Ricorso n. 88 del 7 giugno 2012 (Presidente del Consiglio dei Ministri)
Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato
e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui
uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Contro la Regione Umbria, in persona del Presidente della Giunta
p.t., per la declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 5 della
legge regionale 4 aprile 2012 n. 7, pubblicata nel B.U.R. n. 15 del 5
aprile 2012, avente ad oggetto "Disposizioni collegate alla manovra
di bilancio 2012 in materia di entrate e di spese-Modificazioni ed
integrazioni di leggi regionali", giusta delibera del Consiglio dei
Ministri in data 30 maggio 2012.
1. La legge della Regione Umbria 4 aprile 2012 n. 7, composta di
29 articoli, detta disposizioni varie attuative della manovra di
bilancio e modificative di leggi regionali, disponendo - fra l'altro
- la proroga di termini previsti dalle leggi regionali n. 2/2000 e n.
9/2000 in relazione all'esercizio di attivita' estrattiva.
In particolare, l'art. 5 della legge in esame, ai commi 1 e 2,
definisce un modello procedimentale semplificato per la "proroga"
(comma 1) delle autorizzazioni all'esercizio dell'attivita'
estrattiva vigenti alla data del 31 dicembre 2009 e per le quali e'
in corso, ovvero si e' concluso positivamente, il procedimento di
accertamento di giacimento di cava e (comma 2) delle autorizzazioni
all'esercizio dell'attivita' estrattiva vigenti alla data del 31
dicembre 2011, per le quali non sia stato completato il progetto
autorizzato e non sia stata presentata richiesta di accertamento di
giacimento di cava. In entrambi i casi la norma regionale prevede
espressamente che si tratti di una proroga ulteriore e cioe'
aggiuntiva rispetto ai termini di cui all'articolo 8, comma 4 della
legge regionale 3 gennaio 2000, n. 2 (2 anni) e di cui all'articolo
4, comma 1 della legge regionale 12 febbraio 2010, n. 9 (2 anni anche
in tale caso).
2. In via generale si osserva che, secondo una consolidata
giurisprudenza costituzionale, confermata nella recente pronuncia n.
67/2010, la potesta' di disciplinare l'ambiente nella sua interezza
e' stata affidata in via esclusiva allo Stato dall'art. 117, comma
secondo, lettera s), della Costituzione, il quale, come e' noto,
parla di "ambiente" (ponendovi accanto la parola "ecosistema") in
termini generali e onnicomprensivi. Ne consegue che spetta allo Stato
disciplinare l'ambiente come una entita' organica, dettare cioe'
delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole
componenti considerate come parti del tutto. E' da notare che la
disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente, inerisce ad un
interesse pubblico di valore costituzionale primario (sent. n.
151/1986) ed assoluto (sent. n. 210/1987) e deve garantire, come
prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di tutela, come
tale inderogabile da altre discipline di settore. Inoltre, la
disciplina unitaria del bene complessivo ambiente, rimessa in via
esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle
Regioni e dalle Province autonome, in materie di competenza propria
ed in riferimento ad altri interessi. Cio' comporta che la disciplina
ambientale che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva
dello Stato, investendo l'ambiente nel suo complesso e quindi anche
in ciascuna sua parte, viene a funzionare come un limite alla
disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre
materie di loro competenza, secondo quanto ribadito dalla Corte
costituzionale anche nella sentenza 380/2007.
Pertanto, nelle materie oggetto di disciplina della legge in
esame il legislatore regionale, nell'esercizio della propria
competenza legislativa piena, e' sottoposto al rispetto degli
standards minimi ed uniformi di tutela posti in essere dalla
legislazione nazionale, ex art. 117, comma 2, lettera s) Cost., oltre
che al rispetto della normativa comunitaria di riferimento, secondo
quanto disposto dall'art. 117, comma 1, della Costituzione.
Sulla base di queste premesse l'art. 5 della legge regionale n.
7/2012 e' censurabile, perche' invasivo della competenza esclusiva
statale di cui all'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione
ed in violazione dei vincoli posti al legislatore regionale dal
diritto comunitario, di cui all'art. 117, comma 1, Cost., oltre che
per violazione dell'art. 9 Cost.
3. I commi 1 e 2 dell'art. 5 appaiono in contrasto sia con le
disposizioni della direttiva del 27 giugno 1985/337/ CEE, concernente
la valutazione dell'impatto ambientale (VIA), sia con la vigente
normativa nazionale di settore recata dal d.lgs. 152/06, in quanto
consentono che le autorizzazioni gia' scadute o in scadenza siano di
fatto rinnovate senza alcuna condizione, verifica o procedura di
natura ambientale. La normativa statale vigente ammette un siffatto
rinnovo soltanto per quei progetti che siano gia' stati sottoposti a
VIA o alla procedura di verifica di assoggettabilita' a VIA entro gli
ultimi cinque anni (termine stabilito a pena di decadenza dall'art.
26, comma 6, del d.lgs. 152/06), mentre lo esclude per quei progetti
che in precedenza non siano mai stati sottoposti alle predette
procedure di VIA o di verifica di assoggettabilita' a VIA.
La normativa regionale, pertanto, sottraendo tali progetti a
dette procedure, determina la violazione delle disposizioni recate
dagli articoli da 20 a 28 e dagli Allegati III, lettera s) e IV,
punto 8, lettera i), dello stesso d.lgs. 152/06.
Nel rispetto delle richiamate disposizioni e' ammissibile
sottrarre alla procedura VIA quei rinnovi di autorizzazione per
progetti estrattivi autorizzati sulla base di una previa valutazione
di impatto ambientale ovvero di una verifica di assoggettabilita' a
VIA (tenendo comunque presente il termine di decadenza quinquennale
stabilito dall'art. 26, comma 6 del d.lgs. 152/06), tuttavia tale
assunto non puo' trovare applicazione nel caso in cui l'originaria
autorizzazione alla realizzazione dell'impianto e la conseguente
autorizzazione all'esercizio risultino rilasciate anteriormente
all'entrata in vigore alla normativa nazionale in esame, di
recepimento della disciplina comunitaria.
4. La fondatezza delle censure di incostituzionalita' teste'
formulate e' supportata dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale nella materia; in particolare, nella sentenza n.
67/2010, in merito alla proroga in materia di attivita' estrattive,
la Corte ha affermato "che risulterebbe sicuramente contrario
all'effetto utile della direttiva 85/337/CEE un sistema che
prorogasse automaticamente autorizzazioni rilasciate in assenza di
procedure di VIA" o, comunque, in assenza di VIA, in ipotesi piu'
volte gia' rinnovate; ancora, osserva la Corte che "eludere in via
legislativa la prevista procedura amministrativa di rinnovo
equivarrebbe a rinunciare al controllo amministrativo dei requisiti
che, medio tempore, potrebbero essersi modificati o essere venuti
meno, con esclusione, peraltro, di qualsiasi sindacato in sede
giurisdizionale comune".
Anche nella sentenza n. 273/1998 la Corte costituzionale ha
ribadito che: "Secondo l'ordinamento italiano, per altro
interpretabile in logico collegamento con la direttiva comunitaria
85/337/Cee del 27 giugno 1985, la materia della valutazione di
impatto ambientale, pur potendosi articolare in una molteplicita' di
discipline regionali resta regolata, per i progetti di opere
pubbliche di rilievo non elevato, dall'art. 40 l. 22 febbraio 1994 n.
146, che costituisce la base normativa dell'atto di indirizzo e
coordinamento governativo approvato con d.P.R. 12 aprile 1996; la
qualificazione di importanza dell'impatto ambientale per i predetti
progetti e' il risultato di un apprezzamento tecnico-discrezionale
necessariamente unitario su tutto il territorio dello Stato e, come
tale, legittimamente impegna le regioni e le province autonome,
all'interno della ragionevole banda di oscillazione del trenta per
cento in piu' o in meno prestabilita in quell'atto di indirizzo."
La particolare importanza del rispetto della Direttiva del
Consiglio 27 giugno 1985 n. 85/337/Cee per tutti gli interventi che
incidono sull'ambiente (quale, senza ombra di dubbio, e' l'attivita'
estrattiva) e' stata piu' volte affermata dalla giurisprudenza della
Corte di Giustizia: si vedano le sent. 3 luglio 2008, C-215/06; 7
gennaio 2004, C-201/02; 16 settembre 1999, C-435/07; 2 maggio 1996,
C-133/94.
La citata sentenza della Corte costituzionale n. 67/2010 ne ha
fatto puntuale applicazione al caso sottoposto al suo esame, identico
a quello oggi in discussione e che va deciso secondo gli stessi
principi, atteso che in entrambi i casi di cui ai commi 1 e 2
dell'art. 5 della legge regione Umbria n. 7/2012, la normativa
regionale prevede che l'attivita' di estrazione di materiale di scavo
possa avvenire senza la prescritta autorizzazione ambientale (coma la
VIA).
5. In conclusione, la normativa regionale in questione, dettando
disposizioni confliggenti con la normativa comunitaria e nazionale
vigente o ignorandola nelle disposizioni di riferimento, ha violato
l'ambito della potesta' legislativa esclusiva statale in materia di
tutela dell'ambiente e del territorio di cui all'articolo 117, comma
2, lett. s) della Costituzione, nonche' le disposizioni di
derivazione comunitaria (in particolare, la direttiva comunitaria
85/337/Cee) delle quali i testi normativi statali (in particolare, il
d.legs. n. 152/06) costituiscono attuazione, in violazione
dell'articolo 117, comma 1, Cost.
Le norme in esame violano anche l'art. 9 Cost. nella misura in
cui non assicurano la dovuta tutela dell'ambiente escludendo
sostanzialmente la possibilita' di verificare l'eventuale
compromissione del territorio conseguente alla prosecuzione
dell'attivita' estrattiva dopo la naturale scadenza
dell'autorizzazione o in sua assenza.