Ricorso n. 89 dell'11 giugno 2012 (Regione Veneto)
Ricorso della Regione Veneto (C.F. ... - P. IVA
...), in persona del Presidente della Giunta Regionale dott.
Luca Zaia (C.F. ...), autorizzato con delibera della
Giunta regionale n. 869 del 22 maggio 2012 (all. 1), rappresentato e
difeso, per mandato a margine del presente atto, tanto unitamente
quanto disgiuntamente, dagli avv.ti prof. Bruno Barel (C.F.
...) del Foro di Treviso, Ezio Zanon (C.F.
...) coordinatore dell'Avvocatura regionale, Daniela
Palumbo (C.F. ...) della Direzione Regionale Affari
Legislativi e Luigi Manzi (C.F. ...) del Foro di Roma,
con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Via
Confalonieri, n. 5 (per eventuali comunicazioni: fax ...,
posta elettronica certificata ...);
Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti
disposizioni del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito in
legge con legge 4 aprile 2012, n. 35, pubblicata sulla G.U.R.I. n. 82
del 6 aprile 2012, S.O. n. 69:
art. 29 "Disposizioni a favore del settore
bieticolo-saccarifero", per violazione degli articoli 117, IV comma,
118 e 120 (in relazione al principio di leale collaborazione tra
Stato e Regioni) della Costituzione;
art. 40 "Soppressione del vincolo in materia di chiusura
domenicale e festiva per le imprese di panificazione di natura
produttiva", comma l, per violazione dell'art. 117, IV comma, della
Costituzione;
art. 41 "Semplificazione in materia di somministrazione
temporanea di alimenti e bevande", per violazione dell'art. 117, IV
comma, della Costituzione;
art. 50 "Attuazione dell'autonomia", comma 1, per violazione
degli articoli 117, IV comma, e 120 (in relazione al principio di
leale collaborazione tra Stato e Regioni) della Costituzione;
art. 53, "Modernizzazione del patrimonio immobiliare
scolastico e riduzione dei consumi e miglioramento dell'efficienza
agli usi finali di energia", comma 7, per violazione dell'art. 120
della Costituzione, in relazione al principio di leale collaborazione
tra Stato e Regioni;
art. 60 "Sperimentazione finalizzata alla proroga del
programma "carta acquisti", per violazione degli articoli 117, IV
comma, e 120 (in relazione al principio di leale collaborazione tra
Stato e Regioni) della Costituzione;
art. 61 "Norme transitorie e disposizioni in materia di atti
amministrativi sottoposti a intesa", comma 3, per violazione
dell'art. 120 (in relazione al principio di leale collaborazione tra
Stato e Regioni) della Costituzione, e dell'art. 8 della legge 5
giugno 2003, n. 131.
Il decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 "Disposizioni urgenti in
materia di semplificazione e di sviluppo", convertito in legge con
modificazioni con legge 4 aprile 2012, n. 35, contiene una serie di
misure, eterogenee fra loro, alcune delle quali vanno a ledere le
prerogative costituzionali delle Regioni ordinarie, sotto vari
profili.
La Regione del Veneto, pur condividendo in linea generale la
finalita' di semplificazione, e' tuttavia costretta a censurare in
questa sede quelle disposizioni, indicate in epigrafe e di seguito,
che, ciascuna nelle parti e per i profili indicati, violano la sua
autonomia costituzionalmente garantita e la leale collaborazione tra
lo Stato e la Regione stessa.
Art. 29 "Disposizioni a favore del settore bieticolo-saccarifero":
violazione degli articoli 117, comma IV, 118 e 120 (in relazione al
principio di leale collaborazione) della Costituzione.
L'art. 29 del decreto-legge reca "Disposizioni a favore del
settore bieticolo-saccarifero".
Al comma 1, dispone che i progetti di riconversione del comparto
bieticolo saccarifero approvati dall'apposito Comitato
interministeriale "rivestono carattere di interesse nazionale anche
ai fini della definizione e del perfezionamento dei processi
autorizzativi e dell'effettiva entrata in esercizio".
Al comma 2, stabilisce che entro 30 giorni dall'entrata in vigore
del decreto-legge "il Comitato interministeriale di cui al comma 1
dispone le norme idonee nel quadro delle competenze amministrative
regionali atte a garantire l'esecutivita' dei progetti suddetti,
nomina, nei casi di particolare necessita', ai sensi dell'art. 20 del
decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, un commissario ad
acta per l'attuazione degli accordi definiti in sede regionale con
coordinamento del Comitato interministeriale. Al Commissario non
spettano compensi e ad eventuali rimborsi spese si provvede
nell'ambito delle risorse destinate alla realizzazione dei progetti".
Il contesto normativo nel quale viene a collocarsi la
disposizione citata e' rappresentato dal decreto-legge 10 gennaio
2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006,
n. 81, recante "Interventi urgenti per i settori dell'agricoltura,
dell'agroindustria, della pesca, nonche' in materia di fiscalita'
d'impresa".
Precisamente, viene qui in rilievo l'art. 2 di quel decreto,
recante la rubrica "Interventi urgenti nel settore
beticolo-saccarifero", col quale, al fine di fronteggiare la grave
crisi del settore bieticolo-saccarifero, si e' istituito presso la
Presidenza del Consiglio dei ministri un Comitato interministeriale,
col compito (comma 2): a) di approvare entro 45 giorni "il piano per
la razionalizzazione e la riconversione della produzione
bieticola-saccarifera"; b) di coordinare "le misure comunitarie e
nazionali previste per la riconversione industriale del settore e per
le connesse problematiche sociali"; c) di formulare "direttive
per l'approvazione dei progetti di riconversione".
La medesima disposizione statale ha poi previsto (comma 3)
l'approvazione da parte del Ministro per le politiche agricole dei
progetti di riconversione presentati per ciascuno degli impianti
industriali ove sarebbe cessata la produzione di zucchero, ed
ulteriori misure di sostegno, anche da parte dell'AGEA (commi da 4 a
5-bis, variamente modificati in sede di conversione e da leggi
sopravvenute).
Le misure cosi' adottate dall'Italia erano coerenti con quelle
decise a livello comunitario per la ristrutturazione dell'industria
comunitaria dello zucchero, affetta da difficolta' strutturali,
mediante il regolamento (CE) n. 320/2006 del Consiglio, del 20
febbraio 2006 "relativo a un regime temporaneo per la
ristrutturazione dell'industria dello zucchero nella Comunita'
europea e che modifica il regolamento (CE) n. 1290/2005 relativo al
funzionamento della politica agricola comune" (in G.U.U.E. L 58/42
del 28 febbraio 2006).
Il "Programma nazionale di ristrutturazione del settore
bieticolo-saccarifero" del 19 dicembre 2006, formulato ai sensi
dell'art. 6 Reg. CE 320/2006 dal Ministero delle politiche agricole,
Dipartimento delle politiche di sviluppo, PQSR II, e le connesse
direttive sono stati approvati dal Comitato interministeriale ad hoc
nella riunione del 31 gennaio 2007, con la previsione di chiusura di
19 dei 13 stabilimenti operanti in Italia, fra i quali quello di
Porto Viro (Rovigo) della societa' Italia Zuccheri s.p.a.
La Regione Veneto ha dato attuazione a quanto previsto dal
regolamento comunitario e dalle correlate disposizioni statali,
relativamente all'unico stabilimento saccarifero presente nel
territorio regionale, quello di Porto Viro, che ha proposto un
accordo di riconversione.
La Regione del Veneto ha infatti tempestivamente approvato, con
deliberazione di Giunta regionale n. 1234 dell'8 maggio 2007 (in
B.U.R. n. 49 del 29 maggio 2007), l'"Accordo di conversione
produttiva dello stabilimento saccarifero di Porto Viro".
L'Accordo tuttavia non ha potuto avere attuazione nei modi e
termini previsti per ragioni economiche legate alla sfavorevole
congiuntura di mercato; di conseguenza, e' stato successivamente
modificato con un "Accordo integrativo", approvato con deliberazione
di Giunta regionale n. 983 del 21 aprile 2009 (in B.U.R. n. 37 del 5
maggio 2009).
Dopo una pausa imposta da impedimenti di ordine normativo e
finanziario (cfr. art. 4 della legge finanziaria regionale per il
2011), il procedimento e' proseguito. Sui contenuti dell'Accordo
integrativo ha recentemente espresso parere favorevole la Commissione
tecnica regionale per l'ambiente, nella seduta del 12 marzo 2012, e
tale parere costituira' la posizione dell'Amministrazione in seno
alla Conferenza di servizi che dovra' essere convocata per concludere
il procedimento autorizzativo.
In tale contesto, di diritto e di fatto, sopravviene ora la
disposizione statale in oggetto, che affida al Comitato
interministeriale sia l'emanazione di non meglio precisate "norme
idonee nel quadro delle competenze amministrative regionali atte a
garantire l'esecutivita' dei progetti suddetti", sia la "nomina, nei
casi di particolare necessita', ai sensi dell'art. 20 del
decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 209, n. 2, [di un] un
commissario ad acta per l'attuazione degli accordi definiti in sede
regionale con coordinamento del Comitato interministeriale.".
Si tratta di previsioni di ampia portata e allo stesso tempo
alquanto generiche, che consentono tanto l'emanazione a livello
statale di "norme idonee" ad incidere sulle competenze amministrative
regionali, quanto la nomina di un commissario ad acta, sulla base di,
e con riferimento a, una generica disciplina statale emanata a suo
tempo a tutt'altri fini (investimenti pubblici di competenza statale
prioritari: art. 20, comma 1, decreto-legge 29 novembre 2008, n.
385). In sostanza, le nuove disposizioni statali, col riclassificare
di interesse nazionale l'implementazione di tutti gli Accordi
regionali, in via generale e generica, sottopongono la connessa
attivita' amministrativa e gestionale regionale a vigilanza e
controllo del Comitato ministeriale, e consentono la nomina da parte
del medesimo Comitato stesso di commissari ad acta dotati anche di
poteri sostitutivi.
L'art. 29 del decreto-legge in oggetto attiene palesemente alla
materia dell'agricoltura, in relazione alla politica agricola comune
dell'Unione europea, e lede pertanto la sfera di competenza
legislativa e amministrativa esclusiva propria della Regione del
Veneto, ai sensi dell'art. 117, comma IV, della Costituzione.
La novella statale avoca in sostanza allo Stato, oltre che
un'attivita' normativa non meglio precisata, perfino l'attuazione in
sede amministrativa degli Accordi regionali finalizzati alla
ristrutturazione dell'industria saccarifera nel quadro del regime
temporaneo di aiuti istituito a livello dell'Unione, dichiaratamente
nel quadro del funzionamento della politica agricola comune, in
violazione anche della competenza amministrativa riservata alle
Regioni dall'art. 118 Cost. Lede altresi' il principio costituzionale
di leale collaborazione, sotteso all'art. 120 Cost., in quanto
disarticola quell'equilibrio nella cooperazione fra Stato e Regioni
delineato dalla previgente normativa, fino a prefigurare una sorta di
commissariamento delle Regioni perfino nella gestione operativa e
dettagliata degli adempimenti amministrativi finalizzati
all'implementazione di Accordi con parti private.
Spetta invero alle Regioni, oltre che la conclusione degli
Accordi di ristrutturazione nel quadro del Programma nazionale, anche
- a maggior ragione - la loro attuazione, attraverso la disciplina e
l'attivazione degli appropriati procedimenti amministrativi.
La Regione del Veneto ha specifico interesse a dolersene in
relazione all'Accordo e al procedimento in corso e in via di
conclusione, volto alla riconversione dello stabilimento ex
saccarifero di Porto Viro, che potrebbe ora essere pregiudicato.
Articolo 40 "Soppressione del vincolo in materia di chiusura
domenicale e festiva per le imprese di panificazione di natura
produttiva": violazione dell'art. 117, IV comma, della Costituzione.
L'art. 40 del decreto-legge consta di un solo comma, del tenore
seguente: "1. Il secondo periodo dell'art. 11, comma 13, della legge
3 agosto 1999, n. 265, e' soppresso".
L'art. 11, comma 13, della legge n. 265/1999 dispone:
"E' abrogata la legge 13 luglio 1966, n. 611. All'attivita'
di panificazione autorizzata ai sensi della legge 31 luglio 1956, n.
1002, si applicano gli articoli 11, comma 4, 12 e 13 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114".
La disposizione statale censurata va dunque ad abrogare quella
proposizione normativa (secondo periodo) che assoggettava l'attivita'
di panificazione ad alcune disposizioni del decreto legislativo n.
114/1998 e precisamente:
- all'art. 11, comma 4, secondo il quale "Gli esercizi di
vendita al dettaglio osservano la chiusura domenicale e festiva
dell'esercizio e, nei casi stabiliti dai comuni, sentite le
organizzazioni di cui al comma l, la mezza giornata di chiusura
infrasettimanale";
- all'art. 12, che ammette deroghe all'obbligo precedente nei
Comuni ed economia prevalentemente turistica e nelle citta' d'arte;
- all'art. 13, che detta ulteriori disposizioni speciali di
deroga.
La finalita' della novella, resa evidente fin dalla rubrica e
perseguita mediante l'abrogazione del rinvio alle disposizioni che
disciplinavano la chiusura domenicale e festiva, e' costituita dunque
dalla liberalizzazione delle aperture dei panifici per la
commercializzazione della propria produzione.
Si intende cosi' estendere ulteriormente la c.d. liberalizzazione
delle aperture degli esercizi commerciali al dettaglio, gia' disposta
con il c.d. decreto-legge "Salva Italia" del 6 dicembre 2011, n. 201,
anche alle imprese artigiane di panificazione quanto alla
commercializzazione diretta di prodotti propri.
La nuova disposizione statale va peraltro a confliggere con la
specifica disciplina dettata dalla Regione del Veneto con la legge 21
settembre 2007, n. 29 (art. 25), nell'esercizio della propria
competenza legislativa esclusiva sia in materia di commercio che di
artigianato.
In proposito, si segnala che il decreto-legge n. 201/2011 e' gia'
oggetto di un giudizio di legittimita' costituzionale anche
relativamente alla disciplina delle aperture degli esercizi
commerciali (r.g. 29/2011, su ricorso proposto (anche) dalla Regione
del Veneto).
In questa sede, la Regione del Veneto, coerentemente con quanto
dedotto nei suddetti giudizi, a tutela delle proprie prerogative
costituzionali, e segnatamente della potesta' legislativa regionale
in materia di commercio e di artigianato, non puo' che censurare
anche l'art. 40 del decreto-legge in oggetto, per violazione della
competenza legislativa regionale residuale, ai sensi dell'art. 117,
IV comma, della Costituzione.
In sintesi, e' indubbio, secondo la giurisprudenza
costituzionale, che la materia del commercio, cui sembra appropriato
ricondurre la disciplina delle aperture e degli orari ai fini della
commercializzazione dei prodotti anche di propria produzione -
analogamente comunque alla materia dell'artigianato - sia di
competenza legislativa residuale regionale (sentenza n. 1 del 2004;
ord. 11 maggio 2006, n. 199; sentenze 9 marzo 2007, n. 64; 11 maggio
2007, n. 165; 12 dicembre 2007, n. 430; 24 ottobre 2008, n. 350; 5
luglio 2010, n. 247; 8 ottobre 2010, n. 288; 21 aprile 2011, n. 150).
Rispetto alle prerogative regionali, la tutela della concorrenza
rappresenta un limite "interno", da intendere pero' in modo tale che
non possa determinare lo svuotamento della competenza esclusiva
regionale nella materia del commercio.
La legislazione regionale deve certamente conformarsi ai generali
obiettivi di non discriminazione fra operatori economici, di apertura
al mercato e di eliminazione di barriere e vincoli al libero
esplicarsi dell'attivita' economica (in questo senso, da ultimo,
Corte cost., sentenze n. 18 del 23 gennaio 2012, n. 150 del 2011), ma
allo stesso tempo non le puo' essere negato ogni margine di
intervento per modellare la disciplina concreta in modo tale da
salvaguardare altri valori che pure trovano fondamento nella Carta
costituzionale e nell'insieme dell'ordinamento italiano.
La completa liberalizzazione delle aperture domenicali e festive
non persegue affatto l'obiettivo di una piu' efficace tutela della
concorrenza, dal momento che essa determina, al contrario, il
rafforzamento sul mercato delle sole aziende che per le loro maggiori
dimensioni sono in grado di cogliere tale opportunita', a discapito
delle imprese minori le quali, non essendo in grado di garantire una
apertura continuativa, risulterebbero penalizzate e giocoforza
emarginate dal mercato, determinandosi, quale ulteriore grave
conseguenza, un'accentuazione della desertificazione dei centri
storici, gia' di per se' in atto a seguito degli effetti del
perdurare della crisi economica (come infatti correttamente osservato
dalla piu' recente giurisprudenza amministrativa in materia: in tal
senso, cfr. ancora TAR Veneto, III Sez., sentenza n. 1261 del 28
luglio 2011).
La totale liberalizzazione delle aperture degli esercizi
commerciali finisce percio' col produrre effetti opposti a quelli
voluti, non risulta adeguato e proporzionato rispetto all'obiettivo,
priva di qualsiasi tutela altri interessi pubblici specifici pur
meritevoli anch'essi di cura.
Anche l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato, nel
parere del 26 agosto 2011 in relazione alle disposizioni in materia
di liberalizzazione dell'esercizio delle attivita' economiche
contenute nel decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (convertito in
legge con modificazioni dalla legge 16 settembre 2011, n. 148), ha,
seppure indirettamente, mostrato di ritenere che rientri appieno
nell'ambito della potesta' normativa delle Regioni la facolta' di
introdurre limitazioni all'esercizio dell'attivita' economica,
allorche' esse discendono da motivi imperativi di interesse generale,
quali, tra l'altro, la tutela dell'ambiente, incluso l'ambiente
urbano, gli obiettivi di politica sociale e, non ultima, la tutela
del consumatore.
L'esigenza di un ragionevole contemperamento tra valori e' al
fondo di quella giurisprudenza costituzionale che, di recente, ha
riconosciuto la legittimita' di leggi regionali in materia di
commercio che introducevano differenziazioni di regime con
riferimento alle dimensioni dell'impresa, in quanto ispirate
all'esigenza di interesse generale di riconoscimento e valorizzazione
del ruolo delle piccole e medie imprese gia' operanti sul territorio
regionale (sentenze n. 64 del 2007, n. 288 del 2010).
La disposizione di legge qui censurata, cosi' come formulata,
nella sua assolutezza e inderogabilita', non trova base giuridica
legittimante ne' nel diritto dell'Unione, cui resta estraneo questo
tema, ne' nell'art. 117, II comma, della Costituzione, e viola la
competenza esclusiva regionale in materia di commercio attribuita
dall'art. 117, IV comma, della Costituzione. Preclude
conseguentemente alla Regione anche l'esercizio della propria
autonomia amministrativa nella materia considerata e la possibilita'
di attribuire funzioni amministrative ai Comuni.
La novella legislativa ha un effetto opposto a quello perseguito.
Essa non e' adeguata e proporzionata rispetto all'obiettivo e priva
di qualsiasi tutela altri interessi pubblici specifici pur meritevoli
anch'essi di cura. In particolare, finisce col precludere la stessa
possibilita' di graduare il processo di liberalizzazione, in modo che
non travolga gli operatori economici piu' deboli, il mondo delle
piccole e medie imprese commerciali che per dimensioni e struttura
non sono immediatamente in grado di competere 24 ore su 24, in tutti
i giorni festivi dell'anno, cosi' come invece le grandi imprese, col
rischio di disarticolare un mercato distributivo caratterizzato fin
qui da una pluralita' di formule e di offerte, capace di garantire
anche servizi di prossimita', essenziali nei piccoli paesi e nei
centri storici sia per i consumatori che per l'ambiente urbano e
sociale.
Nel diritto vivente, segnatamente nella recente giurisprudenza
amministrativa, non mancano precisi riferimenti alla pluralita' dei
valori messi in gioco dalla disciplina dei giorni ed orari di
apertura e chiusura degli esercizi commerciali. Si e' affermato, fra
l'altro, che una disciplina locale che differenziava le aperture
domenicali entro e fuori le mura storiche di una citta' "mira ad una
regolamentazione finalizzata a contemperare i principi e i valori
della concorrenza con la salvaguardia delle aree urbane, dei centri
storici, della pluralita' tra diverse tipologie di strutture
commerciali e della funzione sociale svolta dai servizi commerciali
di prossimita'" e che "alla luce di tale contemperamento vanno lette
anche le norme sugli orari e sulle giornate di apertura e di chiusura
degli esercizi commerciali" (TAR Emilia-Romagna, sentenza n. 8002 del
2010).
Analogamente si e' espresso il TAR per il Veneto:
"la vigente disciplina in materia di commercio (d.lgs. n.
114/98 e d.-l. n. 223/06, conv. in l. n. 248/06) non persegue in via
esclusiva una finalita' liberalizzatrice, connessa al solo scopo di
tutelare la liberta' delle imprese e la concorrenza, in una
prospettiva di sostanziale deregolamentazione del settore, giacche'
questo obiettivo avrebbe quale esito estremo il rafforzamento sul
mercato (delle imprese) di maggiori dimensioni a discapito proprio di
un mercato concorrenziale, ed esaurirebbe l'intera disciplina
nell'ambito della competenza legislativa statale di cui all'art. 117,
secondo comma, lett. e) della Costituzione, giungendo a negare una
propria autonomia al "commercio" inteso come "materia attribuita alla
competenza legislativa residuale delle regioni" (pacificamente
riconosciuta invece dalla giurisprudenza della Corte costituzionale:
cfr. le sentenze 12 dicembre 2007, n. 430, punto 3.2.2. in diritto;
11 maggio 2007, n. 165; 9 marzo 2007, n. 64; 11 maggio 2006 , n.
199)";
"in ragione dei rilevanti effetti di carattere urbanistico e
sociale che derivano dalla presenza o meno di esercizi commerciali
sul territorio, la predetta disciplina mira a una regolamentazione
finalizzata a contemperare i principi e i valori della concorrenza
con la salvaguardia delle aree urbane, dei centri storici, della
pluralita' tra diverse tipologie delle strutture commerciali e della
funzione sociale svolta dai servizi commerciali di prossimita' ...
per l'art. 1, comma 3, lett. b), d), ed e) del d.lgs. 31 marzo 1998,
n. 114, la disciplina sul commercio persegue anche le finalita' della
tutela del consumatore, con particolare riguardo (...) alla
possibilita' di approvvigionamento, al servizio di prossimita', del
pluralismo ed equilibrio tra le diverse tipologie delle strutture
distributive e le diverse forme di vendita, con particolare riguardo
al riconoscimento e alla valorizzazione del ruolo delle piccole e
medie imprese, e della valorizzazione e salvaguardia del servizio
commerciale nelle aree urbane, rurali, montane, insulari";
"e' pertanto alla luce del contemperamento operato dal
legislatore tra la pluralita' di questi interessi che devono essere
lette anche le norme sugli orari e sulle giornate di apertura e
chiusura degli esercizi commerciali, con la conseguente insussistenza
di una regola che preveda la totale liberalizzazione dei giorni di
apertura." (sentenza n. 135 del 2010).
"L'art. 6 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 attua tali principi
prevedendo una programmazione della rete distributiva che:
- renda "compatibile l'impatto territoriale e ambientale
degli insediamenti commerciali con particolare riguardo a fattori
quali la mobilita', il traffico e l'inquinamento e valorizzare la
funzione commerciale al fine della riqualificazione del tessuto
urbano, in particolare per quanto riguarda i quartieri urbani
degradati al fine di ricostituire un ambiente idoneo allo sviluppo
del commercio" (art. 6, comma 1, lett. c);
- salvaguardi e riqualifichi "i centri storici anche
attraverso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche degli
insediamenti e il rispetto dei vincoli relativi alla tutela del
patrimonio artistico ed ambientale" (art. 6, comma 1, lett. d);
- favorisca "gli insediamenti commerciali destinati al
recupero delle piccole e medie imprese gia' operanti sul territorio
interessato, anche al fine di salvaguardare i livelli occupazionali
reali e con facolta' di prevedere a tale fine forme di
incentivazione" (art. 6, comma 1, lett. f);
- individui "i limiti ai quali sono sottoposti gli
insediamenti commerciali in relazione alla tutela dei beni artistici,
culturali e ambientali, nonche' dell'arredo urbano, ai quali sono
sottoposte le imprese commerciali nei centri storici e nelle
localita' di particolare interesse artistico e naturale" (art. 6,
comma 2, lett. b);
- tenga conto dei "centri storici, al fine di salvaguardare e
qualificare la presenza delle attivita' commerciali e artigianali in
grado di svolgere un servizio di vicinato, di tutelare gli esercizi
aventi valore storico e artistico ed evitare il processo di
espulsione delle attivita' commerciali e artigianali" (art. 6, comma
3, lett. c).
E' pertanto alla luce del contemperamento operato dal legislatore
tra la pluralita' di questi interessi che devono essere lette anche
le norme sugli orari e sulle giornate di apertura e chiusura degli
esercizi commerciali." (TAR Veneto, sez. III, 28 luglio 2011, n 126,
che richiama la propria sentenza n. 3819 del 2009; conf. TAR
Emilia-Romagna, sez. Bologna, n. 8002 del 2010; TAR Piemonte, n. 3585
del 2009; v. anche TAR Lombardia - Milano, n. 5658 del 2010).
Art. 41 "Semplificazione in materia di somministrazione di alimenti e
bevande": violazione dell'art. 117, IV comma, della Costituzione.
Dispone il comma unico dell'art. 41 del decreto-legge censurato:
"1. L'attivita' temporanea di somministrazione di alimenti e
bevande in occasione di sagre, fiere, manifestazioni religiose,
tradizionali e culturali o eventi locali straordinari, e' avviata
previa segnalazione certificata di inizio attivita' priva di
dichiarazioni asseverate ai sensi dell'art. 19 della legge 7 agosto
1990, n. 241, e non e' soggetta al possesso dei requisiti previsti
dall'art. 71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.".
La disposizione citata detta dunque una disciplina relativa
all'attivita' temporanea di somministrazione di alimenti e bevande in
situazioni particolari (sagre, fiere, manifestazioni religiose,
tradizionali e culturali o eventi locali straordinari) che riguarda
sia le modalita' di avvio (ridotte ad una s.c.i.a. ulteriormente
semplificata, non accompagnata cioe' da dichiarazioni asseverate) che
i requisiti da rispettare (soppressi, in totale deroga agli ordinari
requisiti anche morali stabiliti a livello statale dal d.lgs. n.
59/2010 di attuazione della direttiva Bolkestein 2006/123/CEE).
L'attivita', anche temporanea, di somministrazione di alimenti e
bevande, anche in situazioni particolari, rientra pacificamente nella
materia del commercio, pertanto l'intervento statale e' lesivo della
competenza legislativa regionale residuale delle Regioni nella
materia del commercio, attribuita dall'art. 117, IV comma, della
Costituzione (sentenza n. 1 del 2004; ord. 11 maggio 2006, n. 199;
sentenze 9 marzo 2007, n. 64; 11 maggio 2007, n. 165; 12 dicembre
2007, n. 430; 24 ottobre 2008, n. 350; 5 luglio 2010, n. 247; 8
ottobre 2010, n. 288; 21 aprile 2011, n. 150).
La Regione del Veneto ha gia' esercitato tale competenza,
successivamente alla riforma costituzionale del 2001, con la legge
regionale 21 settembre 2007, n. 29, "Disciplina dell'esercizio
dell'attivita' e somministrazione di alimenti e bevande", ponendo fra
l'altro una regolamentazione specifica delle autorizzazioni
temporanee in occasione di fiere, feste o altre riunioni
straordinarie di persone, incidente sia sui requisiti che il
richiedente deve soddisfare (art. 11, comma 3), che sulle modalita'
(art. 11, commi l e 4).
Nella giurisprudenza costituzionale si rinviene un puntuale
precedente in termini nella sentenza 13 gennaio 2004, n. 1. Con
quella pronuncia e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale
di una norma statale (art. 52, comma 17, l. 28 dicembre 2001, n. 448)
che escludeva l'applicabilita' della legge n. 426 del 1971 sul
commercio alle sagre, fiere e manifestazioni a carattere religioso,
benefico o politico, per lesione della competenza riconosciuta nella
materia del commercio alle regioni dall'art. 117, IV comma, della
Costituzione.
Art. 50, comma 1, relativamente alla emanazione di un decreto
ministeriale recante linee guida in materia di istruzione: violazione
dell'art. 117, IV comma, della Costituzione, nonche' del principio di
leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione.
L'art. 50, comma 1, della legge oggetto del presente giudizio
rimette ad un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita'
e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze, l'adozione di linee guida orientate al perseguimento degli
obiettivi specificati dalla norma medesima, sentita la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano.
Benche' le finalita' perseguite dalla norma di cui si tratta, in
quanto afferenti alla "autonomia delle istituzioni scolastiche" e
alla "ridefinizione degli organici" siano indubbiamente ascrivibili
ad un ambito di competenza esclusiva statale quale e' appunto quello
rubricato "norme generali sull'istruzione" di cui all'art. 117, II
comma, lettera n), della Costituzione, la disposizione in esame
interferisce con le competenze regionali laddove si intreccia con il
dimensionamento delle istituzioni scolastiche di spettanza invece
regionale che, a propria volta, si correla necessariamente al diverso
ambito di competenza residuale regionale, nella misura in cui puo'
interessare la materia di servizi sociali, violando cosi'
direttamente il IV comma dell'art. 117 della Costituzione, valutato
in relazione al disposto del III comma, nonche' il principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione.
Preliminarmente, si reputa utile una breve ricostruzione
sistematica del contesto normativo di riferimento, costituzionalmente
inquadrato, allo scopo di evidenziare le disarmonie strutturali che
si riverberano sui contenuti disciplinatori, generando quelle
antinomie che, ad avviso della difesa regionale, fondano le censure
di illegittimita' sollevate.
Si rileva, infatti, come, nell'alveo generico qualificato come
"istruzione pubblica", esista in realta' una pluralita' di ambiti
specifici, i cui contorni sono stati progressivamente delineati in
forza di una notevolissima, intensa, attivita' giurisprudenziale di
codesta ecc.ma Corte, con la quale sono state definite, sotto il
profilo oggettivo, le linee di demarcazione della competenza
insistente in materia, e sono stati cosi' individuati come ambiti di
attribuzione regionale il dimensionamento della rete scolastica e la
programmazione dell'offerta formativa.
Tuttavia, tale competenza deve necessariamente connettersi alla
materia dei servizi sociali, particolarmente per quanto attiene alle
scuole dell'infanzia, nonche' alle misure di prevenzione e contrasto
del disagio di particolari utenti del servizio scolastico.
Inoltre, parimenti intrecciata ed indissolubilmente collegata
all'anzidetta competenza risulta, altresi', la formazione
professionale, che per espressa previsione della Carta fondamentale
e' ascrivibile appunto al quarto comma dell'art. 117 della
Costituzione.
Pertanto, il contenuto del decreto ministeriale, pur riguardando
espressamente gli organici delle istituzioni scolastiche e
l'autonomia delle medesime, di indiscussa competenza esclusiva
statale, non puo' collocarsi in una posizione giuridica
sistematicamente avulsa e distante da quella competenza regionale in
materia di dimensionamento della rete scolastica di cui si e' detto.
In altri termini, la definizione degli organici delle istituzioni
scolastiche pare costituire il presupposto indefettibile affinche' la
Regione sia posta nelle condizioni effettive, e non meramente
virtuali, di programmare l'apertura e la chiusura delle istituzioni
scolastiche, nonche' gli eventuali accorpamenti.
Si richiama a tal proposito la decisione n. 34 del 2005, con la
quale codesta ecc.ma Corte ha inequivocabilmente precisato che il
dimensionamento della rete delle istituzionali scolastiche e' un
ambito di spettanza regionale.
Segnatamente, ha affermato che "proprio alla luce del fatto che
gia' la normativa antecedente alla riforma del Titolo V prevedeva la
competenza regionale in materia di dimensionamento delle istituzioni
scolastiche e quindi postulava la competenza sulla programmazione
scolastica di cui all'art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998, e' da
escludersi che il legislatore costituzionale del 2001 abbia voluto
spogliare le Regioni di una funzione che era gia' stata ed esse
conferita."
Tale orientamento giurisprudenziale ha trovato ulteriore
conferma, dapprima, nella sentenza n. 200 del 2009, che ha dichiarato
illegittime le lettere f-bis) e f-ter) del comma 4 dell'art. 64 del
decreto legge n. 112 del 2008, concernente appunto gli accorpamenti
di istituiti scolastici aventi sede in piccoli Comuni, e
successivamente, nella decisione n. 92 del 2011, con la quale codesta
ecc.ma Corte ha dichiarato come la disciplina afferente l'istituzione
di nuove sezioni o scuole dell'infanzia non sia di attribuzione
statale.
Infine, ad ulteriore riprova della labilita' del riparto di
competenze in subiecta materia, testimoniato dalla vivacita' del
contrasto interpretativo, cui si contrappongono i puntuali
accertamenti giurisprudenziali di legittimita', di recente e' stata
discussa, ma non ancora decisa, sempre dinanzi a codesta ecc.ma
Corte, anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art.
19, commi 4 e 5, del decreto-legge n. 98 del 2011, che, proprio
perche' disciplinante, con statuizioni di estrazione statale, gli
accorpamenti delle istituzioni scolastiche, e' stato impugnato da
alcune Regioni, per violazione delle prerogative regionali
costituzionalmente garantite.
Per evidenziare adeguatamente le modalita' ed i contenuti della
lamentata lesione alle attribuzioni regionali operato dalla
disposizione impugnata, si ritiene opportuno soffermarsi ora sul
riparto delle funzioni esercitabili da Regione ed Enti Locali in
materia di istruzione scolastica, con particolare riferimento al
dimensionamento delle istituzioni scolastiche.
Sul punto, si rammenta che, al fine di assicurare l'autonomia
scolastica, l'art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 prevedeva
l'obbligo, per le istituzioni scolastiche, di adeguarsi ai requisiti
dimensionali, in conformita' ai piani di dimensionamento della rete
scolastica.
Successivamente, il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 "Conferimento di
finzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli
enti locali", in attuazione proprio della legge n. 59 del 1997,
all'art. 138, comma 1, lettere a) e b), ha riorganizzato,
definendole, seppure con qualche difficolta' applicativa, le
competenze in materia di istruzione scolastica, secondo un ulteriore
riparto.
Conseguentemente, il nuovo assetto istituzionale che ne risulta
vede riservate allo Stato le funzioni concernenti i criteri e i
parametri per l'organizzazione della rete scolastica; mentre alle
Regioni e' delegata la programmazione della rete scolastica, sulla
base dei piani provinciali, nonche' la programmazione dell'offerta
integrata tra istruzione e formazione professionale; infine, sono
trasferite alle Province - quanto all'ambito dell'istruzione
secondaria di secondo grado - ed ai Comuni - quanto all'ambito
dell'istruzione primaria e secondaria di primo grado - le funzioni di
istituzione, aggregazione, fusione e soppressione di istituti
scolastici, in attuazione degli strumenti di programmazione, nonche'
la redazione dei piani di organizzazione delle rete delle istituzioni
scolastiche.
Il regolamento 18 giugno 1998, n. 233, recante "Norme per il
dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la
determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti"
individua, sempre in conformita' a quanto stabilito dalla L. 59 del
1997, i parametri dimensionali ottimali ed e' proprio a tali
parametri che espressamente rinvia l'art. 64 del decreto-legge n. 112
del 2008.
Si precisa, al riguardo, che il regolamento citato prevede un
meccanismo di formazione progressiva della pianificazione di settore,
in base al quale i piani dimensionali contemplati dalla legge n. 59
del 1997, adottati dalle conferenze provinciali della rete
scolastica, devono confluire nel piano regionale di dimensionamento,
di competenza, appunto, della Regione.
Il medesimo regolamento, all'art. 4, nel confermare la competenza
regionale ad esercitare funzioni di pianificazione in tema di
dimensionamento ottimale, richiama altresi' la competenza attribuita
dal d.lgs. n. 112 del 1998 agli Enti Locali, che attribuiva ai
medesimi la competenza in ordine alla soppressione, istituzione e
trasferimento di sedi, plessi, unita' delle istituzioni scolastiche
titolari di personalita' giuridica e di autonomia scolastica, secondo
la nota allocazione funzionale.
Conformemente al riparto di competenze stabilito dalla disciplina
di fonte statale, il gia' menzionato art. 138 della legge regionale
n. 11/2001 ha ribadito che spettano agli Enti Locali, nei rispettivi
ambiti di competenza sia di ordine che di grado scolastico, la
istituzione, aggregazione, fusione e soppressione delle scuole, in
attuazione degli strumenti di programmazione, nonche' la redazione
dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scolastiche.
Cosi' brevemente riassunto il quadro normativo, si rileva che lo
Stato, nonostante il riparto di competenze sopra descritto, ha
perseguito la realizzazione di una linea di azione generalizzata tesa
a ridimensionare la rete scolastica, secondo modalita' centralistiche
e del tutto indifferenti alle prerogative regionali esistenti in
materia, attraverso meccanismi temporali imposti a Regioni ed enti
locali, che, nell'ambito delle rispettive competenze, dovevano
osservare scadenze restrittive per adottare detti piani di
dimensionamento, in osservanza della modifica apportata all'art. 64
del d.-l. n. 112 del 2008.
In dettaglio, infatti, la legge 4 dicembre 2008, n. 189, di
conversione del d.-l. 7 ottobre 2008, n. 154, ha sostanzialmente
modificato l'art. 64 di cui si tratta, stabilendo le scansioni
cronologiche alle quali si e' accennato e che si riportano quale dato
utile a valutare la straordinaria complessita' del contesto
legislativo progressivamente formatosi.
In punto, per il solo anno scolastico 2009/2010, il termine per
il dimensionamento delle istituzioni scolastiche da parte di Regioni
ed Enti Locali, nell'ambito delle rispettive competenze, era stato
fissato al 31 dicembre 2008. Inoltre, era stata introdotta una
procedura di concertazione sempre con Regioni ed Enti Locali, allo
scopo di conseguire apposita Intesa, da raggiungere in sede di
Conferenza unificata, ma con esclusivo riferimento agli anni
scolastici 2010/2011 e 2011/2012.
E' intervenuto, quindi, il DPR 20 marzo 2009, n. 81 recante
"Norme per riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed
efficace utilizzo delle risorse umane della scuola" che, all'art. 1,
prevede che alla definizione dei criteri e dei parametri per il
dimensionamento della rete scolastica e per la riorganizzazione dei
punti di erogazione del servizio scolastico si provveda con decreto,
previa intesa da raggiungere in sede di Conferenza Unificata.
Tale regolamento, tuttavia, genera non poche difficolta'
interpretative ed attuative, posto che, ai sensi del successivo art.
2, la determinazione e la distribuzione delle dotazioni organiche tra
le Regioni doveva avvenire con decreto, ma sentita la Conferenza
Unificata e, quindi, in assenza dell'intesa alla quale rinviava,
invece, l'art. 1.
Infine, nella medesima logica di normazione statalistica avviata
con il piu' volte ricordato art. 64 del d.-1.112/2008, il DPR n. 22
giugno 2009, n. 119, che ha stabilito i criteri e i parametri per la
determinazione degli organici, all'art. 2, comma 1, ha previsto che
la consistenza numerica complessiva dei posti, definita a livello
nazionale, venga ripartita in dotazioni regionali, tenuto conto anche
dei piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche.
Correlativamente, i commi successivi indicano le modalita' di
concreta distribuzione a livello territoriale, temperando la
statuizione con una disposizione cedevole che limitava l'efficacia
degli anzidetti criteri di ripartizione fino all'adozione, da parte
delle Regioni, delle norme legislative necessarie ai sensi dell'art.
117 della Costituzione.
Nella congerie normativa cui si e' fatto cenno in estrema
sintesi, codesta ecc.ma Corte e' stata chiamata a pronunciarsi
proprio in ordine all'individuazione del corretto riparto di
competenze tra Stato e Regioni, traendo spunto dalla possibile
emanazione di un atto regolamentare di fonte statale disciplinante il
dettaglio della materia.
Con la decisione n. 200 del 2009 ha appunto dichiarato
l'illegittimita' dell'art. 64 del decreto-legge n. 112 del 2008,
nella parte in cui demandava ad un regolamento statale i criteri del
ridimensionamento scolastico.
Conseguentemente si e' verificato quell'impedimento alla
prosecuzione dell'attivita' amministrativa statale che non ha
consentito l'emanazione del regolamento previsto dall'art. 1 del DPR
n. 81/2009 ed attuativo dell'art. 64 del decreto-legge n. 112/2008.
Attualmente, l'art. 50, comma 1, del decreto-legge n. 5 del 2012
si inserisce nella vicenda legislativa di cui si tratta e, laddove
"ri"definisce "un organico dell'autonomia", assegna a tale locuzione
la funzione di indicatore della sussistenza di quei requisiti
essenziali del soggetto giuridico indispensabili per il conseguimento
ed il correlativo riconoscimento di quella differenziazione
amministrativa che trova la propria legittimazione nella capacita'
autosufficiente di funzionamento in una logica complessiva di
gestione ottimale delle risorse.
Appare del tutto evidente come tale impostazione legislativa
diverga sostanzialmente e non sia assimilabile alla diversa funzione
esercitata per la determinazione e distribuzione dell'organico del
personale docente, di cui all'art. 2 del DPR n. 81 del 2009.
La definizione degli "organici dell'autonomia", ad avviso della
difesa regionale, e' infatti riconducibile ad aspetti di
programmazione dei fabbisogni di personale scolastico, assumendo a
parametro di riferimento un arco temporale piu' ampio di quello
annuale, e presenta quel carattere di stabilita' - peraltro
chiaramente espresso alla lettera e) del comma 1 in argomento -
strettamente correlato alla costituzione delle reti territoriali tra
istituzioni scolastiche, per le quali e' indefettibile la previa
intesa in sede di Conferenza unificata.
Ma la disposizione qui impugnata introduce autoritativamente un
sistema di definizione riferito non piu' esclusivamente "alla singola
istituzione scolastica" bensi' alla "rete delle istituzioni",
strutturata in base a criteri e parametri del dimensionamento
scolastico di cui all'articolo 1 del DPR n. 81 del 2009; tali
criteri, tuttavia, non sono stati emanati per l'effetto impeditivo
dispiegato dalla citata sentenza n. 200 del 2009. In altri termini,
lo Stato, nel disciplinare l'organico dell'autonomia, con intervento
normativo assai discutibile quanto a chiarezza espositiva, per un
verso differenzia tra "singola istituzione scolastica" (art. 50,
comma 1, lettera b)) e "rete delle istituzioni"(art. 50, comma 1,
lettera c)) assoggettando la seconda e non la prima ad un'intesa
obbligatoria da raggiungere in Conferenza Unificata; per altro verso,
dispone che alla costituzione degli organici di entrambe (art. 50,
comma 1, lettera e)) si possa procedere, con il medesimo decreto,
solo sentita la Conferenza Stato-Regioni, cosi' interferendo con il
dimensionamento della rete scolastica, e ledendo la potesta'
legislativa della Regione sussistente in detto ambito, seppure
connessa alla potesta' legislativa statale sul personale scolastico,
con simultanea violazione del principio di leale cooperazione di cui
all'art. 120 della Costituzione.
Infatti, nelle more dell'emanazione di una compiuta legislazione
regionale al riguardo, lo Stato non puo' ridefinire gli organici per
un periodo triennale, in assenza di un adeguato coinvolgimento delle
Regioni che si troverebbero, in quanto esautorate delle proprie
competenze, ad esprimere un mero parere, ed accettare un assetto
disciplinatorio con evidenti effetti compromissori e limitativi della
propria potesta' legislativa.
Correlativamente, laddove imposto normativamente, il rinvio al
ricorso necessario allo strumento concertativo non puo' essere eluso,
non riconnettendo al mancato raggiungimento della prescritta intesa
alcuna conseguenza sostanziale, con cio' svuotando l'istituto degli
effetti che gli sono propri.
Sul punto, si richiama quanto affermato da codesta ecc.ma Corte
nelle sentenze n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003, laddove e' stato
sancito il principio che il mancato raggiungimento della prescritta
intesa deve necessariamente costituire ostacolo insuperabile alla
conclusione del procedimento. Nella specie, non pare potersi negare
che il dimensionamento scolastico produca un decisivo impatto sul
sistema regionale delle reti scolastiche, come gia' strutturato in
attuazione dell'esercizio della pluralita' di funzioni conferite dal
D.lgs. 112/1998, nonche' su una serie di funzioni regionali relative
al governo del territorio, per quanto attiene all'edilizia
scolastica, alla formazione professionale ed alla programmazione
dell'offerta formativa.
Infine, si richiama il parere datato 22 febbraio 2012, rilasciato
in sede di Conferenza Unificata e concernente la legge di conversione
del decreto-legge n. 5 del 2012, nella parte in cui evidenzia che "La
norma conferma il contrasto con quanto recita la sentenza della Corte
costituzionale", vale a dire con la sentenza n. 13 del 2004, "che ha
precisato che la funzione di programmazione della rete scolastica sul
territorio", di competenza esclusiva delle Regioni, "non e'
compatibile con il mantenimento nelle mani dello Stato delle
decisioni relative alla distribuzione del personale tra le
istituzioni scolastiche".
Per superare l'attuale incaglio legislativo, che si riverbera sul
corretto esercizio delle funzioni, sarebbe necessario chiarire
l'ambito normativo specifico nel quale si innesta la funzione
amministrativa. Sul punto, poiche' appare indiscutibile la competenza
statale a legiferare in materia di personale scolastico, docente e
non docente, trattandosi, appunto, di personale direttamente ed
immediatamente dipendente dal Ministero competente, anche la funzione
concernente la ripartizione di detto personale deve permanere in capo
allo Stato, ma non puo' negarsi che debba comunque essere assicurato
il pieno coinvolgimento regionale, attraverso lo strumento
dell'intesa, proprio per l'interferenza che tale profilo presenta con
quello della potesta' legislativa regionale.
Seppure l'obiettivo perseguito dallo Stato consiste nel
progressivo dimensionamento della rete scolastica, programmato in una
prospettiva di medio/lungo termine, non possono da questo essere
adottati atti normativi che incidano sulle attribuzioni regionali
sussistenti in ordine a tale profilo, che si esprimono, anche, in
interventi finalizzati alla riduzione del disagio di particolari
utenti, laddove tale particolare aspetto, pure presente nel contesto
del dimensionamento della rete scolastica, appartiene pero'
all'ambito della legislazione esclusiva regionale in materia di
servizi sociali.
Conseguentemente, ad avviso del patrocinio regionale, mentre la
definizione del personale scolastico e la relativa distribuzione tra
le Regioni rientra nelle competenze esclusive statali, il
dimensionamento della rete scolastica, di sicura attribuzione
regionale, ovviamente non puo' e non deve determinarsi in un contesto
avulso dalle dotazioni di personale di cui si e' detto.
Proprio per tali considerazioni, la previsione di un mero parere
in luogo della necessaria intesa viola l'art. 117, IV comma, della
Costituzione, valutato in relazione al disposto del III comma, in
quanto lesiva delle prerogative regionali legislative esistenti in
materia di dimensionamento scolastico e di servizi sociali,
considerato che il mero parere non costituisce un adeguato modello di
concertazione in tale ambito.
Si richiama, sul punto quanto disposto all'art. 8 della legge 5
giugno 2003, n. 131, recante "Disposizioni per l'adeguamento della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3", nella
parte in cui prevede che, nelle materie di competenza concorrente o
residuale, lo Stato non puo' adottare atti di indirizzo e
coordinamento, per cui l'armonizzazione tra legislazioni e' possibile
solo attraverso intese; ma lo strumento dell'intesa riconosce proprio
quella competenza legislativa regionale che nella fattispecie della
norma impugnata, per converso, e' stata disconosciuta.
Art. 53, comma 7, relativamente alla previsione dell'emanazione di un
decreto ministeriale recante le norme tecniche quadro in materia di
edilizia scolastica: violazione del principio di leale collaborazione
di cui all'art. 120 della Costituzione.
L'art. 53, rubricato "Modernizzazione del patrimonio immobiliare
scolastico e riduzione dei consumi e miglioramento dell'efficienza
degli usi finali di energia", al comma 7 prevede l'adozione di un
decreto del Ministro competente, finalizzato a determinare le norme
tecniche-quadro, contenenti gli indici minimi e massimi di
funzionalita' urbanistica, edilizia, anche riferite alle tecnologie
in materia di efficienza e risparmio energetico e produzione da fonti
energetiche rinnovabili, nonche' didattica, indispensabili a
garantire indirizzi progettuali adeguati ed omogenei sul territorio
nazionale.
Anche tale decreto dovrebbe, pero', essere emanato senza il
necessario coinvolgimento delle Regioni, poiche' viene richiesto il
mero parere in Conferenza unificata, e non viene prescritta la
necessaria intesa, in violazione del principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione.
Ad avviso del patrocinio regionale, l'edilizia scolastica e'
riconducibile alla materia del "governo del territorio" al pari
dell'edilizia privata e pubblica e come tale rientra nella competenza
concorrente legislativa di cui all'art. 117, III comma, della
Costituzione.
Per altro verso, se si adottano criteri distintivi per tipologia,
le opere possono essere ascritte alla competenza esclusiva statale o
regionale a seconda della titolarita' delle stesse, ripartita tra
Stato e Regione.
Al riguardo, codesta ecc.ma Corte, nella decisione n. 303 del
2003, ha per la prima volta sancito il principio secondo il quale i
lavori pubblici "non sono inquadrabili in una materia ma si
qualificano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono e pertanto
possono essere ascritti di volta in volta a potesta' legislative
esclusive dello Stato ovvero a potesta' legislative concorrenti".
Ne consegue che la competenza, differenziata in statale o
regionale, non riguarda la "materia" bensi' l'oggetto dei lavori
pubblici, cioe' la tipologia dell'opera pubblica, che puo' afferire a
settori riconducibili a materie sia di competenza esclusiva statale,
sia di competenza concorrente, sia di competenza residuale regionale.
Gli assunti che precedono devono ora essere correttamente
rapportati ed inquadrati nella specifica normativa attualmente ancora
vigente contenuta nella legge 11 gennaio 1996, n. 23.
L'art. 3 di detta legge individua, quali soggetti giuridici
pubblici competenti alla realizzazione degli edifici scolastici, i
Comuni e le Province, secondo un riparto ancorato alla destinazione
dell'edificio costruendo. Al riguardo, la Regione, titolare della
potesta' legislativa di dettaglio e' altresi' tributaria di
specifiche funzioni amministrative, riconducibili all'alveo dell'art.
118 della Costituzione, di natura programmatoria dell'edilizia
scolastica e consistenti nel potere di adottare piani annuali e
triennali, predisposti ed approvati in conformita' alle istanze
provenienti dagli enti territoriali minori.
Orbene, nella scansione procedurale alla quale si e' accennato,
la disposizione impugnata si configura certamente come lesiva del
principio di leale collaborazione, laddove la predisposizione di
norme tecniche, anche in tale settore, interferisce tanto con
attribuzioni regionali, quanto con funzioni amministrative
esercitabili dalle Regioni, atteso che l'esercizio delle funzioni di
cui si tratta e' stato ripartito in vari livelli di governo.
A tale proposito, la disposizione impugnata prevede una
pianificazione di livello nazionale fondata sulle indicazioni fornite
dalle Regioni come contenute ed espresse nella programmazione
regionale. E poiche' la pianificazione nazionale richiede l'intesa
con le Regioni, da raggiungere in sede di Conferenza Unificata, anche
la normativa tecnica dovrebbe essere emanata seguendo la medesima
procedura concertativa e utilizzando l'istituto dell'intesa, atteso
che la regolamentazione tecnica di dettaglio dovrebbe essere attratta
dalla disciplina sostanziale, in quanto ad essa strettamente
correlata.
Si rammenta, al riguardo, che l'art. 5 della legge 11 gennaio
1996, n. 23, tuttora vigente, ha superato il vaglio di codesta ecc.ma
Corte costituzionale, che con la decisione n. 381 del 1996 ne ha
dichiarato l'illegittimita' limitatamente alla parte in cui trovava
applicazione anche per le Province autonome di Trento e Bolzano.
Detta norma, dunque, prevede che le Regioni approvino specifiche
nonne tecniche per la progettazione esecutiva degli interventi,
definendo, in particolare, indici diversificati in ragione della
specificita' dei centri storici e delle aree metropolitane e, per
l'effetto, assegna inequivocabilmente alle Regioni funzioni non
solamente pianificatorie ma anche di legislazione di dettaglio di
natura concretamente "tecnica".
Inoltre, a' termini del citato art. 5, doveva essere emanato un
decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro dei
Lavori pubblici, tenuto conto delle proposte dell'Osservatorio per
l'edilizia scolastica, nel cui seno erano presenti appunto
rappresentanti delle Regioni.
Se la ricostruzione che precede e' condivisibile, ne consegue che
nell'adozione di linee guida tale competenza legislativa non puo'
essere disconosciuta e deve anzi essere correttamente valorizzata
attraverso il ricorso all'istituto concertativo dell'intesa.
La disposizione oggetto del presente giudizio, pur non
dispiegando alcuna efficacia abrogativa dell'art. 5 piu' volte
menzionato, per converso introduce la previsione di un ulteriore
decreto interministeriale, per il quale non e' contemplata la
preventiva disamina delle proposte dell'Osservatorio per l'edilizia
scolastica di cui si e' detto, ma prevede che sia "sentita la
Conferenza Unificata.".
Orbene, la difesa regionale reputa che, paradossalmente, la
partecipazione collaborativa delle Regioni in sede di Osservatorio,
seppure secondo il riparto di competenze previgente all'attuale testo
della Carta fondamentale, fosse piu' garantista, quanto al rispetto
delle prerogative regionali esistenti in materia, dell'attuale
disciplina impugnata, che invece, sebbene sia ora vigente il Titolo V
della Costituzione modificato, pretende di ignorare, eludendole, le
attribuzioni regionali laddove richiede un mero parere espresso in
Conferenza Unificata.
Per queste ragioni, si reputa insufficiente tale parere, che
dovrebbe essere sostituito con la piu' corretta ed adeguata
previsione della necessaria intesa, da raggiungere in sede di
Conferenza Unificata.
Infine, anche qualora si reputasse ammissibile, in tale ambito,
invocare, a fondamento dell'intervento normativo posto in essere,
prevalenti ragioni di sicurezza ed incolumita' pubblica, in ogni caso
non potrebbe non ritenersi violato il principio della leale
collaborazione, di cui all'art. 120 della Costituzione, che postula
appunto il coinvolgimento regionale.
Da ultimo, in riferimento all'esercizio delle funzioni di tipo
amministrativo, si rammenta che gia' con il decreto legislativo n.
112 del 1998 lo Stato si era riservato la predisposizione di norme
tecniche nazionali concernenti le costruzioni in zone sismiche,
subordinando pero' l'esercizio concreto di tale funzione alla
preventiva intesa in sede di Conferenza Unificata.
Non si vede pertanto per quale ragione giuridica l'edilizia
scolastica dovrebbe rappresentare una disciplina con un grado di
intensita' di tutela maggiore, proprio per cio' che concerne la
sicurezza ed incolumita' pubblica, rispetto alla normativa tecnica
nazionale in materia di costruzioni in zone sismiche.
Poiche' l'istituto dell'intesa costituisce una delle possibili
forme di attuazione del principio di leale cooperazione tra lo Stato
e le Regioni, esso si sostanzia in una paritaria codeterminazione del
contenuto dell'atto ad essa soggetto e puo' implicare anche reiterate
trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il
raggiungimento di un accordo. Va da se' che tale forma di
partecipazione, proprio in quanto ispirata a esigenze di leale
cooperazione, non deve condurre a situazioni paralizzanti ne'
tradursi in una lesione del principio di buon andamento della
pubblica amministrazione, sempre possibile ove il procedimento non si
concluda entro termini ragionevoli.
Tuttavia, come chiaramente sancito da codesta ecc.ma Corte nella
sentenza n. 351 del 1991, tale eventualita' patologica nell'utilizzo
dello strumento non puo' in alcun caso giustificare un declassamento
dell'attivita' di codeterminazione connessa all'intesa, a mera
attivita' consultiva non vincolante.
Art. 60, concernente la proroga del programma carta acquisti:
violazione dell'art. 117, IV comma, e dell'art. 120 della
Costituzione, in riferimento al principio di leale collaborazione.
L'art. 60 del decreto-legge n. 5/2012, rubricato "Sperimentazione
finalizzata alla proroga del programma carta acquisti", presenta una
complessita' di contenuti, non agevolmente riassumibili, si ritiene
percio' indispensabile riportare qui di seguito il testo integrale,
come formulato per effetto della conversione operata dalla legge
35/2012.
Si dispone:
"l. Al fine di favorire la diffusione della carta acquisti,
istituita dall'art. 81, comma 32, del decreto-legge 25 giugno 2008,
n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, tra le fasce di popolazione in condizione di maggiore bisogno,
anche al fine di valutarne la possibile generalizzazione come
strumento di contrasto alla poverta' assoluta, e' avviata una
sperimentazione nei comuni con piu' di 250.000 abitanti.
2. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del
presente decreto, con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, adottato di concerto con il Ministro dell'economia
e delle finanze sono stabiliti:
a) i nuovi criteri di identificazione dei beneficiari per
il tramite dei Comuni, con riferimento ai cittadini italiani e di
altri Stati dell'Unione europea ovvero ai cittadini di Stati esteri
in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo
periodo;
b) l'ammontare della disponibilita' sulle singole carte
acquisto, in funzione del nucleo familiare;
c) le modalita' con cui i comuni adottano la carta
acquisti, anche attraverso l'integrazione o evoluzione del Sistema di
gestione delle agevolazioni sulle tariffe energetiche (SGATE), come
strumento all'interno del sistema integrato di interventi e servizi
sociali di cui alla legge 8 novembre 2000, n. 328;
d) le caratteristiche del progetto personalizzato di presa
in carico, volto al reinserimento lavorativo e all'inclusione
sociale, anche attraverso il condizionamento del godimento del
beneficio alla partecipazione al progetto;
e) la decorrenza della sperimentazione, la cui durata non
puo' superare i dodici mesi;
f) i flussi informativi da parte dei Comuni sul cui
territorio e' attivata la sperimentazione, anche con riferimento ai
soggetti individuati come gruppo di controllo ai fini della
valutazione della sperimentazione stessa.
2-bis. I comuni, anche attraverso l'utilizzo della base di
dati SGATE relativa ai soggetti gia' beneficiari del bonus gas e del
bonus elettrico, possono, al fine di incrementare il numero di
soggetti beneficiari della carta acquisti, adottare strumenti di
comunicazione personalizzata in favore della cittadinanza.
3. Per le risorse necessarie alla sperimentazione si
provvede, nel limite massimo di 50 milioni di euro, a valere sul
Fondo di cui all'art. 81, comma 29, del decreto-legge 25 giugno 2008,
n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, che viene corrispondentemente ridotto.
4. I commi 46, 47 e 48 dell'art. 2 del decreto-legge 29
dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26
febbraio 2011, n. 10, sono abrogati".
Si rammenta innanzitutto, per completezza espositiva, che l'art.
81, comma 32, del decreto-legge n. 112 del 2008, cui la disposizione
investita dal presente ricorso fa rinvio, aveva istituito la carta
acquisti, "in considerazione delle straordinarie tensioni cui sono
sottoposti i prezzi dei generi alimentari e il costo delle bollette
energetiche, nonche' il costo per la fornitura di gas da privati, al
fine di soccorrere le fasce deboli di popolazione in stato di
particolare bisogno". Ai sensi di tale disposizione, la carta
acquisti e' finalizzata all'acquisto di tali beni e servizi con onere
a carico dello Stato, a valere su un Fondo speciale destinato al
soddisfacimento delle esigenze, prioritariamente di natura
alimentare, e successivamente anche energetiche e sanitarie, dei
cittadini meno abbienti.
In ordine all'art. 81, con specifico riferimento ai commi 29, 30
e da 32 a 38-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, codesta ecc.ma
Corte si e' gia' pronunciata con la sentenza 10 del 2010, con la
quale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale proposte dalla Regione Piemonte, dalla Regione Emilia
Romagna e dalla Regione Liguria, in relazione agli articoli 117,
quarto e sesto comma, 118, primo e secondo comma, e 119 della
Costituzione, ed al principio di leale collaborazione.
Tuttavia, appare utile richiamare, nei punti essenziali, talune
argomentazioni contenute in tale sentenza che, ad avviso del
patrocinio regionale, potrebbero essere utilmente applicate, seppure
con effetti diametralmente opposti, anche alla disposizione qui
impugnata, atteso che quest'ultima fa espresso richiamo alla norma
oggetto di giudicato costituzionale.
Codesta ecc.ma Corte ha distinto l'intervento finanziario di cui
si tratta dalle altre ipotesi in cui il legislatore statale ha
previsto finanziamenti vincolati in materie di competenza regionale,
ed ha riconosciuto che le norme istitutive del Fondo e della Carta
acquisti incidono nell'ambito materiale dell'assistenza e dei servizi
sociali, oggetto di competenza residuale delle regioni.
E' stato altresi' osservato, al riguardo, che tali norme non si
limitano alla mera enunciazione del proposito di destinare risorse
per una finalita' genericamente indicata, ma prevedono una
provvidenza specifica la cui attuazione e' disciplinata nel
dettaglio.
A rigore, conducendo a logica conseguenza tali argomentazioni,
assodato che non e' consentito allo Stato prevedere finanziamenti a
destinazione vincolata in ambiti di competenza regionale residuale
ovvero concorrente, le norme in allora impugnate avrebbero dovuto
essere dichiarate costituzionalmente illegittime.
Per contro, la pronuncia emanata non contiene alcuna
dichiarazione di incostituzionalita' delle norme censurate, in quanto
nell'analisi effettuata, posta a fondamento della decisione, sono
stati ritenuti determinanti ai fini della decisione gli elementi dati
dalla finalita' e dal contesto in cui dette norme operano. La
valutazione di tali elementi, secondo la sentenza de qua, in sostanza
differenzia l'intervento oggetto di sindacato costituzionale da tutti
gli altri che, precedentemente, erano stati sottoposti ad analogo
vaglio.
Per quanto concerne il profilo attinente alla "finalita'", e'
stato cosi' riconosciuto che le disposizioni che disciplinano la
carta acquisti assicurano un diritto sociale, qual e' "il diritto a
conseguire le prestazioni imprescindibili per alleviare situazioni di
estremo bisogno - in particolare, alimentare".
Per quanto attiene all'altro profilo dato dal "contesto",
l'intervento dello Stato e' stato ritenuto ammissibile in quanto
avente carattere di "straordinarieta', eccezionalita' e urgenza" in
relazione alla "situazione di crisi internazionale economica e
finanziaria che ha investito negli anni 2008 e 2009 anche il nostro
Paese".
Quindi, nel percorso argomentativo seguito dalla Corte, finalita'
e contesto caratterizzano in maniera cosi' stringente l'intervento
normativo statale da rendere inevitabile la collocazione della
disciplina del Fondo speciale e della carta acquisti nella materia
"determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale" di competenza statale esclusiva ai sensi
dell'art. 117, secondo comma lettera m).
Se sono state correttamente intese le ragioni che sorreggono la
pronuncia di codesta ecc.ma Corte in riferimento all'art. 81 del
d.-l. 112 del 2008, appare allora di tutta evidenza come le medesime
ragioni non possano valere anche con riferimento all'art. 60 del
d.-l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito dalla legge 4 aprile 2012, n.
35, oggetto del presente ricorso; con la conseguenza della sua
illegittimita' per violazione dell'art. 117, IV comma, della
Costituzione, in materia di servizi sociali, e del principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione medesima,
nonche' per violazione derivata, emergente per effetto della
comparazione sistematica proposta, degli articoli 118 e 119 della
Costituzione.
Infatti, mentre, apparentemente, l'art. 60 proroga il programma
carta acquisti avviato con il d.l. 112 del 2008, procedendo
attraverso un meccanismo sperimentale circoscritto ai comuni con
popolazione superiore ai 250.000 abitanti, in realta' la norma si
aggancia alla disposizione che aveva istituito sia il Fondo che la
carta acquisti, con un intervallo temporale di ben quattro anni,
significativo soprattutto se valutato in riferimento a quelle ragioni
emergenziali che ne avevano legittimato l'assetto disciplinatorio.
Inoltre, tale sperimentazione dovrebbe essere finalizzata a
diffondere la carta acquisti "tra le fasce di popolazione in
condizione di maggior bisogno, anche al fine di valutarne la
possibile generalizzazione come strumento di contrasto alla poverta'
assoluta" e deve avere una durata che "non puo' superare i dodici
mesi".
Dalla citata sentenza n. 10 del 2010, come si e' gia' detto, si
evince con sufficiente sicurezza che la carta acquisti e' certamente
una prestazione sociale, destinata a persone in stato di bisogno, per
la quale lo Stato non si e' limitato a fissare il livello strutturale
e qualitativo ma ne ha disciplinato tutti gli aspetti di dettaglio,
benche', relativamente alla materia dei servizi sociali, sussista
un'indubitabile competenza legislativa regionale, a termini dell'art.
117, IV comma, della Costituzione.
Infatti, e questo e' il punto nodale, la previsione e la diretta
erogazione di una determinata provvidenza da parte dello Stato e'
stata da codesta ecc.ma Corte ritenuta ammissibile solo "quando cio'
sia reso imprescindibile, come nella specie, da peculiari circostanze
e situazioni, quale una fase di congiuntura economica eccezionalmente
negativa".
Conseguentemente, la presenza di tali "peculiari situazioni"
sembra costituire la condizione di legittimita' costituzionale di un
intervento diretto da parte dello Stato che investa una materia, come
nel caso di specie, di competenza regionale.
Pertanto, se e' sulla situazione eccezionale di crisi,
riconosciuta da codesta ecc.ma Corte, che si fonda la legittimita'
dell'art. 81 del d.-l. 112/2008, non risulta che la medesima
situazione di eccezionalita' possa giustificare l'emanazione della
norma oggetto del presente ricorso. Infatti, stante l'innegabile
lasso di tempo intercorso, seppure in un contesto generale di non
risolta crisi internazionale, tra la disposizione di cui all'art. 81,
comma 32, del d.-l. n. 112 del 2008 citato, istitutiva del Fondo e
della Carta acquisti, e quella di cui all'art. 60 del decreto-legge
n. 5/2012, non pare ammissibile la reiterazione di una misura che
aveva trovato la propria legittimazione nell'eccezionalita'
temporalmente circoscritta.
Dal tenore letterale della disposizione risulta poi,
inequivocabilmente, che la pretesa sperimentazione, destinata a
cessare decorsi dodici mesi, si pone in realta' in termini
anticipatori di quella che e' dichiaratamente destinata a divenire
una misura strutturale, dovendosene valutare "la possibile
generalizzazione come strumento di contrasto alla poverta' assoluta".
Pertanto, per come e' congegnata, tale norma si pone gia', sin d'ora,
come lesiva delle competenze residuali regionali in materia di
servizi sociali e di assistenza, ai sensi degli articoli 117, IV
comma, della Costituzione, oltre che dell'art. 118 della Costituzione
medesima.
Ove dunque sia accertata l'insussistenza attuale dei presupposti
che avevano storicamente legittimato il diretto intervento statale in
un ambito di competenza residuale regionale, tale competenza,
temporaneamente compressa dalle ragioni eccezionali di cui si e'
detto, deve riespandersi pienamente.
Si rinvia sul punto alla copiosa giurisprudenza di codesta ecc.ma
Corte concernente i finanziamenti statali a destinazione vincolata.
Si richiamano, al riguardo, le numerose pronunce di codesto ecc.mo
Collegio nelle quali e' stato ribadito il principio secondo cui,
nell'ambito della Carta fondamentale novellata, non e' di norma
consentito allo Stato prevedere finanziamenti a destinazione
vincolata in ambiti di competenza regionale residuale o concorrente,
in quanto cio' si risolverebbe in uno strumento indiretto, ma
pervasivo, di ingerenza nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e
dei Comuni.
In via meramente incidentale rispetto alle eccezioni di
illegittimita' sollevate con riferimento ai parametri proposti, per
mera completezza espositiva, si rinvia alle sentenze n. 370 del 2003
e n. 50 del 2008, con le quali e' stato affermato che il nuovo art.
119 della Costituzione, pur nella sua perdurante mancata attuazione,
pone precisi limiti al legislatore statale, ammettendo per il
finanziamento delle normali funzioni regionali l'erogazione di
risorse senza vincoli specifici di destinazione.
Infine, il comma 2 dell'art. 60 viola palesemente il principio di
leale collaborazione, nella parte in cui non prevede il
coinvolgimento delle regioni nell'emanazione del decreto del Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi di concerto con il
Ministro dell'Economia e delle Finanze. Anche a tale proposito si
rinvia nuovamente alla sentenza 10 del 2010, nella parte in cui,
ponendo a fondamento dell'intervento - significativamente realizzato
con decreto-legge e in corso d'anno - le straordinarie tensioni cui
sono sottoposti i prezzi dei generi alimentari e il costo delle
bollette energetiche e della fornitura di gas da privati, puo'
legittimamente indurre a ritenere che, al di fuori degli interventi
straordinariamente consentiti per circostanze eccezionali,
l'attivita' istituzionale concertativa possa e debba essere
correttamente ripresa.
In effetti, codesta ecc.ma Corte ha affermato come, una volta
cessata la situazione congiunturale che ha imposto una misura di
politica sociale estesa alla diretta erogazione della provvidenza,
non si possa prescindere dagli strumenti di coinvolgimento delle
Regioni e delle Province autonome, "avendo cura cosi' di garantire
anche la piena attuazione del principio di leale collaborazione,
nell'osservanza del riparto delle competenze definito dalla
Costituzione".
In conclusione, accertato che l'articolo impugnato e' stato
emanato in assenza di quei presupposti di straordinarieta' ed
eccezionalita' che avevano legittimato l'emanazione dell'art. 81 del
d.-l. 112 del 2008, istitutivo del Fondo e della carta acquisti, la
disposizione, in quanto incidente nella materia dei servizi sociali
di competenza residuale regionale, viola l'art. 117, IV comma, della
Costituzione, nonche' il principio di leale collaborazione di cui
all'art. 120 della Costituzione.
Art. 61, comma 3, relativamente alla previsione di una intesa
superabile dal Governo: violazione del principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione e, quale norma
interposta, dell'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.
L'art. 61, comma 3, del decreto-legge n. 5/2012 presenta una
formulazione di cosi' dubbia chiarezza da imporre il ricorso alla
Consulta per ottenere quanto meno una pronuncia interpretativa della
disposizione nella parte in cui, eccettuati gli ambiti di
attribuzione esclusiva regionale, rende superabili le intese tra
Stato e Regioni, escludendo queste ultime dal processo normativa, con
modalita' del tutto incompatibili con quanto sancito all'art. 120
della Carta fondamentale, nonche' con quanto previsto dall'art. 8
della legge 5 giugno 2003, n. 131.
Si fa riferimento, innanzitutto, alle numerose pronunce di
codesta ecc.ma Corte con le quali e' stata ripetutamente ammessa la
possibilita', per il legislatore statale, di determinare il
coinvolgimento, nei procedimenti di propria competenza, dei vari
soggetti istituzionali, alla quale fanno da contrappunto le
statuizioni che, con pari costanza di orientamento, hanno ravvisato
la lesione delle attribuzioni regionali qualora si verifichi
l'imposizione, nei procedimenti che si svolgono in settori di loro
spettanza, di moduli procedurali che condizionino in radice
l'esercizio delle attribuzioni loro costituzionalmente riconosciute,
tanto piu' se dalla mancata intesa discenda l'esercizio di un potere
sostitutivo dell'autorita' statale. (ex plurimis, cfr. le sentenze n.
121 del 2010, n. 24 del 2007, nn. 383 e 339 del 2005).
Nella specie, la norma censurata incide radicalmente nella
competenza regionale concorrente proprio la' dove attribuisce al
Consiglio dei ministri un potere sostitutivo, nel caso di mancato
raggiungimento delle necessarie intese con le Regioni.
Appare utile, al riguardo, richiamare in particolare la sentenza
di codesta ecc.ma Corte n. 33 del 2011, con la quale e' stata esclusa
"la legittimita' di una disciplina che ai fini del perfezionamento
dell'intesa contenga la «drastica previsione» della decisivita' della
volonta' di una sola parte, affermando, al contrario, la necessita'
che il contenuto dell'atto sia frutto di una codecisione paritaria e
indicando, altresi', la necessita' di prevedere - in caso di dissenso
- idonee procedure per consentire lo svolgimento di reiterate
trattative volte a superare le divergenze".
Ma v'e' di piu'. Per altro verso, il comma impugnato,
introducendo una disposizione dai connotati generici nei presupposti
ed oggettivamente indifferenti al riparto di competenze
costituzionalmente garantito, ad avviso della difesa regionale
ripropone uno schema normativo gia' severamente valutato da codesta
ecc.ma Corte con la decisione n. 232 del 2011, che ha dichiarato la
parziale illegittimita' dell'art. 43 del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78, nella parte in cui si riferiva anche ai procedimenti
amministrativi concernenti ambiti materiali di tipo concorrente e
residuale, poiche' si trattava di "attribuzione generalizzata ed
astratta ad un organo statale di un insieme indifferenziato di
funzioni individuate in modo generico e caratterizzate da una
notevole eterogeneita' quanto alla possibile incidenza sulle
specifiche attribuzioni di competenza".
Al riguardo, si condividono i medesimi dubbi di legittimita'
costituzionale espressi nel parere datato 22 febbraio 2012 e
formulato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome in
ordine al disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge
9 febbraio 2012, n. 5. Nel testo di tale parere - che si riporta in
parte per coglierne la poliedricita' argomentativa - si evidenzia
infatti la necessita' di abrogare la norma oggetto di conversione,
proprio perche' "Il comma 3 pare di oscura formulazione: fa
innanzitutto salva la competenza legislativa esclusiva delle Regioni,
facendo cosi' supporre che l'ambito applicativo della disposizione
sia limitato alle materie di competenza legislativa concorrente
Stato-Regioni. Il seguito della disposizione appare assai
problematico e di dubbia costituzionalita', in quanto disciplina il
caso di mancato raggiungimento dell'intesa richiesta con una o piu'
Regioni per l'adozione di un atto amministrativo da parte dello
Stato; si prevede la deliberazione motivata del Consiglio dei
ministri in una serie di ipotesi ("gravi esigenze di tutela della
sicurezza, della salute, dell'ambiente o dei beni culturali ovvero
per evitare un grave danno all'"erario") anche senza l'assenso delle
Regioni interessate e non si capisce come cio' possa avvenire, come
pure previsto dall'inciso successivo "nel rispetto del principio di
leale collaborazione", nei sessanta giorni successivi alla scadenza
del termine per la sua adozione da parte dell'organo competente. Pare
dunque che per gravi motivi il Governo possa superare la prescritta
intesa attraverso una deliberazione motivata;".
Oscuro anche l'ultimo periodo della disposizione ove si prevede
che "qualora nel medesimo termine e' comunque raggiunta l'intesa", il
Consiglio dei Ministri possa deliberare l'atto motivando con
esclusivo riguardo alla permanenza dell'interesse pubblico.".
Si consideri, sul punto, che il ricorso all'istituto dell'intesa
con la Regione interessata e' necessario ogni qualvolta sussista un
intreccio delle diverse competenze tra Stato e Regione e pertanto si
impone la concertazione, in ossequio al principio di leale
collaborazione.
Conseguentemente, la facolta' che la norma riconosce al Governo
di superare la prescritta intesa per ragioni che non paiono
riconducibili all'art. 120 della Costituzione, vanifica radicalmente
lo spessore delle attribuzioni regionali, negandone le potesta'
costituzionalmente garantite, atteso che comunque lo Stato avrebbe la
possibilita' di deliberare sul punto, ledendo ex se anche il
principio della leale collaborazione.
La corretta dimensione della lesione cagionata dall'intervento
della disposizione impugnata si percepisce ancor meglio attraverso
un'attenta lettura sistematica dell'art. 8 della legge n. 131 del
2003.
Detto articolo, proprio in attuazione dell'art. 120 della
Costituzione, al comma 6 prevede che "Il Governo puo' promuovere la
stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza
unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive
legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il
conseguimento di obiettivi Comuni; in tale caso e' esclusa
l'applicazione dei commi 3 e 4 dell'art. 3 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281.".
In dettaglio, il comma 3 dell'art. 3 del decreto legislativo n.
281 del 1997 stabilisce che il Consiglio dei ministri possa
provvedere unilateralmente, con deliberazione motivata, quando
l'intesa non sia raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta
della Conferenza Stato-Regioni in cui l'oggetto e' posto all'ordine
del giorno; mentre il comma 4 del medesimo art. 3 consente al
Consiglio dei Ministri di provvedere senza la preventiva intesa, in
caso di motivata urgenza, purche' i provvedimenti gia' adottati in
via esclusiva dallo Stato siano sottoposti all'esame della Conferenza
Stato-Regioni nei successivi quindici giorni. La norma specifica,
altresi', che il Consiglio dei Ministri e' tenuto ad esaminare le
osservazioni della Conferenza ai fini di eventuali deliberazioni
successive.
Appare di tutta evidenza la differente portata del rapporto
collaborativo istituzionale, soprattutto per quanto attiene
all'intensita' del vincolo procedurale che stabilisce nei due ambiti
normativi e che si e' considerevolmente accresciuto a seguito della
nota modifica del Titolo V della Costituzione. Infatti, mentre
l'intesa raggiunta nell'alveo del d.lgs. n. 281 del 1997 e'
superabile dal Governo per quelle preminenti esigenze di interesse
nazionale gia' menzionate, l'intesa raggiunta in applicazione
dell'art. 8, comma 6, della legge n. 131 del 2003 rispecchia il
corretto modello della necessaria concertazione, che proprio in
attuazione dell'art. 120 della Costituzione esclude espressamente
ogni potere di decisione unilaterale da parte dello Stato,
incompatibile con l'attuale assetto di competenze legislative ed
amministrative costituzionalmente garantite.
La difesa regionale e' consapevole dell'orientamento espresso da
codesta ecc.ma Corte in una pluralita' di decisioni, tra le quali la
sentenza n. 397 del 2006, ove ha chiarito che l'art. 120, II comma,
della Costituzione non puo' essere interpretato in termini di
completezza e tassativita' delle possibili forme di esercizio di
poteri sostitutivi, concentrandoli tutti in capo allo Stato.
Tuttavia, come asserito da codesta ecc.ma Corte nella pronuncia n. 43
del 2004, il principio di leale collaborazione deve trovare puntuale
applicazione nelle disposizioni legislative che prevedono poteri
sostitutivi, secondo i criteri e le modalita' procedurali delineate
dal giudice delle leggi, ed e' appunto la lesione di detti criteri e
modalita' procedurali che originano le censure di illegittimita'
costituzionale sollevate in riferimento alla norma impugnata.
Oltretutto, non si riscontra alcuna corrispondenza tra le gravi
esigenze sommariamente indicate dal legislatore e la previsione
tassativa delle ipotesi di cui all'art. 120 della Costituzione.
Infatti, se la tutela della sicurezza e della salute puo' ricondursi
al "pericolo grave per l'incolumita' pubblica e la sicurezza
pubblica", non altrettanto puo' sostenersi in relazione alla tutela
dell'ambiente o dei beni culturali, che non sembrano ascrivibili ad
alcun ambito del precetto costituzionale di cui si tratta, cosi' come
il danno grave all'Erario appare difficilmente riconducibile alla
tutela "dell'unita' economica.".
La partecipazione regionale al procedimento di determinazione dei
criteri che vincolano l'intesa e' percio' costituzionalmente
indefettibile e deve essere effettivamente resa, poiche' il
provvedimento conclusivo deve tener conto dei risultati di tale
partecipazione. Laddove tale principio risulti violato, come
affermato da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 6 del 2004, non
resta che l'impugnativa come ultimo strumento di tutela avverso
eventuali prassi applicative che non risultassero in concreto
rispettose della doverosa leale collaborazione tra Stato e Regioni ,
poiche' il giudice delle leggi e' tenuto a tutelare il rispetto delle
regole di leale collaborazione che, appunto, nella disposizione
censurata sono state violate, benche' ammantate da apodittiche
dichiarazioni di formale osservanza, in contrasto con la sostanza
lesiva.
In conclusione, dalle sentenze nn. 378 e 339 del 2005, assunte da
codesta ecc.ma Corte in riferimento ad un'unica fattispecie complessa
concernente la nomina del Presidente dell'Autorita' Portuale, si
estrapolano taluni principi, ivi sanciti, che, ad avviso del
patrocinio regionale, seppure in linea astratta incontrovertibili,
risultano irrimediabilmente pregiudicati nel concreto dall'art. 61,
comma 3, oggetto dell'odierna impugnazione.
Si tratta della nozione di intesa quale atto doveroso di
codecisione tra Stato e Regione, non assimilabile ad un mero parere
non vincolante della Regione. Inoltre, laddove sussiste il potere di
codeterminazione tanto dello Stato quanto della Regione, le
rispettive competenze sono poste sullo stesso livello. Infine,
1"intesa tra Stato e Regione non rappresenta solo l'esito di un
modello procedimentale, ma deve essere perseguita in tutte le fasi
della procedura in modo serio e continuativo, "attraverso reiterate
trattative", allo scopo di pervenire ad una soluzione positiva della
vicenda.
Orbene, l'evidente astrattezza e generalita' del comma 3
dell'art. 61 potrebbe generare effetti applicativi scardinanti
l'intero assetto istituzionale tra Stato e Regioni in ogni settore
normativo, eludendo tutto il complesso giurisprudenziale di
legittimita' intervenuto al riguardo. Peraltro, quale sistema
alternativo teso a superare l'eventuale incaglio nel raggiungimento
dell'intesa a tutela dell'incomprimibile salvaguardia di interessi
pubblici prevalenti, sarebbe stato utile l'inserimento, nel disposto,
di una clausola di cedevolezza nel caso di raggiungimento della
prescritta intesa, atteso che le trattative devono essere reiterate
anche a seguito della decisione unilaterale statale.
Si chiede, conseguentemente, a codesta ecc.ma Corte una pronuncia
interpretativa della disposizione impugnata, in ossequio al principio
di leale collaborazione consacrato nell'art. 120 della Costituzione,
ovvero una pronuncia additiva del disposto normativo, nella parte in
cui la delibera motivata del Consiglio dei Ministri non prevede la
necessaria clausola di cedevolezza a fronte dell'intervenuta intesa.