N. 89 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 26 novembre 2003.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 26 novembre 2003 (della Regione Friuli-Venezia Giulia)
(GU n. 3 del 21-1-2004)

Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del
presidente della giunta regionale pro tempore Riccardo Illy,
autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 3220 del 24
ottobre 2003, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del
presente atto, dall'avv. Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio
eletto in Roma presso l'ufficio di rappresentanza della Regione,
piazza Colonna, 355;

Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 32 del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti
per favorire lo sviluppo e per la correzione e dell'andamento dei
conti pubblici pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 229 del 2
ottobre:, 2003 - Supp. ord. n. 157, ed in particolare dei commi:
1, 2, 3, 4, 25, 26, lett. a), qualora si debba intendere che
con essi il legislatore statale prevede, nonostante la salvaguardia
disposta dal comma 4, un nuovo condono edilizio destinato ad operare
anche nella regione Friuli-Venezia Giulia;
25, in quanto non eccettua dal condono gli abusi per i quali
il procedimento sanzionatorio sia gia' iniziato;
26, lett. a), in quanto subordina la sanabilita' alla legge
regionale per gli abusi minori in zone non vincolate, sottraendo a
questo regime gli abusi maggiori e gli abusi minori in zone
vincolate;
3, 25, 26, lett. a), 28, 32, 35, lett. a) e b), 37, 38, 40 e
allegato 1, in quanto, con disciplina dettagliata ed autoapplicativa,
stabiliscono le condizioni, le modalita', i termini e le procedure
relative al condono edilizio;
25 e 35, in quanto consentono di «far passare» per gia'
costruite opere in corso di costruzione o ancora da costruire;
37, in quanto prevede un meccanismo di silenzio-assenso;
25, in quanto prevede un limite di volume per ogni singola
richiesta;
1, 2, 3, 25, 26, lett. a), in quanto contenuti in un
decreto-legge, in violazione dell'art. 4, n. 12, e dell'art. 8 della
legge Costituzionale n. 1/1963, degli articoli 3, comma primo, 5, 9,
97, comma primo, della Costituzione nonche' del principio di
ragionevolezza, di indisponibilita' dei valori costituzionalmente
tutelati e del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le
regioni.

F a t t o

La Regione Friuli-Venezia Giulia e' dotata di potesta'
legislativa primaria in materia urbanistica, ai sensi dell'art. 4,
n. 12, del proprio, Statuto speciale; nella medesima materia, spetta
ad essa la potesta' amministrativa, ai sensi dell'art. 8 dello
Statuto. Le funzioni amministrative sono state trasferite alla
Regione Friuli-Venezia Giulia dall'art. 27 d.P.R. 25 novembre 1975,
n. 902. La disciplina regionale dell'attivita' edilizia e' poi stata
dettata con la legge regionale 19 novembre 1991, n. 52.
Lo «storico» condono edilizio fu introdotto dalla legge n. 47 del
1985, come evento assolutamente eccezionale e correlato a rilevanti
innovazioni nella disciplina edilizia. A distanza di nove anni la
legge n. 724 del 1994 riapri' i termini del condono. Ed ora, a
distanza ancora di nove anni, l'art. 32 del decreto legge n. 269 del
2003 prevede un nuovo condono, riprendendo con modifiche le regole
sostanziali e procedurali del 1985 e del 1994.
L'art. 32 del decreto-legge, che contiene la normativa qui
impugnata, e' intitolato «Misure per la riqualificazione urbanistica,
ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attivita' di
repressione dell'abusivismo edilizio, nonche' per la definizione
degli illeciti e delle occupazioni di aree demaniali». Il comma 1
dichiara la finalita' di «pervenire alla regolarizzazione del
settore». Il comma 2 dichiara altresi' che «la normativa e' disposta
nelle more dell'adeguamento della disciplina regionale al testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia,
approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in conformita' al titolo
V della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3» e che sono «comunque fatte salve le competenze
delle autonomie locali sul governo del territorio». Il comma 3
precisa che «le condizioni, i limiti e le modalita' del rilascio del
predetto titolo abilitativo sono stabilite dal presente articolo e
dalle normative regionali».
In questi termini, pur «se talune delle citate formulazioni non
sembrano davvero perspicue - come quella che non si sa a quali fini
precisa trattarsi di una normativa adottata «nelle more»
dell'adeguamento delle leggi regionali al testo unico sull'edilizia -
l'intitolazione dell'articolo e i primi commi possono dare
l'impressione di una normativa «positiva», o comunque - per quanto
riguarda piu' strettamente il condono - di una normativa messa a
disposizione delle regioni e delle autonomie locali come un principio
facoltizzante, secondo cui la legislazione statale in materia di
«governo del territorio» autorizzerebbe le regioni che lo ritenessero
a permettere ai propri enti locali di rilasciare concessione in
sanatoria. entro i limiti fissati in primo luogo dalle stesse
seguenti disposizioni dell'art. 32, in secondo luogo dalle leggi
delle singole regioni.
Se cosi' fosse, il condono introdotto dall'art. 32 si presterebbe
pur sempre ad obbiezioni di legittimita' e merito - non sembrando
davvero consono alle ragioni di garanzia che presiedono al
riconoscimento di una legislazione statale di principio in materia di
governo del territorio la fissazione di regole che consentono invece
il «non governo» o addirittura il malgoverno - ma almeno nessuna
comunita' regionale si vedrebbe costretta ad accettare la sanzione
definitiva di quanto di urbanisticamente disordinato ed irregolare
possa essere accaduto negli ultimi anni.
Sennonche', il carattere rispettoso, se non del territorio,
almeno delle autonomie territoriali si rivela esso stesso pura
apparenza quando si considerino le rimanenti disposizioni
dell'art. 32, dalle quali emergono invece i tratti inconfondibili del
vecchio e classico condono, nella stessa versione della legge n. 47
del 1985 e della legge n. 724 del 1994: insomma, del «solito»
condono, che si prospetta cosi' come evento ciclico e ricorrente
della storia italiana.
Sommando tutti i periodi, ne risulta che - tranne le eccezioni
per le zone soggette a particolari vincoli - chiunque negli ultimi
venti anni abbia effettuato opere edilizie in spregio delle regole
sostanziali e formali di governo del territorio ha potuto o potra'
trarre vantaggio dal proprio illecito, senza che alcuna
considerazione urbanistica possa essergli opposta, alla sola
condizione di versare allo Stato una somma di danaro. E che coloro
che al contrario hanno rinunciato ad opere che pure sarebbero state
per loro vantaggiose in ossequio alla normativa urbanistica o
nell'attesa di regolari permessi avranno una nuova ragione di
chiedersi - se davvero le regole sono queste - se non avrebbero fatto
meglio in passato, e non faranno meglio in futuro, a violare
anch'essi le norme.
A parte i primi commi, sopra citati, la «vera» disciplina del
nuovo condono inizia con il comma 25, che stabilisce che «le
disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985,
n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente
modificate dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e
successive modificazioni e integrazioni, nonche' dal presente
articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate
entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del
manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della
costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a
750 mc.», e che «le suddette disposizioni trovano altresi'
applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra
relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per
singola richiesta di titoli abilitativi edilizi in sanatoria».
Posto che «la misura dell'oblazione e dell'anticipazione degli
oneri concessori, nonche' le relative modalita' di versamento, sono
disciplinate nell'allegato 1» (comma 38), l'operativita' di quanto
enunciato e' poi assicurata dal comma 28, il quale dispone da un lato
che «i termini previsti dalle disposizioni sopra richiamate e
decorrenti dalla data di entrata in vigore dell'articolo 39 della
legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e
integrazioni, ove non disposto diversamente sono da intendersi come
riferiti alla data di entrata in vigore del presente decreto»,
dall'altro che «per quanto non previsto dal presente decreto si
applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui alla legge 28
febbraio 1985, n. 47, e al predetto art. 39».
Ulteriori norme sono dettate dal comma 32 («la domanda relativa
alla definizione dell'illecito edilizio, con l'attestazione del
pagamento dell'oblazione e dell'anticipazione degli oneri concessori,
e' presentata al comune competente, a pena di decadenza, entro il 31
marzo 2004, unitamente alla dichiarazione di cui al modello allegato
e alla documentazione di cui al comma 35») e dal comma 35, il quale
prevede con precisione e dettaglio la documentazione da allegare alla
domanda (pur ammettendo che vi possa essere «ulteriore documentazione
eventualmente prescritta con norma regionale»). L'allegato I precisa
addirittura che la domanda di definizione degli illeciti edilizi
«deve essere compilata utilizzando il modello di domanda allegato».
La disciplina e' completata dalle norme di chiusura del comma 37,
secondo cui «il pagamento degli oneri di concessione, la
presentazione della documentazione di cui al comma 35, della denuncia
in catasto, della denuncia ai fini dell'imposta comunale degli
immobili di cui al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, nonche', ove
dovute, delle denuncie ai fini della tassa per lo smaltimento dei
rifiuti solidi urbani e per l'occupazione del suolo pubblico, entro
il 30 settembre 2004, nonche' il decorso del termine di ventiquattro
mesi da tale data senza l'adozione di un provvedimento negativo del
comune, equivale a titolo abilitativo edilizio in sanatoria; e dal
comma 40, che avverte il bisogno di precisare che «alla istruttoria
della domanda di sanatoria si applicano i medesimi diritti e oneri
previsti per il rilascio dei titoli abilitativi edilizi, come
disciplinati dalle amministrazioni comunali per le medesime
fattispecie di opere edilizie», e che «ai fini della istruttoria
delle domande di sanatoria edilizia puo' essere determinato
dall'amministrazione comunale un incremento dei predetti diritti e
oneri fino ad un massimo del 10 per cento da utilizzare con le
modalita' di cui all'art. 2, comma 46, della legge 23 dicembre 1996,
n. 662».
L'art. 32 d.l. n. 269/2003 contiene anche - al comma 4 - una
clausola di salvaguardia per le autonomie speciali, che, pero', ha un
contenuto piuttosto generico. Infatti, essa stabilisce che «sono in
ogni caso fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale
e delle province autonome di Trento e Bolzano». Piu' precisa era la
clausola di salvaguardia contenuta nell'art. 39, comma 21, legge
n. 724/1994, la quale precisava che "le disposizioni del presente
articolo non si applicano alle regioni a statuto speciale ed alle
province autonome di Trento e Bolzano, se incompatibili con le
attribuzioni previste dagli statuti delle stesse e dalle relative
norme di attuazione ad esclusione di quelle relative alla misura
dell'oblazione ed ai termini per il versamento di questa".
In relazione a tale disposizione, e' stata sollevata a suo tempo
questione di costituzionalita' in via principale dalla provincia di
Trento, ma codesta Corte nella sentenza n. 418/1995 non ha avuto
occasione di soffermarsi sulla compatibilita' del condono con la
potesta' primaria delle regioni speciali in materia urbanistica:
infatti per la provincia di Trento opera 1'art. 2 d.lgs. n. 266/1992.
che gia' da se' implica l'inapplicabilita' diretta delle norme sul
condono.
La genericita' dell'art. 32, comma 4, rende non facile
determinare quali sono le conseguenze della clausola di salvaguardia,
cioe' in che misura le norme sul condono intendano applicarsi nella
Regione Friuli-Venezia Giulia ed in che misura, invece, esse
intendano applicarsi solo nelle regioni ordinarie.
E' chiaro che, qualora si ritenesse che la conseguenza
dell'art. 32, comma 4, sia la non applicabilita' - in Friuli-Venezia
Giulia - delle norme sul condono edilizio (specificate in epigrafe)
salvo eventualmente quelle strettamente attinenti all'estinzione del
reato, le ragioni di doglianza di seguito illustrate verrebbero meno;
il presente ricorso e' dunque proposto ipotizzando che l'art. 32,
comma 4, non vada interpretato in questo senso.
Questa eventualita' si prospetta non solo per la genericita'
della clausola ma anche perche' la disciplina del condono, nella sua
concreta formulazione, non scinde - come pure agevolmente si sarebbe
potuto e (ad avviso della ricorrente regione) eventualmente dovuto
fare - le norme attinenti all'estinzione del reato da quelle
attinenti alla sanatoria dell'illecito amministrativo.
Quanto alle possibili interpretazioni alternative, non pare
rilevante cercare di determinare se l'intento del decreto-legge sia
quella di lasciare alle regioni speciali i limitati poteri che
vengono attribuiti alle regioni ordinarie (sui quali si tornera) o,
invece, un piu' ampio margine di intervento, nel senso che, in virtu'
della clausola di cui all'art. 32, comma 4, la Regione Friuli-Venezia
Giulia possa derogare alle norme sul condono nella ampia misura
consentita dalla sua potesta' primaria in materia urbanistica.
Infatti, la capacita' della legge regionale di derogare
(legittimamente) ad una legge statale deriva dalle norme
costituzionali e non dall'intento deI legislatore statale. Non
rileva, dunque, in che misura il legislatore statale consideri
cedevoli le proprie norme: quello che conta e' se le norme statali si
applichino nella regione Friuli-Venezia Giulia, ledendo le competenze
regionali in materia urbanistica.
Ove applicabile anche nella regione Friuli-Venezia Giulia, il
quadro sopra esposto di una normativa statale che drasticamente
determina - tranne che per specifiche aree di particolare pregio o in
particolari situazioni - il venire meno di qualunque attivita' di
repressione degli abusi edilizi compiuti - con totale frustrazione
anche dell'attivita' amministrativa in corso - non risulta affatto
alterato dai riferimenti che lo stesso art. 32 opera a poteri o
compiti regionali, in quanto si tratta di poteri e compiti che
rimangono nel quadro marginali ed eventuali, o che addirittura
determinano situazioni paradossali.
Gia' si e' accennato che secondo il comma 3 «le condizioni, i
limiti e le modalita' del rilascio del predetto titolo abilitativo
sono stabilite dal presente articolo e dalle normative regionali». Ma
e' evidente, nel contesto complessivo sopra illustrato, che questa
disposizione non puo' essere affatto intesa come un generico rinvio a
quanto sul tema volessero disporre le leggi regionali, ma come un
riferimento ai limitatissimi compiti normativi che il «presente
articolo» riconosce alle regioni.
Di quali compiti normativi si tratti e' presto detto. Su un piano
generale, il comma 33 prevede che le regioni «entro sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore del presente decreto» (e dunque in un
termine brevissimo, tra l'altro coincidente con quello di conversione
del decreto stesso!) emanino «norme per la definizione del
procedimento amministrativo relativo al rilascio del titolo
abilitativo edilizio in sanatoria».
Per vero, non si intende di quali norma possa trattarsi, dato che
il procedimento di condono e' gia' definito dalle disposizioni
richiamate della legge n. 47 del 1985 e 724 del 1994, nonche' dallo
stesso art. 32 del decreto nei commi sopra illustrati. Ed infatti dal
seguito del comma 33 e dal comma 34 si capisce che in realta' cio'
che alle regioni e' concesso di fare e' di inasprire per i propri
cittadini i costi del condono: prevedere «un incremento
dell'oblazione fino al massimo del 10 per cento della misura
determinata nella tabella C allegata», incrementare gli oneri di
concessione fino al massimo del 100 per cento. Inoltre, secondo il
comma 34, la legge regionale dovra' stabilire le «modalita' di
attuazione» della regola che consente a coloro che intendano eseguire
in tutto o in parte le opere di urbanizzazione primaria di «detrarre
dall'importo complessivo quanto gia' versato, a titolo di
anticipazione degli oneri concessori». Ancora, come gia' visto, il
comma 35 ammette che la legge regionale eventualmente preveda
«ulteriore documentazione» da allegare alla domanda di condono.
Questo e' il ruolo generale che l'art. 32 riserva alla
legislazione regionale. Un discorso a parte va poi fatto con
riferimento al comma 26.
Va premesso che l'allegato 1 definisce tra l'altro la «tipologia
delle opere abusive suscettibili di sanatoria alle condizioni di cui
all'art. 7, comma 2» (per vero non si comprende tale riferimento,
dato che l'art. 7 del decreto-legge riguarda tutt'altro). In ogni
modo, tale tipologia distingue le opere abusive numerate da 1 a 6 in
categorie di gravita' decrescente.
Precisamente, le tipologie sono le seguenti:
«Tipologia 1. Opere realizzate in assenza o in difformita'
del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme
urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;
Tipologia 2. Opere realizzate in assenza o in difformita' del
titolo abilitativo edilizio, ma conformi alle norme urbanistiche e
alle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in
vigore del presente provvedimento;
Tipologia 3. Opere di ristrutturazione edilizia come definite
dall'art. 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
realizzate in assenza o in difformita' dal titolo abilitativo
edilizio;
Tipologia 4. Opere di restauro e risanamento conservativo
come definite dall'art. 3, comma 1, lettera c) del d.P.R. giugno
2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformita' del titolo
abilitativo edilizio, nelle zone omogenee «A» di cui all'art. 2 del
decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444;
Tipologia 5. Opere di restauro e risanamento conservativo
come definite dall'art. 3, comma 1, lettera c) del d.P.R. giugno
2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformita' del titolo
abilitativo edilizio;
Tipologia 6. Opere di manutenzione straordinaria, come
definite all'art. 3, comma 1, lettera b) del d.P.R. 6 giugno 2001,
n. 380, realizzate in assenza o in difformita' dal titolo abilitativo
edilizio; opere o modalita' di esecuzione non valutabili in termini
di superficie o di volume».
Cio' premesso, il comma 26 dispone che «sono suscettibili di
sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all'allegato 1:
a) numeri da 1 a 3, nell'ambito dell'intero territorio
nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma
27, nonche' 4, 5 e 6 nell'ambito degli immobili soggetti a vincolo di
cui all'art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47;
b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui
all'art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di
legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, con la quale e' determinata
la possibilita', le condizioni e le modalita' per l'ammissibilita' a
sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio».
Ne risulterebbe che, mentre gli abusi piu' gravi, e quelli di
minore gravita' compiuti su immobili vincolati (cioe' i piu' gravi
degli abusi minori), sarebbero senz'altro sanabili alle condizioni
generali, quelli di assoluta minore gravita' (restauro e risanamento
conservativo o addirittura la semplice manutenzione straordinaria)
sarebbero sanabili ... in quanto le singole regioni lo consentano con
le proprie leggi.
Precisato che la lettera b) - in quanto riconosce sia pure
limitati poteri regionali - non forma oggetto specifico di questa
impugnazione, e' tuttavia di immediata evidenza che il sistema che
risulterebbe dall'insieme del comma e', come meglio si dira' tra
breve, costituzionalmente inaccettabile per irragionevolezza e
violazione del principio di uguaglianza.
Nei termini esposti, le impugnate disposizioni dell'art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003 sono invasive delle competenze
costituzionali della Regione Friuli-Venezia Giulia e
costituzionalmente illegittime per le seguenti ragioni di

D i r i t t o

Premessa.
Conviene in primo luogo ricordare che la riapertura del condono
operata dall'art. 39 della legge n. 724 del 1994 fu a suo tempo
impugnata dalla Regione Emilia-Romagna. Codesta ecc.ma Corte
costituzionale, riconosciuta la legittimazione all'impugnazione,
giudico' nel merito del ricorso con la sentenza n. 416 del 1995. Al
punto 7 in diritto codesta Corte cosi' si espresse: «innanzitutto
deve escludersi che la riapertura e l'estensione dei termini
(riferiti all'epoca dell'abuso commesso) del condono edilizio
(peraltro con ulteriori limiti e presupposti riduttivi) il cui
carattere essenziale nella fattispecie e' quello di norma del tutto
eccezionale in relazione ad esigenze di contestuale intervento sulla
disciplina concessoria e a contingenti e straordinarie ragioni
finanziarie e di recupero della base impositiva dei fabbricati,
vanifichi di per se' l'azione di controllo e di repressione delle
amministrazioni ed in particolare delle piu' attente.
Infatti l'entita' del fenomeno di applicazione ed utilizzazione
della norma impugnata nelle varie regioni (con un introito effettivo
di quasi tremila miliardi limitato alla prima fase dei pagamenti),
induce a ritenere la diffusione tutt'altro che isolata del fenomeno
dell'abusivismo edilizio e della persistenza delle relative
costruzioni, compiute nel periodo successivo al 31 ottobre 1983
(termine di riferimento dell'art. 31 n. 47 del 1985), fino alla nuova
data di riferimento, 31 dicembre 1993. Cio' e' avvenuto non solo per
il difetto di una attivita' di polizia locale specializzata sul
controllo del territorio, ma anche in conseguenza della scarsa (o
quasi nulla in talune regioni) incisivita' e tempestivita'
dell'azione di controllo e di repressione degli enti locali e delle
regioni, che non e' valsa ad impedire tempestivamente la suddetta
attivita' abusiva o almeno a impedire il completamento e a rimuovere
i relativi manufatti.
Ben diversa sarebbe, invece, la situazione in caso di altra
reiterazione di una norma del genere, soprattutto con ulteriore e
persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del
commesso abusivismo edilizio. Conseguentemente differenti sarebbero i
risultati della valutazione sul piano della ragionevolezza, venendo
meno il carattere contingente e del tutto eccezionale della norma
(con le peculiari caratteristiche della singolarita' ed ulteriore
irripetibilita) in relazione ai valori in gioco, non solo sotto il
profilo della esigenza di repressione dei comportamenti che il
legislatore considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilita'
in via amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della
tutela del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo.
La gestione del territorio sulla base di una necessaria
programmazione sarebbe certamente compromessa sul piano della
ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilita' di
condono-sanatoria con conseguente convinzione di impunita', tanto
piu' che l'abusivismo edilizio comporta effetti permanenti (qualora
non segua la demolizione o la rimessa in pristino), di modo che il
semplice pagamento di oblazione non restaura mai l'ordine giuridico
violato, qualora non comporti la perdita del bene abusivo o del suo
equivalente almeno approssimativo sul piano patrimoniale».
La ricorrente regione e' dell'avviso che tale ben diversa
situazione, ipotizzata da codesta Corte nella sentenza del 1995, si
sia ora verificata.
1. - Illegittimita' costituzionale dei commi 1, 2, 3, 4, 25, 26.
lett. a), in quanto dispongono il nuovo condono edilizio, per
violazione dell'art. 4. n. 12. e dell'art. 8 della legge
costituzionale n. 1/1963.
Nella parte in Fatto si e' gia' precisato che le ragioni di
doglianza avanzate da questa regione verrebbero meno qualora
l'art. 32, comma 4, venisse inteso nel senso di rendere inapplicabili
- nella regione Friuli-Venezia Giulia le norme sul condono, salvo
eventualmente quelle strettamente attinenti all'estinzione dei reati.
Si e' anche gia' ricordato che la Regione Friuli-Venezia Giulia
dispone di potesta' primaria in materia urbanistica. Dunque, a
termini dell'art. 4 dello Statuto la potesta' legislativa della
Regione Friuli-Venezia Giulia in materia urbanistica e' soggetta solo
ai limiti rappresentati dalla Costituzione, dai principi generali
dell'ordinamento giuridico della Repubblica, dalle norme fondamentali
delle riforme economico-sociali e dagli obblighi internazionali dello
Stato.
Le previsioni dello Statuto speciale vanno poi integrate dalla
legge Cost. n. 3/2001, che opera per le regioni speciali in quanto
preveda forme di autonomia piu' ampie di quelle statutarie: per cui,
nella materia della finanza pubblica (alla quale inerisce la
finalita' del condono) lo Stato ha potesta' esclusiva solo nelle
materie di cui all'art. 117, comma 2, lett. e), ed ha invece potesta'
concorrente in relazione all'«armonizzazione dei bilanci pubblici e
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». In
tale materia, dunque, la potesta' legislativa spetta alle regioni,
«salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata
alla legislazione dello Stato» (art. 117, comma 3).
E' poi noto che il limite costituzionale e' stato inteso come
riserva allo Stato della disciplina penalistica.
Precisato cio', occorre considerare se la disciplina introdotta
dall'art. 32 del decreto-legge qui impugnato possa ricollegarsi ad
alcuno di questi titoli.
Ad avviso della ricorrente regione la risposta e' negativa, come
ora si cerchera' di illustrare.
a) Impossibilita' di considerare la disciplina statale come
insieme di norme fondamentali di riforma economico-sociale.
Sembra palese che la disciplina del condono edilizio non puo'
essere considerata in nessun senso come insieme di «norme
fondamentali di riforma economico-sociale». L'intrinseca natura del
condono e' incompatibile sia con il concetto di «norme fondamentali»
sia con quello di «riforma». Cio' e' chiarissimo nella citata
sentenza n. 416: il carattere della disciplina del condono e' «quello
di norma del tutto eccezionale», in relazione a comportamenti «che il
legislatore considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilita'
in via amministrativa e penale». Il condono, dunque, ha il carattere
della deroga eccezionale e limitata nel tempo. La riforma
economico-sociale, invece, muta la disciplina vigente ed e' destinata
ad avere una certa stabilita'.
Ma, a parte l'inconfigurabilita' di una riforma, le norme sul
condono non possono essere certo considerate come norme fondamentali,
dato che le norme fondamentali della materia sono sempre state e
tuttora sono quelle della disciplina edilizia del territorio, del
controllo preventivo sulle edificazioni e della repressione dei
comportamenti illeciti, in attuazione dei valori costituzionali quali
risultano dall'art. 9, dall'art. 117, comma 2, lett. s), e comma 3
(che parlano di «tutela dell'ambiente», di «valorizzazione dei beni
culturali e ambientali» e di «governo del territorio»).
Che invece l'attivazione del condono sia in diretta
contraddizione con tali valori e' del tutto evidente, solo che si
consideri che la base del condono e' il puro scambio tra rinuncia
alla salvaguardia di tali valori in cambio di una somma di denaro. Ma
sul punto non vi e' bisogno di insistere, essendo il disvalore del
condono gia' chiarissimo nella giurisprudenza costituzionale.
b) Impossibilita' di giustificare la normativa statale come
esercizio di potesta' legislativa nella materia del «coordinamento
della finanza pubblica».
L'art. 32 si colloca all'interno di un decreto-legge
complessivamente intitolato Disposizioni urgenti per favorire lo
sviluppo e per la correzione dei conti pubblici. La finalita'
complessivamente finanziaria dell'intervento smentisce completamente,
da un lato, il presunto scopo di "regolarizzazione del settore"
proclamato dal comma 1 dell'art. 32, ma certamente costituisce uno
scopo che lo Stato puo' e deve perseguire: cio' non toglie, pero',
che lo debba perseguire nell'ambito dei poteri legislativi che la
Costituzione riconosce al legislatore ordinario, e non al di fuori di
tali poteri.
Non c'e' dubbio, ad esempio, che il legislatore statale avrebbe
potuto perseguire le proprie finalita' nel quadro della propria
potesta' esclusiva in materia di sistema tributario dello Stato.
Avrebbe potuto perseguire i propri scopi anche attraverso la potesta'
concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica» di
cui all'art. 117, comma terzo, dettando nuovi principi sul sistema
tributario e finanziario delle regioni e degli enti locali, come del
resto l'art. 119 gli imporrebbe di fare.
Sembra tuttavia evidente che neppure il riferimento a tale ultima
materia conduce a soddisfare la ricerca di un fondamento
costituzionale alla disciplina statale qui impugnata. Per ragioni
analoghe a quelle sopra esposte va escluso che si tratti della
posizione di principi di materia: i principi di «coordinamento della
finanza pubblica» devono essere norme fondamentali che stabilmente
disciplinano l'assetto finanziario pubblico, non certo norme
eccezionali quali quelle sul condono; ne' d'altronde la posizione di
principi in tale materia e' compatibile con il puro e semplice
asservimento della materia urbanistica ed edilizia alle esigenze
finanziarie.
c) Impossibilita' di giustificare la normativa statale come
esercizio di potesta' legislativa nella materia dell'ordinamento
penale.
Poiche' tra gli effetti del condono edilizio vi e' il venire meno
della punibilita' penale in relazione agli illeciti commessi, va
esaminata l'ipotesi che la potesta' esclusiva statale in tale materia
possa costituire il fondamento giustificativo dell'intera normativa
sul condono edilizio.
Si osserva, in primo luogo, che l'irriducibilita' del condono
edilizio alla questione penale e' gia' stata affermata da codesta
ecc.ma Corte costituzionale nel momento stesso in cui essa ha
dichiarato ammissibile il ricorso regionale avverso l'art. 39 della
legge n. 724 del 1994.
In secondo luogo, va precisato che la ricorrente regione non
contesta affatto l'esclusivita' del potere statale nel disporre del
«potere di clemenza» in materia penale. Benche' sia certo, come
statuito nella sentenza n. n. 369 del 1988, che il potere di clemenza
puo' incontrare limiti costituzionali, non spetta alle regioni di
farli valere.
Cio' che si contesta, invece, e' che disponendo di cio' di cui lo
Stato poteva - almeno in relazione alle prerogative costituzionali
delle regioni - disporre, lo Stato abbia anche disposto di cio' di
cui non poteva disporre, cioe' della sanzionabilita' in via
amministrativa degli illeciti edilizi.
In altre parole, circa lo scambio tra danaro e punibilita' penale
la Regione Friuli-Venezia Giulia ritiene di non avere titolo ad
interloquire: e cio' anche se il venire meno della sanzione penale
determina una riduzione di tutela di valori costituzionali di cui
anche le regioni sono responsabili. Spetta infatti allo Stato di
decidere in quali casi la tutela dei valori debba essere affidata
alla sanzione penale.
La regione contesta invece che all'esenzione dalla punibilita'
penale possa o debba accompagnarsi l'accettazione del fatto compiuto
sul terreno, specificamente regionale, dell'amministrazione
dell'urbanistica, con il venire meno della sanzionabilita'
amministrativa degli illeciti.
Ne' si puo' dire che le due cose debbano necessariamente stare
insieme, ne' dal punto di vista teorico ne' da quello pratico. Dal
punto di vista teorico, e' chiaro che l'esenzione dalla punibilita'
penale costituisce per i trasgressori un bene autonomo, distinto da
ogni altro e particolarmente prezioso, data la gravosita' della pena
sia in se' che nelle sue conseguenze generali. Dal punto di vista
pratico, e' agevolmente immaginabile ed organizzabile un sistema che
non comporti neppure sul piano operativo l'interferenza con il
sistema delle sanzioni amministrative: ad esempio organizzando la
presentazione delle domande di condono penale al di fuori del
circuito dell'amministrazione locale, o sancendo l'inutilizzabilita'
e l'irrilevanza di tali domande nell'ambito dei procedimenti
amministrativi sanzionatori.
Non puo' invece il legislatore statale ordinario decidere
unilateralmente il sacrificio di quei valori del territorio che
sarebbe suo compito costituzionale di tutelare, e che le stesse
regioni, nell'ambito dei propri poteri legislativi e quali componenti
della Repubblica ai sensi dell'art. 114 Cost., hanno il dovere di
difendere.
In conclusione, se ne' la potesta' del legislatore statale
ordinario di introdurre norme fondamentali di riforma
economico-sociale, ne' quella di fissare i principi di coordinamento
della finanza pubblica, ne' infine l'esclusiva potesta' statale in
materia penale giustificano sul piano costituzionale la normativa qui
impugnata, se ne deve concludere che essa non poteva essere adottata
dallo Stato mediante un atto avente valore di legge ordinaria.
2. - Illegittimita' costituzionale degli stessi commi 1, 2, 3,
25, 26, lett. a), in quanto dispongono il nuovo condono edilizio. per
violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza.
dell'art. 97. comma primo, nonche' degli artt. 117 e 118 Cost.
Si e' data qui la precedenza alle ragioni di illegittimita'
costituzionale della normativa impugnata collegati al riparto di
poteri legislativi tra lo Stato e la Regione Friuli-Venezia Giulia.
Cio' non toglie, tuttavia, che conservino piena validita' tutte le
ragioni di doglianza gia' prospettate dalle regioni con il ricorso
rivolto avverso il condono attivato dalla legge n. 724 del 1994:
ragioni delle quali codesta stessa Corte costituzionale ebbe ad
affermare, nella citata sentenza n. 416 del 1995, che - se pure non
potevano accogliersi di fronte ad una decisione statale che ancora
poteva considerarsi contrassegnata dai caratteri di un eccezionale
intervento, collegato non solo alle contingenti e temporanee esigenze
finanziarie dello Stato, ma alla definitiva chiusura della vicenda
dell'abusivismo edilizio - sarebbero state invece pienamente valide e
necessariamente da accogliere nell'ipotesi «di altra reiterazione di
una norma del genere, soprattutto con ulteriore e persistente
spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso
abusivismo edilizio».
Tuttavia, piu' che riproporre alla lettera quelle ragioni,
conviene qui riproporre le parole stesse di codesta Corte
costituzionale, gia' citate sopra nella premessa. Nel caso di
ulteriore reiterazione, osserva ancora la sentenza n. 416, verrebbe
meno «il carattere contingente e del tutto eccezionale della norma
(con le peculiari caratteristiche della singolarita' ed ulteriore
irripetibilita) in relazione ai valori in gioco, non solo sotto il
profilo della esigenza di repressione dei comportamenti che il
legislatore considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilita'
in via amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della
tutela del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo»,
con conseguente valutazione di irragionevolezza. Infatti, prosegue la
stessa sentenza, «la gestione del territorio sulla base di una
necessaria programmazione sarebbe certamente compromessa sul piano
della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilita' di
condono-sanatoria con conseguente convinzione di impunita', tanto
piu' che l'abusivismo edilizio comporta effetti permanenti (qualora
non segua la demolizione o la rimessa in pristino), di modo che il
semplice pagamento di oblazione non restaura mai l'ordine giuridico
violato, qualora non comporti la perdita del bene abusivo o del suo
equivalente almeno approssimativo sul piano patrimoniale».
Si tratta di considerazioni che, benche' espresse con riferimento
al piano della ragionevolezza, sono agevolmente collegabili ad altri
ed espliciti parametri costituzionali. Viene in rilievo, in primo
luogo, il principio di buon andamento dell'amministrazione di cui
all'art. 97 Cost., evidentemente frustrato dalla inanita' della gran
parte degli sforzi compiuti dalle amministrazioni locali di reprimere
l'abusivismo edilizio. Se e' vero infatti che in taluni casi - ma
non, si ritiene, se non marginalmente nei comuni della ricorrente
Regione - proprio l'inerzia delle amministrazioni puo' avere favorito
gli abusi, cio' non toglie affatto che consentire indiscriminatamente
la sanatoria dell'abuso vanifica ogni sforzo gia' presente ed ogni
prospettiva futura (si rammenti che il carattere illecito della
costruzione abusiva non viene meno per il solo decorso del tempo).
Cio' tanto piu' e' vero se si considera che gli sforzi delle
amministrazioni di colpire gli abusi richiedono di necessita' un
tempo non breve per pervenire al risultato concreto, data l'esistenza
delle irrinunciabili garanzie giurisdizionali: che da un lato
doverosamente tutelano chi abusivo in realta' non sia, ma dall'altro
non raramente consentono comunque di procrastinare nel tempo la
sanzione.
Viene poi in rilievo lo stesso principio di uguaglianza, leso da
una normativa che da un lato ingiustamente uguaglia chi ha costruito
in base ad un titolo legittimo e chi ha costruito abusivamente,
dall'altro ingiustamente non consente di riportare ad uguaglianza,
attraverso la sanzione, chi si e' astenuto da comportamenti illeciti
e chi illecitamente li ha compiuti.
E' chiaro, poi, che questi vizi si traducono in una lesione delle
competenze costituzionali della Regione, che - a causa del condono -
vede illegittimamente frustrata la propria attivita' legislativa ed
amministrativa di governo del territorio, in quanto gli abusi
compiuti possono sfuggire alle sanzioni amministrative e si
incentivano abusi futuri.
3. - Illegittimita' costituzionale degli stessi commi 1, 2, 3,
25, 26, lett. a), in guanto dispongono il nuovo condono edilizio, per
violazione dell'art. 9 Cost. e del principio costituzionale di
indisponibilita' dei valori costituzionalmente tutelati.
Ad avviso della ricorrente Regione le violazioni segnalate al
punto precedente si collegano ad una ulteriore e piu' profonda
violazione del principio implicito nella Costituzione di non
disponibilita', da parte del legislatore ordinario (non importa se
statale o regionale), dei valori costituzionalmente tutelati.
Che l'ordinato assetto del territorio sia un valore
costituzionalmente tutelato non puo' essere messo in discussione, ed
e' del resto evidente - oltre che all'art. 9, comma 2, Cost. - nella
stessa costruzione costituzionale del governo del territorio come
autonoma materia di legislazione. Tale valore costituzionale non puo'
essere scambiato con valori puramente finanziari.
Il fatto che il sistema della finanza pubblica si trovi
attualmente - ma in realta' da molti anni - in una situazione
difficile non puo' costituire ragione che autorizzi lo Stato allo
"scambio" tra illegalita' edilizia e prestazioni in danaro.
Sia consentito ricordare alcune argomentazioni svolte nel ricorso
presentato dalla Regione Emilia-Romagna avverso il condono del 1994.
ªProprio la condizione disastrosa della finanza pubblica non puo' non
avvisare della circostanza che, se tale scambio dovesse essere
riconosciuto come costituzionalmente legittimo e consentito, ad esso
fatalmente ed inevitabilmente si tornerebbe a ricorrere ogni volta
che le stime di probabile gettito lo rendessero "consigliabile".
In altre parole, ogni potenziale costruttore abusivo saprebbe
bene che, poiche' il problema del disavanzo dello Stato non e'
destinato a risolversi, nella sua entita' fondamentale, ne' nel breve
ne' nel medio periodo, ma semmai soltanto a trovare modi di
progressivo «contenimento», ogni suo abuso sara' tollerato e in
prospettiva persino gradito, dato che cio' costituira' occasione per
periodiche «contribuzioni» al bilancio statale. Ma basta enunciare
tale prospettiva per rendere evidente come essa drasticamente ripugni
ai valori costituzionali, trasformi l'imperativo della legalita' in
una mera facolta' per chi voglia semplicemente vivere tranquillo,
trasformi la tutela degli interessi pubblici e dei valori
costituzionali cui lo Stato e' chiamato in un termine meramente
economico, rimpiazzabile per veri o presunti equivalenti monetari,
secondo la necessita' dei governanti di trarre fondi dai governati
senza loro troppo dispiacere».
Come sottolinea la sentenza 416 del 1995, «il semplice pagamento
di oblazione non restaura mai l'ordine giuridico violato, qualora non
comporti la perdita del bene abusivo o del suo equivalente almeno
approssimativo sul piano patrimoniale».
In questo senso, il condono edilizio non e' in nessun modo
paragonabile ad altri condoni che pure comportino "clemenza" penale,
quali i condoni fiscali. Infatti, se anche per questi si pone
indubbiamente il problema del complessivo sovvertimento della
legalita', e dell'incoraggiamento che da essi deriva a nuove
illegalita', va pero' osservato che, nell'oggetto specifico, si
tratta di una rinuncia ad una pretesa economica in vista di una
diversa, e sia pure piu' ridotta, pretesa economica: sicche' la
questione acquista, nel suo oggetto specifico, un connotato quasi di
transazione ordinaria in relazione ad una lite patrimoniale.
Il condono edilizio opera invece, anche nel suo oggetto
specifico, su beni e interessi indisponibili e costituzionalmente
tutelati della comunita'. Tali beni, costituzionalmente protetti sia
direttamente in se stessi, sia indirettamente mediante un equilibrato
riparto di competenze tra diversi livelli di responsabilita'
territoriale, appartengono alla comunita' e non possono in linea di
principio essere scambiati con "denaro" da nessun livello di governo,
senza contraddire quella "gerarchia di valori" sottolineata proprio
nella giurisprudenza costituzionale».
Ne' oggi si puo' trovare una circostanza legittimante nella
"eccezionalita'" della disciplina del condono, ovviamente oramai
venuta meno: non si potrebbe certamente ripetere oggi quanto
affermava la sentenza n. 369 del 1988, quando rilevava come andasse
«nettamente distinto, nella legge in esame [la legge n. 47 del 1985],
cio' che attiene al futuro, nel quale il legislatore, nel riordinare
la materia, non ammette in alcun modo sanatorie per le opere
contrastanti con gli strumenti urbanistici, da cio' che riguarda il
passato».
Non le vane promesse di ogni passeggero legislatore ordinario, ma
soltanto il rispetto della Costituzione puo' garantire che in ogni
momento presente, e non ogni volta in un lontano futuro, i valori
costituzionali si realizzino nella vita sociale.
Anche in relazione a questi vizi, e' chiaro che essi si traducono
in una lesione delle competenze costituzionali della Regione, che - a
causa del condono - vede illegittimamente frustrata la propria
attivita' legislativa ed amministrativa di governo del territorio,
nei termini gia' esposti al punto precedente.
4. - In subordine: illegittimita' del comma 26. lett. a), in
quanto subordina la sanabilita' alla legge regionale per gli abusi
minori in zone non vincolate, sottraendo alla decisione regionale gli
abusi maggiori e gli abusi minori in zone vincolate.
Come gia' ricordato nella parte in fatto, il comma 26 determina
la paradossale situazione per cui chi ha commesso abusi piu' gravi
puo' senz'altro usufruire della possibilita' del condono, mentre chi
ha commesso abusi meno gravi puo' usufruirne se le Regioni lo
prevedono. Sembra chiara la violazione dei principi di ragionevolezza
e di eguaglianza (e mediatamente dell'art. 4, n. 12, e dell'art. 8
della legge Cost. n. 1/1963, per la ripercussione di quei vizi sulle
competenze regionali in materia di governo del territorio).
La differenza e' verosimilmente da ricondurre - nelle intenzioni
del legislatore - al fatto che, nel d.P.R. n. 380/2001, gli
interventi di cui al comma 26, lett. b), sono soggetti solo a
denuncia di inizio attivita' e non a permesso edilizio: ma tale
differenza ha ripercussioni sul solo piano penalistico, mentre resta
costituzionalmente inaccettabile che gli illeciti amministrativi piu'
gravi siano senz'altro condonabili mentre quelli meno gravi non lo
siano.
Va precisato che ovviamente questa Regione non impugna il comma
26, lett. b), ma il comma 26, lett. a) nella parte in cui non
condiziona la sanabilita' dell'illecito amministrativo all'intervento
di una legge regionale che la preveda. Infatti, in relazione ai
profili amministrativi dell'illecito urbanistico, non trova
giustificazione la diretta sanabilita' degli interventi di cui alla
lett. a) e l'eventuale sanabilita' degli interventi di cui alla lett.
b), e la conformita' a Costituzione puo' essere ristabilita nel modo
appena indicato. Sulla scindibilita' del profilo penale dal profilo
dell'illecito amministrativo si richiama qui quanto gia' esposto al
punto 1.
5. - In subordine: illegittimita' del comma 25, in quanto non
eccettua dal condono gli abusi per i quali il procedimento
sanzionatorio sia gia' iniziato.
Anche nella delegata ipotesi che le censure sopra esposte non
risultassero da condividere, la ricorrente Regione ritiene che
sarebbe comunque illegittimo che la disciplina qui impugnata non
abbia escluso - dall'ambito di applicazione del condono - gli abusi
per i quali il procedimento sanzionatorio sia gia' iniziato.
E' chiaro, infatti, che, in casi di questo tipo, la possibilita'
di condono risulta ancora piu' irragionevole e maggiormente lesiva
del principio di buon andamento dell'amministrazione: perche' quando
il procedimento sanzionatorio e' gia' iniziato, il condono non arreca
alcun vantaggio al pubblico interesse, ne' in termini di "uscita allo
scoperto" di chi ha commesso l'abuso ne' in termini economici, dato
che spesso le sanzioni urbanistiche hanno carattere pecuniario.
Si puo' ricordare che, nella sentenza n. 369 del 1988 di codesta
Corte, si osservava che «il fondamento sostanziale dell'estinzione di
cui all'art. 38 comma 2 legge n. 47 del 1985 va ricercato nella
valutazione "positiva" che l'ordinamento compie dei comportamenti del
reo, successivi al reato ("autodenuncia"..., pagamento dell'oblazione
ecc.), che inducono a credere ad un sia pur parziale "ritorno", anche
se non del tutto spontaneo, dell'agente alla "normalita'" (punto 4
del Diritto). Pare chiaro che, nei casi in cui il procedimento
sanzionatorio sia gia' iniziato, il fondamento dell'estinzione
dell'illecito (non solo di quello penale, ma anche di quello
amministrativo) sparisce. Si tenga inoltre presente che, sia nella
sentenza n. 369/1988 (punto 6 del Diritto) sia nella sentenza
n. 416/1995 (punto 7 del Diritto) sia nella sentenza n. 427/1995
(punto 3 del Diritto) la Corte costituzionale ha dato rilievo, per
giustificare il condono, all'inefficienza delle amministrazioni nel
controllo sul territorio: inefficienza che non sussiste in relazione
agli abusi per i quali sia in corso il procedimento sanzionatorio.
Premiare chi ha violato le norme urbanistiche ed e' stato gia'
"scoperto", dunque, e' profondamente irragionevole, vanifica
l'attivita' gia' svolta dai comuni e disincentiva le future attivita'
di repressione, dato il carattere ormai ciclico dei condoni (se anche
questo fosse ritenuto legittimo).
Anche tali vizi, naturalmente, si traducono in una lesione delle
competenze costituzionali della Regione, che vede illegittimamente
frustrata la propria attivita' legislativa ed amministrativa di
governo del territorio.
6. - In subordine: illegittimita' costituzionale dei commi 3, 25,
26, lett a), 28, 32, 35, lett. a) e b), 37, 38, 40 e allegato 1, in
quanto, con disciplina dettagliata ed autoapplicativa, stabiliscono
le modalita', i termini e le procedure relative al condono edilizio.
E' chiaro che l'accoglimento di una delle censure di cui ai
nn. 1, 2 e 3 implicherebbe la non applicabilita' delle norme che
disciplinano la procedura di condono (o, qualora codesta Corte lo
ritenesse necessario, la dichiarazione della loro illegittimita'
conseguenziale ex art. 27, legge n. 87/1953).
Qualora, invece, in denegata ipotesi, si ritenesse che la
previsione di un nuovo condono sia, per qualunque e qui imprevedibile
ragione, legittima, si dovrebbe ad avviso della Regione perlomeno
ammettere l'illegittimita' di quelle norme di dettaglio che
stabiliscono le modalita', i termini e le procedure relative al
condono edilizio.
Si fa riferimento, in particolare, alle norme (gia' individuate
nella parte in Fatto) di cui ai commi 28 (concernente i termini), 32
(concernente la presentazione della domanda), 35, lett. a) e b)
(concernente la documentazione da allegare alla domanda), 37 (che
prevede il meccanismo del silenzio-assenso), 38 (quanto meno nella
parte in cui fa riferlinento alla misura degli oneri concessori e
delle relative modalita' di versamento) e 40 (concernente i diritti e
gli oneri previsti per l'istruttoria della domanda di sanatoria).
Nonostante quanto disposto dall'art. 32, comma 3 (secondo cui «le
condizioni, i limiti e le modalita' del rilascio del predetto titolo
abilitativo sono stabilite nel presente provvedimento e dalle
normative regionali») e comma 33 (secondo cui «le regioni, entro
sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente provvedimento,
emanano norme per la definizione del procedimento amministrativo
relativo al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria»),
il decreto-legge disciplina il procedimento di condono con norme non
cedevoli, dato che, in casi specifici (gia' ricordati nel Fatto),
prevede poteri di intervento regionali.
Ora, la presenza di norme di dettaglio, per giunta non cedevoli,
potrebbe giustificarsi solo sulla base di una competenza statale
esclusiva: ma non si vede quale titolo di competenza statale possa
comprendere le norme sulle modalita', sui termini e sulle procedure
relative al condono edilizio.
Qualora, invece, si ritenesse che, in virtu' dei commi 3 e 33, le
norme di dettaglio di cui sopra siano cedevoli, esse sarebbero
comunque illegittime. Si puo' ricordare che codesta Corte si e' gia'
espressa sul punto, con un accenno nella sentenza n. 282/02, punto 4
del Diritto («La nuova formulazione dell'art. 117, comma 3, rispetto
a quella previgente dell'art. 117, comma 1, esprime l'intento di una
piu' netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in
queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione
dei principi fondamentali della disciplina») e in modo piu' chiaro
nella sentenza n. 303/2003, punto 16 del Diritto, dove si statuisce
l'inammissibilita' di norme statali di dettaglio cedevoli, salvo il
caso che cio' sia necessario per «assicurare l'immediato svolgersi di
funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare
esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della
ineffettivita» («Non puo' negarsi che l'inversione della tecnica di
riparto delle potesta' legislative e l'enumerazione tassativa delle
competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere la possibilita'
di dettare norme suppletive statali in materie di legislazione
concorrente, e tuttavia una simile lettura dell'art. 117 svaluterebbe
la portata precettiva dell'art. 118, comma primo, che consente
l'attrazione allo Stato, per sussidiarieta' e adeguatezza, delle
funzioni amministrative e delle correlative funzioni legislative,
come si e' gia' avuto modo di precisare. La disciplina statale di
dettaglio a carattere suppletivo determina una temporanea
compressione della competenza legislativa regionale che deve
ritenersi non irragionevole, finalizzata com'e' ad assicurare
l'immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha
attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere
esposte al rischio della ineffettivita»).
Poiche' le norme impugnate non attraggono funzioni allo Stato ex
art. 118, comma 1, tanto e' vero che attribuiscono la competenza ai
comuni, le norme statali di dettaglio risultano, alla stregua dei
principi enunciati, chiaramente illegittime.
Si noti che, nel caso di specie, la lesivita' di una disciplina
di dettaglio, seppure in ipotesi astrattamente cedevoli, e'
particolarmente evidente: visto che le domande di condono devono
essere presentate entro il 31 marzo 2004, ben poca utilita' avrebbe
una legge regionale che intervenisse a disciplinare il relativo
procedimento, dato che essa si applicherebbe solo alle domande non
ancora presentate: con ulteriore disuguaglianza e violazione del
principio di buon andamento dell'amministrazione.
Dunque, se si legittima l'inserimento di norme di dettaglio
cedevoli nelle leggi statali, si rischia di legittimare il completo
esproprio della potesta' legislativa regionale, nel caso in cui
l'applicazione dei nuovi principi statali sia destinata ad esaurirsi,
per volonta' dello stesso legislatore statale, in breve tempo. Ne'
pare possibile eccepire che, in casi come questi, e' l'urgenza di
applicazione della legge statale a giustificare l'invasione della
competenza regionale. A parte il fatto che proprio il caso che ci
occupa dimostra come la valutazione di urgenza sia molto soggettiva,
un equilibrato bilanciamento delle ipotetiche ragioni di urgenza e
dell'autonomia regionale potrebbe giustificare, al massimo, che lo
Stato detti una disciplina di dettaglio destinata ad operare qualora
le regioni non si attivassero entro un certo termine, ma non certo
una disciplina che immediatamente produca i suoi effetti, in pratica
annullando qualsiasi margine d'azione regionale.
Ne risulta confermata l'illegittimita' delle norme sopra
indicate.
7. - In subordine: ulteriore illegittimita' dei commi 25 e 35, in
quanto consentono di «far passare» per gia' costruite opere in corso
di costruzione o ancora da costruire. Violazione degli artt. 3, 9 e
97 Cost. e degli artt. 4 e 8 St. FVG.
Il comma 25 dell'art. 32 estende il condono alle opere abusive
ultimate entro il 31 marzo 2003: dunque, solo sei mesi prima della
pubblicazione del decreto-legge (l'art. 39, legge n. 724/1994 si
applicava alle opere ultimate un anno prima, l'art. 31, legge
n. 47/1985 alle opere ultimate diciassette mesi prima). Il comma 32
prevede che la domanda sia corredata dalla documentazione «di cui al
comma 35». Questo stabilisce che «la domanda di cui al comma 32 deve
essere corredata dalla seguente documentazione:
a) dichiarazione del richiedente resa ai sensi dell'art. 4
della legge 4 gennaio 1968, n. 15, e successive modificazioni e
integrazioni, con allegata documentazione fotografica, dalla quale
risulti la descrizione delle opere per le quali si chiede il titolo
abilititavo edilizio in sanatoria e lo stato dei lavori relativo;
b) qualora l'opera abusiva superi i 450 metri cubi, da una
perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere e una
certificazione redatta da un tecnico abilitato all'esercizio della
professione attestante l'idoneita' statica delle opere eseguite;
c) ulteriore documentazione eventualmente prescritta con
norma regionale».
Ora, e' intuitivo, ed e' comprovato dall'esperienza dei
precedenti condoni, che, in assenza di norme rigorose sul punto, la
possibilita' del condono fa sorgere la «tentazione» di «far passare»
per gia' costruite opere in corso di costruzione o ancora da
costruire. In altre parole, il condono, che ufficialmente e' rivolto
ad eliminare la sanzionabilita' degli abusi passati, in realta'
produce nuovi abusi presenti.
I commi 25 e 35 contengono norme che non fanno nulla per evitare
questa possibilita' e, anzi, la favoriscono.
In primis, la fissazione di un termine ad quem ravvicinato nel
tempo rende piu' difficile se non impossibile distinguere le opere
ultimate da quelle non ultimate, sia in relazione all'attivita' di
vigilanza amministrativa (che ha avuto poco tempo per svolgersi) sia
in relazione allo stato di degrado dei materiali.
Inoltre, il comma 35 si accontenta, in pratica, di un'auto
certificazione per la prova dello «stato dei lavori»; solo «qualora
l'opera abusiva superi i 450 metri cubi» si richiede «una perizia
giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere» (che, a quanto
pare, dovrebbe esser anch'essa redatta «da un tecnico abilitato
all'esercizio della professione», anche se, letteralmente, il tecnico
e' menzionato solo con riferimento alla certificazione sull'idoneita'
statica).
Ora, e' evidente che questa norma, collegata a quella che fissa
il dies ad quem al 31 marzo 2003, rende concreta la possibilita' di
«far passare» per gia' costruite opere che in quella data erano solo
in corso di costruzione e, addirittura, si presta ad incoraggiare
nuove costruzioni abusive e condonabili, data la difficolta' di
verificare la veridicita' dell'autocertificazione.
E' del tutto irragionevole una norma che fa affidamento sulla
sincerita' di chi ha gia' commesso un abuso; le ragioni della buona
amministrazione e della tutela del territorio (e dunque gli artt. 9 e
97 Cost. e gli artt. 4 e 8 St. FVG) non solo sono menomate dalla
sanatoria delle opere realmente ultimate ma sono ulteriormente poste
a repentaglio dalla possibilita', insita nelle norme di cui sopra, di
perpetrare nuovi abusi e di farli condonare.
Ne' si dica che l'amministrazione puo' dimostrare la non
preesistenza dell'opera: perche' e' veramente chiedere una probatio
diabolica pretendere che il comune sia in grado di dimostrare che un
determinato manufatto edilizio non esisteva nel marzo 2003!
Dunque, il comma 35 e' illegittimo nella parte in cui non prevede
in tutti i casi la necessita' che il costruttore o il direttore dei
lavori attesti, sotto la propria responsabilita' anche penale,
l'ultimazione dei lavori alla data prevista. Se pure anche in questo
modo non si potrebbe escludere la possibilita' di falsi attestati, e'
tuttavia evidente in primo luogo che una dichiarazione falsa
nell'interesse di terzi e' meno probabile di una dichiarazione falsa
nell'interesse proprio, e inoltre che, dovendo in questa ipotesi di
regola la dichiarazione essere fatta da professionisti, la perizia
falsa rappresenterebbe un illecito particolarmente grave e dunque
poco probabile.
Dal canto suo, il comma 25 e' illegittimo, per violazione dei
medesimi parametri, nella parte in cui fissa il termine del 31 marzo
2003 anziche' uno piu' risalente, che potrebbe essere individuato
considerando quale minimo intervallo ragionevole per la
condonabilita' di abusi passati quello fissato a suo tempo
dall'art. 31 legge n. 47/1985.
8. - In subordine: ulteriore illegittimita' del comma 37, in
quanto prevede un meccanismo di silenzio-assenso. Violazione degli
artt. 3, 9 e 97 Cost. e degli artt. 4 e 8 St. FVG.
Il comma 37 prevede che, avvenuti alcuni adempimenti, «il decorso
del termine di ventiquattro mesi [dal 30 settembre 2004] ... senza
l'adozione di un provvedimento negativo del comune equivale a titolo
abilitativo edilizio in sanatoria». Il d.l. n. 269/2003, dunque,
prevede il meccanismo del silenzio-assenso in relazione alle domande
di sanatoria, laddove tale istituto non e' contemplato neppure dalla
disciplina generale del permesso edilizio (v. art. 20 d.P.R.
n. 380/2001).
Pare chiara l'irragionevolezza di una norma che consente la
sanatoria degli abusi, con tutte le rilevanti conseguenze, in virtu'
del solo decorso del tempo. Tale norma viola gli artt. 9 e 97 e gli
artt. 4 e 8 St. FVG, perche' rende eventuale il controllo dei comuni
sull'aminissibilita' delle domande di condono, ledendo ulteriormente
le competenze regionali in materia di governo del territorio.
La lesivita' della norma pare ulteriormente aggravata dal fatto
che, nel caso di specie, non sembra applicabile la norma generale
dell'art. 20, legge n. 241/1990, che attribuisce all'amministrazione,
nei «casi» di cui al primo periodo dell'art. 20, comma 1, il potere
di annullare l'atto di assenso illegittimamente formato. Ma, se anche
si ritenesse che i comuni possano annullare le concessioni in
sanatoria «sorte» in virtu' del silenzio protratto per il termine
previsto, nell'esercizio di un potere generale di autotutela, la
norma sarebbe comunque illegittima, perche', nel momento in cui si
decide di sanare, a certe condizioni, gli stravolgimenti operati
abusivamente sul territorio, occorre che almeno le condizioni
richieste siano verificate.
E' del tutto irragionevole e discriminatorio assoggettare le
domande di permesso che si riferiscono ad opere sicuramente abusive
(perche' dichiarate tali dai richiedenti) ad un regime di verifica
meno severo di quello vigente per le domande di permesso che vengono
dichiarate dagli interessati conformi alla disciplina urbanistica.
Ne' varrebbe obbiettare che, sul piano del fatto, il termine
previsto e' sufficientemente lungo perche' i comuni si attivino,
perche' proprio il numero delle domande che contemporaneamente
vengono presentate ovviamente aggrava la situazione delle
amministrazioni e ne prolunga i tempi di azione, come la stessa
esperienza dei precedenti condoni ampiamente conferma.
9. - In subordine: ulteriore illegittimita' del comma 25, in
quanto prevede un limite di volume per ogni singola richiesta.
Violazione degli art. 3, 9, 97, 117 e 118 Cost.
L'art. 32, comma 25, d.l. n. 269/2003, come gia' l'art. 39, legge
n. 724/1994, prevede che siano sanabili le «opere abusive ...
relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per
ogni singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria».
Tale norma appare irragionevole e lesiva dei parametri indicati
in epigrafe nella parte in cui non precisa che non sono ammesse piu'
richieste riferite alla medesima area: e' chiaro, infatti, che, anche
alla luce di quanto previsto dall'art. 39, legge n. 724/1994,
potrebbero essere stati costruiti edifici attigui, ognuno dei quali
rispettoso del limite di volume sanabile, al fine di eludere il
limite stesso. Cio' arrecherebbe un'ulteriore vulnus alle esigenze di
tutela del territorio e alle relative competenze regionali.
10. - In subordine: illegittimita' costituzionale dei commi 1, 2,
3, 4, 25, 26, lett. a) in guanto contenuti in un decreto-legge.
A) Violazione del principio di leale collaborazione e
dell'art. 2, d.lgs. n. 281/1997 per mancato coinvolgimento delle
autonomie regionali.
A quanto risulta, ne' in sede di adozione del decreto-legge ne'
in sede di adozione del disegno di legge di conversione le autonomie
regionali sono state consultate attraverso la Conferenza
Stato-Regioni. Poiche', come visto, la disciplina qui impugnata
riguarda materie di competenza regionale, tale mancato coinvolgimento
lede il principio di leale collaborazione, espressamente sancito ora
nel titolo V della Costituzione.
In particolare, risulta violato l'art. 2, comma 3, d.lgs.
n. 281/1997, in base al quale «la Conferenza Stato-regioni e'
obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e
di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di
competenza delle regioni o delle province autonome di Trento e di
Bolzano». Ne' si puo' obiettare che, nel caso di specie, la
consultazione non era possibile, dato che l'art. 2, comma 5, d.lgs.
n. 281 disciplina espressamente i casi di urgenza: «quando il
Presidente del Consiglio dei ministri dichiara che ragioni di urgenza
non consentono la consultazione preventiva, la Conferenza
Stato-regioni e' consultata successivamente ed il Governo tiene conto
dei suoi pareri: a) in sede di esame parlamentare dei disegni di
legge o delle leggi di conversione dei decreti-legge».
Dunque, la mancata consultazione della Conferenza risulta
comunque illegittima.
Si tenga presente, per comprendere l'importanza del principio di
leale collaborazione nel nuovo titolo V, anche il modo in cui esso
viene concretato dall'art. 11, legge Cost. n. 3/2001. La circostanza
che non sia ancora stata realizzata la speciale composizione
integrata della Commissione parlamentare per le questioni regionali
non toglie che il principio di partecipazione regionale al
procedimento legislativo delle leggi statali ordinarie, quando queste
intervengono in materia di competenza concorrente, ha ora espresso
riconoscimento costituzionale.
Del resto, e' da sottolineare che codesta Corte costituzionale
gia' nella sent. n. 398 del 1998 (punto 16 del Diritto) ha annullato
una norma legislativa statale incidente sulle competenze regionali
per mancato coinvolgimento delle Regioni nel procedimento
legislativo.
B) Inidoneita' del decreto-legge a porre norme fondamentali di
riforma e principi fondamentali ex art. 117, comma 3, Cost.
Si e' gia' visto che in nessun modo la previsione del condono
puo' essere considerata «norma fondamentale di riforma
economico-sociale» o «principio fondamentale» nelle materie
dell'urbanistica e del coordinamento della finanza pubblica. Si vuole
qui aggiungere che, se anche codesta Corte non condividesse tale
conclusione, comunque si dovrebbe ritenere incostituzionale l'uso del
decreto-legge per porre norme fondamentali di riforma o principi
fondamentali nelle materie di competenza concorrente, dato che, per
propria natura, le norme ed i principi fondamentali devono avere
carattere di stabilita', dovendo anche fungere da guida della
legislazione regionale, per cui essi non possono essere fissati in
una fonte per sua natura precaria quale il decreto-legge.
In tal senso si e' pronunciata codesta Corte nella sent.
n. 271/1996, alla quale si puo' accostare la sent. n. 496/1993,
relativa al ricorso per mancato adeguamento di cui al d.lgs.
n. 266/1992 («sarebbe del tutto irragionevole pretendere che il
legislatore provinciale faccia affidamento, ai fini dell'opera di
adeguamento delle proprie discipline normative, su disposizioni, come
quelle del decreto-legge, che sono efficaci soltanto in via
provvisoria e che, per effetto dell'eventuale mancata conversione in
legge, potrebbero successivamente perdere ogni efficacia sin dalla
loro origine»: punto 3 del Diritto).


P. Q. M.
La Regione Friuli-Venezia Giulia chiede voglia codesta ecc.ma
Corte costituzionale dichiarare costituzionalmente illegittimo
l'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, ed in
particolare i commi 1, 2, 3, 4, 25, 26, lett. a), 28, 32, 35, lett.
a) e b), 37, 38, 40 e allegato 1, per le parti e sotto i profili
illustrati nel ricorso.
Prof. avv. Giandomenico Falcon

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