RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 Gennaio 2005 - 19 Gennaio 2005 , n. 9

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 19 gennaio 2005 (del Presidente del Consiglio dei
ministri)

(GU n. 7 del 16-2-2005)

Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, nei confronti
della Regione Campania, in persona del suo Presidente della Giunta,
avverso gli artt. 1, 3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2), 4,
6 (soltanto i commi 1, 2 e 5) ed 8 della legge regionale 18 novembre
2004, n. 10, intitolata «norme sulla sanatoria degli abusi
edilizi....», pubblicata nel Boll. Uff. n. 56 del 18 novembre 2004.

La determinazione di proposizione del presente ricorso e' stata
approvata dal Consiglio dei ministri nella riunione del 23 dicembre
2004 (si depositera' estratto del relativo verbale).
L'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella
legge 24 novembre 2003, n. 326, determina principi fondamentali ai
quali le regioni devono conformarsi: la sentenza 28 giugno 2004,
n. 196 di codesta Corte ha riconosciuto «al legislatore regionale un
ruolo rilevante... di articolazione e specificazione delle
disposizioni dettate dal legislatore statale in tema di condono, sul
versante amministrativo», ed ha affermato che «l'adozione della
legislazione (di articolazione e specificazione) da parte delle
regioni appare non solo opportuna ma doverosa e da esercitare entro
il termine determinato dal legislatore nazionale». La citata
sentenza, dopo avere anche in altri brani affermato che il
legislatore statale puo' stabilire un «termine» purche' «congruo»,
per l'esercizio da parte delle Regioni del potere di produrre norme
di «attuazione» (articolazione e specificazione) in materia di
condono edilizio straordinario aggiunge: «nell'ipotesi-limite che una
Regione... non eserciti il proprio potere legislativo in materia nel
termine massimo prescritto, a prescindere dalla considerazione se
cio' costituisca, nel caso concreto, un'ipotesi di grave violazione
della leale cooperazione che deve caratterizzare i rapporti tra
regioni e Stato, non potra' che trovare applicazione la disciplina»
posta dalla legislazione statale.
Questo insegnamento - ribadito al punto 7 del dispositivo della
menzionata sentenza - e' di grande importanza, perche' stabilisce e
per cosi' dire «codifica» - in applicazione del (pur non
esplicitamente evocato) art. 5 Cost. - un collegamento organico, a
livello di sistema costituzionale, tra disposizioni statali recanti
principi ed attivita' legislative delle Regioni che quei principi
sono chiamate a positivamente attuare.
L'insegnamento e' articolabile in tre enunciati:
I) nelle materie di competenza concorrente il legislatore
regionale e' (non solo facultato ma) costituzionalmente obbligato a
cooperare lealmente e sollecitamente con il Parlamento nazionale
mediante la produzione delle norme «di dettaglio» di competenza
regionale occorrenti per l'attuazione o, se si preferisce, il
recepimento e l'integrazione dei principi da esso (Parlamento)
determinati, e, piu' generale, mediante «l'adeguamento» della
legislazione regionale detti principi (cfr. art. 2 del d.lgs. 16
marzo 1992, n 266);
II) il legislatore statale puo' rafforzare l'anzidetto
obbligo costituzionale di adeguamento, stabilendone i «tempi» purche'
«congrui», mediante la fissazione di termini non meramente
ordinatori;
III) il legislatore statale puo' produrre norme anche «di
dettaglio» che divengono «cedevoli» solo nel caso la regione
ottemperi tempestivamente all'obbligo costituzionale anzidetto, e che
rimangono invece cogenti nel caso opposto; sicche' l'inadempimento al
predetto obbligo costituzionale non rimane privo di conseguenze.
L'importanza di questo insegnamento non e' circoscritta alla
particolare vicenda del condono edilizio: la «accentuata integrazione
tra il legislatore statale ed i legislatori regionali» deve ritenersi
una costante soprattutto nelle materie a competenza concorrente, anzi
costituisce proprio l'intrinseca giustificazione razionale del
carattere concorrente di una competenza legislativa, e
l'indispensabile collante per la funzionalita' e per la vita stessa
di una Repubblica nella quale le autonomie, pur garantire, devono
sottostare al canone fondamentale della unita' ed indivisibilita'.
Con l'effettivita' di questo canone e' palesemente incompatibile
la separatezza cagionata da negligente inerzia e/o da silenzioso
rifiuto della leale cooperazione; disfunzioni che non di rado hanno
deteriorato il tessuto normativo complessivo; tessuto che non puo'
tollerare - in un assetto basato in linea di massima sul riparto
delle competenze legislative (e non anche, come in altri Stati pur
dichiaratamente federali, sul sistematico prevalere delle fonti
statali su quelle locali) - disarmonie gravi e/o prolungate tra
luoghi di produzione delle norme.
Nella vicenda di che trattasi all'insegnamento di codesta Corte
il legislatore statale ha, come noto, dato immediata ottemperanza,
lasciando alle regioni il compito di legiferare ad esse riconosciuto
e pero' stabilendo un termine congruo per l'espletamento di tale
compito.
L'art. 5, comma 1 del d.l. 12 luglio 2004, n 168, come integrato
dalla legge di conversione 30 luglio 2004, n. 191, nel primo periodo
ha fissato al 12 novembre 2004 il termine per la produzione della
legge regionale «prevista dal comma 26», termine confermato nel
secondo periodo ed esteso alla legge regionale «di cui al comma 33».
Il citato decreto-legge e' entrato in vigore «il giorno stesso della
sua pubblicazione» avvenuta nella Gazzetta Ufficiale n. 161 del 12
luglio 2004. La legge regionale in esame reca la data 18 novembre
2004, ed e' quindi «emanata» a termine scaduto, cioe' quando da sei
giorni «la normativa applicabile» era divenuta quella statale, ai
sensi del terzo periodo dell'anzidetto art. 5, comma 1 (come
convertito).
Occorre preliminarmente valutare se la legge regionale «tardiva»
sia affetta da assoluta nullita' o da totale inefficacia (inutiliter
data) rilevabili dal Giudice «comune» e con pronunce non
temporalmente delimitate dall'art. 136, comma primo Cost.; una
siffatta reazione all'inadempimento della Regione, certamente piu'
incisiva, potrebbe pero' essere reputata poco rispettosa dalla
dignita' di una legge (regionale). V'e' dunque da giudicarne la
legittimita' costituzionale dell'art. 117, terzo comma, periodo
secondo Cost. e della disciplina costituzionale della «leale
cooperazione» senza necessita' di configurare una sorta di
«consumazione» della potesta' legislativa della Regione; una volta
decorso il 12 novembre 2004, questa avrebbe potuto esercitare la
propria competenza legislativa soltanto recependo la (o conformandosi
alla) normativa statale gia' divenuta applicabile, senza possibilita'
contraddirla vistosamente, di sostituirla, di abrogarla. E' appena il
caso di osservare che l'effetto di abrogazione si basa soltanto sul
dato temporale dell'essere la legge regionale in esame «posteriore»
(art. 15 delle preleggi).
Giova sottolineare che una pronuncia di illegittimita'
costituzionale della disposizione in esame sollevera' i comuni e in
genere le autorita' urbanistiche da un ingente contenzioso con i
privati interessati altrimenti inevitabile dianzi ai giudici
«comuni».
Prevedibilmente la regione cerchera' di far leva sul diverso
termine del 10 dicembre 2004, previsto mediante le modifiche
apportate ai commi 15 e 32 dell'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003,
n. 269, per sostenere il carattere per cosi' dire «veniale» del
ritardo di sei giorni. E' agevole osservare che il termine del 12
novembre 2004 e' stato stabilito al fine di lasciare agli
interessati, ed ai professionisti che li hanno assistiti, quattro
settimane di tempo per esaminare le singole situazioni e predisporre
le domande di sanatoria e le relative documentazioni. Comunque la
circostanza che la legge regionale in esame sia stata emanata prima
del 10 dicembre 2004 puo', al piu', essere addotta per invocare una
eccezionale indulgenza di codesta Corte nel quadro di una pronuncia
che fermamente ribadisca gli insegnamenti contenuti nella sentenza
n. 196 del 2004 nel brano riportato dianzi, e non certo per rendere
flessibili o addirittura evanescenti quegli insegnamenti.
Peraltro, la legge in esame reca una pluralita' di disposizioni
alcune soltanto delle quali riconducibili alla legge regionale
«prevista dal comma 26» o «di cui al comma 33» (cosi' si esprime il
citato art. 5, che non menziona altri commi) dell'art. 32 del d.l. 30
settembre 2003, n 289. Occorre precisare che la legge regionale di
cui al predetto comma 26 e' stata dalla sentenza n. 196 del 2004 di
codesta Corte caricata di contenuti aggiuntivi a quelli
originariamente assegnatile, come risulta dai punti 1, 2, 4, 5 e 6
del dispositivo della sentenza stessa e dal brano della motivazione
che ne integra il punto 9; e che le disposizioni regionali di cui ai
periodi secondo e quinto del successivo comma 34 - comma non
menzionato dal citato art. 5 - non necessariamente avrebbero dovuto
essere veicolate dalla legge «prevista dal comma 26».
Cio' impone di formulare la doglianza di illegittimita'
costituzionale dianzi introdotta con riferimento non all'intera legge
in esame, ma soltanto alle singole disposizioni che avrebbero dovuto
essere prodotte entro il (non osservato) termine.
Il risultato del «ritaglio» cosi' effettuato e' evidenziato dalla
indicazione, all'inizio di questo ricorso, delle disposizioni
sottoposte a scrutinio di legittimita' costituzionale. Giova chiarire
che l'art. 2 della legge in esame non appare innovativo, neppure
nella parte individuata con la lettera c) posto che la parola
«immobili» contenuta nell'art. 32, comma 27, lettera d) del d.l.
n. 289 del 2003 non si reputa possa ricevere una interpretazione
restrittiva che in essa includa solo i fabbricati (o manufatti) e da
essa escluda le «aree» (di sedime e non) ed i contesti ambientali.
Per la stessa ragione, ed anche per prevenire pregiudizievoli
equivoci ed incertezze, appare doveroso escludere dalla materia qui
controversa anche la lettera d) del comma 2 dell'art. 3, ancorche'
appaia poco razionale la non inclusione - in detta lettera d), e
nell'art. 5 della legge regionale Campania 10 dicembre 2003, n. 21 -
anche dei manufatti a destinazione non residenziale.
Malgrado qualche diversa opinione, non pare censurabile la
puntualizzazione recata dalla lettera b) del comma 2 dell'art. 3.
L'art. 5 della legge in esame trova autonomo fondamento nel comma
35, lettera c) del predetto art. 32. Quanto all'art. 6, il raddoppio
degli oneri concessori previsto dal comma 3 trova autonomo fondamento
nel secondo periodo del comma 34 del quale si e' detto dianzi. La
determinazione della misura dell'anticipazione di detti oneri e le
relative modalita' di versamento e' stata invece dalla sentenza
n. 196 del 2004 riferita alla legge «prevista dal comma 26».
Le doglianze che seguono sono proposte in via logicamente
subordinata. L'art. 1 comma 1 sarebbe sostanzialmente superfluo, se
non si prestasse anche ad una lettura che emargina dal tessuto
normativo complessivo le disposizioni statali in esso indicate. Ne'
il predetto comma ne' il successivo comma 2 precisano in quale misura
le normative statale e regionale reciprocamente si integrino; il che,
come si dira' nel prosieguo, determina incertezze.
Come gia' rammentato, codesta Corte ha precisato che il ruolo del
legislatore regionale e' di «articolazione e specificazione delle
disposizioni dettate dal legislatore statale», non di sovrapposizione
ad esse.
L'art. 32, comma 25 del d.l. 30 settembre 2003, n 269 convertito
nella legge 24 novembre 2003, n. 326 ammette al cosiddetto condono
edilizio anche le «nuove costruzioni residenziali» non superiori ai
limiti volumetrici ivi indicati. L'art 3, comma 1 della legge
regionale in esame invece esclude dalla sanatoria straordinaria tutte
le «nuove costruzioni difformi dalle norme urbanistiche e dalle
prescrizioni degli strumenti urbanistici», per di piu' «vigenti alla
data di esecuzione delle stesse» cosi' irrazionalmente dando
rilevanza a norme ed a strumenti urbanistici eventualmente non piu'
vigenti «alla data di entrata in vigore del presente provvedimento»
ossia del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (cfr. tabella c allegata a
detto decreto-legge, tipologia di abuso n. 2). Pure nel successivo
comma 2, alla lettera a) e nell'art. 4 comma 1, lettere a) b)e c) si
da' rilevanza a norme e strumenti «vigenti alla data di esecuzione
(forse si intende data di inizio dei lavori, come nella circolare 17
giugno 1995, n. 2241 del Ministero lavori pubblici) delle stesse»
(opere abusive), senza differenziare interventi «difformi» ed
interventi «conformi» a dette norme e strumenti, malgrado diverse,
differenziate da comune a comune, e persino opposte possono essere le
conseguenze pratiche del riferirsi nel 2004 a norme e strumenti
eventualmente superati. D'altro canto, le disposizioni recate
dall'art. 4 lettere b) e c), pur concernendo nuove costruzioni ed
altre opere «conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni
degli strumenti urbanistici vigenti» all'anzidetta data di
esecuzione, parrebbero non raccordate con l'istituto dello
«accertamento di conformita» (art.13 della legge 28 febbraio 1985,
n. 47 e art. 36 del T.U. 6 giugno 2001, n. 380). Tornando all'art. 3,
comma 1, rimane incerto - per quanto osservato in relazione al
predetto art. 1 - se il riferimento a norme e strumenti «vigenti alla
data di esecuzione» delle opere abusive consenta la sanabilita' di
«nuove costruzioni residenziali» difformi solo da norme e strumenti
successivi, vigenti ad inizio ottobre 2003.
Alle «nuove costruzioni» e' dedicato pure l'art. 4, comma 1,
lettera b), ove non si distingue tra costruzioni residenziali e non
residenziali, e pero' sono previsti due limiti quantitativi
irrazionalmente ed eccessivamente inferiori a quelli determinati
dall'art. 32, comma 25 citato; cio' malgrado si tratti di costruzioni
«conformi» a norme e strumenti urbanistici.
Gli esaminati art. 3, comma 1 e art. 4, comma 1, lettera b)
creano ulteriori incertezze in quanto fanno riferimento a norma e
strumenti urbanistici anziche' alla assenza del titolo abilitativo
edilizio, alla difformita' da esso, e/o variazioni essenziali, ed in
tal modo danno luogo ad una disomogeneita', persino a livello di
strumenti concettuali, rispetto alla normativa statale sia «a regime»
in tema di sanzioni sia straordinaria in tema di condono edilizio.
L'art. 32, comma 25 dianzi citato ammette alla sanatoria
straordinaria gli ampliamenti del manufatto purche' non superiore ad
uno dei due limiti volumetrici ivi indicati «in alternativa».
L'art. 4, comma 1, lettera a) della legge regionale pone invece alla
sanabilita' degli ampliamenti due limiti piu' severi e, per di piu',
congiuntamente operanti per effetto del «sempre che» (il quale non
puo' essere assimilato al «sempre che» previsto nella successiva
lettera b) dello stesso comma). Il congiunto operare dei due limiti
puo' determinare una compressione della sanabilita' molto inferiore
al 15 per cento indicato come primo limite oltretutto - parrebbe -
riferito al «manifatto» edilizio nel suo insieme (ad esempio, per una
costruzione originaria era di 5000 metri cubi un aumento massimo di
250 metri cubi e' pari al 5 per cento). Inoltre, al limite di 250
metri cubi corrisponde una superficie utile lorda di appena 70 metri
quadri.
Sui problemi di interpretazione della normativa regionale sin qui
sommariamente esaminata, si confida che l'atto di costituzione della
Regione fornisca - per quanto possibile - qualche puntualizzazione.
Accantonando per il momento l'esame di altre disposizioni, si
rileva che i menzionati art. 3, comma 1 e art. 4, comma 1, lettere a)
e b) contrastano con gli artt. 117 e 119 Cost. Come affermato nella
citata sentenza n. 196 del 2004, la Regione e' tenuta ad attenersi ai
principi posti dalla legislazione statale, poiche' la disciplina
amministrativa del condono edilizio (non anche la repressione penale
degli abusi piu' gravi) rientra nella materia di competenza
concorrente «governo del territorio» (art. 117, terzo comma Cost.).
In questo quadro, la Regione puo' specificare i limiti (quantitativi
e non) della sanabilita', e persino «limare» entro margini di
ragionevole e tollerabilita' (come qualche altra Regione ha fatto) le
volumetrie massime previste del legislatore statale; non puo' invece
negare in toto o in misura prevalente (rispetto al quantum di
volumetria ammesso dalla legge statale) la sanabilita' delle «nuove
costruzioni residenziali».
Il diniego totale ed aprioristico della sanabilita' delle «nuove
costruzioni residenziali» di relativamente modeste dimensioni
realizzate in contrasto con strumenti urbanistici (non anche con
vincoli extraurbanistici), la eccessiva ed irrazionale riduzione
persino della sanabilita' delle «nuove costruzioni conformi alle
norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici»,
ed anche la quantitativamente eccessiva compressione della
sanabilita' degli ampliamenti contraddicono un principio determinato
dal legislatore statale e persino la configurabilita' - ammessa anche
da codesta Corte - di una sanatoria straordinaria degli illeciti
urbanistici.
Gli anzidetti art. 3, comma 1 e art. 4, comma 1, lettere a) e b)
contrastano inoltre con gli artt. 117, secondo comma e 119 Cost.
L'art. 117, secondo comma, lettere a) ed e) attribuisce allo Stato la
competenza esclusiva in materia di rapporti con l'Unione europea (e
relativi stringenti «vincoli») e di «moneta» (oggi moneta unica
difesa dai noti parametri di Maastrich) nonche' in materia di
«sistema tributario e contabile dello Stato». D'altro canto, l'art.
117, terzo comma e l'art. 119, secondo comma attribuiscono allo Stato
il compito - particolarmente arduo - di coordinare la «finanza
pubblica» (al singolare). Notoriamente, piu' leggi del Parlamento
fanno affidamento sul gettito del condono edilizio per la copertura
(art. 81 Cost.) di spese pubbliche e di minori entrate; comprimere in
misura oggettivamente eccessiva le possibilita' di accedere alla
sanatoria straordinaria riduce sensibilmente quel gettito, lede le
potesta' statali di governo della finanza pubblica, e potrebbe
persino essere considerato indebita turbativa dell'equilibrio
finanziario del Paese nel suo insieme. Del resto, la Regione non
assume a proprio carico l'onere conseguente alla riduzione del
predetto gettito, non sposta cioe' prelievo da coloro che hanno
commesso gli abusi edilizi alla generalita' dei cittadini che in essa
risiedono.
Parimenti grave appare la lesione del principio di eguaglianza
(art. 3 primo comma Cost.) delle persone rispetto alla legge e della
competenza esclusiva ex art. 117, secondo comma, lettera l) Cost.
(ordinamento civile e penale). Indubbiamente i Giudici comuni devono
applicare anche le leggi regionali; conseguentemente l'eccessiva
restrizione, ad opera del legislatore campano, dell'ambito di
applicazione della legislatore statale in tema di condono edilizio
obbliga i Giudici comuni a rendere, a carico dei proprietari ed
autori di illeciti (e di eventuali controinteressati e parti offese),
pronunce quanto meno asistematiche.
Identica doglianza per inosservanza dei dianzi evocati parametri
costituzionali deve essere mossa anche nei confronti dell'art. 3,
comma 2, lettera c) e dell'art. 4, comma 1, lettera d)della legge in
esame. Quest'ultima disposizione ammette alla sanatoria straordinaria
«un ampliamento del manufatto» (e pero' il successivo
«complessivamente» parrebbe ammettere anche piu' ampliamenti dello
stesso manufatto) che abbia beneficiato di precedente condono
edilizio, e pero' stabilisce, in assenza di principio determinato dal
Parlamento (art. 117, terzo comma Cost.), il piu' severo limite di
100 metri cubi. La disposizione - oltre a contrastare con gli
artt. 117 e 119 Cost. per quanto dianzi esposto - viola anche il
principio di eguaglianza (art. 3, primo comma Cost.) e la garanzia
costituzionale della proprieta' (art. 42 Cost.), introducendo ex novo
una irrazionale discriminazione tra proprietari di edifici ed anche
tra autori (eventualmente imputati) degli illeciti edilizi. Per di
piu', essa risulta ingiustificata e troppo rigida e «meccanica» (si
pensi alla regolarizzazione in passato di un minuscolo abuso); a
tutto concedere, avrebbe potuto essere proporzionato alla finalita'
perseguita ad esempio il non computare la volumetria in passato
«condonata» nella base per il calcolo del 15 per cento della
volumetria della costruzione originaria.
L'art. 3, comma 2, lettera c) esclude dalla sanabilita' le opere
realizzate abusivamente «su aree facenti parte o di pertinenza del
demanio pubblico». La disposizione, che sembra riferirsi ai beni
immobili demaniali in senso proprio (ossia non anche ai beni di
patrimonio indisponibile), non distingue tra demanio statale e beni
di cui all'art. 824 cod. civ. Essa estende la esclusione dalla
sanabilita', esclusione prevista per il demanio marittimo e per il
demanio idrico oltre che per i terreni gravati da uso civico
dall'art. 32, commi 14 (come modificato in sede di conversione) e 27,
lettera g) del d.l. 30 settembre 2003, n. 269. Per quanto concerne il
demanio appartenente allo Stato la disposizione contrasta anzitutto
con l'art. 42 e con l'art. 117, secondo comma, lettera g) Cost., ed
inoltre con il principio determinato dal teste' citato comma 14 e
dall'art. 32, sesto comma della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Queste
norme statali subordinano la sanabilita' al previo esplicito consenso
«rilascio della disponibilita» dello Stato proprietario, consenso che
si deve concretare in una concessione amministrativa onerosa sul
suolo che rimane demaniale e sul fabbricato ad esso acceduto; in tal
senso devono interpretarsi le parole «diritto al mantenimento
dell'opera sul suolo appartenente al demanio», suolo sul quale
certamente non possono costituirsi diritti civilistici di superfice.
Per quanto concerne i beni di cui all'art. 824 cod. civ., la
disposizione regionale in esame parrebbe non sorretta da principio
determinato dalla normativa statale, e contrastante con l'anzidetto
art. 32, comma sesto (della legge del 1985).
In ordine all'art. 3, comma 2, lettera a), con i connessi commi 3
e 4 dello stesso articolo, ed all'art. 4, comma 1, lettera c) della
legge regionale, si osserva che tali disposizioni - concernenti le
opere eseguite «su immobili soggetti a vincoli di tutela» (cosi'
l'art. 3) «su aree o immobili soggetti a vincoli di tutela» (cosi'
l'art. 4) - si discostano dalla normativa statale per divergenti
ragioni, in quanto possono risultare, nei casi, singoli, a volte piu'
permissive di detta normativa, a volte invece restrittive della
sanabilita' straordinaria. Va anzitutto constatato che: sia la
lettera a) sia la lettera c) teste' citate attribuiscono rilevanza a
norme e strumenti vigenti alla data di esecuzione delle opere
(rispettivamente «difformi» o «conformi»); la lettera a) non pure la
lettera c), reca l'inciso «anche successivamente alla commissione
dell'abuso»; la lettera c), relativa alle opere «conformi», ammette
una limitata sanabilita' (opere inferiori a 75 metri cubi).
Le disposizioni teste' menzionate, per quanto restringono la
sanabilita' negando rilevanza al «parere favorevole delle
amministrazioni preposte alla tutela del vincolo» (art. 32 della
legge 28 febbraio 1985, n. 47, come sostituito dall'art. 32, comma 43
della normativa del 2003), e cio' sia nel caso di vincolo istituito
prima dell'abuso sia - e persino - nel caso di vincolo
«successivamente» imposto, appaiono contrastanti con i parametri
costituzionali dianzi evocati (ad esempio, per l'art. 3, comma 1
della legge regionale in esame) e con l'art. 117, secondo comma,
lettera s) Cost. Anche il limite quantitativo (75 metri cubi)
previsto alla lettera c) appare irrazionalmente rigido e, per conto,
puo' creare imbarazzi alle amministrazioni preposte alla tutela dei
vincoli (e contenzioso nel caso l'abuso non superi il limite stesso).
Come accennato, le disposizioni di che trattasi possono risultare, in
casi concreti, piu' permissive (ad esempio, per effetto del
riferimento a norme e strumenti urbanistici meno «severi» di quelli
vigenti alla data di entrata in vigore del d.l. 30 settembre 2003,
n. 269).
Per quanto estendono l'ambito della sanabilita' straordinaria, le
disposizioni sottoposte a scrutinio, comprese tutte quelle recate
dall'art. 4, comma 1, contrastano con principi determinati dalla
legislazione statale (art. 117, terzo comma Cost.) ed invadono
palesemente la competenza esclusiva del Parlamento nazionale in
materia di «ordinamento civile e penale» (art. 117, secondo comma,
lettera l) Cost.); nei giudizi civili e penali i proprietari
(imputati o convenuti) beneficiari di sanatoria solo «regionale»
chiederebbero pronunce non consentite dalla legislazione statale (con
prevedibili questioni di legittimita' costituzionale sollevata in via
incidentale). Quest'ultima doglianza e' «di segno opposto» alle altre
precedenti doglianze.
La demolizione delle disposizioni considerate non produce lacune,
posto che essa consente il riespandersi della normativa statale. La
materia del contendere potrebbe peraltro cessare per effetto di un
nuovo sollecito intervento legislativo della regione, che
effettivamente recepisse la normativa statale.



P. Q. M.
Si chiede pertanto che sia dichiarata la illegittimita'
costituzionale delle disposizioni legislative sottoposte a giudizio,
con ogni consequenziale pronuncia e con invito alla regione a non
procedere alla attuazione delle disposizioni stesse in pendenza del
giudizio.
Roma, addi' 5 gennaio 2005
Vice avvocato generale: Franco Favara

Menu

Contenuti