Ricorso n. 09 del 16 gennaio 2015 (Provincia autonoma di Trento)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 16 gennaio 2015 (della Provincia autonoma di Trento).
(GU n. 8 del 2015-02-25)
Ricorso della Provincia autonoma di Trento (cod. fisc.
…), in persona del Presidente della Giunta provinciale pro
tempore dott. Ugo Rossi, previa deliberazione della Giunta
provinciale 9 dicembre 2014, n. 2196 (doc. 1) e delibera di ratifica
del Consiglio provinciale 20 dicembre 2014, n. 20 (doc. 2),
rappresentata e difesa, come da procura speciale n. rep. 28086 del 16
dicembre 2014 (doc. 3), rogata dal dott. Tommaso Sussarellu,
Ufficiale rogante della Provincia, dall'avv. prof. Giandomenico
Falcon (cod. fisc. …) di Padova, dall'avv. Nicolo'
Pedrazzoli (cod. fisc. …) dell'Avvocatura della
Provincia di Trento, nonche' dall'avv. Luigi Manzi (cod. fisc.
…) di Roma, con domicilio eletto presso quest'ultimo
in via Confalonieri, n.5, Roma,
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto-legge 12
settembre 2014, n. 133, recante «Misure urgenti per l'apertura dei
cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione
del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto
idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive»,
convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164,
pubblicata nel Suppl. ord. n. 85 alla GU. n. 262 dell'11 novembre
2014, con riferimento alle seguenti disposizioni:
articolo 7, comma 1, lettera b), n. 2), che inserisce il
comma 1-bis nell'articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del
2006;
articolo 17-bis, che inserisce il comma 1-sexies
nell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno
2001, n. 380, se ed in quanto riferibile anche alle Province autonome
ed ai comuni del rispettivo territorio;
articolo 31, in particolare nella parte in cui non prevede un
accordo ai sensi della lettera c) del comma 2 dell'articolo 9 del
decreto legislativo n. 281 del 1997 e nella parte in cui si riferisce
espressamente alle Province autonome,
per violazione:
dell'articolo 8, n. 1), n. 5), n. 6), n. 17), n. 19), n. 20),
n. 24); dell'articolo 9, n. 9) e n. 10); dell'articolo 14;
dell'articolo 16; dell'articolo 68; del Titolo VI e, in particolare,
degli articoli 80 e 81 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto
speciale), nonche' delle correlative norme di attuazione;
del decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1973,
n. 115;
del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n.
381;
del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n.
278;
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, in particolare
dell'art. 2;
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268;
dell'art. 117 della Costituzione, in combinato disposto con
l'art. 10 legge cost. 3/2001;
del principio di leale collaborazione,
nei modi e per i profili di seguito illustrati.
Fatto
Con la legge n. 164/2014 e' stato convertito il d.l. 133/2014,
c.d. «sblocca-Italia». Il decreto e' diviso in dieci capi, ognuno dei
quali reca «misure» in diverse materie. Di tale ampio complesso
normativo vengono qui in considerazione talune disposizioni, che
riguardano materie che sotto diversi profili rientrano nella
competenza legislativa ed amministrativa della ricorrente Provincia
autonoma di Trento.
Per vero, l'art. 43-bis dello stesso decreto-legge stabilisce che
«Le disposizioni del presente decreto sono applicabili nelle regioni
a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano
compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e con le relative
norme di attuazione». Con cio' esso pone una generale clausola di
salvaguardia che in linea di principio dovrebbe risolvere ogni
questione, facendo (come piu' volte riconosciuto dalla giurisprudenza
di codesta ecc.ma Corte costituzionale) della compatibilita' con lo
statuto di autonomia il punto di discrimine tra applicazione e non
applicazione delle nuove disposizioni alle autonomie speciali, ed in
particolare alla ricorrente Provincia autonoma di Trento.
Tuttavia, due delle disposizioni qui impugnate - l'art. 7 e
l'art. 31 - si riferiscono espressamente alla Provincia di Trento,
superando cosi' la clausola di salvaguardia con la propria
formulazione testuale; mentre anche l'art. 17-bis, che pure non
contiene un diretto riferimento alla ricorrente Provincia, per la
propria formulazione e per il riferimento espresso allo «intero
territorio nazionale» pone dei dubbi, che possono essere risolti solo
mediante la sottoposizione della disposizione al giudizio di codesta
ecc.ma Corte costituzionale.
Converra' in primo luogo esaminare il contenuto delle
disposizioni qui impugnate.
Il capo III reca Misure urgenti in materia ambientale e per la
mitigazione del dissesto idrogeologico e l'art. 7, inserito in questo
capo, contiene Norme in materia di gestione di risorse idriche,
alcune delle quali modificano l'art. 147 d.lgs. 152/2006, concernente
la disciplina del servizio idrico integrato (la quale, come
riconosciuto dallo stesso art. 176, comma 2, d.lgs. 152/2006, e come
piu' volte sancito anche da codesta ecc.ma Corte, non trova
applicazione nella Provincia di Trento, dotata di un proprio autonomo
sistema di gestione delle acque).
L'art. 7, comma 1, lett. b), n. 1 introduce le seguenti norme
nell'art. 147, comma 1, d.lgs. 152/2006: «Le regioni che non hanno
individuato gli enti di governo dell'ambito provvedono, con delibera,
entro il termine perentorio del 31 dicembre 2014. Decorso inutilmente
tale termine si applica l'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n.
131. Gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale
partecipano obbligatoriamente all'ente di governo dell'ambito,
individuato dalla competente regione per ciascun ambito territoriale
ottimale, al quale e' trasferito l'esercizio delle competenze ad essi
spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa
la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all'articolo
143, comma 1».
L'art. 7, comma 1, lett. b), n. 2 aggiunge il seguente comma
1-bis nell'art. 147, comma 1, d.lgs. 152/2006: «1-bis. Qualora gli
enti locali non aderiscano agli enti di governo dell'ambito
individuati ai sensi del comma 1 entro il termine fissato dalle
regioni e dalle province autonome e, comunque, non oltre sessanta
giorni dalla delibera di individuazione, il Presidente della regione
esercita, previa diffida all'ente locale ad adempiere entro ulteriori
trenta giorni, i poteri sostitutivi, ponendo le relative spese a
carico dell'ente inadempiente. Si applica quanto previsto dagli
ultimi due periodi dell'articolo 172, comma 4».
Come si puo' vedere, tale disposizione fa espresso riferimento
alle Province autonome. Peraltro, tale richiamo non solo non e'
coerente con la generale clausola di salvaguardia di cui all'art.
43-bis, ma e' poi specificamente contraddetto dal comma 9-bis dello
stesso art. 7, secondo il quale "Le disposizioni di cui al presente
articolo si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province
autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto dei loro statuti e delle
relative norme di attuazione".
E' dunque possibile che la menzione delle province autonome
nell'art. 7, comma 1, lett. b), n. 2, sia il frutto di un mero
errore: tuttavia la questione non puo' essere risolta al di fuori del
giudizio da parte di codesta Corte costituzionale. Di qui la presente
impugnazione.
Il capo V reca Misure per il rilancio dell'edilizia e all'interno
di esso e' compreso l'art. 17-bis, intitolato Regolamento unico
edilizio. Esso inserisce il seguente comma 1-sexies nell'articolo 4
del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia, d.P.R. 380/2001:
«1-sexies. Il Governo, le regioni e le autonomie locali, in
attuazione del principio di leale collaborazione, concludono in sede
di Conferenza unificata accordi ai sensi dell'articolo 9 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, o intese ai sensi dell'articolo 8
della legge 5 giugno 2003, n. 131, per l'adozione di uno schema di
regolamento edilizio-tipo, al fine di semplificare e uniformare le
norme e gli adempimenti. Ai sensi dell'articolo 117, secondo comma,
lettere e) e m), della Costituzione, tali accordi costituiscono
livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della
concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale. Il regolamento edilizio-tipo, che
indica i requisiti prestazionali degli edifici, con particolare
riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico, e' adottato dai
comuni nei termini fissati dai suddetti accordi, comunque entro i
termini previsti dall'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e
successive modificazioni».
Tale disposizione non menziona espressamente i comuni del
territorio della Provincia di Trento, ma contiene un riferimento alla
sua applicazione nello "intero territorio nazionale". In questi
termini, la disciplina che essa pone del regolamento edilizio unico
si porrebbe in conflitto con le competenze costituzionali della
Provincia (come si illustrera' nel Diritto): ed il conseguente dubbio
non puo' che essere risolto da codesta ecc.ma Corte costituzionale.
Infine, il capo VII reca Misure urgenti per le imprese. In
particolare, l'art. 31 contiene Misure per la riqualificazione degli
esercizi alberghieri, stabilendo quanto segue:
«1. Al fine di diversificare l'offerta turistica e favorire
gli investimenti volti alla riqualificazione degli esercizi
alberghieri esistenti, con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attivita'
culturali e del turismo di concerto con il Ministro dello sviluppo
economico, da adottare previa intesa tra Governo, Regioni e Province
autonome di Trento e Bolzano, in sede di Conferenza Unificata ai
sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281
sono definite le condizioni di esercizio dei condhotel, intendendosi
tali gli esercizi alberghieri aperti al pubblico, a gestione
unitaria, composti da una o piu' unita' immobiliari ubicate nello
stesso comune o da parti di esse, che forniscono alloggio, servizi
accessori ed eventualmente vitto, in camere destinate alla
ricettivita' e, in forma integrata e complementare, in unita'
abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di
cucina, la cui superficie non puo' superare il quaranta per cento
della superficie complessiva dei compendi immobiliari interessati.
2. Con il decreto di cui al comma 1 sono altresi' stabiliti i
criteri e le modalita' per la rimozione del vincolo di destinazione
alberghiera in caso di interventi edilizi sugli esercizi alberghieri
esistenti e limitatamente alla realizzazione della quota delle unita'
abitative a destinazione residenziale di cui al medesimo comma. In
ogni caso, il vincolo di destinazione puo' essere rimosso, su
richiesta del proprietario, solo previa restituzione di contributi e
agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti ove lo svincolo
avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato.
3. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano
adeguano i propri ordinamenti a quanto disposto dal decreto di cui al
comma 1 entro un anno dalla sua pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale. Restano ferme, in quanto compatibili con quanto disposto
dal presente articolo, le disposizioni di cui al decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 13 settembre 2002, pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 225 del 25 settembre 2002, recante il
recepimento dell'accordo fra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome sui principi per l'armonizzazione, la valorizzazione e lo
sviluppo del sistema turistico".
Come si vede, anche tale disposizione fa espresso riferimento
alle Province autonome (v. il comma 3), vanificando la clausola di
salvaguardia contenuta nell'art. 43-bis d.l. 133/2014 e pregiudicando
le competenze costituzionali della Provincia di Trento.
Le citate disposizioni, ove effettivamente applicabili alla
ricorrente Provincia, risultano dunque lesive delle prerogative
costituzionali della stessa e costituzionalmente illegittime per le
seguenti ragioni di
Diritto
1) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 7, comma 1, lettera
b), n. 2).
Come illustrato nel Fatto, l'art. 7 d.l. 133/2014 modifica le
norme statali relative al Servizio idrico integrato e, in
particolare, l'art. 147, avente ad oggetto l'Organizzazione
territoriale del servizio idrico integrato.
Al comma 9-bis, l'art. 7 d.l. 133/2014 contiene una clausola di
salvaguardia delle competenze delle Regioni speciali: "Le
disposizioni di cui al presente articolo si applicano alle regioni a
statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano nel
rispetto dei loro statuti e delle relative nonne di attuazione". Tale
disposizione ribadisce dunque, per il servizio idrico integrato, la
generale clausola di salvaguardia contenuta nell'art. 43-bis d.l.
133/2014: "Le disposizioni del presente decreto sono applicabili
nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento
e di Bolzano compatibilmente con le nonne dei rispettivi statuti e
con le relative norme di attuazione".
Inoltre, la norma impugnata modifica una disposizione inserita
nella parte terza del d.lgs. 152/2006 e l'art. 176, comma 2, d. lgs.
152/2006 dispone che "le disposizioni di cui alla parte terza del
presente decreto sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e
nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le
norme dei rispettivi statuti". In effetti, in provincia di Trento non
opera il servizio idrico integrato con i suoi diversi ambiti
ottimali, ma un sistema diverso; dalla sent. 412/1994 di codesta
Corte in poi e' sempre stato pacifico che le norme statali relative
al servizio idrico integrato non si applicano in provincia di Trento.
Inoltre, gli altri commi dell'art. 147 d. lgs. 152/2006 non
menzionano le Province autonome.
In questo quadro, sembra difficile ritenere che la disposizione
qui impugnata, che nel regolare il potere sostitutivo delle regioni
in caso di mancata adesione dei comuni agli enti di governo
dell'ambito, fa espresso riferimento alle "province autonome",
esprima una deliberata volonta' del legislatore statale rivolta ad
imporre alla ricorrente Provincia un determinato modello di gestione
del servizio idrico, e sembra invece ragionevole supporre che il
riferimento alle Province autonome contenuto nell'art. 147, comma
1-bis (come introdotto dall'art. 7, comma 1, lettera b), n. 2 d.l.
133/2014), rappresenti un lapsus calami. D'altro canto, l'espresso
riferimento alle Province autonome potrebbe essere ritenuto idoneo a
"superare" le clausole di salvaguardia sopra menzionate, implicando
l'applicabilita' in provincia di Trento dell'intera disciplina
contenuta nell'art. 147 d. lgs. 152/2006.
Qualora l'art. 147, comma 1-bis, fosse inteso in questo secondo
senso, esso sarebbe lesivo delle competenze costituzionali della
Provincia di Trento in materia di servizio idrico.
Infatti, la competenza della Provincia in materia di servizio
idrico e' stata piu' volte riconosciuta dalla Corte costituzionale.
Sin dalla sentenza n. 412/1994 la Corte costituzionale ha dato atto
che in provincia di Trento la gestione delle acque e l'organizzazione
dei servizi idrici si basano su un "complesso quadro normativo che si
e' venuto definendo prima in sede statutaria, poi attraverso le norme
di attuazione" (punto 4 in Diritto), nel quale non opera il servizio
idrico integrato con i suoi diversi ambiti ottimali e i diversi piani
d'ambito, ma un sistema che vede la Provincia esercitare per
acquedotti e fognature un ruolo di governo e coordinamento delle
competenze comunali, per la depurazione un ruolo sia di governo sia
direttamente gestionale.
Corrispondentemente, dalla predetta sentenza in poi e' sempre
stato pacifico che le norme statali relative al servizio idrico
integrato, alle AATO e alla tariffa non si applicano in provincia di
Trento.
Infatti, tale sentenza, nel decidere i ricorsi delle Province
autonome proposti contro alcune disposizioni della legge 36/1994, ha
confermato che spetta alle Province la competenza sia (punto 4) in
relazione all'organizzazione che (punto 5) in relazione alla gestione
del servizio idrico integrato, ed ha sancito l'inapplicabilita' nel
sistema provinciale dell'impianto istituzionale ed organizzativo
stabilito dagli articoli 8 e 9 della legge 36/1994.
La perdurante assoluta specialita' del regime del servizio idrico
assicurata dallo Statuto di autonomia e dalle norme di attuazione
sopra esposte, anche dopo la rifolina del Titolo V della Parte
seconda della Costituzione, e' stata ribadita dalla sentenza
357/2010. In questa pronuncia la Corte ricorda di avere rilevato con
la sentenza n. 412 del 1994, "con riferimento alla disciplina
costituzionale anteriore alla riforma del Titolo V della Parte II
della Costituzione, che la competenza a regolare detto servizio e'
riservata dallo statuto di autonomia alla Provincia autonoma di
Trento", ed argomenta che, "poiche' la suddetta riforma, in forza del
principio ricavabile dall'art. 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3, non restringe la sfera di autonomia gia'
spettante alla Provincia autonoma, deve concludersi che la competenza
legislativa in ordine al servizio idrico integrato nella Provincia di
Trento, riconosciuta alla Provincia dalla precedente normativa
statutaria, non e' stata sostituita dalla competenza esclusiva dello
Stato in materia di tutela della concorrenza e di tutela
dell'ambiente".
D'altronde, il fondamento statutario della competenza provinciale
in materia di servizi pubblici trova ulteriore supporto e conferma
nella sent. 439/2008, nella quale codesta Corte ha giudicato di una
legge della Provincia di Bolzano in materia di servizi pubblici
locali applicando l'art. 8, n. 19, dello Statuto (ed i relativi
limiti), e non l'art. 117, co. 4, Cost.
Infine, e' opportuno ricordare la sent. 137/2014, nella quale la
Corte ha ribadito "l'esistenza di una competenza provinciale in
materia di organizzazione del servizio idrico, nell'esercizio della
quale detta Provincia ha delineato minuziosamente il quadro
organizzatorio del servizio idrico integrato provinciale" (in altro
punto si parla di "competenza, che lo statuto di autonomia riserva
alla Provincia autonoma di' Trento, a regolare integralmente il
servizio idrico"; v. anche le sentt. 335/2008 e 233/2013).
La giurisprudenza costituzionale ora ricordata costituisce - come
essa stessa espressamente ricorda - il riconoscimento, nella
specifica materia del servizio idrico, di un complesso quadro di
competenze statutarie ed attuative, che puo' essere cosi'
sommariamente ricostruito.
La Provincia autonoma di Trento e' dotata di potesta' legislativa
primaria in materia di "ordinamento degli uffici provinciali",
"urbanistica", "viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse
provinciale", "assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione
a mezzo di aziende speciali", "opere idrauliche della terza, quarta e
quinta categoria" ai sensi dell'articolo 8, nn. 1, 5, 17, 19 e 24
dello Statuto speciale. Inoltre, essa e' titolare della potesta'
legislativa concorrente in materia di "utilizzazione delle acque
pubbliche", "igiene e sanita'" e "finanza locale", ai sensi dell'art.
9, nn. 9 e 10, e degli artt. 80 e 81 St.
Nelle medesime materie, alla Provincia spettano le funzioni
amministrative, in virtu' dell'art. 16 dello Statuto.
Inoltre, l'art. 14 St. dispone che "l'utilizzazione delle acque
pubbliche da parte dello Stato e della provincia, nell'ambito della
rispettiva competenza, ha luogo in base a un piano generale stabilito
d'intesa tra i rappresentanti dello Stato e della provincia in seno a
un apposito comitato". Detto piano, reso esecutivo con decreto del
Presidente della Repubblica 15 febbraio 2006, ha valore di piano di
bacino di rilievo nazionale per il relativo territorio provinciale
(articolo 5 d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381) e regola, tra l'altro, il
bilancio idrico, l'utilizzazione delle acque pubbliche, il risparmio
e il riutilizzo della risorsa idrica. In base all'art. 8 d.P.R.
381/1974, il PGUAP "deve programmare l'utilizzazione delle acque per
i diversi usi e contenere le linee fondamentali per una sistematica
regolazione dei corsi d'acqua con particolare riguardo alle esigenze
di difesa del suolo, nel reciproco rispetto delle competenze dello
Stato e della provincia interessata". In base all'art. 10, co. 2, dPR
381/1974, "dalla data di entrata in vigore del piano generale per
l'utilizzazione delle acque pubbliche, di cui al precedente art. 8,
cessa di applicarsi nel territorio della provincia il piano
regolatore generale degli acquedotti".
Il predetto assetto statutario e' integrato e completato dalle
norme di attuazione dello Statuto speciale. Rilevano, in particolare,
il d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115, che trasferisce alle Province
autonome, tra l'altro, tutti i beni del demanio idrico, in relazione
a quanto previsto dall'articolo 68 dello Statuto; il gia' citato
d.P.R. 381/1974, che trasferisce alle Province "le attribuzioni
dell'amministrazione dello Stato in materia di urbanistica, di
edilizia comunque sovvenzionata, di utilizzazione delle acque
pubbliche, di opere idrauliche, di opere di prevenzione e pronto
soccorso per calamita' pubbliche, di espropriazione per pubblica
utilita', di viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse
provinciale" (art. 1), e "tutte le attribuzioni inerenti alla
titolarita'" del demanio idrico, "ed in particolare quelle
concernenti la polizia idraulica e la difesa delle acque
dall'inquinamento" (art. 5); il d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235, in
materia di energia e di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, ed
il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268, in materia di finanza locale.
Il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, detta poi norme
concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi
regionali e provinciali, disponendo l'inapplicabilita', nelle materie
di competenza della Provincia, delle disposizioni legislative
statali, fermo restando l'onere di adeguamento della legislazione
provinciale vigente ai principi costituenti limiti statutari
(articolo 2).
In attuazione di tali disposizioni e norme, la Provincia di
Trento esercita tutte le attribuzioni inerenti alla titolarita' del
demanio idrico e ha adottato disposizioni legislative provinciali
che, nel rispetto dei principi contenuti nella normativa europea e
statale che rappresentano limiti della competenza provinciale,
regolano il servizio idrico.
Per quanto riguarda l'organizzazione e la gestione del servizio
idrico, occorre ricordare che il sistema della Provincia di Trento si
basa su una forte centralizzazione del sistema depurativo (gestito
dalla stessa Provincia) e su un decentramento gestionale degli
acquedotti e del sistema fognario.
La Provincia ha adottato, quindi, un modello organizzativo
"misto", i cui attori sono la Provincia, i Comuni e l'Agenzia
provinciale per la protezione dell'ambiente e che si fonda su forme
di coordinamento interistituzionale. Le regole di tale sistema
risultano dagli artt. 54 ss. del dPGp 26 gennaio 1987, n. 1-41 (Testo
unico delle leggi provinciali in materia di tutela dell'ambiente
dagli inquinamenti): in particolare, l'art. 54 regola il piano
provinciale di risanamento delle acque e attribuisce ai Comuni la
gestione delle fognature, mentre i depuratori rientrano nella
competenza della Provincia.
La gestione dei servizi pubblici e' stata regolata anche dalle
leggi regionali sull'ordinamento dei comuni (v. la 1.r. 1/1993 ed il
t.u. adottato con d.P.Reg. 3/2005) e dalle leggi provinciali 6/2004
(Disposizioni in materia di organizzazione, di personale e di servizi
pubblici: v. gli artt. 10 e 11) e 3/2006 (Norme in materia di governo
dell'autonomia del Trentino).
Tenuto conto di cio', pare chiaro che l'art. 7, comma 1, lett.
b), n. 2 d.l. 133/2014, qualora non possa essere oggetto
dell'interpretazione "adeguatrice" sopra ipotizzata, lede le
competenze statutarie della Provincia di Trento sopra illustrate.
Infatti, una volta riconosciuto che la Provincia di Trento e'
competente a regolare i diversi aspetti del servizio idrico, ne
consegue inevitabilmente l'illegittimita' e lesivita', per violazione
di tale competenza, della disposizione impugnata, nella parte in cui
essa menziona le Province autonome di Trento e di Bolzano,
presupponendo l'applicazione in esse di un sistema territoriale e
organizzativo del servizio che non trova riscontro nella provincia di
Trento.
E' evidente infatti il contrasto con quel "complesso quadro
normativo che si e' venuto definendo prima in sede statutaria, poi
attraverso le norme di attuazione", come definito dalla sentenza n.
412 del 1994, e che comprende certamente l'organizzazione del
servizio idrico: sistema che ha trovato concreta attuazione e
traduzione in una pluridecennale organizzazione e attivita'
amministrativa.
Inoltre, la norma impugnata viola l'art. 2 d.lgs. 266/1992,
perche' si rivolge alle Province pretendendo applicazione diretta ed
imponendo ad esse un'attivita' da svolgere (l'esercizio del potere
sostitutivo): poiche' cio' avviene in una materia di competenza
provinciale (organizzazione del servizio idrico), e' violato l'art. 2
d.lgs. 266/1992, che invece prevede il mero dovere di adeguamento
delle Province alle leggi statali recanti limiti delle competenze
provinciali.
2) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 17-bis
Come visto nel Fatto, l'art. 17-bis inserisce il comma 1-sexies
nell'art. 4 dPR 380/2001. Quest'ultima disposizione prevede i
Regolamenti edilizi comunali. Il comma 1 dispone che "il regolamento
che i comuni adottano ai sensi dell'articolo 2, comma 4, deve
contenere la disciplina delle modalita' costruttive, con particolare
riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche,
igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilita' degli immobili e delle
pertinenze degli stessi".
La norma impugnata stabilisce che, in sede di Conferenza
unificata, venga adottato uno schema di regolamento edilizio-tipo,
"al fine di semplificare e uniformare le norme e gli adempimenti". Si
precisa che "tali accordi costituiscono livello essenziale delle
prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale", e si aggiunge che "il regolamento edilizio-tipo, che
indica i requisiti prestazionali degli edifici, con particolare
riguardo alla sicurezza e al risparmio energetico, e' adottato dai
comuni nei termini fissati dai suddetti accordi, comunque entro i
teuiiini previsti" dall'art. 2 I. 241/1990.
Il comma 1-sexies non menziona specificamente le Province
autonome e, dunque, considerando anche la gia' citata clausola di
salvaguardia di cui all'art. 43-bis d.l. 133/2014, esso potrebbe
essere inteso come non rivolto ai comuni della provincia di Trento.
E' anche da sottolineare che, in base all'art. 2, co. 2, d.P.R.
380/2001, "le regioni a statuto speciale e le province autonome di
Trento e di' Bolzano esercitano la propria potesta' legislativa
esclusiva, nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e
delle relative nonne di attuazione".
D'altro canto, il tenore generale della disposizione (che fa
riferimento al fine di "uniformare le nonne e gli adempimenti" e ai
"diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale") potrebbe indurre a interpretare la
disposizione come destinata a tutti i comuni italiani. Se cosi'
fosse, essa sarebbe lesiva delle competenze costituzionali della
Provincia in materia di urbanistica.
Infatti, l'art. 8, n. 5, e Part. 16 dello Statuto attribuiscono
alle Province potesta' legislativa primaria e potesta' amministrativa
in materia di' "urbanistica e piani regolatori". Questa Provincia
autonoma ha disciplinato compiutamente la materia edilizia con la
legge provinciale 4 marzo 2008, n. 1 (Pianificazione urbanistica e
governo del territorio), ed in particolare ha previsto nell'articolo
36 (Contenuti del regolamento edilizio comunale) che "la Giunta
provinciale, sentito il parere della Commissione Urbanistica
Provinciale e del Consiglio delle autonomie locali, approva uno
schema di regolamento edilizio tipo per la redazione dei regolamenti
edilizi" in ambito provinciale (comma 3; Part. 36, co. 1, indica gli
oggetti dei regolamenti edilizi).
Poiche' la legge cost. 3/2001 attribuisce alle Regioni potesta'
concorrente in materia di "governo del territorio", e' pacifico che
questa Provincia ha conservato, in materia urbanistica, la propria
potesta' primaria prevista dallo Statuto speciale. Come noto, quando
lo Stato ritenga di dover tutelare interessi nazionali in materie di
competenza statutaria delle Province autonome, esso puo' adottare
norme legislative (soggetti al regime di cui all'art. 2 d.lgs.
266/1992) e atti di indirizzo e coordinamento ai sensi dell'art. 3
d.lgs. 266/1992. Di certo, lo Stato non puo' pretendere di
"espropriare" la Provincia della propria potesta' legislativa ed
amministrativa, invocando titoli di competenza esclusiva statale non
applicabili alla Provincia.
Premesso cio' in linea generale, sono ora da illustrare i diversi
profili di illegittimita' della disposizione impugnata. Innanzi
tutto, e' da contestare il riferimento all'articolo 117, comma 2,
lett. e) e m), della Costituzione. In base all'art. 10 1. cost.
3/2001, le norme del Titolo V sono applicabili alle Regioni speciali
solo se piu' favorevoli. Dunque, le norme dell'art. 117, co. 2, sono
applicabili alle Regioni speciali solo qualora siano collegate a
competenze attribuite alle Regioni dai commi 3 o 4, in modo tale da
determinare comunque un effetto "ampliativo" per la Regione speciale.
Poiche' lo Statuto speciale, come visto, conferisce alle Province
potesta' primaria in materia urbanistica, e' chiaro che non esiste
alcun titolo per applicare alle Province norme dell'art. 117, comma
2, Cost.
Le esigenze unitarie tutelate dall'art. 117, co. 2, lett. e) ed
m) possono essere soddisfatte, in materia urbanistica ed in provincia
di Trento, attivando uno dei limiti statutari, cioe' essenzialmente
mediante il limite degli interessi nazionali.
Dunque, l'art. 17-bis e' illegittimo, in primo luogo, perche',
qualora sia inteso come rivolto anche alle Province autonome,
applicherebbe ad esse titoli di competenza statale che, in materia
edilizia, non possono condizionare le competenze provinciali. Oltre a
cio', il riferimento all'art. 117, comma 2, lett. e) ed m), e'
contestabile anche, per cosi dire, nel merito.
In primo luogo, la disposizione e' formulata in modo oscuro, sia
perche' non e' chiaro se e' l'accordo in se' (cioe', la conclusione
dell'accordo) a costituire livello essenziale o se l'accordo
definisce i livelli essenziali delle prestazioni, sia perche' la
"tutela della concorrenza", che nell'art. 117, comma 2, e' una
competenza autonoma, nell'art. 17-bis viene "inglobata" nei livelli
essenziali delle prestazioni ("livello essenziale delle prestazioni,
concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e
sociali").
In secondo luogo, non si vede in che modo il regolamento
edilizio-tipo possa avere a che fare con la tutela della concorrenza,
a meno di non voler ritenere che qualsiasi regolazione di
un'attivita' avente rilievo economico incida sulla tutela della
concorrenza. Ma sia consentito osservare che, al contrario, la
giurisprudenza costituzionale ha riportato la nozione all'interno di
confini precisi, alla garanzia della correttezza dei comportamenti
reciproci tra gli operatori economici e - per quanto riguarda il
rapporto tra poteri pubblici e imprese - alla garanzia della parita'
di trattamento tra imprese concorrenti (cfr. sentt. n. 431 del 2007 e
n. 63 del 2008).
Ne' le prescrizioni del regolamento edilizio comunale, che in
pratica possono estendersi all'intera disciplina urbanistica
dell'abitato, possono essere genericamente fatte coincidere con la
definizione di livelli essenziali di non meglio definite
"prestazioni" che la pubblica amministrazione dovrebbe erogare per
soddisfare i diritti civili e sociali dei privati.
Anche sotto questo profilo, dunque, l'autoqualificazione" operata
dall'art. 17-bis risulta illegittima, in quanto non corrispondente al
reale contenuto della disposizione.
L'art. 17-bis risulta poi illegittimo in quanto da esso emerge la
pretesa di imporre ai comuni il regolamento edilizio-tipo "centrale",
in luogo di quello provinciale (previsto dal gia' citato art. 36 1.p.
1/2008). Cio' risulta chiaramente dall'ultimo periodo della
disposizione ("Il regolamento edilizio-tipo, che indica i requisiti
prestazionali degli edifici, con particolare riguardo alla sicurezza
e al risparmio energetico, e' adottato dai comuni nei termini fissati
dai suddetti accordi, comunque entro i termini previsti" dall'art. 2
1. 241/1990). Dunque; la potesta' legislativa ed amministrativa della
Provincia in materia urbanistica e' indubbiamente lesa, perche' i
comuni situati in territorio trentino sarebbero obbligati (qualora
l'art. 17-bis sia inteso come applicabile in provincia di Trento) a
recepire il regolamento-tipo centrale, invece che attenersi allo
schema approvato dalla Giunta provinciale ai sensi della legge
provinciale.
A questo modo l'autorita' centrale si sostituisce alla Provincia
nell'esercizio di essenziali funzioni amministrative nella materia
urbanistica (art. 8, n. 5, Statuto), in violazione diretta dell'art.
16 dello stesso Statuto, come attuato dal dPR n. 381 del 1974.
Inoltre, cio' determina violazione anche dell'art. 2 d. lgs.
266/1992, in quanto l'ultimo periodo dell'art. 17-bis pretende
immediata applicabilita' in una materia di competenza provinciale e
impone direttamente un'attivita' ai comuni trentini.
Ne' il contenuto dell'atto potrebbe essere giustificato in base
all'art. 3 d.lgs. 266/1992. Infatti, l'art. 17-bis prevede
sostanzialmente un atto di indirizzo e coordinamento che, pero', non
rispetta i requisiti sostanziali e procedurali di cui all'art. 3 d.
lgs. 266/1992: infatti, in base a quest'ultima disposizione, gli atti
di indirizzo "vincolano la regione e le province autonome solo al
conseguimento degli obiettivi o risultati in essi stabiliti", mentre
l'atto previsto dall'art. 17-bis ha un contenuto normativo e non
finalistico (si parla di "schema di regolamento edilizio-tipo, al
fine di semplificare e uniformare le norme e gli adempimenti", e di
"regolamento edilizio-tipo, che indica i requisiti prestazionali
degli edifici"), tanto e' vero che i comuni sono tenuti semplicemente
ad adottarlo. Inoltre, l'art. 17-bis non prevede che venga
specificamente richiesto il parere delle Province autonome, in
contrasto con l'art. 3, co. 3, d. lgs. 266/1992.
Ne' tale obiezione potrebbe essere superata sottolineando che lo
schema di regolamento edilizio-tipo e' adottato con un accordo in
sede di Conferenza unificata. E' vero che l'accordo di cui all'art. 9
d.lgs. 281/1997 e' di tipo "forte (l'art. 9, co. 2, lett. c), non
rinvia all'art. 3 d. lgs. 281/1997) e che anche per le intese di cui
all'art. 8, comma 6, legge 131/2003 "e' esclusa l'applicazione dei
commi 3 e 4 dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997,
n. 281", ma e' chiaro che la volonta' della Provincia di Trento puo'
essere scavalcata nella Conferenza unificata, e quindi che la
Provincia puo' vedersi imporre uno schema di regolamento che non
condivide, in luogo di quello previsto dall'art. 361.p. 1/2008.
Resta confermata, dunque, l'illegittimita' dell'art. 17-bis per i
motivi sopra esposti, nella parte in cui esso intenda applicarsi
anche ai comuni della provincia di Trento.
3) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 31
Come gia' visto, l'art. 31 di. 133/2014, intitolato Misure per la
riqualificazione degli esercizi alberghieri, stabilisce che, "al fine
di diversificare l'offerta turistica e favorire gli investimenti
volti alla riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti, con
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo di
concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da adottare previa
intesa tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano,
in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell'articolo 9 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281 sono definite le condizioni di
esercizio dei condhotel", che vengono di seguito definiti.
Il comma 2 indica ulteriori contenuti del decreto di cui al comma
1 ("i criteri e le modalita' per la rimozione del vincolo di
destinazione alberghiera in caso di interventi edilizi sugli esercizi
alberghieri esistenti e limitatamente alla realizzazione della quota
delle unita' abitative a destinazione residenziale di cui al medesimo
comma") ed il comma 3 dispone che "le Regioni e le Province autonome
di Trento e di Bolzano adeguano i propri ordinamenti a quanto
disposto dal decreto di cui al comma 1 entro un armo dalla sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale".
Si noti che il comma 3 assume un significato diverso per le
Regioni a statuto ordinario e per le autonomie speciali, in
particolare per le Province autonome. Per le Regioni ordinarie,
infatti, tale disposizione vale a concedere un anno di tempo per
l'attuazione del decreto. Per le Province autonome, invece, essa
viene a stabilire in modo diretto l'applicabilita' ad esse di tale
decreto (sia pure nel termine di un anno), a prescindere da un
giudizio di compatibilita' con lo statuto, che sarebbe invece stato
dovuto secondo la generale clausola di salvaguardia contenuta
nell'art. 43-bis d.l. 133/2014.
Ad avviso della ricorrente Provincia, il comma 3 viene cosi' a
sancire l'applicabilita' ad essa del decreto, in contrasto con lo
statuto, pregiudicando dunque le sue competenze costituzionali.
In effetti, la disposizione interviene in un complesso di materie
che appartengono alla competenza legislativa primaria e alla
competenza amministrativa delle Province autonome di Trento e di
Bolzano, quali l"'urbanistica e piani regolatori", la "tutela del
paesaggio" e il "turismo e industria alberghiera", ai sensi dell'art.
8, nn. 5, 6 e 20, e dell'art. 16 dello Statuto; le Province autonome,
inoltre, sono dotate di potesta' legislativa primaria nella materia
del commercio, ai sensi dell'art. 117, co. 4, Cost. e dell'art. 101.
cost. 3/2001 (v. sent. Corte cost. 183/2012).
La ricorrente Provincia di Trento, in particolare, ha esercitato
tali competenze approvando la legge 15 maggio 2002, n. 7, Disciplina
degli esercizi alberghieri ed extra-alberghieri e promozione della
qualita' della ricettivita' turistica, e dettando all'articolo 13-bis
(aggiunto dall'art. 18 della 1.p. 11 marzo 2005, n. 3, e poi
modificato dall'art. 155 della l.p. 4 marzo 2008, n. 1, e dall'art.
16 della l.p. 15 maggio 2013, n. 9) Disposizioni in materia di
realizzazione di villaggi alberghieri e di residenze turistico
alberghiere, come definiti dall'art. 5 l.p. 7/2002; l'art. 13-bis
disciplina anche il vincolo di destinazione alberghiera delle
strutture in questione. L'art. 31 d.l. 133/2014 interviene
indubbiamente nelle materie sopra indicate (prevalentemente nelle
materie "urbanistica e piani regolatori", "commercio" e "turismo e
industria alberghiera").
Esso non si limita a definire i "condhotel", ma prevede un
successivo dPCm, sostanzialmente regolamentare, al fine di
determinarne le "condizioni di esercizio" e di stabilire "i criteri e
le modalita' per la rimozione del vincolo di destinazione
alberghiera"; e al comma 3, come sopra precisato, si prevede il
dovere di adeguamento delle Province al dPCm.
Sennonche', la previsione del dovere di adeguamento ad un atto
statale sublegislativo, sostanzialmente regolamentare, viola l'art.
117, comma 4, Cost., Part. 8, nn. 5 e 20, St., le relative norme di
attuazione (v. il dPR 381/1974, in materia urbanistica, il dPR
686/1973 in materia di pubblici esercizi ed il dPR 278/1974, in
materia di turismo e industria alberghiera) e l'art. 2 d. lgs.
266/1992.
L'art. 2 d. lgs. 266/1992, in particolare, stabilisce chiaramente
che le Province hanno un onere di adeguamento solo agli atti
legislativi statali costituenti un limite statutario. Si noti che
tale vincolo di adeguamento e' in realta' illegittimo anche per le
Regioni a statuto ordinario (dato che l'art. 117, co. 6, Cost.
esclude ogni competenza regolamentare statale nelle materie
regionali): ma per le Province autonome le norme di attuazione dello
statuto delimitano in modo specifico e preciso gli oneri di
adeguamento.
Dunque, nei confronti delle Province autonome il legislatore
statale doveva limitarsi a prevedere l'adeguamento delle Province
alle norme legislative statali concretanti limiti statutari, mentre
ha disposto l'adeguamento dell'ordinamento delle Province "a quanto
disposto dal decreto di cui al comma 1 entro un anno dalla sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale".
Di qui l'evidente illegittimita' costituzionale della
disposizione.
Ne' a tale censura si potrebbe obiettare che il dPCm sara'
adottato previa intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi
dell'art. 9 d. lgs. 281/1997. Non solo, infatti, come gia' osservato
nel punto precedente, la volonta' della Provincia di Trento puo'
essere scavalcata nella Conferenza unificata, e quindi la Provincia
puo' vedersi imporre un atto che non condivide, ma e' evidente che la
stessa Provincia non potrebbe volontariamente limitare per il futuro
l'autonomia che lo statuto assicura alla propria funzione
legislativa.
In via subordinata, e' poi da sottolineare che, l'art. 31, comma
1, si riferisce ad una intesa in base all'art. 9 del d. lgs.
281/1997, e che secondo il comma 2, lett. b), di tale disposizione
"nel caso di mancata intesa o di urgenza si applicano le disposizioni
di cui all'articolo 3, commi 3 e 4", del medesimo decreto, che
prevedono la possibilita' di prescindere dall'intesa.
Ora, qualora l'intesa di cui all'art. 31, co. 1, dovesse essere
considerata - in forza di tale richiamo - "debole", la norma de qua
sarebbe ulteriormente illegittima per violazione delle competenze
provinciali sopra illustrate e del principio di leale collaborazione.
Infatti, poiche' - come gia' detto - la disciplina relativa ai
"condhotel" rientra in materie di competenza regionale, le gia'
illustrate ragioni di illegittimita' del vincolo che la legge pone di
fronte al decreto adottato "previa intesa" varrebbero a maggiore
ragione di fronte ad un vincolo posto senza neppure la garanzia (che
pur non vale a renderlo legittimo, per le ragioni sopra esposte) di
tale previa intesa. Dunque, ove, in denegata ipotesi, il carattere
vincolante del dPCm fosse ritenuto di per se' non illegittimo da
codesta Corte, esso lo sarebbe in ogni caso, per violazione del
principio di leale collaborazione, nel caso in cui dovesse ritenersi
che il difetto di tale previa intesa possa superato.
P.Q.M.
Per le esposte ragioni, la Provincia autonoma di Trento, come
sopra rappresentata e difesa, chiede voglia codesta Corte
costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale del
decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante "Misure urgenti per
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la
digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica,
l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle
attivita' produttive", convertito, con modificazioni, nella legge 11
novembre 2014, n. 164, con riferimento alle seguenti disposizioni:
articolo 7, comma 1, lettera b), n. 2), che inserisce il
comma 1-bis nell'articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del
2006;
articolo 17-bis, che inserisce il comma 1-sexies
nell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno
2001, n. 380, se ed in quanto riferibile anche alle Province autonome
ed ai comuni del rispettivo territorio;
articolo 31,
nelle parti, nei termini e sotto i profili esposti nel presente
ricorso.
Prof. avv. Giandomenico Falcon
Avv. Nicolo' Pedrazzoli
Avv. Luigi Manzi
Padova-Trento-Roma, 7 gennaio 2015