Ricorso n. 88 del 15 settembre 2004 (Presidente del Consiglio dei ministri)
N. 88 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 15 settembre 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 15 settembre 2004 (dal Presidente del Consiglio dei
ministri)
(GU n. 39 del 6-10-2004)
Ricorso ex art. 123, secondo comma Costituzione del Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresenatato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, presso la quale ha il proprio domicilio in via
dei Portoghesi n. 12 - Roma, nei confronti della Regione Umbria, in
persona del Presidente della giunta regionale, per la dichiarazione
della illegittimita' costituzionale dello Statuto della Regione
Umbria approvato dal consiglio regionale in prima deliberazione il
2 aprile 2004, in seconda deliberazione il 29 luglio 2004 e
pubblicato nel Bollettino ufficiale della Regione n. 33 dell'11
agosto 2004, giusta delibera del Consiglio dei ministri 3 settembre
2004, con riguardo agli articoli 9, comma 2, 39, comma 2 e 40, 66
commi 1 e 2 e 82 di detto Statuto.
La Costituzione italiana, nel suo testo novellato dalle riforme
del 1999 e del 2001, ha disegnato la potesta' statuaria delle
regioni, assoggettandola, da un lato, ad un procedimento di
formazione «aggravato» della doppia deliberazione del Consiglio a
maggioranza qualificata e dalla eventuale consultazione referendaria
(sul modello delle leggi di revisione costituzionale);
attribuendogli, dall'altro, - insieme con l'affrancamento
dall'approvazione parlamentare - una collocazione privilegiata nella
gerarchia delle fonti regionali.
Il sistema cosi' delineato dal Costituente, se soddisfa appieno
l'istanza autonomistica, non trascura pero', certo, il principio di
legalita' costituzionale, che riceve adeguata protezione attraverso
una rigorosa delimitazione della potesta' statutaria ed una specifica
disciplina del sindacato di costituzionalita' del suo esercizio.
Sindacato che, con il presente ricorso, il Governo della Repubblica
chiede a codesta Corte.
E' avviso del Governo, infatti, che, con le norme denunciate in
epigrafe, la Regione Umbria abbia ecceduto dalla propria potesta'
statutaria in violazione della normativa costituzionale, come si
confida di dimostrare in appresso con l'illustrazione dei seguenti
Motivi
1. - L'art. 9, comma 2 dello Statuto viola gli artt. 2, 29 e 123,
nonche' l'art. 117, comma 2, lettera l) della Costituzione.
Recita l'art. 9 dello Statuto (contenuto nel Titolo II: «Principi
Programmatici») - «Famiglie. Forme di convivenza».
La regione riconosce i diritti della famiglia e adotta ogni
misura idonea a favorire l'adempimento dei compiti che la
Costituzione le affida.
Tutela altresi' forme di convivenza.
Orbene, non sembra potersi ritenere in armonia con la
Costituzione l'affermazione di riconoscimento e tutela di «forme di
convivenza». Formula, questa, di ambigua genericita' ed
indiscriminata estensione, in relazione alla quale non e' dato
neppure comprendere quali siano i contenuti e gli effetti del
«riconoscimento» e se l'oggetto di questo vada o meno oltre la
convivenza more uxorio, come rapporto di fatto tra uomo e donna, al
quale soltanto, e ad assai limitati effetti (Corte cost. sentt.
6/1977, 237/1986, 352/2000), gia' sono ricollegate dall'ordinamento
generale alcune conseguenze giuridiche.
Un siffatto riconoscimento in termini generali, ancorche'
generici, potrebbe infatti costituire la base statutaria di
interventi normativi regionali per una disciplina specifica.
In particolare, fermo il rilievo che eventuali future previsioni
normative regionali inerenti al campo dei rapporti (personali e
patrimoniali) tra conviventi, al loro status ed ad una loro qualche
rilevanza pubblicistica - che non hanno con la regione un particolare
nesso territoriale e per i quali e' evidente l'imprescindibile
esigenza di disciplina uniforme nell'intero territorio nazionale -
violerebbero comunque competenze esclusive dello Stato (in
particolare quelle sancite dall'art. 117, secondo comma, lettera l)
della Costituzione), l'attuale previsione statutaria di cui
all'art. 9, in quanto intenda affermare qualcosa di diverso dal
semplice rilievo sociale e dalla conseguente giuridica dignita' - nei
limiti previsti dalle leggi dello Stato - della convivenza tra uomo e
donna fuori del vincolo matrimoniale, ovvero intenda affermare
siffatti valori con riguardo ad unioni libere e relazioni tra
soggetti del medesimo sesso, risulta violativa dell'art. 123 Cost.,
anche perche' in contrasto con vincolanti principi costituzionali
riconducibili al dettato degli artt. 29 e 2 della Costituzione. E'
appena il caso di ricordare, al riguardo, che (come rimarcato nelle
sentenze di codesta Corte nn. 304 e 306 del 2002) il limite
«dell'armonia con la Costituzione» di cui all'art. 123 Cost. mira non
solo ad evitare il contrasto con le singole previsioni della Carta
costituzionale ma anche a «scongiurare il pericolo che lo Statuto,
pur rispettoso della lettera della Costituzione, ne eluda lo
spirito». Gli Statuti regionali debbono infatti non solo «rispettare
puntualmente» ogni disposizione della Costituzione ma essere in
«armonia con i precetti ed i principi tutti ricavabili dalla
Costituzione» (Corte, cost. sentt. 196/2003; 2/2004).
La forma plurale ed indeterminata usata nella proposizione
statutaria, che sembra voler considerare anche forme di convivenza
ulteriori rispetto a quella more uxorio, ed il carattere generale ed
indiscriminato dell'enunciato, specie se letto in relazione
all'art. 5, primo comma dello Statuto in cui si afferma che «la
regione concorre a rimuovere le discriminazioni fondate in
particolare su ... l'orientamento sessuale», lasciano fondatamente
supporre che la ripetuta disposizione postuli un'incongrua ed
inammissibile dilatazione dell'area delimitata dai valori fondanti
dell'art. 2 Cost. e debba pertanto considerarsi incompatibile con la
Carta fondamentale.
Anche a monte, del resto, sotto diverso profilo avente carattere
di priorita' logica, deve dubitarsi della legittimita' della
disposizione in esame, in quanto estranea ai contenuti necessari
degli statuti regionali di cui al comma 1 dell'art. 123 Cost.
(inerenti alla configurazione dell'ordinamento interno della regione)
ed eccedere i limiti in cui altri contenuti possono ritenersi
ammissibili (cfr. Corte cost. sent. 2/2004). Essa disposizione,
infatti, ricompresa nell'area dei principi programmatori, non esprime
da un lato, alcun interesse proprio della comunita' regionale, non
contiene, dall'altro, alcun concreto contenuto programmatorio che non
sia quello di una vaga dimensione libertaria.
Lo Statuto, infatti, e' espressione di un'autonomia garantita
dalla Costituzione, nel cui quadro si inserisce, costituendone
momento attuativo. Esso non puo', dunque, validamente estendersi ad
affermazioni di principi e valori che non siano meramente
riproduttive di quelle espresse nella parte I della Costituzione (in
particolare, per quanto qui interessa, nel titolo II «rapporti etico
sociali») connotanti l'intero assetto della comunita' nazionale, alla
quale non puo' contrapporsi una comunita' regionale diversamente
caratterizzata.
Ne' e' ammissibile, sotto tale profilo, che le diverse comunita'
regionali possano tra loro diversificarsi in ragione del loro
ipotetico riconoscersi in valori diversi e contrastanti. Il che,
oltre a contraddire il principio fondamentale di unitarieta' della
Repubblica, canonizzato dall'art. 5 Cost, ridonderebbe in
un'ingiustificata disparita' di trattamento dei singoli.
2. - L'art. 39, comma 2 e l'art. 40 dello Statuto violano il
principio di separazione dei poteri, l'art. 121, secondo comma e
l'art. 117, terzo comma della Costituzione.
L'art. 39, comma 2, e l'articolo 40 prevedono rispettivamente la
possibilita' che la giunta regionale, su autorizzazione conferita con
legge regionale, adotti regolamenti di delegificazione e che possa
presentare al consiglio progetti di testo unico di disposizioni di
legge, riconoscendo la possibilita' che alla giunta stessa vengano
attribuite deleghe legislative. Tali disposizioni contrastano con il
principio della separazione dei poteri tra organo legislativo e
organo esecutivo. Principio che, in mancanza di deroghe
costituzionali espresse, non consente l'adozione di regolamenti c.d.
di delegificazione e deleghe legislative; ne' le deroghe previste
nella legislazione statale sono suscettibili di estensione analogica.
Se, infatti, come affermato da codesta Corte (sent. n. 2/2004)
puo' ritenersi legittimo il conferimento al Consiglio di una potesta'
regolamentare, non puo' certo ritenersi valida la ipotesi reciproca
del conferimento alla giunta di una potesta' legislativa, che la
Costituzione riserva, invece, in via esclusiva al consiglio.
L'ipotesi del conferimento straordinario all'organo esecutivo di
un potere legislativo e', infatti, ipotesi di assoluta eccezione che
solo la Carta fondamentale puo' contemplare ed in presenza di ben
precise e cogenti limitazioni.
Si aggiunga ancora che la fonte regolamentare appare incongruente
con le materie di competenza concorrente, in quanto incide sui
principi stabiliti dallo Stato con normativa primaria, in contrasto,
quindi, con l'art. 117, comma 3, della Costituzione. Inoltre, la
disposizione di cui all'articolo 40 dello Statuto appare
incostituzionale sotto un ulteriore profilo di violazione del
principio di separazione, perche' attraverso l'utilizzo del potere di
delegificazione, di cui al succitato articolo 39, si verrebbe a
consentire alla giunta di disciplinare materie di competenza
legislativa. Ne' il vizio potrebbe considerarsi emendato dalla
previsione di una approvazione finale da parte del Consiglio, in
quanto tale approvazione e' meramente formale, essendo precluso
all'organo detentore della funzione legislativa qualunque potere
emendativo del testo.
3. - L'art. 66 dello Statuto, commi 1 e 2, viola l'art. 122,
primo comma, della Costituzione.
La norma in epigrafe, prevedendo che «la carica di componente
della giunta e' incompatibile con quella di consigliere regionale» e
disciplinando le conseguenze dell'incompatibilita' (con implicito
condizionamento dell'adottando sistema elettorale), viola l'articolo
122, comma 1, della Costituzione, che riserva esplicitamente
l'individuazione dei casi di incompatibilita' nonche' del sistema
elettorale alla legge regionale, nei limiti dei principi fondamentali
stabiliti con legge dello Stato, e non allo Statuto. In tal senso si
e' gia' pronunciata codesta Corte con sentenza n. 2/2004.
4. - L'art. 82 dello Statuto viola gli artt. 121 e 134 della
Costituzione.
La norma in epigrafe attribuisce alla Commissione di garanzia la
funzione di esprimere pareri sulla conformita' allo Statuto delle
leggi e regolamenti regionali.
Non e' dato con certezza comprendere dal testo se tale parere
attenga ad un momento procedimentale dell'attivita' normativa
anteriore al suo compimento ovvero segua a tale compimento.
Ove dovesse risultare esatta tale seconda esegesi - come
sembrerebbe desumersi dal testo statutario in epigrafe - la norma
violerebbe i principi costituzionali richiamati, conferendo ad un
organo amministrativo un inammissibile potere di sindacato su leggi e
regolamenti gia' definitivamente adottati dagli organi competenti.
P. Q. M.
Si chiede a codesta Corte costituzionale di dichiarare la
illegittimita' costituzionale della deliberazione legislativa
statutaria impugnata nei termini sopra precisati e di inibirne la
promulgazione.
Si esibiranno la predetta deliberazione ed estratto della
deliberazione del Consiglio dei ministri 3 settembre 2004.
Roma, addi' 8 settembre 2004
Vice Avvocato generale dello Stato: Ignazio Francesco Caramazza