adattandoli alle
priorita' di smaltimento di cui al comma 5 (e cioe' con priorita' di
recupero per i rifiuti urbani provenienti da tutto il territorio
nazionale e per quelli non sanitari). Inoltre viene imposto alle
Autorita' competenti al rilascio dei provvedimenti AIA e VIA, nonche'
a quelle competenti per le procedure di espropriazione per P.U., il
dimezzamento dei termini dei procedimenti eventualmente gia' in corso
e di quelli futuri.
L'ultimo comma dell'art. 35 stabilisce che, in caso di mancato
rispetto dei predetti termini, si applica il potere sostitutivo di
cui all'art. 8, della legge n. 131 del 2003 e s.m.i.
Ebbene, questa Corte ha chiarito in diverse occasioni che deve
desumersi da quanto previsto dall'art. 118 Cost. - il quale
attribuisce in via di principio ai Comuni, in tutte le materie, le
funzioni amministrative, ma riserva la possibilita' che esse, per
assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite, sulla base dei
principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, ai
livelli territoriali di governo di dimensioni piu' ampie - anche la
previsione di "eccezionali sostituzioni di un livello ad un altro di
governo per il compimento di specifici atti o attivita', considerati
dalla legge necessari per il perseguimento degli interessi unitari
coinvolti, e non compiuti tempestivamente dall'ente competente"
(sentenza n. 43 del 2004). In questa prospettiva, si e' tuttavia
precisato che non puo' farsi discendere dall'art. 120, secondo comma,
Cost. una riserva a favore della legge statale di ogni disciplina del
potere sostitutivo, dovendosi viceversa riconoscere che "la legge
regionale, intervenendo in materie di propria competenza e nel
disciplinare, ai sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma, e
dell'art. 118, primo e secondo comma, Cost., l'esercizio di funzioni
amministrative di competenza dei Comuni, preveda anche poteri
sostitutivi in capo ad organi regionali, per il compimento di atti o
attivita' obbligatorie, nel caso di inerzia o di inadempimento da
parte dell'ente competente, al fine di salvaguardare interessi
unitari che sarebbero compromessi dall'inerzia o dall'inadempimento
medesimi" (sentenza n. 43 del 2004).
Le norme impugnate, prevedendo l'intervento sostitutivo dello
Stato nel caso in cui le autorita' competenti (Comuni, Province) non
realizzino gli interventi contemplati dalla norma, realizza dunque
una ipotesi di sostituzione statale che si attiva direttamente in
caso di inerzia degli enti locali in riferimento ad ambiti di
competenza regionale, senza che sia consentito alle Regioni di
esercitare il proprio potere sostitutivo, con conseguente lesione
delle relative attribuzioni (cfr. sentenza n. 249 del 2009).
Si insiste, dunque, per la declaratoria di illegittimita'
costituzionale dell'art. 35, del d.l. n. 133 del 2014, sotto tutti i
profili innanzi esposti.
IV. Incostituzionalita' dell'art. 35, del d.l. 12 settembre 2014, n.
133, per violazione dell'art. 117, commi 2 e 3, in combinato disposto
con l'art. 3 della Costituzione. Violazione del principio di
ragionevolezza.
1. Come si e' ampiamente argomentato nei precedenti motivi di
ricorso, le norme introdotte dall'art. 35, del d.l. n. 133/2014,
incidono su sfere di competenza della Regione, e coinvolgono, a vario
titolo, le competenze amministrative delle autorita' competenti al
rilascio delle autorizzazioni integrate ambientale, alla conduzione
delle procedure di VIA e delle operazioni di espropriazione per P.U.
Tali sfere e ambiti di competenza, oltre ad essere lesi sotto
tutti i profili sopra evidenziati, si mostrano altresi' menomati
dalla manifesta irragionevolezza e contraddittorieta' intrinseca
delle varie disposizioni contenute nell'art. 35, le quali si mostrano
non coordinate e in potenziale conflitto tra loro.
2. In particolare, il secondo e il terzo comma dell'art. 35,
impongono alle competenti autorita' di adeguare le autorizzazioni
integrate ambientali degli impianti di recupero e smaltimento
(rispettivamente per l'operativita' a saturazione del carico termico,
e per la qualificazione quali impianti di recupero R1), entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge. Il
primo comma dell'art. 35, invece, stabilisce che il D.P.C.M. di
individuazione degli impianti di recupero e smaltimento da
qualificarsi come infrastrutture strategiche di preminente interesse
nazionale, dovra' essere adottato entro novanta giorni dalla data di
entrata in vigore del d.l.
Tale discrasia temporale impone alle competenti autorita' di
operare in un contesto giuridico incerto (cioe' prima della
definitiva individuazione degli impianti da parte dello Stato),
sebbene le attivita' di revisione delle AIA comportino incisivi
impatti sulle competenze pianificatorie di Regioni e Province in
materia di rifiuti, nonche' sulle posizioni giuridiche consolidate
dei soggetti gestori degli impianti interessati. Inoltre
l'autorizzazione degli impianti a saturazione del carico termico, con
il conseguente aumento delle emissioni, potrebbe risultare
penalizzante per le condizioni sanitarie delle aree interessate dalla
presenza degli impianti, e cio' prima ancora che gli impianti in
questione vengano inseriti nel D.P.C.M. di cui al comma 1, dell'art.
35.
Il vizio di irragionevolezza e' ancora maggiore alla luce del
fatto che i termini per l'attuazione della norma da parte delle
autorita' competenti sono equivalenti a quelli per la conversione in
legge del decreto, che - ovviamente - ben potrebbe essere nelle more
modificato o anche non convertito dalle Camere.
Sempre sotto il profilo dell'irragionevolezza, il sesto comma
dell'art. 35 prevede il dimezzamento dei termini per l'espletamento
delle procedure di espropriazione per pubblica utilita', di
valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione integrata
ambientale "degli impianti di cui al comma 1", cioe' quelli
individuati con D.P.C.M., anche nel caso in cui "tali procedimenti
sono in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto", e
cioe' con riferimento ad impianti che non risultano ancora inseriti
(e di cui allo stato non e' certo l'inserimento) nel D.P.C.M. di cui
al comma 1.
Stante quanto precede, si insiste per la declaratoria di
illegittimita' costituzionale dell'art. 35, del d.l. n. 133 del 2014,
anche sotto i profili appena esposti.
V. Incostituzionalita' dell'art. 35, del d.l. 12 settembre 2014, n.
133, per violazione dell'art. 117, commi 2 e 3, in combinato disposto
con gli articoli 81 e 119, comma 1, della Costituzione.
Da ultimo, l'art. 35, del d.l. n. 133 del 2014 merita di essere
dichiarato incostituzionale per lesione dell'autonomia finanziaria di
entrata e di spesa della Regione Lombardia, nonche' dei vincoli
inerenti il bilancio regionale, rispettivamente previsti dagli
articoli 119 e 81 della Costituzione.
Come si e' gia' avuto modo di argomentare, ad altri fini, nei
precedenti motivi di ricorso, le misure introdotte dalla disposizione
impugnata hanno significative ripercussioni sulla programmazione
regionale di recente approvazione, in particolare
sull'autosufficienza riguardante lo smaltimento tramite recupero
energetico (diretto o dopo trattamento) dei rifiuti indifferenziati.
In particolare, si ribadisce che gli sforzi di pianificazione e
attuazione delle politiche regionali di questi anni (cfr. DGR n. 497
del 2013, doc. 2 e l.r. n. 9 del 2013, doc. 3) hanno portato ad una
tendenza alla diminuzione della produzione di rifiuti urbani
pro-capite stimabile intorno al -2% (doc. 4) e alla definizione di
nuovi obiettivi inerenti l'incremento della raccolta differenziata e
la prevenzione nella produzione del rifiuto. La l.r. n. 9 del 2013,
inoltre, ha sancito il principio di autosufficienza regionale nella
gestione dei rifiuti.
Ora, le misure introdotte dal Governo incideranno
significativamente sugli equilibri economici raggiunti, sotto diversi
profili.
In primo luogo, a fronte delle priorita' di smaltimento sancite
dal comma 5, dell'art. 35 (rifiuti urbani provenienti da tutto il
territorio nazionale e rifiuti sanitari), verra' azzerato l'attuale
surplus di potenzialita' di incenerimento degli impianti lombardi,
che ad oggi soddisfa il fabbisogno di incenerimento degli altri
rifiuti speciali non ritenuti prioritari dal d.l. n. 133/2014. Questi
ultimi, dunque, dovranno trovare altra destinazione, probabilmente
estera, con relative conseguenze di natura ambientale (effetti
indiretti trasporto) ed economica.
Un primo profilo di criticita' connesso allo scenario sta anche
nel fatto che una parte non trascurabile del rifiuto speciale non
pericoloso che non troverebbe piu' appropriata destinazione
rappresenta la frazione non recuperatile residuale alla raccolta
differenziata del rifiuto urbano; in tal modo, escludere dalle
priorita' al conferimento agli impianti di termotrattamento anche
l'ultimo segmento della filiera gestionale del rifiuto urbano
penalizza quella stessa prioritaria attenzione al rifiuto urbano che
il comma 5 afferma.
Cio' e' tanto piu' irragionevole anche con riferimento alla
finalita' di tutela ambientale, perche' la priorita' stabilita' dal
decreto-legge in oggetto non appare in alcun modo corrispondere ad
una coerente valutazione di pericolosita' sul piano ambientale. Con
il paradosso che, a fronte di un potenziamento dello smaltimento di
certi rifiuti, si rischia la creazione di un'eccedenza di altri, e
della relativa necessita' di smaltimento, con effetti sull'ambiente
che andrebbero quantomeno accertati preliminarmente in via
istruttoria.
Inoltre, l'alterazione significativa dei flussi di rifiuti in
ingresso nella Regione, mettera' in crisi il sistema di mutuo
soccorso tra gli impianti della rete regionale, previsto per i casi
di manutenzione straordinaria (che solitamente si effettuano nel mese
di agosto), e per quelli di manutenzione occasionale ed emergenziale
(vale a dire nelle ipotesi di fermo degli impianti). Anche in questo
caso, sono evidenti le conseguenze anche economiche, che aggraveranno
i bilanci della Regione.
Infine, poiche' - come detto - il sistema di smaltimento in
Regione Lombardia e' attualmente gestito in modo tale da creare delle
condizioni concorrenziali che hanno ottimizzato la tariffa di
smaltimento per il servizio al cittadino, le misure introdotte dal
Governo, ed il conseguente ingresso nel mercato di ulteriore rifiuto,
a costi nuovamente negoziabili, alterera' l'equilibrio economico
stabilito, con potenziale aggravio della tariffa per i cittadini
lombardi.
Il tutto, preme ribadirlo una volta in piu', determina una
lesione sulle competenze regionali in materia di governo del
territorio, di coordinamento della finanza regionale e del sistema
tributario, di tutela dell'ambiente e di produzione dell'energia.
Alla luce di quanto precede, si chiede che venga dichiarata
l'incostituzionalita' dell'art. 35, del d.l. n. 133 del 2014, anche
sotto i profili appena esposti.
P. Q. M.
Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita, ogni contraria
istanza, eccezione e deduzione disattesa, accogliere il presente
ricorso e per l'effetto dichiarare l'incostituzionalita' dell'art.
35, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 12 settembre 2014,
n. 212, per violazione degli articoli 3, 77, 81, 117, commi 1, 2, e
3, 119 e 120, della Costituzione.
Si depositeranno, unitamente al presente ricorso notificato, i
seguenti documenti:
1) Delibera di Giunta regionale n. X/2370 del 19 settembre
2014;
2) DGR n. 497/13;
3) Legge regionale n. 9 del 29 ottobre 2013;
4) DGR n. 1990 del 20 giugno 2014 e allegato 01.
Roma, 4 novembre 2014
Avv. Guzzetta - Avv. Fidani