Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri,  rappresentato
e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso  i  cui
uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro la Regione Umbria, in persona del Presidente della  Giunta
p.t., per la declaratoria di incostituzionalita'  dell'art.  5  della
legge regionale 4 aprile 2012 n. 7, pubblicata nel B.U.R. n. 15 del 5
aprile 2012, avente ad oggetto "Disposizioni collegate  alla  manovra
di bilancio 2012 in materia di entrate e  di  spese-Modificazioni  ed
integrazioni di leggi regionali", giusta delibera del  Consiglio  dei
Ministri in data 30 maggio 2012. 
    1. La legge della Regione Umbria 4 aprile 2012 n. 7, composta  di
29 articoli, detta disposizioni  varie  attuative  della  manovra  di
bilancio e modificative di leggi regionali, disponendo - fra  l'altro
- la proroga di termini previsti dalle leggi regionali n. 2/2000 e n.
9/2000 in relazione all'esercizio di attivita' estrattiva. 
    In particolare, l'art. 5 della legge in esame, ai commi  1  e  2,
definisce un modello procedimentale  semplificato  per  la  "proroga"
(comma   1)   delle   autorizzazioni   all'esercizio   dell'attivita'
estrattiva vigenti alla data del 31 dicembre 2009 e per le  quali  e'
in corso, ovvero si e' concluso  positivamente,  il  procedimento  di
accertamento di giacimento di cava e (comma 2)  delle  autorizzazioni
all'esercizio dell'attivita' estrattiva  vigenti  alla  data  del  31
dicembre 2011, per le quali non  sia  stato  completato  il  progetto
autorizzato e non sia stata presentata richiesta di  accertamento  di
giacimento di cava. In entrambi i casi  la  norma  regionale  prevede
espressamente  che  si  tratti  di  una  proroga  ulteriore  e  cioe'
aggiuntiva rispetto ai termini di cui all'articolo 8, comma  4  della
legge regionale 3 gennaio 2000, n. 2 (2 anni) e di  cui  all'articolo
4, comma 1 della legge regionale 12 febbraio 2010, n. 9 (2 anni anche
in tale caso). 
    2. In via  generale  si  osserva  che,  secondo  una  consolidata
giurisprudenza costituzionale, confermata nella recente pronuncia  n.
67/2010, la potesta' di disciplinare l'ambiente nella  sua  interezza
e' stata affidata in via esclusiva allo Stato  dall'art.  117,  comma
secondo, lettera s), della Costituzione,  il  quale,  come  e'  noto,
parla di "ambiente" (ponendovi accanto  la  parola  "ecosistema")  in
termini generali e onnicomprensivi. Ne consegue che spetta allo Stato
disciplinare l'ambiente come  una  entita'  organica,  dettare  cioe'
delle norme di tutela che hanno ad oggetto  il  tutto  e  le  singole
componenti considerate come parti del tutto.  E'  da  notare  che  la
disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente, inerisce  ad  un
interesse  pubblico  di  valore  costituzionale  primario  (sent.  n.
151/1986) ed assoluto (sent. n.  210/1987)  e  deve  garantire,  come
prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di tutela,  come
tale  inderogabile  da  altre  discipline  di  settore.  Inoltre,  la
disciplina unitaria del bene complessivo  ambiente,  rimessa  in  via
esclusiva allo Stato, viene  a  prevalere  su  quella  dettata  dalle
Regioni e dalle Province autonome, in materie di  competenza  propria
ed in riferimento ad altri interessi. Cio' comporta che la disciplina
ambientale che scaturisce dall'esercizio di una competenza  esclusiva
dello Stato, investendo l'ambiente nel suo complesso e  quindi  anche
in ciascuna sua  parte,  viene  a  funzionare  come  un  limite  alla
disciplina che le Regioni e le Province  autonome  dettano  in  altre
materie di loro  competenza,  secondo  quanto  ribadito  dalla  Corte
costituzionale anche nella sentenza 380/2007. 
    Pertanto, nelle materie oggetto  di  disciplina  della  legge  in
esame  il  legislatore  regionale,   nell'esercizio   della   propria
competenza  legislativa  piena,  e'  sottoposto  al  rispetto   degli
standards  minimi  ed  uniformi  di  tutela  posti  in  essere  dalla
legislazione nazionale, ex art. 117, comma 2, lettera s) Cost., oltre
che al rispetto della normativa comunitaria di  riferimento,  secondo
quanto disposto dall'art. 117, comma 1, della Costituzione. 
    Sulla base di queste premesse l'art. 5 della legge  regionale  n.
7/2012 e' censurabile, perche' invasivo  della  competenza  esclusiva
statale di cui all'art. 117, comma 2, lettera s)  della  Costituzione
ed in violazione dei  vincoli  posti  al  legislatore  regionale  dal
diritto comunitario, di cui all'art. 117, comma 1, Cost.,  oltre  che
per violazione dell'art. 9 Cost. 
    3. I commi 1 e 2 dell'art. 5 appaiono in  contrasto  sia  con  le
disposizioni della direttiva del 27 giugno 1985/337/ CEE, concernente
la valutazione dell'impatto ambientale  (VIA),  sia  con  la  vigente
normativa nazionale di settore recata dal d.lgs.  152/06,  in  quanto
consentono che le autorizzazioni gia' scadute o in scadenza siano  di
fatto rinnovate senza alcuna  condizione,  verifica  o  procedura  di
natura ambientale. La normativa statale vigente ammette  un  siffatto
rinnovo soltanto per quei progetti che siano gia' stati sottoposti  a
VIA o alla procedura di verifica di assoggettabilita' a VIA entro gli
ultimi cinque anni (termine stabilito a pena di  decadenza  dall'art.
26, comma 6, del d.lgs. 152/06), mentre lo esclude per quei  progetti
che in precedenza  non  siano  mai  stati  sottoposti  alle  predette
procedure di VIA o di verifica di assoggettabilita' a VIA. 
    La normativa regionale,  pertanto,  sottraendo  tali  progetti  a
dette procedure, determina la violazione  delle  disposizioni  recate
dagli articoli da 20 a 28 e dagli Allegati  III,  lettera  s)  e  IV,
punto 8, lettera i), dello stesso d.lgs. 152/06. 
    Nel  rispetto  delle  richiamate  disposizioni   e'   ammissibile
sottrarre alla procedura  VIA  quei  rinnovi  di  autorizzazione  per
progetti estrattivi autorizzati sulla base di una previa  valutazione
di impatto ambientale ovvero di una verifica di  assoggettabilita'  a
VIA (tenendo comunque presente il termine di  decadenza  quinquennale
stabilito dall'art. 26, comma 6 del  d.lgs.  152/06),  tuttavia  tale
assunto non puo' trovare applicazione nel caso  in  cui  l'originaria
autorizzazione alla  realizzazione  dell'impianto  e  la  conseguente
autorizzazione  all'esercizio  risultino   rilasciate   anteriormente
all'entrata  in  vigore  alla  normativa  nazionale  in   esame,   di
recepimento della disciplina comunitaria. 
    4. La fondatezza  delle  censure  di  incostituzionalita'  teste'
formulate   e'   supportata   dalla   giurisprudenza   della    Corte
costituzionale nella  materia;  in  particolare,  nella  sentenza  n.
67/2010, in merito alla proroga in materia di  attivita'  estrattive,
la  Corte  ha  affermato  "che  risulterebbe  sicuramente   contrario
all'effetto  utile  della  direttiva  85/337/CEE   un   sistema   che
prorogasse automaticamente autorizzazioni rilasciate  in  assenza  di
procedure di VIA" o, comunque, in assenza di  VIA,  in  ipotesi  piu'
volte gia' rinnovate; ancora, osserva la Corte che  "eludere  in  via
legislativa  la  prevista   procedura   amministrativa   di   rinnovo
equivarrebbe a rinunciare al controllo amministrativo  dei  requisiti
che, medio tempore, potrebbero essersi  modificati  o  essere  venuti
meno, con  esclusione,  peraltro,  di  qualsiasi  sindacato  in  sede
giurisdizionale comune". 
    Anche nella sentenza  n.  273/1998  la  Corte  costituzionale  ha
ribadito   che:   "Secondo   l'ordinamento   italiano,   per    altro
interpretabile in logico collegamento con  la  direttiva  comunitaria
85/337/Cee del 27  giugno  1985,  la  materia  della  valutazione  di
impatto ambientale, pur potendosi articolare in una molteplicita'  di
discipline  regionali  resta  regolata,  per  i  progetti  di   opere
pubbliche di rilievo non elevato, dall'art. 40 l. 22 febbraio 1994 n.
146, che costituisce la  base  normativa  dell'atto  di  indirizzo  e
coordinamento governativo approvato con d.P.R.  12  aprile  1996;  la
qualificazione di importanza dell'impatto ambientale per  i  predetti
progetti e' il risultato di  un  apprezzamento  tecnico-discrezionale
necessariamente unitario su tutto il territorio dello Stato  e,  come
tale, legittimamente impegna  le  regioni  e  le  province  autonome,
all'interno della ragionevole banda di oscillazione  del  trenta  per
cento in piu' o in meno prestabilita in quell'atto di indirizzo." 
    La  particolare  importanza  del  rispetto  della  Direttiva  del
Consiglio 27 giugno 1985 n. 85/337/Cee per tutti gli  interventi  che
incidono sull'ambiente (quale, senza ombra di dubbio, e'  l'attivita'
estrattiva) e' stata piu' volte affermata dalla giurisprudenza  della
Corte di Giustizia: si vedano le sent. 3  luglio  2008,  C-215/06;  7
gennaio 2004, C-201/02; 16 settembre 1999, C-435/07; 2  maggio  1996,
C-133/94. 
    La citata sentenza della Corte costituzionale n.  67/2010  ne  ha
fatto puntuale applicazione al caso sottoposto al suo esame, identico
a quello oggi in discussione e  che  va  deciso  secondo  gli  stessi
principi, atteso che in entrambi i  casi  di  cui  ai  commi  1  e  2
dell'art. 5 della  legge  regione  Umbria  n.  7/2012,  la  normativa
regionale prevede che l'attivita' di estrazione di materiale di scavo
possa avvenire senza la prescritta autorizzazione ambientale (coma la
VIA). 
    5. In conclusione, la normativa regionale in questione,  dettando
disposizioni confliggenti con la normativa  comunitaria  e  nazionale
vigente o ignorandola nelle disposizioni di riferimento,  ha  violato
l'ambito della potesta' legislativa esclusiva statale in  materia  di
tutela dell'ambiente e del territorio di cui all'articolo 117,  comma
2,  lett.  s)  della  Costituzione,  nonche'   le   disposizioni   di
derivazione comunitaria (in  particolare,  la  direttiva  comunitaria
85/337/Cee) delle quali i testi normativi statali (in particolare, il
d.legs.  n.   152/06)   costituiscono   attuazione,   in   violazione
dell'articolo 117, comma 1, Cost. 
    Le norme in esame violano anche l'art. 9 Cost.  nella  misura  in
cui  non  assicurano  la  dovuta  tutela   dell'ambiente   escludendo
sostanzialmente   la   possibilita'   di    verificare    l'eventuale
compromissione   del   territorio   conseguente   alla   prosecuzione
dell'attivita'    estrattiva    dopo     la     naturale     scadenza
dell'autorizzazione o in sua assenza. 

 

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