RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 26 gennaio 2010 , n. 9
Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 26 gennaio 2010  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
 
(GU n. 9 del 3-3-2010) 
 
 
    Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e  difeso  dalla  Avvocatura  generale  dello  Stato  presso  cui  e'
domiciliato  in  Roma,  via  dei  Portoghesi,  12,  contro  Provincia
autonoma di Bolzano, in persona  del  Presidente  pro  tempore  della
Giunta   provinciale   per   la   declaratoria   di    illegittimita'
costituzionale dell'art. 9 legge provinciale di Bolzano  13  novembre
2009 n. 10, pubblicata nel BUR n.  48  del  24  novembre  2009  della
Provincia autonoma di Bolzano, recante norme in materia di commercio,
artigianato, alpinismo, esercizi pubblici, turismo e  miniere,  nella
parte in cui detta il nuovo testo dell'art. 4, comma  8  della  legge
provinciale 19 maggio 2003, n. 7. 
    La legge n. 10 del 13 novembre 2009 della  Provincia  di  Bolzano
pubblicata nel BUR  n.  48  del  24  novembre  2009  della  Provincia
Autonoma di Bolzano  detta  disposizioni  in  materia  di  commercio,
artigianato, alpinismo, esercizi pubblici, turismo e miniere. 
    Piu' precisamente, il capo V dispone  in  materia  di  miniere  e
l'art. 9 prevede  modifiche  alla  precedente  legge  provinciale  19
maggio 2003, n. 7, recante la disciplina delle cave e delle torbiere. 
    L'art. 9 sostituisce infatti gli artt. da 1 a 13  della  predetta
legge provinciale n.  7  del  19  maggio  2003:  l'art.  1  definisce
l'ambito di applicazione della  normativa,  l'art.  2  disciplina  la
coltivazione delle cave e delle torbiere, l'art. 3  la  procedura  di
presentazione e l'istruttoria delle domande di coltivazione, l'art. 4
la procedura di autorizzazione alla coltivazione delle cave  e  delle
torbiere. 
    In particolare l'art. 4 nuovo testo legge provinciale  n.  7/2003
nel disciplinare l'autorizzazione alla coltivazione dispone che:  «1.
Il parere positivo rilasciato dalla Conferenza di servizi in  materia
ambientale oppure il provvedimento  positivo  rilasciato  nell'ambito
della procedura di impatto ambientale  costituisce  la  base  per  il
rilascio dell'autorizzazione da parte dell'assessore  competente  per
materia. 
    2. Il  rilascio  dell'autorizzazione  avviene  nel  rispetto  del
seguente ordine: proprietario  del  suolo,  usufruttuario,  enfiteuta
oppure i loro aventi causa. Il rispettivo titolo e  il  possesso  del
consenso espresso dal proprietario del suolo devono essere provati. 
    3.  Con  il  provvedimento  di  autorizzazione  e'  approvato  il
disciplinare sull'esercizio della cava o torbiera. 
    4.   Il   disciplinare   contiene   le   prescrizioni    indicate
nell'autorizzazione   e   nel    parere    e    fissa    la    durata
dell'autorizzazione, tenuto conto dell'entita' del giacimento e della
sua razionale utilizzazione,  nonche'  le  misure  atte  a  contenere
eventuali  danni  causati  ai  terreni  confinanti  dalle   attivita'
connesse all'esercizio della cava o torbiera. 
    5. Copia dell'autorizzazione e' comunicata al sindaco del  comune
competente, il quale rilascia la concessione  edilizia  relativamente
agli impianti, agli  immobili  e  alle  infrastrutture  compresi  nel
progetto,  che,  ai  sensi  della  normativa  vigente,   soggiacciono
all'obbligo della concessione edilizia. 
    6. L'autorizzazione ha una durata massima di dieci anni. In  caso
di coltivazione  in  sotterraneo,  l'autorizzazione  puo'  avere  una
durata di 20 anni. 
    7. Su richiesta motivata, l'assessore competente  puo'  prorogare
l'autorizzazione fino ad un massimo di otto anni. 
    8. Sulle  aree  estrattive  dotate  di  impianti  di  lavorazione
autorizzati  ai  sensi  del  presente  articolo  e'   consentita   la
lavorazione di materiali inerti  provenienti  anche  da  altre  cave,
sbancamenti, scavi, gallerie, fiumi, torrenti, rii o zone colpite  da
eventi naturali eccezionali ubicati ad una distanza non  superiore  a
15 chilometri dall'impianto. 
    9. La realizzazione e l'esercizio di impianti per la  lavorazione
di materiali diversi da quelli indicati nel comma 8, nonche' impianti
per la produzione di calcestruzzi  o  di  conglomerati  bituminosi  e
impianti di riciclaggio dei materiali da  costruzione  e  demolizione
sono consentiti solo su aree destinate nei piani urbanistici comunali
alla lavorazione di  ghiaia,  ad  eccezione  di  impianti  temporanei
interni ai cantieri. 
    10. In caso di esito sfavorevole dell'istruttoria,  il  direttore
della ripartizione provinciale competente comunica al  richiedente  i
motivi  del  diniego  e  ne  da'  notizia  al  sindaco   del   comune
territorialmente competente. 
    11. Contro il  provvedimento  del  direttore  della  ripartizione
provinciale competente e'  ammesso  ricorso  gerarchico  alla  Giunta
provinciale ai sensi della legge provinciale 22 ottobre 1993, n.  17,
e successive modifiche. La Giunta provinciale decide entro 90 giorni,
sentito l'ufficio provinciale competente per le cave e le miniere.». 
    La disposizione dell'art. 4, comma 8, legge provinciale n. 7/2003
nuovo testo sopra riportata  appare  costituzionalmente  illegittima,
sotto i profili che verranno ora evidenziati, e pertanto il Governo -
giusta delibera del 13 gennaio 2010 del Consiglio dei  ministri  (che
per estratto autentico si produce sub 1) ai sensi dell'art.127  Cost.
la impugna con il presente ricorso per i seguenti 
 
                             M o t i v i 
 
    1.  -  Violazione  dell'art.117,  comma  2,  lettera   s)   della
Costituzione; dell'art. 117, comma 1 della Costituzione; degli  artt.
4 e 8, comma 1, punto 14 d.P.R. 670/1972  Statuto  Speciale  Trentino
Alto Adige; 
    1.1. - Come si e' detto, la legge della Provincia di  Bolzano  n.
10 del 13 novembre 2009, che detta norme  in  materia  di  commercio,
artigianato, alpinismo, esercizi  pubblici,  turismo  e  miniere,  e'
censurabile relativamente alla modifica  introdotta  alla  disciplina
delle cave e delle torbiere. 
    La Provincia infatti ai sensi dell'art. 8, comma 1, punto 14, del
d.P.R 670/1972 Statuto  speciale  per  il  Trentino  Alto  Adige,  ha
competenza primaria in materia di miniere, comprese le acque minerali
e termali, cave e torbiere, e, in base  ai  punti  nn.  5  e  6,  del
medesimo art. 8  ha  potesta'  legislativa  primaria  in  materia  di
«tutela del paesaggio» e «urbanistica» nonche', ai sensi dell'art. 9,
punto 10, competenza legislativa concorrente in materia di «igiene  e
sanita'». 
    Cio' premesso, la potesta' di disciplinare l'ambiente  nella  sua
interezza e' stata affidata in via esclusiva  allo  Stato,  dall'art.
117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, il quale, come e'
noto, dispone che lo Stato ha  competenza  esclusiva  in  materia  di
tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema  in  termini   generali   e
onnicomprensivi. 
    Ne consegue che spetta allo Stato  disciplinare  l'ambiente  come
una entita' organica, dettare cioe' delle norme di tutela  che  hanno
ad oggetto l'ambiente nella sua interezza e nelle singole componenti. 
    In tal senso si e' espressa la consolidata  giurisprudenza  della
Corte costituzionale, da ultimo  con  la  sentenza  n.  378/2007.  Al
riguardo,  e'  necessario  sottolineare  che   codesta   Corte,   nel
delineare,  in  via  generale,  i  confini  della   materia   «tutela
dell'ambiente», ha affermato ripetutamente che la relativa competenza
legislativa,  pur  presentandosi  «sovente  connessa  e   intrecciata
inestricabilmente  con  altri  interessi   e   competenze   regionali
concorrenti»  (sent.  n.  32  del  2006),  tuttavia,  rientra   nella
competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera s,
Cost.), anche se cio' non esclude il concorso di normative regionali,
fondate sulle rispettive  competenze  (quali  quelle  afferenti  alla
salute e al governo del territorio: art. 117,  terzo  comma,  Cost.),
volte al conseguimento di finalita' di tutela ambientale (sentenza n.
247 del 2006). 
    In realta' dalla giurisprudenza della Corte, sia  precedente  che
successiva alla nuova formulazione del titolo V della  parte  seconda
della  Costituzione,   e'   agevole   ricavare   una   configurazione
dell'ambiente come  «valore»  costituzionalmente  protetto,  che,  in
quanto tale, delinea una sorta di materia «trasversale» (sentenza  n.
32 del 2006, n. 336, n. 232, n. 214, n. 62 del 2005, n. 259 del 2004,
n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998). 
    Si tratta di una impostazione che, analogamente a quanto  avviene
nella presente causa a proposito della provincia di Bolzano e'  stata
ribadita anche con riferimento alle Regioni  ad  autonomia  speciale,
quale la Sardegna, che nel  proprio  statuto  reca  come  materia  di
competenza esclusiva l'edilizia e l'urbanistica  e  come  materie  di
competenza concorrente il governo del territorio, la salute  pubblica
e la protezione civile, in quanto questo insieme di competenze  ''non
comprende ogni disciplina di tutela ambientale'' (sentenza n. 65  del
2005).» 
    La disciplina unitaria e complessiva del bene  ambiente,  attiene
infatti ad un interesse pubblico di  valore  costituzionale  primario
(sent. n. 151/1986) ed assoluto (sent. n. 210/1987) e deve garantire,
come prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di  tutela,
come tale inderogabile da altre discipline di settore. 
    Inoltre, la disciplina unitaria del  bene  complessivo  ambiente,
rimessa  in  via  esclusiva  allo  Stato,  viene  a  prevalere  sulla
disciplina dettata  dalle  regioni  o  dalle  province  autonome,  in
materie di competenza propria, ed in riferimento ad altri  interessi.
Cio'  comporta  che  la   disciplina   ambientale,   che   scaturisce
dall'esercizio di una competenza esclusiva  dello  Stato,  investendo
l'ambiente nel suo complesso, e quindi anche in ciascuna  sua  parte,
costituisce un limite alla disciplina che le regioni  e  le  province
autonome dettano in altre materie di loro competenza  (come  ribadito
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 380/2007). 
    Pertanto, nell'emanazione della legge  in  esame  il  legislatore
provinciale, nell'esercizio della propria competenza legislativa,  e'
sottoposto al rispetto degli standards minimi ed uniformi  di  tutela
dell'ambiente posti dalla legislazione nazionale, ex art. 117,  comma
2,  lettera  s)  Cost.,  oltre  che  al  rispetto   della   normativa
comunitaria di riferimento secondo quanto disposto dall'art. 8, comma
1 dello statuto speciale e dall'art. 117, comma 1 della Costituzione. 
    La Corte costituzionale, ha ribadito nella  sentenza  n.  62/2008
che   rientra   nell'ambito    della    «tutela    dell'ambiente    e
dell'ecosistema» il potere dello Stato  di  determinare  principi  di
tutela  uniformi  da  valere  sull'intero  territorio  nazionale;  in
particolare, ha precisato che «la competenza legislativa esclusiva in
materia di ''tutela del paesaggio'' e ''urbanistica'' e la competenza
legislativa concorrente in materia di ''igiene  e  sanita''»  possono
costituire un valido fondamento dell'intervento provinciale, ma  tali
competenze devono essere esercitate nel rispetto dei limiti  generali
di cui all'art. 4 dello statuto speciale, richiamati dall'art. 5. 
    La  Corte  ha  inoltre  affermato,  nella  recente  sentenza   n.
315/2009, che alle  regioni,  nel  rispetto  dei  livelli  di  tutela
fissati dalla disciplina statale, e' demandato esercitare le  proprie
competenze,  dirette   essenzialmente   a   regolare   la   fruizione
dell'ambiente, evitando compromissioni  o  alterazioni  dell'ambiente
stesso. 
    In questo senso e' stato affermato  che  la  competenza  statale,
allorche' sia espressione  della  tutela  dell'ambiente,  costituisce
«limite» all'esercizio delle competenze regionali e provinciali. 
    Tutto  cio'  premesso  e'  censurabile,  perche'  invasiva  della
competenza esclusiva statale di cui all'art. 117, comma 2, lettera s)
della Costituzione e esorbitante dai  vincoli  posti  al  legislatore
provinciale dai suindicati artt. 8 e 9 dello Statuto, la disposizione
contenuta nell'art. 4, comma 8, legge  provinciale  n.  7/2003  nuovo
testo relativo alla lavorazione di materiali inerti, la quale dispone
che  «Sulle  aree  estrattive  dotate  di  impianti  di   lavorazione
autorizzati  ai  sensi  del  presente  articolo  e'   consentita   la
lavorazione di materiali inerti  provenienti  anche  da  altre  cave,
sbancamenti, scavi, gallerie, fiumi, torrenti, rii o zone colpite  da
eventi naturali eccezionali ubicati ad una distanza non  superiore  a
15 chilometri dall'impianto». 
    Questa disciplina contrasta con la vigente normativa nazionale di
settore ed in particolare con la definizione di «rifiuto», cosi' come
stabilita,  in  ambito  nazionale,  dalla  parte   IV   del   decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 ed, in  ambito  comunitario,  dalla
direttiva 2006/12/CEE. 
    La norma provinciale  impugnata,  infatti,  nella  parte  in  cui
consente all'interno delle cave «la lavorazione di  materiali  inerti
provenienti anche da altre cave, sbancamenti, scavi, gallerie, fiumi,
torrenti, rii o zone colpite da eventi naturali  eccezionali  ubicati
ad una distanza non superiore a 15 chilometri  dall'impianto»,  senza
assoggettare  tale  attivita'  alle  prescrizioni   in   materia   di
autorizzazioni all'esercizio  di  impianti  di  trattamento  rifiuti,
esclude aprioristicamente e genericamente che tali materiali  (tra  i
quali sono ricompresi le terre e rocce da  scavo  e  i  materiali  da
demolizione) rientrino nell'ambito di applicazione  della  disciplina
sui rifiuti. 
    A tal proposito, infatti, la sfera di applicazione della parte IV
del decreto legislativo n. 152/2006 e delle  altre  disposizioni  del
settore e' individuata sulla base della definizione  di  «rifiuto»  e
dei limiti di applicazione della stessa. 
    In tal senso,  l'art.  183,  comma  1,  lettera  a),  del dcereto
legislativo n. 152/2006  definisce  rifiuto  «qualsiasi  sostanza  od
oggetto che rientra nelle categorie di cui all'allegato A alla  parte
quarta del presente decreto e di cui il detentore si  disfi  o  abbia
deciso o abbia l'obbligo di disfarsi»; mentre l'art. 185  del decreto
legislativo n. 152/2006, rubricato «Limiti al campo di applicazione»,
precisa le categorie di rifiuti esclusi  dal  campo  di  applicazione
della parte IV e le relative condizioni di  esclusione.  Tale  ultima
norma non comprende pero' i materiali inerti in questione  stabilendo
un criterio non derogabile dalla disciplina regionale o  provinciale.
Infine l'art.  186  del decreto  legislativo n.  152/2006,  rubricato
«Terre e rocce da scavo» permette il riutilizzo solo a determinate  e
rigide condizioni. 
    Secondo  tali  definizioni,  risulta  evidente  che  i   suddetti
materiali rientrano nella definizione di rifiuto  (Codice  CER  01  e
17). 
    Ne'  potrebbe  essere  ritenuto  sufficiente  a  sottrarre  detti
materiali dalla disciplina in materia di rifiuti la  circostanza  per
cui essi sono «riutilizzati». 
    Questa conclusione e' condivisa anche in ambito  comunitario,  in
quanto la Corte di  Giustizia  -  in  merito  all'applicazione  della
definizione di rifiuto di cui all'art. 1,  paragrafo  1,  lettera  a)
della direttiva 12/2006/CE - ha piu' volte ribadito che la  sfera  di
applicazione della vigente direttiva 12/2006/CE in materia di rifiuti
e'  determinata  congiuntamente  dalla  definizione  di   rifiuto   e
dall'art. 2, paragrafo 1, della stessa direttiva,  che  indica  quali
tipi  di  rifiuti  sono  o  possono  essere  esclusi  dall'ambito  di
applicazione della direttiva. 
    Inoltre la Corte ha precisato che la sfera  di  applicazione  non
puo' essere limitata dalle norme nazionali mediante disposizioni  che
traviserebbero  necessariamente  l'ambito   di   applicazione   della
direttiva stessa e che «sono le circostanze specifiche a fare  di  un
materiale un rifiuto o meno e che pertanto  le  autorita'  competenti
devono decidere caso per caso». 
    Invero, alla luce dei principi espressi nella materia dalla Corte
di giustizia - da ultimo ribaditi nella sentenza 18 dicembre 2007, in
relazione all'esclusione delle terre e delle rocce da scavo destinate
all'effettivo  riutilizzo  per  reinterri,  riempimenti,  rilevati  e
macinati dall'ambito di applicazione della disciplina  nazionale  sui
rifiuti, ad opera dell'art. 10 della  legge  23  marzo  2001,  n.  93
(Disposizioni in campo ambientale) e dell'art.  1,  commi  17  e  19,
della legge 21 dicembre 2001, n. 443, recante «Delega al  Governo  in
materia di infrastrutture ed insediamenti  produttivi  strategici  ed
altri interventi per il rilancio delle attivita'  produttive»  (Corte
di  giustizia,  sentenza  18  dicembre  2007,  in   causa   C-194/05,
Commissione c. Repubblica italiana) - deve  ritenersi  che  la  norma
denunciata si ponga in contrasto con la direttiva 2006/12/CE. 
    Ai sensi dell'art.  1,  comma  1,  lettera  a),  della  direttiva
2006/12/CE si intende per rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto  che
rientri nelle  categorie  riportate  nell'allegato  I  e  di  cui  il
detentore si disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi».  Le
«terre e rocce» di cui al capitolo 17, sezione 17  05,  del  catalogo
europeo dei rifiuti  contenuto  nella  decisione  2000/532/CE  del  3
maggio 2000 (Decisione della Commissione che sostituisce la decisione
94/3/CE che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all'art. 1,
lettera a), della direttiva  75/442/CEE  del  Consiglio  relativa  ai
rifiuti e la decisione 94/904/CE  del  Consiglio  che  istituisce  un
elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell'art. 1, paragrafo 4, della
direttiva  91/689/CEE  del  Consiglio  relativa  ai  rifiuti),  vanno
qualificate come «rifiuti», ai sensi della direttiva sopra citata, se
il detentore se ne  disfa  ovvero  ha  l'intenzione  o  l'obbligo  di
disfarsene. 
    Tenuto conto  dell'obbligo  di  interpretare  in  modo  ampio  la
nozione di rifiuto,  la  possibilita'  di  considerare  un  bene,  un
materiale o una materia prima derivante da un processo di  estrazione
o di fabbricazione che non e' principalmente destinato a produrlo, un
sottoprodotto di cui il detentore non intende disfarsi,  deve  essere
limitata alle situazioni in cui il riutilizzo  non  e'  semplicemente
eventuale, bensi' certo, non richiede una trasformazione  preliminare
e interviene nel corso del processo di produzione o di  utilizzazione
(Corte di giustizia,  sentenza  11  novembre  2004,  causa  C-457/02,
Niselli; sentenza 11 settembre 2003, causa C-114/01,  Avesta  Polarit
Chrome; sentenza 18 aprile 2002, causa C-9/00, Palin Granit Oy). 
    Al riguardo la Corte di giustizia ha precisato che  la  modalita'
di utilizzo di una sostanza non e'  determinante  per  qualificare  o
meno quest'ultima come  rifiuto,  poiche'  la  relativa  nozione  non
esclude le sostanze e gli  oggetti  suscettibili  di  riutilizzazione
economica. Il sistema di sorveglianza e di gestione  istituito  dalla
direttiva sui rifiuti intende, infatti, riferirsi a tutti gli oggetti
e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un
valore commerciale e sono raccolti a titolo  commerciale  a  fini  di
riciclo, di recupero o di riutilizzo (Corte di giustizia, sentenza 18
dicembre  2007,  in  causa  C  -194/05,  Commissione  c.   Repubblica
italiana; sentenza 18 aprile 2002, causa  C-9/00,  Palin  Granit  Oy;
sentenza 25 giugno 1997, cause riunite C-304/94, C-330/94, C-342/94 e
C-224/95, Tombesi). 
    La  norma  provinciale  fa  sorgere  la  presunzione  che,  nelle
situazioni da esse previste, le terre e rocce da scavo  costituiscano
sottoprodotti che presentano per  il  loro  detentore,  data  la  sua
volonta'  di  riutilizzarli,  un  vantaggio  o  un  valore  economico
anziche' un onere di cui egli cercherebbe di disfarsi. 
    Se tale ipotesi  in  determinati  casi  puo'  corrispondere  alla
realta', non puo' esistere alcuna presunzione generale in  base  alla
quale un detentore  di  terre  e  rocce  da  scavo  tragga  dal  loro
riutilizzo un vantaggio maggiore rispetto a quello derivante dal mero
fatto di potersene disfare (Corte di giustizia, sentenza 18  dicembre
2007, in causa C-194/05, Commissione c. Repubblica italiana). 
    La norma provinciale impugnata della legge  provinciale,  dunque,
sottraendo alla nozione di rifiuto taluni residui che invece, in base
a quanto esposto, corrispondono alla definizione sancita dall'art. 1,
lettera a), della direttiva 2006/12/CE, si pone in contrasto  con  la
direttiva medesima, la  quale  funge  da  norma  interposta  atta  ad
integrare il  parametro  per  la  valutazione  di  conformita'  della
normativa regionale all'ordinamento  comunitario,  in  base  all'art.
117, primo comma, della Costituzione (cfr in termini Corte  cost.  n.
62/2008). 
    Quanto sopra affermato e' stato anche ribadito dalla  Commissione
Europea  nella  «Comunicazione  interpretativa  sui  rifiuti  e   sui
sottoprodotti» (Bruxelles, 21 febbraio 2007 COM(2007)  59)  destinata
al Parlamento ed al Consiglio europeo. Nella citata comunicazione  la
Commissione ha infatti chiarito che non esiste «una distinzione netta
tra i materiali e rifiuti ''e che'' per applicare  la  normativa  sui
rifiuti occorre tracciare caso per caso, una linea chiara tra le  due
situazioni giuridiche stabilendo se il materiale  di  cui  si  tratta
costituisce rifiuto o meno». 
    Per le  ragioni  sopra  esposte  si  ritiene  che  consentire  la
lavorazione  delle  terre  e  rocce  da  scavo  e  i   materiali   da
demolizione, cosi'  come  stabilito  dalla  disposizione  provinciale
impugnata, significa escluderli  automaticamente  in  via  preventiva
anziche' tramite un esame caso per caso dalla categoria dei  rifiuti,
in maniera non coerente con la normativa nazionale e comunitaria  sui
rifiuti. 
    La norma provinciale viola quindi anche il vincolo  del  rispetto
delle norme comunitarie derivante dall'art. 117, primo  comma,  della
Costituzione, rappresentato nella materia  dei  rifiuti  disciplinata
dalla direttiva 2006/12/CE e dai principi  generali  stabiliti  dalla
Corte di giustizia europea in ordine alla definizione di «rifiuto», e
potrebbe  esporre  altresi'  l'Italia  al   rischio   di   infrazione
comunitaria. 
    Sulla base di quanto esposto, la normativa provinciale impugnata,
dettando  disposizioni  confliggenti  con  la   normativa   nazionale
vigente, espressione della potesta' legislativa esclusiva statale  in
materia di tutela dell'ambiente di cui all'art.117, comma 2, lett. s)
della  Costituzione,  nonche'  con  le  disposizioni  di  derivazione
comunitaria, in violazione dell'art. 117, comma 1 Cost., eccede dalle
competenze provinciali di cui agli artt. 8 e 9 dello Statuto speciale
di autonomia. 
    Si impone quindi l'annullamento dell'art. 9 legge provinciale  di
Bolzano 13 novembre 2009, n. 10, pubblicata nel  BUR  n.  48  del  24
novembre 2009 della Provincia autonoma di Bolzano, recante  norme  in
materia di  commercio,  artigianato,  alpinismo,  esercizi  pubblici,
turismo e miniere, nella parte in cui detta il nuovo testo  dell'art.
4, comma 8, della legge provinciale 19 maggio 2003, n. 7. 

        
      
 
                              P. Q. M. 
 
    Si chiede che venga dichiarata la  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 9, legge provinciale di Bolzano 13 novembre  2009,  n.  10,
pubblicata nel BUR  n.  48  del  24  novembre  2009  della  Provincia
autonoma  di  Bolzano,  recante  norme  in  materia   di   commercio,
artigianato, alpinismo, esercizi pubblici, turismo e  miniere,  nella
parte in cui detta il nuovo testo dell'art. 4, comma 8,  della  legge
provinciale 19 maggio 2003 n. 7. 
    Si producono la norma impugnata e  per  estratto  copia  conforme
della delibera del Consiglio dei ministri del 13  gennaio  2010  (con
allegata relazione). 
        Roma, addi' 21 gennaio 2010 
 
               L'Avvocato dello Stato: Chiarina Aiello 
 

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