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N. 89 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 10 luglio 2006. |
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Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 10 luglio 2006 (della Regione Lazio)
(GU n. 38 del 20-9-2006) |
Ricorso della Regione Lazio, in persona del Presidente della
giunta regionale, dott. Pietro Marrazzo, che agisce in forza della
delibera della giunta regionale n. 358 del 20 giugno 2006,
rappresentata e difesa nel presente giudizio dal prof. avv. Vincenzo
Cerulli Irelli, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in
Roma, via Dora 1, giusta delega in margine al presente atto;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la
declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 2 e
3 e dell'art. 5 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 -
«Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE», pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 100 del 2 maggio 2006, S.O. n. 107 - per
violazione dell'art. 76, dell'art. 97, dell'art. 117 e dell'art. 118
della Costituzione nonche' dei principi di ragionevolezza,
proporzionalita' e di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni.
F a t t o
1. - La legge di delega e il decreto legislativo.
L'art. 25, comma 1, della legge 18 aprile 2005 n. 62 (legge
comunitaria 2004) ha delegato il Governo a recepire nell'ordinamento
nazionale le direttive nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE del 31 marzo 2004,
recanti rispettivamente il coordinamento delle «procedure di appalto
degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono
servizi di trasporto e servizi postali» e il coordinamento «delle
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di
forniture e di servizi».
1.1. - Con il decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 «codice
dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE», (da ora,
«Codice»), il Governo avrebbe dovuto attuare la predetta delega,
muovendosi lungo le direttrici indicate dai principi e criteri
direttivi in essa previsti: 1) compilazione di un «unico testo
normativo» in materia di appalti pubblici, allo scopo di adeguare
l'ordinamento nazionale non solo alla disciplina contenuta nelle
direttive comunitarie citate (art. 25, comma 1, lett. a) legge 62
cit.) ma anche ai principi del diritto comunitario (art. 25, comma 1,
lett. d); 2) semplificazione delle procedure nazionali di
affidamento, per le parti non direttamente coperte dalla disciplina
comunitaria, allo scopo di favorire il contenimento dei tempi e la
massima flessibilita' degli strumenti giuridici (art. 25, comma 1,
lett. b).
Da questa breve descrizione dei principi della delega, non
sembra, invero, che nelle intenzioni del legislatore nazionale vi
fosse un Codice degli appalti che, oltre ad adeguare l'ordinamento
nazionale agli sviluppi dell'ordinamento comunitario, rappresentasse
lo strumento per un radicale ripensamento e per una complessiva
riorganizzazione di tutto il quadro normativo dell'intero mercato
degli appalti pubblici nazionali. Soprattutto, non sembra che
l'intenzione del legislatore delegante fosse quella di autorizzare il
Governo a procedere con propria legislazione verso un'operazione di
copertura totale del settore degli appalti pubblici; non vi e' dubbio
infatti che quella contenuta nel Codice sia l'unica disciplina
dell'ordinamento nazionale in materia di forniture, servizi e lavori
pubblici, applicabile a tutti gli enti della Repubblica, di qualunque
livello territoriale (statale, regionale, locale).
Quanto teste' detto ha ricadute dirette nel medesimo settore
degli appalti pubblici, circa il tema del riparto di competenze
normative tra lo Stato e le regioni; riparto di competenze che, come
si avra' modo di approfondire in seguito, il Codice disciplina
all'art. 4 («competenze legislative di Stato, regioni e, province
autonome»), in modo non conforme al vigente testo costituzionale.
2. - Le norme del Codice impugnate.
L'art. 4, comma 1 stabilisce che «le Regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potesta' normativa
nelle materie oggetto del presente codice nel rispetto dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e delle disposizioni relative
a materie di competenza esclusiva dello Stato». Ma quando si tratta
di individuare quali siano, secondo la disciplina del Codice, gli
ambiti materiali entro i quali e' riconosciuta la potesta' normativa
alle regioni, ci si accorge che questo spazio e' ridotto oltremodo.
L'art. 4, comma 2 del Codice stabilisce, infatti, che
«relativamente alle materie oggetto di competenza concorrente, le,
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la
potesta' normativa nel rispetto dei principi fondamentali contenuti
nelle norme del presente codice, in particolare, in tema di
programmazione di lavori pubblici, approvazione dei progetti ai fini
urbanistici ed espropriativi organizzazione amministrativa, compiti e
requisiti del responsabile del procedimento, sicurezza del lavoro».
2.1. - Come si vede - e come si dira' meglio in seguito - il
Codice, nel ridisegnare il quadro delle attribuzioni legislative nel
settore degli appalti pubblici, attribuisce alle regioni potesta'
normativa concorrente in materie che esulano indubbiamente da tale
settore, e che piuttosto appartengono trasversalmente alla potesta'
normativa di enti pubblici, anche diversi dalle regioni: la
«organizzazione amministrativa» (ivi compresi, «i compiti e i
requisiti del responsabile del procedimento») fa parte del corredo
minimo di autonomia normativa attribuito a ciascun ente pubblico e
rappresenta comunque una materia che rientra nella potesta'
legislativa residuale delle regioni ai sensi dell'art. 117, comma 4,
Cost.; la «programmazione dei lavori pubblici», individuando la
normale attivita' di qualunque ente impegnato ad investire le proprie
risorse nell'ambito di settori amministrativi di propria competenza,
rinvia all'esercizio del potere amministrativo di tali enti, senza
con questo indicare uno speciale ambito di potesta' legislativa
regionale nel settore degli appalti pubblici; la «approvazione dei
progetti a fini urbanistici ed espropriativi», in forza di una
legislazione ormai quasi trentennale (legge 3 gennaio 1978 n. 1),
rappresenta una funzione pacificamente ascrivibile alla potesta' di
ogni amministrazione territoriale; la «sicurezza del lavoro» e' una
materia gia' espressamente contemplata dall'art. 117, comma 3, come
oggetto di potesta' legislativa concorrente delle regioni e dunque
estranea rispetto al settore degli appalti pubblici.
2.2. - All'art. 4, comma 3 si ritrovano elencati gli ambiti piu'
propriamente e direttamente costitutivi del settore degli appalti
pubblici, la disciplina legislativa dei quali e' tuttavia attribuita
in via esclusiva allo Stato: «le regioni, nel rispetto dell'articolo
117, comma secondo, della Costituzione, non possono prevedere una
disciplina diversa da quella del presente codice in relazione: alla
qualificazione e selezione dei concorrenti; alle procedure di
affidamento, esclusi i profili di organizzazione amministrativa; ai
criteri di aggiudicazione; al subappalto; ai poteri di vigilanza sul
mercato degli appalti affidati all'Autorita' per la vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture; alle attivita' di
progettazione e ai piani di sicurezza; alla stipulazione e
all'esecuzione dei contratti, ivi compresi direzione dell'esecuzione,
direzione dei lavori, contabilita' e collaudo, ad eccezione dei
profili di organizzazione e contabilita' amministrative; al
contenzioso. Resta ferma la competenza esclusiva dello Stato a
disciplinare i contratti relativi alla tutela dei beni culturali i
contratti nel settore della difesa, i contratti segretati o che
esigono particolari misure di sicurezza relativi a lavori, servizi
forniture».
Come si vede, tutta la disciplina degli appalti pubblici, in ogni
aspetto piu' significativo (dalla qualificazione e selezione dei
concorrenti, alle procedure di affidamento e ai criteri di
aggiudicazione), e' attribuita dal Codice alla potesta' legislativa
statale, in maniera analitica ed onnicomprensiva.
2.3. - Per di piu', ad accentuare la pervasivita' della
disciplina normativa statale anche al versante degli appalti pubblici
regionali, l'art. 5, del Codice stabilisce che «lo Stato detta con
regolamento la disciplina esecutiva e attuativa in relazione ai
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di amministrazioni
ed enti statali e, limitatamente agli aspetti di cui all'articolo 4,
comma 3, in relazione ai contratti di ogni altra amministrazione o
soggetto equiparato» (comma 1). Piu' in particolare, «il regolamento
indica quali disposizioni, esecutive o attuative di disposizioni
rientranti ai sensi dell'articolo 4, comma 3, in ambiti di
legislazione statale esclusiva, siano applicabili anche alle regioni
e province autonome» (comma 2).
In sostanza, la disciplina statale contenuta nel Codice e nel
futuro regolamento di attuazione finisce per rappresentare
praticamente l'unica fonte normativa in tema di appalti pubblici
stipulati da qualunque amministrazione; normativa di dettaglio,
vincolante e non cedevole, anche nei confronti delle regioni, per la
disciplina di appalti di interesse regionale, in ambiti materiali
attribuiti alla competenza normativa regionale.
3. - Il parere (negativo) della Conferenza unificata.
Sullo schema di decreto legislativo, preliminarmente approvato
dal Consiglio dei ministri - e segnatamente sull'art. 4, commi 2 e 3
e sull'art. 5 - in data 9 febbraio 2006, le regioni hanno espresso
parere negativo, in sede di Conferenza Unificata, di cui all'art. 8
del d.lgs. n. 281 del 1997: parere del quale, tuttavia, il Governo
non ha tenuto conto, quanto meno, in relazione alle norme in questa
sede impugnate.
In tale parere, in particolare, si rileva innanzi tutto che «sul
piano del metodo sarebbe stato non solo opportuno ma anche doveroso,
in ossequio alle indicazioni piu' volte espresse dalla Corte
costituzionale ed in continuita' con la prassi partecipativa piu'
volte sperimentata in occasione dell'emanazione di precedenti
normative nazionali, avviare un percorso condiviso e concertato con
le regioni, attesa la valenza e la portata di un provvedimento di
questa importanza». In secondo luogo, nel suo parere, la Conferenza
unificata lamenta il fatto che l'art. 5 dello schema «demanda ad un
apposito regolamento la disciplina esecutiva ed attuativa del Codice
nelle materie oggetto di competenza legislativa statale esclusiva
(...). Secondo questa impostazione, pertanto, tutte le materie
destinate (...) ad essere regolate nel dettaglio dal regolamento de
quibus sarebbero per cio' stesso ascrivibili alla potesta'
legislativa esclusiva dello Stato, in quanto l'art. 117, comma 6,
della Costituzione, come e' noto circoscrive la potesta'
regolamentare dello Stato alle sole materie di sua competenza
esclusiva». Ne consegue, secondo le stesse regioni, che quelle di
loro che non hanno ancora legiferato in tema di appalti pubblici, si
vedranno preclusa in futuro la possibilita' di dettare norme di
disciplina su aspetti pacificamente attribuiti alla loro competenza
regolativa (ad es. la programmazione, il responsabile del
procedimento, le procedure relative alle fasi della progettazione,
della direzione lavori, del collaudo, ecc.). Inoltre, per quelle
regioni che invece hanno gia' legiferato in tema di appalti pubblici,
disciplinando oggetti che saranno successivamente regolati dal
regolamento statale, si presenterebbe il rischio di una automatica
caducazione a seguito dell'entrata in vigore del Codice (e del suo
regolamento). Insomma, secondo il parere espresso in sede di
Conferenza Unificata, l'art. 5 del Codice appare lesivo «delle
competenze legislative regionali in relazione a tutti quei (cospicui
e numerosi) aspetti dei lavori pubblici, e non solo, per i quali si
fa rinvio al regolamento di attuazione e per i quali si ritiene che
non rientrino nella potesta' legislativa esclusiva dello Stato». Piu'
in generale, l'adozione del Codice «contribuisce a determinare tra
Stato e regioni un assetto delle competenze legislative e dei
rispettivi ruoli ispirato al riconoscimento dello Stato quale unico
soggetto titolato a normare il settore dei lavori dei servizi e delle
forniture, in aperta contraddizione con una ormai consolidata
interpretazione dell `art. 117 che riconosce anche alle Regioni
potesta' legislativa nei settori in parola».
4. - Il parere dell'Adunanza generale del Consiglio di Stato.
Sul medesimo schema di decreto legislativo ha espresso il proprio
parere anche l'Adunanza generale del Consiglio di Stato, la quale,
nella seduta del 6 febbraio 2006, ha formulato alcuni rilievi critici
al testo esaminato, proponendo la riformulazione di taluni articoli.
4.1. - In primo luogo, il Consiglio di Stato ha richiamato
l'attenzione del Governo, sulla particolare importanza del parere
(negativo) della Conferenza unificata (del 9 febbraio 2006) in un
settore come quello in esame nel quale particolarmente problematica
si presenta la questione del riparto delle competenze tra Stato e
regioni.
Segnatamente su tale questione, a giudizio del Consiglio di
Stato, il fatto che gli appalti pubblici di lavori, servizi e
forniture non siano espressamente individuati dal nuovo art. 117
della Costituzione, non autorizza a desumere che essi siano oggetto
di potesta' legislativa residuale delle regioni; cio', sulla base di
quanto rilevato dalla Corte costituzionale «si tratta di ambiti di
legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si
qualficano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono e pertanto
possono essere ascritti di volta in volta a potesta' legislative
esclusive dello Stato ovvero a potesta' legislative concorrenti»
(Corte cost. n. 303/2003).
Il Consiglio di Stato correttamente ritiene che nel nuovo quadro
costituzionale la disciplina degli appalti pubblici abbia carattere
trasversale e trovi una sua collocazione, sotto molteplici profili,
in altre materie nominate nel nuovo art. 117 ed attribuite alla
legislazione esclusiva dello Stato o alla legislazione concorrente
Stato - regioni; d'altra parte, altrettanto correttamente, il
Consiglio di Stato ritiene necessario tenere opportunamente distinta
l'area degli appalti statali da quella degli appalti di interesse
meramente regionale. Per la prima area, non v'e' dubbio che il
legislatore statale sia titolare di potesta' legislativa esclusiva in
tema di pubblici lavori, forniture e servizi «statali»; per la
seconda area, invece, occorre stabilire i limiti della competenza
statale, con riguardo ad alcune materie individuate dall'art. 117,
comma 2, della Costituzione: «tutela della concorrenza», «ordinamento
civile», «giurisdizione e norme processuali» e «giustizia
amministrativa».
4.2. - La tutela della concorrenza e' la materia che secondo il
Consiglio di Stato pone i problemi piu' delicati. Ed infatti, come
sottolineato dalla Corte, costituzionale (sentenze n. 272/2004 e
n. 29/2006), la tutela della concorrenza costituisce una competenza
trasversale, che coinvolge piu' ambiti materiali e legittima
l'intervento del legislatore statale anche su materie, sotto altri
profili, di competenza regionale - allo scopo di unificare in capo
allo Stato strumenti di politica economica funzionali allo sviluppo
dell'intero Paese e idonei ad incidere sull'equilibrio economico
generale (cosi' avviene anche per alcuni aspetti relativi al settore
degli appalti pubblici). Il Consiglio di Stato ritiene che il
carattere trasversale della tutela della concorrenza consenta alla
legge dello Stato di incidere nel settore degli appalti pubblici, ma
senza tuttavia «consumarne, per definizione, tutto l'ambito,
cosicche' rimangono di regola spazi non sensibili a tale problematica
nei cui confronti resta fermo il normale riparto di competenze».
In sostanza, gli effetti trasversali imposti dalla tutela della
concorrenza non autorizza una lettura totalizzante della disciplina
(di principio e di dettaglio) di tutti gli appalti pubblici (anche
quelli di interesse meramente regionale) a favore della competenza
legislativa esclusiva dello Stato. Nello stesso settore dei contratti
pubblici, infatti, possono essere contemporaneamente coinvolti ed
attivati: a) profili riguardanti la concorrenza; b) profili attinenti
ad aspetti meramente organizzativi, procedurali, economici (tra i
quali, la progettazione dei lavori, servizi e forniture, la direzione
dei lavori servizi e forniture, il collaudo, i compiti e i requisiti
del responsabile del procedimento). Occorre, dunque, opportunamente
distinguere - secondo l'insegnamento della citata giurisprudenza
costituzionale - nel medesimo settore degli appalti pubblici, gli
aspetti sub a), da attribuire alla legislazione esclusiva statale e
gli aspetti sub b) da ascrivere alla competenza concorrente ovvero
residuale delle regioni. Nel primo caso (e solo in esso), la
competenza normativa regionale rimane soggetta alla legislazione di
principio e di dettaglio contenuta nel Codice; nel secondo, invece,
fatta salva la rilevanza dei principi fondamentali espressi nel
Codice (art. 2), la legislazione regionale puo' esprimersi senza i
vincoli imposti dal Codice come disciplina di dettaglio.
Sulla base di tale ricostruzione, il Consiglio di Stato
individua, nel settore degli appalti pubblici, gli ambiti per i quali
la tutela della concorrenza gioca un ruolo preponderante e rispetto
ai quali dunque non residuano spazi per l'esercizio della potesta'
normativa regionale: a) la qualificazione e selezione dei
concorrenti; b) i criteri di aggiudicazione; c) il subappalto; d) la
vigilanza sul mercato degli appalti affidata ad una autorita'
indipendente.
Per tutti gli altri aspetti, a giudizio del Consiglio di Stato
«deve riconoscersi la sussistenza di una competenza normativa delle
Regioni, (...) e cio' alla stregua di quanto affermato dalla Corte
costituzionale secondo cui la norma statale che imponesse una
disciplina tanto dettagliata da risultare non proporzionata rispetto
all'obiettivo della tutela della concorrenza costituirebbe una
illegittima compressione dell'autonomia regionale (Corte cost.,
n. 272/2004, relativa alle gare per i servizi pubblici locali)».
4.3. - Fin qui, la ricostruzione del Consiglio di Stato ha
riguardato gli appalti di importo superiore alla soglia comunitaria.
Per gli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria (ai
quali pure il Codice rivolge la sua disciplina), a giudizio del
supremo organo di consulenza, compete allo Stato (nei confronti della
potesta' normativa regionale, che in tale ambito non soggiace alla
disciplina nazionale che recepisce le direttive comunitarie) la
fissazione di generali principi, che assicurino trasparenza, parita'
di trattamento e non discriminazione: in particolare, i principi che
impongono la gara, che fissano l'ambito soggettivo ed oggettivo
ditale obbligo, che limitano il ricorso alla trattativa privata e
collegano alla violazione dell'obbligo sanzioni civili e forme di
responsabilita' (cfr., Corte cost. n. 345/2004).
4.4. - La ricostruzione del Consiglio di Stato ha immediate
conseguenze anche con riguardo all'esercizio dei poteri regolamentari
e quindi con riferimento alla disciplina contenuta nell'art. 5 del
Codice.
A giudizio del supremo organo di consulenza (e contrariamente
all'impostazione del Codice), posto che, dopo la riforma del Titolo V
della Costituzione, lo Stato ha conservato la potesta' regolamentare
solo nelle materie attribuite alla sua legislazione esclusiva, «tale
potesta' regolamentare puo' essere esercitata dallo Stato per dare
esecuzione ed attuazione all'intero Codice con riferimento ai
pubblici lavori servizi e forniture "statali", mentre con riferimento
a quelli di interesse regionale essa puo' essere esercitata
limitatamente a quei profili ricadenti nell'ambito della legislazione
esclusiva dello Stato, gia' indicati in precedenza. Al contrario,
l'elencazione degli aspetti da disciplinare tramite regolamento,
contenuta [nell'art. 5] del Codice, puo' indurre a ritenere che il
legislatore delegato abbia voluto rimettere alla potesta'
regolamentare dello Stato quei profili gia' individuati, per i quali
non risulta invece possibile incidere con regolamento sulle
competenze regionali». Coerentemente con la sua ricostruzione,
dunque, il Consiglio di Stato ha segnalato al Governo la necessita'
di precisare proprio all'art. 5 che «il regolamento debba
espressamente prevedere la sua applicabilita' ai lavori pubblici
statali e l'indicazione delle disposizioni applicabili alle regioni,
in quanto esecutive o attuative di disposizioni del Codice rientranti
in materie di legislazione esclusiva dello Stato». Negli altri casi,
ritiene il Consiglio di Stato che «l'applicabilita' del regolamento
deve essere limitata, con riferimento alle regioni, ai casi di
carenza della preesistente normativa regionale o perche' mai
approvata o perche' abrogata per effetto del suo contrasto con i
principi fondamentali recati dalla legge n. 109 del 1994 senza
successivo adeguamento della normativa regionale».
Il Governo, nell'adottare il Codice, non ha tenuto conto dei
rilievi espressi dal Consiglio di Stato nel descritto parere; quanto
meno con riguardo alle norme del Codice, in epigrafe indicate, che la
regione ricorrente ritiene illegittime e lesive delle proprie
attribuzioni e che pertanto impugna per i seguenti motivi
D i r i t t o
1.- Prima di sviluppare analiticamente le singole censure, ci sia
consentita una breve riflessione di inquadramento della vicenda in
esame. Il Codice, ispirato alle finalita' di adeguare l'ordinamento
nazionale all'ordinamento comunitario nonche' di semplificare e
razionalizzare la disciplina interna nel settore degli appalti
pubblici, si presenta come testo unico a carattere innovativo e
onnicomprensivo.
Gli e' che, tuttavia, come sottolineato sia dai citati pareri del
Consiglio di Stato sia della Conferenza Unificata, nel Codice, non si
fa alcuna opportuna distinzione tra appalti statali e appalti
regionali, quanto alle fonti della loro rispettiva disciplina; o
meglio, non si fanno le distinzioni che sarebbe stato lecito
attendersi a fronte del quadro costituzionale ridisegnato dalla legge
costituzionale n. 3/2001, per quanto riguarda il sistema delle
competenze normative dello Stato e delle regioni.
Le norme in questa sede impugnate - segnatamente l'art. 4, comma
3 - qualificano il Codice come la disciplina generale in materia di
appalti pubblici, contenente norme di principio e di dettaglio che si
impongono a tutte le amministrazioni, in primo luogo alle regioni.
Attraverso la presente impugnazione, si intende ristabilire l'esatto
quadro del riparto delle competenze normative tra lo Stato e le
regioni, nel settore dei lavori pubblici, disegnato dalla
Costituzione: a ristabilire cioe' l'esatto rapporto tra disciplina
del Codice effettivamente vincolante per la normativa regionale
(negli ambiti ascrivibili, senza forzature, alla tutela della
concorrenza, dell'ordinamento civile, del contenzioso) e disciplina
meramente cedevole (se non nella enunciazione dei principi) di fronte
alla legislazione regionale (anche secondo quanto stabilito dall'
art. 16 della legge 4 febbraio 2005 n. 11).
Dal Codice emerge una preoccupante impostazione statocentrica, in
cui il settore dei lavori, dei servizi e delle forniture pubbliche -
in questa sede si discute degli appalti di interesse meramente
regionale - e' consegnato in maniera pressoche' totale ed acritica
alle cure della legge statale, salvo residuali e marginali competenze
normative in sede concorrente, attribuite alle regioni, in ambiti,
come si e' detto, poco conferenti con il settore degli appalti
pubblici.
1.1. - Anticipando parte delle successive affermazioni, ci sia
consentito riflettere sul fatto che il settore degli appalti
rappresenta una rilevante manifestazione di amministrazione attiva di
cura in concreto dell'interesse pubblico. Non vi e' dubbio che tale
settore sia attraversato da esigenze di tutela di interessi
(trasversali) di particolare rilievo per la comunita' nazionale e
dunque attribuiti in esclusiva alla cura del legislatore statale; ma
e' altrettanto indubbio che, una volta individuati e tutelati questi
profili di «tutela della concorrenza», connessi alla disciplina
dell'«ordinamento civile» ovvero della «giustizia amministrativa», al
netto cioe' di questa area sensibile, il settore degli appalti
pubblici resta quello che e': comune manifestazione di
amministrazione attiva, che ciascun ente interessato organizza e
gestisce secondo le proprie esigenze e necessita', al livello
territoriale di propria competenza. Si vuole dire, in sostanza, che
un appalto di lavori pubblici di interesse regionale, depurato dalle
implicazioni poste a garanzia della concorrenzialita' del mercato,
resta mero esercizio di attivita' amministrativa (attivita' di
programmazione o procedurale, attivita' di diritto pubblico o
privato). E negli aspetti in cui l'appalto pubblico e' manifestazione
di attivita' amministrativa, la capacita' di fissarne la disciplina
normativa non puo' che seguire il criterio della dimensione
territoriale dell'interesse amministrato.
1.2. - Si ribadisce che attraverso gli art. 4, commi 2 e 3 e
l'art. 5, il Codice pretende di rappresentare - a tutela soprattutto
dei valori concorrenziali tra operatori del mercato - una generale
disciplina di dettaglio per (quasi) tutti gli aspetti nei quali si
articola il settore degli appalti pubblici; in cio' vincolando anche
la competenza normativa delle regioni, con riguardo agli appalti di
interesse meramente regionale.
Nel Codice, il valore della tutela della concorrenza sembra
assorbire e sacrificare ogni altro aspetto (in particolare,
l'autonomia organizzativa e la valutazione del merito amministrativo
da parte degli enti territoriali), come se il diritto degli appalti
pubblici debba nel suo complesso trasfigurare in una disciplina
antitrust, dettata dalla legislazione esclusiva dello Stato. Le norme
statali contenute nel Codice, analitiche e di dettaglio, diventano
cogenti nei confronti delle regioni anche nell'ambito della
programmazione dei contratti da aggiudicare, della disciplina delle
procedure di aggiudicazione, della direzione dei lavori, dei
collaudi. L'esigenza di assicurare l'uniformita' delle regole di
garanzia finisce di fatto per annullare l'esigenza di calibrare (nel
rispetto delle regole) l'amministrazione alle esigenze dei rispettivi
territori. Il diritto degli appalti, come disciplinato dal Codice,
segna un formidabile esempio di riaccentramento normativo, nel quale
la legge statale riacquista il suo primato sulle altre fonti di
legislazione riconosciute dall'ordinamento repubblicano, in assoluta
controtendenza rispetto al vigente quadro costituzionale. Si
ricordino a tal riguardo le osservazioni espresse dalla Conferenza
unificata nel parere (negativo) del 9 febbraio 2006: «[il Codice]
contribuisce a determinare tra Stato e regioni un assetto delle
competenze legislative e dei rispettivi ruoli ispirato al
riconoscimento dello Stato quale unico soggetto titolato a normare il
settore dei lavori, dei servizi e delle forniture pubblici, in
contraddizione con una ormai consolidata interpretazione dell'art.
117 che riconosce anche alle regioni potesta' legislativa nei settori
in parola».
1.3. - Ma v'e' di piu'. Il Codice recepisce la normativa
comunitaria e attraverso la pervasivita' della sua disciplina (per
effetto delle norme in questa sede impugnate) finisce per «imporre»
il diritto comunitario ben oltre le intenzioni del legislatore
delegante.
In particolare, gli artt. 4 e 5 del Codice non distinguono tra
appalti «di rilevanza comunitaria» e appalti «sotto soglia»: figure
giuridiche, queste, che tradizionalmente, ai fini del riparto di
competenze normative tra Stato e regioni, sono distinte (anche dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale) in relazione al differente
grado di cogenza della normativa statale di recepimento del diritto
comunitario; nonche' quanto alla diversa «invadenza» della potesta'
legislativa dello Stato a tutela della concorrenza, in settori di
competenza regionale (ad esempio, la disciplina dei procedimenti di
gara).
E cosi', per gli appalti di rilievo comunitario, lo Stato
dovrebbe tutelare la concorrenza, imponendo alle regioni, entro
limiti ragionevoli, la propria normativa di dettaglio con la quale ha
recepito la direttiva comunitaria; negli appalti «sotto soglia», la
tutela della concorrenza dovrebbe realizzarsi, invece, da parte
statale, non mediante l'imposizione alle regioni di una normativa di
dettaglio (come teorizzato dalle citate norme del Codice), bensi'
attraverso l'imposizione di principi comuni (cd. norme di principio),
a garanzia della trasparenza, parita' di trattamento e non
discriminazione (Corte costituzionale n. 345/2004). Ne e' derivata
sotto questo profilo, come subito si precisera', una palese
violazione dei criteri contenuti nella legge delega; segnatamente
quello della «semplificazione delle procedure di affidamento che non
costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie,
finalizzata a favorire il contenimento dei tempi e la massima
flessibilita' degli strumenti giuridici». A tal punto sono stati
semplificati gli appalti sotto soglia, che per essi il Codice,
attraverso gli artt. 4 e 5, ha imposto alle regioni (per gli appalti
regionali) l'analitica normativa di dettaglio, con la quale sono
state recepite le direttive comunitarie. Ma andiamo con ordine
all'esame delle singole censure.
2. - Illegittimita' costituzionale, dell'art. 4, comma 2 del
d.lgs. n. 163/2006, in relazione agli artt. 76, 97, 117 e 118 della
Costituzione, nonche' per violazione dei principi costituzionali di
ragionevolezza, proporzionalita' e leale collaborazione.
1.1 - L'art. 4, comma 2 del Codice prevede che, «relativamente
alle materie oggetto di competenza concorrente, le regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potesta'
normativa nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle
norme del presente codice, in particolare, in tema di programmazione
di lavori pubblici, approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed
espropriativi, organizzazione amministrativa, compiti e requisiti del
responsabile del procedimento, sicurezza del lavoro». In una
prospettiva piu' generale, come gia' ricordato, la norma costituisce
la prova evidente di come, nell'idea del legislatore delegato, la
potesta' regionale nel settore degli appalti pubblici si riduca «a
ben poca cosa» dopo l'entrata in vigore del Codice. Tale argomento
verra' ripreso nel successivo motivo di diritto nel quale l'indebita
estromissione della potesta' normativa regionale viene censurata con
riguardo al comma 3 dell'art. 4, che, a sua volta, assolutizza
l'estromissione del legislatore regionale dalla disciplina degli
appalti da aggiudicare ed eseguire nel territorio della medesima
regione.
2.2. - La norma in esame attribuisce alla competenza concorrente
delle regioni - da esercitarsi «nel rispetto dei principi
fondamentali contenuti nelle norme del presente codice» - ambiti
materiali come la «organizzazione amministrativa», i «compiti e
requisiti del responsabile del procedimento». Si contesta in questa
sede che, tanto sull'organizzazione amministrativa, quanto sugli
istituti attinenti alla disciplina del procedimento amministrativo,
il Codice possa contenere norme di principio, in quanto trattasi di
ambiti rientranti propriamente nei settori della organizzazione e
della azione amministrativa (solo di riflesso connessi al tema degli
appalti pubblici) ed ascrivibili alla competenza residuale delle
regioni.
Innanzi tutto, il dato letterale indica come tali ambiti non
siano indicati dall'art. 117, comma 3, tra le materie attribuite alla
competenza concorrente delle regioni. Ma v'e' di piu'. Laddove indica
il profilo dell'organizzazione amministrativa, il Codice intende
evidentemente l'insieme dei profili organizzativi connessi
all'aggiudicazione ed all' esecuzione degli appalti pubblici di
spettanza; vale a dire, gli aspetti connessi all'individuazione e al
funzionamento delle strutture organiche necessarie allo svolgimento
delle predette attivita' di amministrazione. Ebbene, l'art. 97 della
Costituzione attribuisce, com'e' noto, alla legge il compito di
organizzare i pubblici uffici in asse con i principi di imparzialita'
e buon andamento. La legge statale e quella regionale possono dunque
procedere alla disciplina generale degli organismi di propria
spettanza, essendo del tutto irrilevante che detta organizzazione
amministrativa inerisca al settore degli appalti pubblici; non si
vede, d'altra parte, quali principi in materia di organizzazione
amministrativa, oltre a quelli di imparzialita' e buon andamento
fissati dalla Costituzione, possano essere contenuti nel Codice,
cosi' da dequotare, in tale settore, la competenza regionale, da
residuale a concorrente.
2.3. - Neppure con riguardo ai «compiti e ai requisiti del
responsabile del procedimento», si deve ritenere che il Codice possa
contenere principi generali da imporre alla competenza normativa
delle regioni. Al riguardo, si ricorda che nella nostra Costituzione
(a differenza di quanto disposto ad esempio nella Costituzione
spagnola, art. 149, comma 1, n. 18), non e' prevista tra le materie
di competenza esclusiva dello Stato, quella relativa ai principi
generali dell'azione amministrativa o del procedimento amministrativo
(mentre tra queste materie e' compresa la «giustizia
amministrativa»). Quindi la questione se la disciplina generale
dell'azione amministrativa o del procedimento possa essere oggetto di
legislazione regionale si trasforma tutt'al piu', in un problema di
rapporti tra legislazione regionale e principi stabiliti (non da
Codice, ma) dalla legge 7 agosto 1990 n. 241, come modificata dalle
novelle del 2005, nella parte in cui vengono espressamente
riconosciuti come direttamente attuativi del sistema costituzionale.
2.4. - Quanto finora detto, deve ritenersi valido anche per la
«programmazione di lavori pubblici» e per la «approvazione dei
progetti ai fini urbanistici ed espropriativi» che rappresentano
tipiche manifestazioni di esercizio di amministrazione attiva che,
nei casi di appalti di interesse regionale, non si vede come possano
attrarre la competenza statale a dettare (attraverso il Codice) norme
di principio per la potesta' normativa regionale. Insomma, la norma
teste' censurata rappresenta una palese violazione del vigente quadro
costituzionale, con riguardo alla sfera di competenza normativa della
regione ricorrente, con immediate e dirette conseguenze sulla sfera
delle potesta' amministrative attribuite alla stessa regione.
2.5. - D'altra parte, la norma indicata rappresenta un assoluto
fuor d'opera rispetto alla delega attribuita al Governo dalla legge
n. 62/2005, la quale non contiene alcuna indicazione circa la
possibilita' del Codice di incidere sul riparto delle competenze
normative concorrenti di Stato e regioni (meno che mai, nei termini
attuati dal Codice e fin qui descritti).
2.6. - La medesima norma si presenta altresi' come il frutto
della violazione del principio di leale collaborazione tra i diversi
livelli del governo territoriale, che si attiva, in particolare, nei
casi in cui, in un medesimo ambito di disciplina, si verificano
cospicue interferenze e sovrapposizioni tra la competenza normativa
dello Stato e delle regioni. Sull'argomento si ritornera' piu'
specificamente al successivo 1/2 3.4.
3.-Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 3 del d.lgs.
n. 163/2006, in relazione agli artt. 76, 97, 117 e 118 della
Costituzione, nonche' per violazione dei principi di ragionevolezza,
proporzionalita' e leale collaborazione.
3.1. - L'art. 4, comma 3, del Codice stabilisce che «le regioni,
nel rispetto dell'art. 117, comma secondo, della Costituzione, non
possono prevedere una disciplina diversa da quella del presente
codice in relazione: alla qualificazione e selezione dei concorrenti;
alle procedure di affidamento, esclusi i profili di organizzazione
amministrativa; ai criteri di aggiudicazione; al subappalto; ai
poteri di vigilanza sul mercato degli appalti affidati all'Autorita'
per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture; alle attivita' di progettazione e ai piani di sicurezza;
alla stipulazione e all'esecuzione dei contratti, ivi compresi
direzione dell'esecuzione, direzione dei lavori, contabilita' e
collaudo, ad eccezione dei profili di organizzazione e contabilita'
amministrative; al contenzioso. Resta ferma la competenza esclusiva
dello Stato a disciplinare i contratti relativi alla tutela dei beni
culturali, i contratti nel settore della difesa, i contratti
segretati o che esigono particolari misure di sicurezza relativi a
lavori, servizi, forniture».
Questa norma e' emblematica di come nel Codice sia stata
costruita un'operazione di totale copertura del settore degli appalti
pubblici a favore della competenza legislativa esclusiva dello Stato;
copertura davvero esorbitante giacche' compressiva della sfera di
attribuzione regionale in relazione ad aspetti, per lo piu',
pacificamente ascrivibili alla disciplina di mere attivita'
amministrative.
3.2. - Il problema del riparto di competenze normative tra Stato
e regioni si pone, innanzi tutto perche' gli appalti pubblici non
costituiscono tecnicamente una materia omogenea; una di quelle
indicate all'art. 117 della Costituzione. E' bene ricordare che la
Corte costituzionale, a proposito del riparto delle sfere di
competenza legislativa nel settore degli appalti pubblici ha ritenuto
che: «si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera
e propria materia, ma si qualjflcano a seconda dell'oggetto al quale
afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a
potesta' legislative esclusive dello Stato ovvero a potesta'
legislative concorrenti» (Corte costituzionale n. 303/2003). Ed e'
anche opportuno ricordare le riflessioni espresse dall'Adunanza
generale del Consiglio di Stato nel parere del 6 febbraio 2006 (v.
retro): il settore degli appalti pubblici e' attraversato da esigenze
connesse con la tutela della concorrenza, con la materia del
contenzioso e dell'ordinamento civile; esigenze attribuite in
esclusiva alla cura del legislatore statale ma che, tuttavia, pur
nella loro rilevanza, non sono in grado di «consumarne, per
definizione, tutto l'ambito, cosicche' rimangono di regola spazi non
sensibili a tale problematica nei cui confronti resta fermo il
normale riparto di competenze».
A quest'ultimo riguardo - cioe', sui limiti entro i quali lo
Stato ha possibilita' di legiferare, a tutela della concorrenza tra
operatori del mercato degli appalti pubblici, coprendo anche ambiti
materiali affidati alla competenza delle regioni (tema fondamentale
nel presente giudizio di legittimita' costituzionale) - la Corte
ostituzionale e' chiarissima: «la competenza prevista dall'art. 117,
secondo comma, lettera e), della Costituzione (secondo cui spetta
allo Stato legiferare in via esclusiva in tema di tutela della
concorrenza), costituisce una competenza trasversale, che coinvolge
piu' ambiti materiali, si caratterizza per la natura funzionale
(individuando, piu' che degli oggetti, delle finalita' in vista delle
quali la potesta' legislativa statale deve essere esercitata) e vale
a legittimare l'intervento del legislatore statale anche su materie,
sotto altri profili, di competenza regionale». Ne consegue che la
tutela della concorrenza da parte della competenza legislativa
esclusiva dello Stato e' costituzionalmente legittima, in quanto
posta «in una relazione ragionevole e proporzionata rispetto agli
obiettivi attesi» (sentenza n. 14/2004); come a dire che
«l'intervento del legislatore statale in materia e' legittimo se
contenuto entro i limiti dei canoni di adeguatezza e
proporzionalita'. In particolare, la norma statale che imponesse una
disciplina tanto dettagliata da risultare non proporzionata rispetto
all'obiettivo della tutela della concorrenza costituirebbe una
illegittima compressione dell `autonomia regionale» (sentenza
n. 345/2004). La Corte costituzionale ha altresi' precisato che «una
dilatazione massima di tale competenza che non presenta i caratteri
di una materia di estensione certa, ma quelli di una funzione
esercitabile sui piu' diversi oggetti, rischierebbe di vanificare lo
schema dell'art. 117 della Costituzione che vede attribuite alla
potesta' legislativa residuale e concorrente delle regioni materie la
cui disciplina incide innegabilmente sullo sviluppo economico (...).
L `intervento statale si giustifica, dunque, per la sua rilevanza
macroeconomica: solo in tale quadro e' mantenuta allo Stato la
facolta' di adottare sia specifiche misure di rilevante entita' (...)
purche' siano in ogni caso idonee, quanto ad accessibilita' a tutti
gli operatori ed impatto complessivo, ad incidere sull'equilibrio
economico generale. Appartengono, invece, alla competenza legislativa
concorrente o residuale delle regioni gli interventi sintonizzati
sulla realta' produttiva regionale tali comunque da non creare
ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle cose fra le
regioni e da non limitare l'esercizio del diritto al lavoro in
qualunque parte del territorio nazionale» (sentenza n. 14/2004).
In sostanza, la disciplina degli appalti pubblici non e'
assorbita interamente dalle esigenze di tutela della concorrenza
(ovvero ordinamento civile e del contenzioso), essendo anche altro e
principalmente esercizio di attivita' di amministrazione attiva, di
cura in concreto di interessi pubblici, a cominciare dalle procedure
di aggiudicazione, per finire alle attivita' di progettazione, alla
direzione dei lavori ecc.; e in tali ambiti, va riconosciuta alle
regioni - come la Costituzione in effetti riconosce - una
incomprimibile competenza normativa.
3.3. - Si puo' concordare con il Consiglio di Stato che profili
come la «qualificazione e selezione dei concorrenti», i «criteri di
aggiudicazione», il «subappalto» e la «vigilanza sul mercato degli
appalti» rappresentino ambiti particolarmente sensibili e collegati
ad esigenze di tutela della concorrenza; e che per essi il Codice
opportunamente abbia voluto evitare competenze normative decentrate.
Ma, con lo stesso Consiglio di Stato conveniamo che per tutti gli
altri aspetti, relativi a profili meramente organizzativi,
procedurali, economici (si ribadisce, le procedure di affidamento, le
attivita' di progettazione, la direzione dell'esecuzione e direzione
dei lavori, il collaudo) «deve riconoscersi la sussistenza di una
competenza normativa delle regioni, (...) e cio' alla stregua di
quanto affermato dalla Corte costituzionale secondo cui la norma
statale che imponesse una disciplina tanto dettagliata da risultare
non proporzionata rispetto all'obiettivo della tutela della
concorrenza costituirebbe una illegittima compressione dell'autonomia
regionale».
Insomma, la regola posta dalla giurisprudenza costituzionale ed
amministrativa e' che, al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se
la tutela della concorrenza legittimi o meno determinati interventi
dello Stato occorre basarsi sul criterio di
proporzionalita-adeguatezza di tali interventi. Ebbene, nell'art. 4,
comma 3, invece, l'esigenza di tutela della concorrenza deborda di
gran lunga oltre il ragionevole, assoggettando tutti gli appalti
pubblici - anche quelli di interesse meramente regionale - alla
normativa di dettaglio contenuta nel medesimo Codice, anche in
relazione ad ambiti ascrivibili come detto all'esercizio di attivita'
amministrative, attratti alla competenza esclusiva statale, in forza
di un pregiudizio apodittico di complessiva inerenza alla materia
della «concorrenza». Le forzature di tale impostazione si ricavano,
peraltro, laddove lo stesso art. 4, comma 3 attribuisce in esclusiva
alla legge statale i «piani di sicurezza», senza tenere conto che
l'art. 117, comma 3, attribuisce alla legislazione concorrente la
materia della «tutela e sicurezza del lavoro».
3.4. - Ma e' sull'oggetto «procedure di affidamento» che si
consuma, forse, la forzatura costituzionale piu' evidente. Si tratta,
infatti, della disciplina di veri e propri procedimenti
amministrativi (e al riguardo il parere della Conferenza unificata e'
chiaro: «le modalita' di svolgimento delle procedure (...) attengono
piu' a profili organizzativi che di tutela della concorrenza»); anzi,
le procedure di aggiudicazione rappresentano storicamente il
paradigma dell'azione dell'amministrazione in forme
procedimentalizzate. Nessun dubbio che in tali procedure si
scarichino talune esigenze di tutela della concorrenza; ma restano
pur sempre procedimenti amministrativi, la cui disciplina normativa
e' attribuita ai pubblici poteri secondo il criterio di riparto
indicato dall'art. 29, comma 2, della legge n. 241/1990, che sul
punto applica fedelmente il nuovo impianto costituzionale, negando la
competenza esclusiva dello Stato: «le regioni e gli enti locali, nell
`ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate
dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle
garanzie del cittadino nei riguardi dell `azione amministrativa,
cosi' come definite dai principi stabiliti dalla presente legge».
3.5. - L'art. 4, comma 3 appare costituzionalmente illegittimo
anche per contrasto con l'art. 117, comma 5 della Costituzione,
«secondo il quale «le regioni (...), nelle materie di loro competenza
(...) provvedono all `attuazione e all'esecuzione (...) degli atti
dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite
da legge dello Stato (...)». L'art. 16 della legge 4 febbraio 2005
n. 11, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al
processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di
esecuzione degli obblighi comunitari», prevede che le regioni possono
(autonomamente) dare immediata attuazione alle direttive comunitarie,
salvo il rispetto: a) dei principi fondamentali non derogabili,
stabiliti dalla legge nazionale (legge comunitaria) nelle materie di
competenza concorrente; b) dei criteri e delle direttive contenute in
leggi statali o in regolamenti attuativi della legge comunitaria,
nelle materie attribuite alla competenza esclusiva dello Stato. Resta
inteso che lo Stato puo' procedere all'attuazione delle direttive
comunitarie in ambiti materiali di competenza residuale delle
regioni, nel caso di inerzia regionale rispetto all'obbligo di
attuazione; in questo caso, pero', la disciplina statale risulta
cedevole, rispetto alla sopravvenuta disciplina regionale di
attuazione (art. 11, comma 8, legge n. 11/2005 cit.).
Tale complessiva impostazione sembra essere stata disattesa dal
Codice. Di fronte alla possibile attuazione delle direttive
comunitarie 17/2004/CE e 18/2004/CE da parte regionale, la legge
statale non ha lasciato alle regioni, di fatto, alcun margine di
autonomia normativa, coprendo con la propria legislazione vincolante
e di dettaglio (anche per gli appalti «sotto soglia») ambiti
materiali pacificamente attribuiti dalla Costituzione alla potesta'
normativa regionale residuale e concorrente..
3.6. - Anche sotto i profili evidenziati durante l'esame della
presente censura emerge come il Governo abbia ecceduto rispetto alla
delega assegnata. I principi della delega indicavano: a)la necessita'
di compilare un unico testo normativo che recepisse le due direttive
in materia di procedure di appalto, coordinando anche le altre
vigenti disposizioni ai principi del diritto comunitario; b) la
necessita' di semplificare le procedure di affidamento che non
costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie, a
fini di contenimento dei tempi e di massima flessibilita' degli
strumenti giuridici.
Per quanto sub a), nelle intenzioni del legislatore delegante, il
recepimento delle direttive doveva naturalmente seguire il descritto
iter attuativo, previsto dall'ordinamento nazionale, senza alcuna
forzatura del sistema di riparto delle competenze normative tra lo
Stato e le regioni. Per quanto sub b), le finalita' di
semplificazione, di flessibilita' giuridica e di accelerazione delle
procedure appaiono contraddette dall'impostazione accentrativa del
Codice, che ha trasformato, da cedevole, in vincolante, la propria
disciplina di dettaglio anche in materie pacificamente attribuite in
Costituzione alla competenza normativa delle regioni.
3.7. - Infine, ulteriore profilo di illegittimita'
costituzionale, con riguardo alla norma in esame, si pone sul piano
della violazione del principio di leale collaborazione. Come
sottolineato dalla Corte, costituziona1e «questioni di legittimita'
costituzionale possono insorgere per le interferenze tra norme
rientranti in materie di competenza esclusiva, spettanti alcune allo
Stato ed altre (...) alle regioni. In tali ipotesi puo' parlarsi di
concorrenza di competenze e non di competenza ripartita o
concorrente. Per la composizione di sffatte interferenze la
Costituzione non prevede espressamente un criterio ed e' quindi
necessaria l'adozione di principi diversi: quello di leale
collaborazione, che per la sua elasticita' consente di aver riguardo
alle peculiarita' delle singole situazioni, ma anche quello della
prevalenza, cui pure questa Corte ha fatto ricorso (v. sentenza
n. 370 del 2003), qualora appaia evidente l'appartenenza del nucleo
essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad
altre» (sentenza n. 50/2005).
Anche il Consiglio di Stato, nel proprio parere del 6 febbraio
2005 aveva richiamato l'attenzione del Governo ªin questo «settore in
cui il riparto di competenze tra Stato e regioni e' altamente
problematico, sulla particolare importanza del parere della
Conferenza unficata (...), reso in data 9 febbraio 2006». Come si
ricordera', in tale parere la stessa Conferenza unificata esprimeva
le sue forti perpiessita' sul sistema di riparto delle competenze tra
Stato e regioni, disegnato dall'art. 4. Eppure il Governo, di fronte
al circostanziato parere negativo della Conferenza (e ai rilievi
critici sul medesimo punto espressi dal Consiglio di Stato) ha
proceduto unilateralmente alla formulazione delle norme in questa
sede impugnate.
4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5 del d.lgs.
n. 163/2006, in relazione agli artt. 76. 97, 117 e 118 della
Costituzione; violazione dei principi costituzionali relativi
all'esercizio del potere regolamentare e del principio, di legalita'.
4.1. - Le considerazioni espresse nelle precedenti censure
ridondano come motivo di illegittimita' costituzionale dell'art. 5
del Codice che, al comma 1 stabilisce: «Lo Stato detta con
regolamento la disciplina esecutiva e attuativa del presente codice
in relazione ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di
amministrazioni ed enti statali e, limitatamente agli aspetti di cui
all'art. 4, comma 3, in relazione ai contratti di ogni altra
amministrazione o soggetto equiparato»; ed al comma 2 prevede che:
«il regolamento indica quali disposizioni, esecutive o attuative di
disposizioni rientranti ai sensi dell'articolo 4, comma 3, in ambiti
di legislazione statale esclusiva, siano applicabili anche alle
regioni e province autonome».
Va da se' che, in forza del parallelismo tra competenza
legislativa e regolamentare, previsto dall'art. 117, comma 6 Cost.
(«la potesta' regolamentare spetta allo Stato nelle materie di
legislazione esclusiva, salva delega alle regioni. La potesta'
regolamentare spetta alle regioni in ogni altra materia»), laddove
l'art. 4, comma 3, ha ascritto alla potesta' legislativa esclusiva
dello Stato materie che invece debbono ritenersi non ricadenti
nell'art. 117, comma 2 Cost. (procedure di affidamento, attivita' di
progettazione, piani di sicurezza, direzione dell'esecuzione dei
contratti, direzione dei lavori, contabilita' e collaudo), il Codice
ha finito per attribuire allo Stato, in quelle materie, un'indebita
potesta' regolamentare di attuazione delle norme del Codice, ampia e
onnicomprensiva, vincolante (e non cedevole) anche per gli appalti
pubblici di interesse regionale (per il principio in base al quale, i
regolamenti governativi, compresi quelli delegati, non sono
legittimati a disciplinare materie di competenza regionale, cfr.
Corte costituzionale nn. 461/1991; 333/1995; 482/1995; 408/1998;
302/2003).
P. Q. M.
Con riserva di produrre ulteriori deduzioni, si chiede che
codesta ecc.ma Corte costituzionale dichiari la illegittimita'
costituzionale dell'art. 4, commi 2 e 3 nonche' dell'art. 5 del
decreto legislativo n. 163/2006.
Roma, addi' 28 giugno 2006
Prof. Avv. Vincenzo Cerulli Irelli
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