Ricorso n. 90 del 20 settembre (Consigliere regionale di minoranza dell'Umbria Carlo Ripa di Meana)
N. 90 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 20 settembre 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 20 settembre 2004 (del consigliere regionale di
minoranza dell'Umbria Carlo Ripa di Meana)
(GU n. 40 del 13-10-2004)
Ripa di Meana Carlo, consigliere regionale di minoranza
dell'Umbria, rappresentato e difeso, come da delega in margine al
presente atto, dall'avv. Urbano Barelli del Foro di Perugia,
unitamente all'avv. Mario Sanino, presso il cui Studio legale in
Roma, alla Via Parioli n. 180, elegge domicilio ricorre alla Corte
costituzionale perche' sia dichiarata l'illegittimita'
costituzionale, avvero la nullita' o l'inesistenza, dello Statuto
della Regione Umbria, come deliberato dal Consiglio regionale
dell'Umbria nelle sedute del 2 aprile e 29 luglio 2004.
F a t t o
1. - La Regione Umbria ha provveduto all'approvazione del suo
nuovo Statuto mediante atti che, sia in rito che in merito, sono
profondamente lesivi della legalita' costituzionale: si tratta
percio' di approvazione costituzionalmente illegittima, se non nulla
o insistente. Le ragioni sono molteplici: ma precede e prevale su
tutte la considerazione che difetta nel procedimento l'essenziale
c.d. «doppia conforme» delibera (vale a dire, le «due deliberazioni
successive» ai sensi dell'art. 123, secondo comma Cost.), si che in
realta' non si puo' nemmeno parlare di esistenza di un'approvazione
regionale dello Statuto.
2. - Nei fatti, dopo una prima deliberazione del 2 aprile 2004,
il 29 luglio 2004 il Consiglio regionale dell'Umbria - con la
contrarieta' dell'odierno ricorrente - ha nuovamente deliberato circa
la legge sul nuovo Statuto della regione, decidendo in tale seconda
seduta a stretta maggioranza assoluta (17 votanti a favore su 30
componenti) l'approvazione in questione.
Questo Statuto e' stato pubblicato - ai fini notiziali - sul
Bollettino ufficiale della Regione Umbria dell'11 agosto 2004.
A seguito di questa approvazione, il ricorrente denuncio', tra
l'altro, gli enormi vizi che ora vengono qui rappresentati con un
esposto in data 13 agosto 2004 diretto alla Presidenza del Consiglio
dei ministri, al Dipartimento affari giuridici e legislativi della
stessa ed all'Ufficio legislativo del Ministero dell'interno.
Nondimeno, il Consiglio dei ministri, esaminando lo Statuto il 3
settembre 2004 per le sue determinazioni ai sensi dell'art. 123,
secondo comma, Cost., pur avendo deciso di promuovere la questione di
legittimita' costituzionale, si e' poi limitato a contenere il suo
ricorso - a quanto risulta - ad alcuni motivi di merito, tralasciando
singolarmente, evidentemente per ragioni di mera contingenza
politica, il ben piu' radicale e macroscopico vizio in procedendo e,
a quanto pare, il vizio di merito concernente la figura del
consigliere regionale supplente.
Ora il ricorrente, affinche' in un caso di tanta enormita' la
legalita' costituzionale non resti priva di effettivita' e di tutela
nell'inerzia del Governo sul punto e' costretto a rivolgersi
direttamente, analogamente all'amicus curiae della Corte Suprema
statunitense o alla public interest action, alla Corte costituzionale
perche' la legalita' costituzionale sia ripristinata.
D i r i t t o
A) Sulla legittimazione a ricorrere del consigliere regionale
dissidente.
1. - La Costituzione non prevede espressamente, a proposito dello
Statuto regionale, la legittimazione a ricorrere del consigliere
regionale non consenziente. Nondimeno questa e' implicita nel sistema
costituzionale medesimo. Ne sono elementi fondanti, come si vedra',
la garanzia della giuridicita' della Costituzione, il principio di
unita' e indivisibilita' della Repubblica, il carattere
«costituzionale» degli Statuti, la connotazione del loro controllo
preventivo di costituzionalita', la forma di governo a livello
regionale, il rispetto del giusto procedimento costituzionale.
2. - Va subito detto che il vizio in procedendo nella formazione
dello Statuto, costituito dal difetto della «doppia conforme», e' qui
di importanza e rilievo tali che l'enormita' del vulnus alla
Costituzione che ne deriva non puo' rimanere senza riparazione.
L'acquiescenza dell'ordinamento, infatti, di fronte ad una tale
illegalita' (i cui clamorosi tratti concreti sono qui esposti in
seguito), con cui si vorrebbe far passare per esistente
un'approvazione regionale in realta' mai venuta in essere,
significherebbe ridurre la volutamente rigorosa previsione
procedimentale costituzionale a mera opzione, con demolitivi effetti
di precedente in ordine alla precettivita' delle norme costituzionali
stesse.
Numerose sono le considerazioni specifiche che conducono a
ritenere che, se anche l'art. 123, secondo comma, Cost. riconosce
espressamente al Governo la facolta' di promuovere la questione di
legittimita' costituzionale sugli statuti regionali, nondimeno si
tratta di una previsione che non e' esclusiva: anche al Consigliere
regionale che non ha votato a favore spetta una simile facolta',
quanto meno in via successiva rispetto al Governo.
La prima considerazione e' che, diversamente opinando e
racchiudendo la legittimazione a ricorrere nel solo Governo, da un
lato si renderebbe il Governo stesso, con le sue valutazioni di alta
o bassa opportunita' politica (che sono quelle che - come il presente
caso dimostra - fatalmente regolano la decisione del Consiglio dei
ministri al momento del vaglio dello Statuto regionale), arbitro
esclusivo della tutela della legalita' costituzionale: che invece,
per cio' che riguarda l'effettivo ordinamento delle articolazioni
della Repubblica, e' legalita' necessaria e oggettiva e non «di
diritto soggettivo» e sottratta alla liberta' della valutazione
politica; dall'altro si priverebbe un soggetto interessato e
costituzionalmente qualificato - quale appunto il consigliere
regionale, che non ha votato a favore e che ha sollecitato il Governo
ad impugnare - della possibilita' di sollevare una tale questione
nell'interesse generale.
3. - A differenza poi che nello Stato per le funzioni
costituzionali, nella Regione la rappresentanza politica costituisce
l'unico titolo di investitura di funzioni di rilievo statutario. Il
che, in una forma di governo a conseguente totale titolazione e
responsabilita' politica come quella regionale, dove l'intera
dialettica istituzionale si riassume nel rapporto
maggioranza-opposizione, implica - ad evitare un'altrimenti
insindacabile tirannide della maggioranza - che i membri
dell'opposizione consiliare siano, almeno per cio' che riguarda lo
Statuto, titolari anche di una legittimazione come quella in
questione. Non v'e' infatti, nella forma di governo regionale, un
potere di moderazione neutro, superiore e correttivo come quello del
Presidente della Repubblica, che possa ammonire e in ultimo rinviare
le leggi sospette invece di promulgarle e che bilanci cosi'
l'eventuale eccesso della maggioranza assembleare: anzi, il potere di
promulgazione e' assegnato allo stesso massimo esponente di quella
maggioranza politica, il presidente della giunta regionale, cui certo
non puo' riconoscersi un siffatto ruolo. Nulla qui, se non la
giurisdizione o i controlli giuridici, realizza un sistema di checks
and balances, un «potere che controlla il potere» e che arresti la
naturale tendenza espansiva del potere stesso. Ma se l'ingresso alla
giurisdizione viene precluso a chi, tra i soggetti regionali di
rilievo costituzionale, e' portatore dell'interesse concreto al
rispetto delle norme costituzionali, si finirebbe per riconoscere
alla volonta' politica della maggioranza l'emancipazione assoluta
dalla regola giuridica, con lesione immediabile della ragion d'essere
della Costituzione stessa, che e' superiore e permanente limite
giuridico alla contingenza politica. In pratica, si sancirebbe
l'onnipotenza della maggioranza, dunque la negazione stessa del
fondamento del costituzionalismo e la riduzione della Costituzione,
riguardo a questi temi, a «costituzione nominale».
Della volonta' di una siffatta onnipotenza e' documento eloquente
la vicenda che muove questo ricorso: basti porre attenzione a quando,
per disegno politico incurante della negazione del diritto che si
andava a porre in essere, gli appena diciassette consiglieri che
hanno approvato lo Statuto hanno assunto, sfidando il grottesco, che
esisteva, contro la solare evidenza, la conformita' della seconda
deliberazione alla prima.
4. - Non vale eccepire la possibile via del referendum
confermativo. Si tratta infatti di uno strumento di consenso
politico, non di riesame giuridico: quando invece, specie per il
vizio in procedendo del difetto della doppia conforme, la questione
non e' appunto politica, ma di garanzia dell'effettivita'
giuridico-costituzionale. Il che nella specie e' ulteriormente
dimostrato dalla circostanza che la questione che all'ultimo qui si
pone e' quella della inesistenza, o della nullita', dello Statuto
stesso. Il che certo, come il giudizio stesso di legittimita'
costituzionale, non e' materia da referendum confermativo.
5. - La distinzione tra politica e diritto e' qui dirimente,
perche' il tema e' esattamente quello dei limiti giuridici
all'arbitrio politico. Negando una tale legittimazione, si
affiderebbe al solo Governo, e alla sua valutazione politica, la
decisione sull'an e sul quid della cura giuridico-costituzionale
dell'interesse - che e' interesse superiore e generale - al rispetto
della legalita' costituzionale. In quanto interesse generale, esso
appartiene pero' allo Stato- comunita' e, per effetto del principio
rappresentativo, ha come naturale titolare in primis proprio il
consigliere regionale dissidente. E in quanto interesse generale,
l'assenza di un organo espressamente deputato alla sua tutela per
ragioni oggettive non puo' che essere compensata dalla piu' ampia
legittimazione a ricorrere.
La vicenda che qui occupa dimostra quanto si e' appena detto
anche a livello governativo: malgrado la flagrante violazione del
principio della «doppia conforme» ex art. 123, secondo comma, Cost.,
il Governo della Repubblica, benche' allertato anche sul punto in
questione dall'esposto dell'odierno ricorrente, sembra non intenda
far valere in Giustizia costituzionale il vizio in procedendo e
voglia compiere, di fatto, acquiescenza rispetto ad un'inaccettabile
violazione di detta norma. Violazione che offende non la sfera di
competenze dello Stato (della quale il Governo e' legittimo
interprete) ma quella del rispetto procedimento costituzionale: che
appunto non appartiene al Governo o allo Stato-apparato, ma allo
Stato-comunita'.
Se ora non si riconoscesse la legittimazione a ricorrere del
consigliere regionale non consenziente, circa siffatti aspetti che il
Governo non intende impugnare, l'interesse al rispetto, anche in
rito, della legalita' costituzionale resterebbe adespota e relegato a
questione sottoposta alla sola valutazione governativa di
opportunita' politica, con evidente elusione della giuridicita' della
Costituzione rispetto agli Statuti regionali: quando invece la
Costituzione afferma espressamente che lo Statuto deve essere «in
armonia con la Costituzione» (art. 123, primo comma, Cost.). Gli
Statuti regionali compongono infatti, insieme alla Costituzione, un
sistema di definizione dei tratti fondamentali dell'ordinamento
italiano, in cui non possono essere ammesse, per esigenze di
sistematicita' che derivano dal principio superiore di unita' e
indivisibilita' della Repubblica, attenuazioni o aggiramenti di tale
giuridicita'. Ma il ridurre la garanzia alla sola valutazione di
opportunita' politica del Governo significa privarla della sua
essenziale caratteristica, data dalla possibilita' di verifica
giurisdizionale per ragioni di diritto oggettivo. E per questo che
contro l'inerzia in parte qua del Governo nell'impugnare uno Statuto
non e' immaginabile altro rimedio che quello - che qui viene spiegato
- di un'azione, dai caratteri surrogatori, suppletivi e successivi,
del Consigliere regionale dissenziente. Del resto, solo se si prevede
la conseguenza di un tale rimedio all'omissione governativa, si puo'
affermare senza finzioni che il Governo ha il dovere di valutare
giuridicamente e oggettivamente, e non solo politicamente, uno
Statuto regionale.
6. - Cio' da cui non si puo' prescindere e' la posizione
particolare e preminente che ha oggi uno Statuto regionale nel
sistema delle fonti del diritto. Esattamente e' stato in dottrina
osservato che questa fonte e' (sia per il procedimento di
approvazione che per la particolarissima forza) diversa da quella di
una ordinaria legge regionale (B. Caravita, La Costituzione dopo la
riforma del Titolo V, Torino 2002, 53 ss.), che anzi lo Statuto e'
sovraordinato alla legge regionale e assume ormai la veste di una
vera e propria costituzione regionale. Realizzerebbe percio'
un'inammissibile lesione della rammentata doverosa «armonia con la
Costituzione» il circoscriverne la riduzione giustiziale a
conformita' costituzionale ai soli ricorsi in via principale del
Governo o agli eventuali futuri ricorsi incidentali. A parte la
difficolta' (o, per converso, la precarieta' della fonte di diritto)
insita nel rinvenire in ogni legge regionale, o peggio ancora in ogni
misura non legislativa applicativa dello Statuto, una legge affetta
da illegittimita' costituzionale derivata dal vizio procedimentale
originario dello Statuto sulla cui base e' stata formata, e' lo
stesso interesse generale alla certezza e stabilita' delle previsioni
«costituzionali» (quale appunto uno Statuto regionale) a richiedere
che lo strumento e il momento eminenti del vaglio di
costituzionalita' siano in questo caso quelli immediati del ricorso
in via principale: questo interviene infatti al momento genetico di
un siffatto tipo di norma, e non in quello, eventuale e successivo
(anche di molto), dell'incidente di costituzionalita'. Tanto piu'
cio' vale, se si fa questione di un vizio nel procedimento di
approvazione dello Statuto stesso. L'ovvia conseguenza in punto di
legittimazione a ricorrere in via principale e' che va intesa in
senso non esclusivo a favore del Governo e va riconosciuta anche al
componente consiliare.
Si collega a questa supremazia dello Statuto il fatto che il
ricorso di cui all'art. 123 Cost. e' infraprocedimentale e percio'
preventivo (esso va infatti proposto nei trenta giorni dalla
pubblicazione ai fini notiziali, utile anche ai fini del referendum:
U. De Siervo, I nuovi Statuti regionali nel sistema delle fonti, in
AA.VV., Verso una nuova fase costituente delle Regioni. Problemi di
interpretazione della legge costituzionale n. 1 del 1999, Milano
2001, 100 ss.; R. Tosi, Incertezze e ambiguita' nella nuova normativa
statutaria, in Le Regioni, 1999, 847 ss.) e dunque precede la
promulgazione, affinche' la costituzionalita' sia vagliata prima di
essa, quasi come se d'ufficio. Invece l'impugnazione delle ordinarie
leggi regionali, di cui all'art. 127 Cost., e successiva perche'
segue la loro unica pubblicazione e dunque la loro promulgazione.
Questo stesso eccezionale carattere preventivo impone che la
legittimazione a ricorrere vada riconosciuta con maggiore latitudine,
affinche' il vaglio preventivo di costituzionalita' possa essere il
piu' ampio possibile, ad impedire che nell'ordinamento venga immesso,
anche interinalmente, un testo costituzionalmente illegittimo.
7. - In realta', insomma, e' il criterio della titolarita'
dell'interesse a ricorrere, in una con il rilievo costituzionale del
soggetto ricorrente, che conduce ad individuare i soggetti
legittimati a ricorrere avverso l'espressione di una fonte di diritto
di siffatto rango e per vizi cosi' genetici e radicali. E' il caso di
rammentare che, nel diritto civile, l'azione di nullita' compete a
chiunque vi ha interesse (art. 1421 Cod. civ.): la ratio qui e' la
stessa, perche' l'ordinamento intende consentire a tutti, purche' vi
siano interessati, di contestare in giudizio un atto, qui per di piu'
di importanza primaria e generale, talmente viziato; la sua reazione
all'atto totalmente viziato e' infatti quella che si esprime con una
pronuncia del giudice che pone nel nulla l'atto e che viene investito
dalla piu' ampia platea possibile di soggetti. Se questo avviene per
un atto espressivo di autonomia contrattuale, che cioe' regola solo
interessi interprivati, ad assai maggior ragione deve avvenire per un
atto che regola la vita pubblica di una comunita' regionale, come e'
uno Statuto regionale. Cambia la giurisdizione, non cambia il modo
che ha l'ordinamento per affermare la propria giuridicita'.
8. - Non solo: vi e' un ulteriore e primario interesse, proprio
del consigliere regionale, che entra in questione. E' l'interesse a
che al consiglio regionale siano riferiti solo gli atti che esso ha
adottato nel rispetto delle norme costituzionali. Cosi' qui: il
mancato perfezionamento della fattispecie procedimentale
dell'art. 123, secondo comma, Cost. - malgrado gli artifici verbali
circa le mere «correzioni formali», di cui si vedra' - impedisce
radicalmente l'imputazione dello Statuto al Consiglio regionale e per
esso alla Regione Umbria. Ed avverso un'indebita imputazione di un
atto che percio' stesso e' in realta' giuridicamente inesistente, non
puo' che essere riconosciuta legittimazione ad agire in capo al
Consigliere regionale. L'imputazione, infatti, postula le
legittimita' costituzionale del procedimento in concreto seguito e il
consigliere regionale ha interesse a che non siano riconosciuti come
del consiglio regionale atti che, per la mancata formazione del
giusto procedimento costituzionale, non possono essere ad esso
riferiti.
9. - Non avendo il Governo ne' restituito gli atti alla Regione
Umbria (per mancato perfezionamento della fattispecie procedimentale
dell'art. 123, secondo comma, Cost.), ne' promosso sulla mancanza
della «doppia conforme» la questione di legittimita' costituzionale,
la precettivita' necessaria della Costituzione impone di affermare la
legittimazione a ricorrere al consigliere regionale non consenziente.
Ove occorra, potra' la Corte dichiarare d'ufficio, ex art. 27
u.p. legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 31 della stessa legge come mod. dall'art. 9 legge 5 giugno
2003, n. 131, nella parte in cui non afferma la legittimazione a
ricorrere del consigliere regionale che non ha votato per
l'approvazione dello Statuto.
B) Sul merito della prima questione: vizio in procedendo per
violazione dell'art. 23 Cost.
La deliberazione del 29 luglio 2004 non e' conforme a quella del
2 aprile 2004: pertanto non puo' essere idonea ad imputare al
consiglio regionale dell'Umbria la volonta' di legiferare sullo
Statuto. Essa avrebbe dovuto essere restituita dal Governo al
Consiglio regionale, ovvero, nella misura in cui afferma il
contrario, impugnata davanti alla Corte costituzionale anche a tutela
della legalita' costituzionale procedimentale. Infatti, a ben vedere,
non esiste qui ancora un'approvazione regionale dello Statuto.
L'art. 123, secondo comma, Cost. impone che lo Statuto regionale
sia approvato con legge approvata a maggioranza assoluta, con due
deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due
mesi.
La diversita' tra le due delibere e' macroscopica. Il testo
dell'art. 9 dello Statuto dell'Umbria come risultante dalla
deliberazione del 2 aprile 2004 era il seguente:
«Articolo 9 - Comunita' familiare
1. La regione riconosce i diritti della famiglia e adotta ogni
misura idonea a favorire l'adempimento dei compiti che la
Costituzione affida ad essa e tutela le varie forme di convivenza».
Il testo dell'art. 9 come risultante dalla deliberazione del 29
luglio 2004 e' invece il seguente:
«Articolo 9 - Famiglia. Forme di convivenza
La regione riconosce i diritti della famiglia e adotta ogni
misura idonea a favorire l'adempimento dei compiti che la
Costituzione le affida.
Tutela altresi' forme di convivenza».
Come si vede, nella seconda deliberazione la rubrica originaria
(«Comunita' familiare») e' stata sostituita con «Famiglia. Forme di
convivenza»; le parole «affida ad essa» sono sostituite da «le
affida», la susseguente congiunzione «e» e' stata soppressa e l'unico
comma che componeva l'articolo e' stato scomposto in due commi
(singolarmente, non numerati: mentre il precedente unico comma era -
secondo le note regole di formulazione dei testi legislativi 1) -
numerato con il numero «1»); le parole «le varie» sono state
soppresse e sostituite da «altresi».
Una tale modificazione, intervenuta con la seconda deliberazione,
ha evidente carattere sostanziale ed impedisce di poter ritenere
realizzata la fattispecie delle «due deliberazioni successive»
prevista dall'art. 123, secondo comma, Cost.
Il procedimento previsto da questa norma costituzionale non si e'
perfezionato, perche' non v'e' stata la c.d. doppia conforme, che
deve caratterizzare le «due deliberazioni successive» adottate ad
almeno due mesi di distanza. Dunque non vi e' imputabilita' al
Consiglio regionale di una volonta' di legiferare davvero in ambito
statutario.
Una simile doppia deliberazione e' voluta dalla Costituzione -
replicando il modulo della revisione costituzionale di cui
all'art. 138 Cost., dove si usano le stesse parole - perche', dato il
rilievo della fonte che si va ad introdurre, attraverso il ribadire
una medesima volonta' la ponderazione del testo possa essere massima,
l'intenzione della modificazione ben ferma e la sua motivazione
persistente. Il che fa anche considerare quale enorme precedente
sarebbe il tollerare qui siffatta disinvolta violazione della regola.
L'oggetto delle «due deliberazioni successive» deve essere il
medesimo. Diversamente, infatti, non vi e' doppia conforme e la
seconda deliberazione, con cui si modifica il voluto della prima, ha
il valore di una nuova prima deliberazione: per modo che occorrera'
un'ulteriore deliberazione, conforme a quest'ultima, perche' la
fattispecie si realizzi.
E' ovvio che modifiche del testo in sede di seconda
deliberazione, che non si limitino a caratterizzazioni formali ed
estrinseche, ma che siano implicative di modifiche di contenuto,
interrompono la conformita' e realizzano il caso che si e' appena
detto.
Nel caso umbro in esame, e' esattamente questo che e' avvenuto.
Con la sostituzione di una rubrica semplice con una diversa e
composta (da «comunita' familiare» a «Famiglia. Forme di convivenza»)
e con la scomposizione dell'unico comma in due commi (vale a dire,
rompendo l'omogeneita' della partizione in due proposizioni normative
autonome, come insegnano le regole di formulazione dei testi
legislativi 2) ), con la conseguente separazione della tutela delle
forme di convivenza dal riconoscimento dei diritti della famiglia, e
la conseguente attribuzione di carattere aggiuntivo alla tutela della
convivenza (espressa mediante l'«altresi» si e' inteso infatti venire
(parzialmente) incontro alle proteste di quanti affermavano esservi
nell'equiparazione ed omologazione della convivenza (c.d. coppie di
fatto) alla famiglia legittima una ferita ai principi costituzionali
dell'art. 29 Cost. Di piu': attraverso la soppressione del
riferimento alla «varieta» delle forme di convivenza, si e'
analogamente inteso venire incontro alle proteste di quanti
ravvisavano nella previsione una tutela anche delle convivenze
omosessuali. Il che sovverte ulteriormente l'assetto della comunita'
familiare voluto dalla Costituzione, perche' - ben oltre l'ovvia
liberta' di tale convivenza - da' un effetto giuridico di «tutela»
non previsto e non voluto alle unioni di persone del medesimo sesso.
Di tutto cio' e' dato conto dall'ampio dibattito che si e' svolto
sul tema in consiglio regionale nel corso dell'iter del procedimento
e dalle proteste, espresse anche pubblicamente, degli ambienti della
Chiesa cattolica nei confronti dell'originario testo dell'art. 9.
E' il caso di osservare - a proposito della moralita' del modo di
procedere - che una tale modificazione e' il frutto non
dell'approvazione degli emendamenti proposti, tutti respinti, ma di
analoghe formulazioni sconcertantemente introdotte quali «correzioni
formali» (sic), con un uso del tutto abusivo dell'art. 53 del
Regolamento interno del Consiglio (approvato con l.r. Umbria 16
aprile 1998, n. 14) e malgrado il contrario parere di esperti legali
del Consiglio regionale e quanto e' stato eccepito in sede di
dibattito consiliare (cfr. verbale della seduta del Consiglio, pagina
81).
Sono stati artatamente qualificati come correzioni formali veri e
propri emendamenti, che per di piu' avrebbero dovuto essere
dichiarati inammissibili, perche' presentati oltre il termine
previsto (fissato dall'Ordine del giorno del Consiglio regionale del
20 luglio 2004 entro le «ore 12 del 22 luglio 2004») e perche'
concernenti punti gia' decisi dall'assemblea.
Non v'e' dubbio, se si vuole rimanere nei limiti della logica
democratica, che tutto questo trascenda, e di parecchio, i limiti di
un aggiustamento di forme («correzioni formali») e voglia anzi
espressamente significare una incisiva modifica di sostanza. Lungi
dal costituire una rettifica formale della prima, la seconda
deliberazione costituisce intenzionalmente una diversa deliberazione,
perche' da' volutamente, per espressa ragion politica, alla
disposizione e alle sue parole un significato affatto diverso da
quello originario.
Vi e' stato dunque, con la seconda deliberazione, un diverso
volere legislativo e non si e' realizzato quell'atto complesso,
composto di due deliberazioni intrinsecamente conformi, che deve
caratterizzare il procedimento costituzionalmente stabilito secondo
l'inderogabile previsione dell'art. 123, secondo comma, della
Costituzione.
E' appena il caso di rilevare che, trattandosi di una diretta
violazione della norma costituzionale (art. 123, secondo comma,
Cost.), si tratta di una illegittimita' che non puo' essere relegata
tra gli interna corporis del procedimento legislativo: e' infatti la
Costituzione a prescrivere «direttamente ed espressamente» la doppia
conforme e ogni elusione o violazione in concreto del precetto si
traduce in una violazione diretta, ed in una disapplicazione, della
Costituzione stessa, cioe' dell'ordinamento generale e
costituzionale, non gia' dell'ordinamento interno della sola
assemblea legislativa. Vi e' percio' un vizio «esterno», censurabile
proprio in questa sede di legittimita' costituzionale. E' ben nota la
giurisprudenza costituzionale al riguardo (cfr. Corte cost., sentt. 9
marzo 1959, n. 9 e 29 marzo 1984, n. 78). Ed e' appena il caso di
sottolineare che la conformita' tra le due delibere e' questione di
fatto, non di diritto: che le due deliberazioni abbiano o meno lo
stesso testo e' una realta' oggettiva, non modificabile
nominalisticamente e a piacimento della stessa maggioranza
interessata a negarla. Quindi il consiglio regionale non ha il potere
di contro il vero, qualificare tale fatto e attestare come esistente
una conformita' che invece non sussiste. Se diversamente fosse, la
non conformita' diverrebbe ovviamente mai sindacabile e la norma
dell'art. 123, secondo comma, inutiliter data.
Vi e' stata dunque, con la seconda delibera di approvazione e gli
atti conseguenti, una flagrante violazione del procedimento
dell'art. 123, secondo comma, Cost. Non vi e', allora, uno Statuto
approvato dal consiglio regionale.
C) Sul merito della seconda questione: violazione di norme
costituzionali sostanziali. Violazione degli artt. 3, 121, 122, 123 e
67 Cost.; della insindacabilita' e del divieto di mandato imperativo
per i consiglieri «supplenti» e della configurazione costituzionale
del Consiglio regionale.
Il testo deliberato il 29 luglio e' altresi' lesivo di altre
previsioni costituzionali. In particolare, l'art. 66 del deliberato
Statuto stabilisce:
«Articolo 66 - Incompatibilita' e supplenza
1. La carica di componente della Giunta e' incompatibile con
quella di Consigliere regionale.
2. Al Consigliere regionale nominato membro della Giunta subentra
il primo tra i candidati non eletti nella stessa lista, secondo le
modalita' stabilite dalla legge elettorale. Il subentrante dura in
carica per tutto il periodo in cui il Consigliere mantiene la carica
di Assessore.
3. Qualora prima della fine della legislatura il Consigliere
nominato Assessore venga revocato o si dimetta dalla carica, riassume
le funzioni di Consigliere con effetto dalla data di comunicazione al
Consiglio regionale».
Questa previsione non solo introduce una figura, il consigliere
regionale supplente o subentrante, non prevista ai sensi
dell'art. 122, primo comma, Cost. (che demanda alla legge statale
stabilire i principi fondamentali circa le incompatibilita' dei
consiglieri regionali: e una tale discendente previsione non e' stata
in quella sede stabilita) e dunque viola la detta norma
costituzionale, ma anche contraddice il principio, essenziale del
regime rappresentativo, da cui nasce il divieto di mandato imperativo
(e che trova un'espressione nell'art. 67 Cost.).
Oltre infatti a determinare una moltiplicazione di spese e un
deprecabile sostituirsi e confondersi di seggi, questa nuova figura
comporta un'evidente violazione dell'art. 122 della Costituzione
(sulle immunita' dei consiglieri regionali) e del principio
costituzionale del divieto di mandato imperativo (cfr. art. 67
Cost.), immanente al regime rappresentativo (anche ove non
esplicitato) ed esplicitato comunque dall'articolo 57, comma 1, dello
stesso nuovo Statuto regionale dell'Umbria, a norma del quale «I
Consiglieri regionali rappresentano l'intera Regione senza vincolo di
mandato».
La conseguenza e' anche una violazione dell'art. 3 Cost., perche'
si avranno due tipi di consigliere regionale, a status differenziato,
dove il consigliere del genere «supplente» avra' minori garanzie
dell'ordinario: praticamente un consigliere capitis deminutus.
Che questo realizzi una violazione del principio del divieto di
mandato imperativo e del principio della autonomia e della liberta'
del volere dell'eletto rappresentante del popoio, e della pari sua
dignita' rispetto ai colleghi, di cui e' espressione, sara' evidente
nel caso in cui il supplente assuma, con i suoi voti o la sua
opinione, una posizione sgradita alla giunta.
E' realistico infatti che il supplente, non godendo della
medesima «inamovibilita» per tutto il mandato di cui gode il
consigliere ordinario ed essendo invece per definizione precario per
fatto altrui, sarebbe in tal caso esposto ad una revoca ad hoc,
mediante apposita restituzione del supplito alla sua originaria
funzione di consigliere (previa cessazione da quella di componente
della giunta).
Occorre considerare che il divieto di mandato imperativo e
comunque l'intrinseca natura del regime rappresentativo, di cui e' un
corollario e che si esprime anche attraverso la rammentata
insindacabilita', comportano che il giudizio sull'operato del
parlamentare, o del consigliere regionale, possa essere espresso dal
solo corpo elettorale e alla fine del mandato elettorale: il che
implica che non puo' essere consentita la revoca nel corso del
mandato (C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, 9ª ed., Padova
1975, 461).
Non basta: qui si avrebbe anche l'enorme aggravante - rispetto
alla tutela della liberta' del volere dell'eletto - che la revoca
verrebbe operata non gia' dal corpo elettorale, di fronte al quale
egli pur sempre risponde politicamente, bensi' dall'esecutivo
regionale, vale a dire dall'organo sottoposto al controllo politico
del consiglio, cioe' - con evidente paradosso - dall'organo che e'
politicamente responsabile davanti al consiglio e comunque sottoposto
al suo controllo politico: praticamente, il controllato potrebbe
rimuovere a piacimento (con una virtuale lettre de cachet) il
controllore, con sconcertante alterazione del principio di equilibrio
tra i poteri.
Di piu': il principio rappresentativo non ammette soluzione di
continuita' circa il mandato dell'eletto: o si e' rappresentanti
dell'elettorato e lo si e' per tutto il mandato, o non lo si e' piu'.
Invece, con la previsione in esame, il mandato stesso viene
interrotto, creando un'inammissibile sospensione nel corso della
legislatura e spezzando lo stesso rapporto di rappresentanza
politica.
Una tale deminutio capitis e' consequenziale all'aberrazione
intrinseca della figura, che e' ben diversa da quella del
subentrante, ad es., per elezioni suppletive, il quale gode, per il
resto del mandato consiliare, della medesima inamovibilita' del
consigliere ordinario.
La norma si palesa incostituzionale anche sotto un altro profilo,
costituito dalla violazione degli artt. 121, 122 e 123 Cost., nella
parte in cui configurano la composizione del Consiglio regionale
senza distinguere categorie a status differenziato di consiglieri
regionali, e nel superamento dei principi fondamentali delle leggi
della Repubblica in tema di incompatibilita' (come previsto, in
particolare, dall'art. 122, primo comma): nessuno di quei principi
fondamentali prevede infatti un siffatta incompatibilita' e,
soprattutto, un tale asimmetrico rimedio per farvi fronte.
Si deve infine considerare che, poiche' la giunta puo' essere di
dieci componenti (art. 67, comma 2) e il Consiglio e' di trentasette
(art. 42, comma 1), si puo' giungere ad un consiglio che, di fatto,
e' composto da piu' di un quarto di soggetti che il corpo elettorale
non ha eletto: con il che si vulnera gravemente ed oltre ogni
ragionevole misura il principio rappresentativo e democratico.
D) Violazione dell'art. 29, e dell'art. 117, secondo comma, lett. i)
Cost.
Si aggiunge a quanto sopra, per il suo valore, quanto segue, che
pure forma, a quanto pare, oggetto della impugnazione governativa.
La modifica dell'art. 9 di cui si e' detto, pur concretizzando
una violazione del procedimento dell'art. 123, secondo comma, Cost.,
non riesce comunque ad emancipare il testo dall'addebito di
violazione della norma sostanziale dell'art. 29 (e 30 e 31) Cost.,
che «riconosce i diritti della famiglia come societa' naturale
fondata sul matrimonio».
Vela la pena a questo proposito di menzionare alcune sconcertate
reazioni che la nuova «tutela» di convivenze non basate sul
matrimonio ha ingenerato. Il testo della seconda deliberazione
rappresenta, a detta dell'Arcivescovo di Perugia Mons. Giuseppe
Chiaretti, Presidente della Conferenza Episcopale Umbra «lo statuto
delle ambiguita». In un articolo sul settimanale diocesano «La Voce»
del 6 agosto 2004 (www.lavoce.it), e in un comunicato ANSA del 5
agosto 2004, egli esattamente sottolinea che «la famiglia e' stata
considerata come una variabile tra tante forme di convivenza
possibili, che non vogliono pero' accedere alla struttura impegnativa
e pubblica del matrimonio-famiglia, ma ne esigono tutta la tutela
"come se" fossero matrimonio e famiglia. Il che e' un controsenso
giuridico oltre che morale, un "vulnus" arrecato alla stabilita'
della famiglia, che non manchera' di pesare gravemente sul partner
piu' fragile e soprattutto sui figli, e di riflesso sulla societa».
Al di la' delle ben condivisibili opinioni del Presidente della
Conferenza Episcopale Umbra, resta evidente a tutti, anche a quanto
si riferiscono ad una accezione laica della comunita' familiare, che
la previsione statutaria dell'art. 9 viola l'art. 29 (e 30 e 31)
Cost., che non ammette forme di «tutela» della famiglia se non e'
basata sul matrimonio, religioso o civile che sia. Il che, del resto,
e' proprio l'applicazione del piu' laico dei principi, che e' quello
di responsabilita', che vuole i diritti si accompagnino ai doveri:
come appunto col matrimonio avviene.
Ovviamente, nulla impedisce e deve impedire la convivenza delle
coppie di fatto: ma proprio perche' si tratta di una scelta di
liberta' dei singoli, che come non si vuole comporti vincoli e
doveri, cosi' non comporta nemmeno i diritti che nascono dal
matrimonio. Ma lo Statuto non si limita a riconoscere, se mai ve ne
fosse bisogno, una tale liberta': con la parola «tutela» si spinge
piuttosto ad impegnare la Regione ad agire attivamente a protezione
della convivenza di fatto ogniqualvolta si attribuiscano al nucleo di
conviventi diritti e opportunita', con l'effetto di una parificazione
alla famiglia di diritto e della riduzione del matrimonio ad opzione
ad effetto meramente morale ed esternamente carica solo di doveri.
Con la previsione di questa «tutela» si introduce la regola del
riconoscimento e della garanzia attiva di pretese analoghe o eguali a
quelle che nascono dal matrimonio; il che e' contrario alla ricordata
norma della Costituzione, che vuol rendere inutiliter data, e ne
vanifica il presupposto. Il risultato che si vuole e' quello della
equiparazione delle coppie (anche omosessuali, si noti bene) e delle
famiglie di fatto e quelle di diritto.
Oltre questo, vi e' da parte della regione una palese usurpazione
di competenze statali, perche' la previsione in questione non rientra
nelle competenze regionali: trattandosi di questione inerente
l'ordinamento dello stato civile, e' infatti materia di esclusiva
spettanza legislativa statale (art. 117, secondo comma, lett. i)
Cost.). Per simile motivo il Governo ha poche settimane addietro
impugnato lo Statuto della Regione Toscana.
1) Cfr. § 7 - Partizione interne degli articoli, di cui
alle note circolari di Presidenza del Consiglio, Senato e
Camera del maggio 2001, secondo cui «Il comma termina con
i/punto a capo», «Tutti gli atti legislati vi sono redatti
con i commi numerati», «Il comma unico di un articolo e'
contrassegnato con il numero cardinale "I"» e «Ogni comma
puo' suddividersi in periodi, cioe' in frasi
sintatticamente complete che terminano con il punto, senza
andare a capo».
2) Cfr. § 2 - Aspetti generali dell'atto legislativo, di
cui alle citate circolari, secondo cui «La ripartizione
delle materie all'interno dell'atto e' operata assicurando
il carattere omogeneo di ciascuna partizione ivi compreso
l'articolo, nonche' di ciascun comma all'interno
dell'articolo».
P. Q. M.
Voglia la Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita'
costituzionale, ovvero la nullita' o l'inesistenza, dello Statuto
della Regione Umbria, e in subordine degli articoli 9 e 66, come
deliberato dal Consiglio regionale dell'Umbria nelle sedute del 2
aprile e 29 luglio 2004.
Con vittoria di spese, funzioni e onorari.
Si producono:
1) supplemento ordinario n. 1 al «Bollettino Ufficiale» -
serie generale - n. 33 dell'11 agosto 2004 della Regione Umbria,
contenente lo Statuto come approvato;
2) verbale delle sedute 2 aprile 2004 e 29 luglio 2004 del
Consiglio regionale, con testo dello Statuto come approvato nella
prima di queste;
3) nota del Consigliere regionale Carlo Ripa Di Meana in data
13 agosto 2004, diretta alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed
all'Ufficio legislativo del Ministero dell'interno.
Roma - Perugia, addi' 10 settembre 2004
Avv. Urbano Barelli - Avv. Mario Sanino
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 20 settembre 2004 (del consigliere regionale di
minoranza dell'Umbria Carlo Ripa di Meana)
(GU n. 40 del 13-10-2004)
Ripa di Meana Carlo, consigliere regionale di minoranza
dell'Umbria, rappresentato e difeso, come da delega in margine al
presente atto, dall'avv. Urbano Barelli del Foro di Perugia,
unitamente all'avv. Mario Sanino, presso il cui Studio legale in
Roma, alla Via Parioli n. 180, elegge domicilio ricorre alla Corte
costituzionale perche' sia dichiarata l'illegittimita'
costituzionale, avvero la nullita' o l'inesistenza, dello Statuto
della Regione Umbria, come deliberato dal Consiglio regionale
dell'Umbria nelle sedute del 2 aprile e 29 luglio 2004.
F a t t o
1. - La Regione Umbria ha provveduto all'approvazione del suo
nuovo Statuto mediante atti che, sia in rito che in merito, sono
profondamente lesivi della legalita' costituzionale: si tratta
percio' di approvazione costituzionalmente illegittima, se non nulla
o insistente. Le ragioni sono molteplici: ma precede e prevale su
tutte la considerazione che difetta nel procedimento l'essenziale
c.d. «doppia conforme» delibera (vale a dire, le «due deliberazioni
successive» ai sensi dell'art. 123, secondo comma Cost.), si che in
realta' non si puo' nemmeno parlare di esistenza di un'approvazione
regionale dello Statuto.
2. - Nei fatti, dopo una prima deliberazione del 2 aprile 2004,
il 29 luglio 2004 il Consiglio regionale dell'Umbria - con la
contrarieta' dell'odierno ricorrente - ha nuovamente deliberato circa
la legge sul nuovo Statuto della regione, decidendo in tale seconda
seduta a stretta maggioranza assoluta (17 votanti a favore su 30
componenti) l'approvazione in questione.
Questo Statuto e' stato pubblicato - ai fini notiziali - sul
Bollettino ufficiale della Regione Umbria dell'11 agosto 2004.
A seguito di questa approvazione, il ricorrente denuncio', tra
l'altro, gli enormi vizi che ora vengono qui rappresentati con un
esposto in data 13 agosto 2004 diretto alla Presidenza del Consiglio
dei ministri, al Dipartimento affari giuridici e legislativi della
stessa ed all'Ufficio legislativo del Ministero dell'interno.
Nondimeno, il Consiglio dei ministri, esaminando lo Statuto il 3
settembre 2004 per le sue determinazioni ai sensi dell'art. 123,
secondo comma, Cost., pur avendo deciso di promuovere la questione di
legittimita' costituzionale, si e' poi limitato a contenere il suo
ricorso - a quanto risulta - ad alcuni motivi di merito, tralasciando
singolarmente, evidentemente per ragioni di mera contingenza
politica, il ben piu' radicale e macroscopico vizio in procedendo e,
a quanto pare, il vizio di merito concernente la figura del
consigliere regionale supplente.
Ora il ricorrente, affinche' in un caso di tanta enormita' la
legalita' costituzionale non resti priva di effettivita' e di tutela
nell'inerzia del Governo sul punto e' costretto a rivolgersi
direttamente, analogamente all'amicus curiae della Corte Suprema
statunitense o alla public interest action, alla Corte costituzionale
perche' la legalita' costituzionale sia ripristinata.
D i r i t t o
A) Sulla legittimazione a ricorrere del consigliere regionale
dissidente.
1. - La Costituzione non prevede espressamente, a proposito dello
Statuto regionale, la legittimazione a ricorrere del consigliere
regionale non consenziente. Nondimeno questa e' implicita nel sistema
costituzionale medesimo. Ne sono elementi fondanti, come si vedra',
la garanzia della giuridicita' della Costituzione, il principio di
unita' e indivisibilita' della Repubblica, il carattere
«costituzionale» degli Statuti, la connotazione del loro controllo
preventivo di costituzionalita', la forma di governo a livello
regionale, il rispetto del giusto procedimento costituzionale.
2. - Va subito detto che il vizio in procedendo nella formazione
dello Statuto, costituito dal difetto della «doppia conforme», e' qui
di importanza e rilievo tali che l'enormita' del vulnus alla
Costituzione che ne deriva non puo' rimanere senza riparazione.
L'acquiescenza dell'ordinamento, infatti, di fronte ad una tale
illegalita' (i cui clamorosi tratti concreti sono qui esposti in
seguito), con cui si vorrebbe far passare per esistente
un'approvazione regionale in realta' mai venuta in essere,
significherebbe ridurre la volutamente rigorosa previsione
procedimentale costituzionale a mera opzione, con demolitivi effetti
di precedente in ordine alla precettivita' delle norme costituzionali
stesse.
Numerose sono le considerazioni specifiche che conducono a
ritenere che, se anche l'art. 123, secondo comma, Cost. riconosce
espressamente al Governo la facolta' di promuovere la questione di
legittimita' costituzionale sugli statuti regionali, nondimeno si
tratta di una previsione che non e' esclusiva: anche al Consigliere
regionale che non ha votato a favore spetta una simile facolta',
quanto meno in via successiva rispetto al Governo.
La prima considerazione e' che, diversamente opinando e
racchiudendo la legittimazione a ricorrere nel solo Governo, da un
lato si renderebbe il Governo stesso, con le sue valutazioni di alta
o bassa opportunita' politica (che sono quelle che - come il presente
caso dimostra - fatalmente regolano la decisione del Consiglio dei
ministri al momento del vaglio dello Statuto regionale), arbitro
esclusivo della tutela della legalita' costituzionale: che invece,
per cio' che riguarda l'effettivo ordinamento delle articolazioni
della Repubblica, e' legalita' necessaria e oggettiva e non «di
diritto soggettivo» e sottratta alla liberta' della valutazione
politica; dall'altro si priverebbe un soggetto interessato e
costituzionalmente qualificato - quale appunto il consigliere
regionale, che non ha votato a favore e che ha sollecitato il Governo
ad impugnare - della possibilita' di sollevare una tale questione
nell'interesse generale.
3. - A differenza poi che nello Stato per le funzioni
costituzionali, nella Regione la rappresentanza politica costituisce
l'unico titolo di investitura di funzioni di rilievo statutario. Il
che, in una forma di governo a conseguente totale titolazione e
responsabilita' politica come quella regionale, dove l'intera
dialettica istituzionale si riassume nel rapporto
maggioranza-opposizione, implica - ad evitare un'altrimenti
insindacabile tirannide della maggioranza - che i membri
dell'opposizione consiliare siano, almeno per cio' che riguarda lo
Statuto, titolari anche di una legittimazione come quella in
questione. Non v'e' infatti, nella forma di governo regionale, un
potere di moderazione neutro, superiore e correttivo come quello del
Presidente della Repubblica, che possa ammonire e in ultimo rinviare
le leggi sospette invece di promulgarle e che bilanci cosi'
l'eventuale eccesso della maggioranza assembleare: anzi, il potere di
promulgazione e' assegnato allo stesso massimo esponente di quella
maggioranza politica, il presidente della giunta regionale, cui certo
non puo' riconoscersi un siffatto ruolo. Nulla qui, se non la
giurisdizione o i controlli giuridici, realizza un sistema di checks
and balances, un «potere che controlla il potere» e che arresti la
naturale tendenza espansiva del potere stesso. Ma se l'ingresso alla
giurisdizione viene precluso a chi, tra i soggetti regionali di
rilievo costituzionale, e' portatore dell'interesse concreto al
rispetto delle norme costituzionali, si finirebbe per riconoscere
alla volonta' politica della maggioranza l'emancipazione assoluta
dalla regola giuridica, con lesione immediabile della ragion d'essere
della Costituzione stessa, che e' superiore e permanente limite
giuridico alla contingenza politica. In pratica, si sancirebbe
l'onnipotenza della maggioranza, dunque la negazione stessa del
fondamento del costituzionalismo e la riduzione della Costituzione,
riguardo a questi temi, a «costituzione nominale».
Della volonta' di una siffatta onnipotenza e' documento eloquente
la vicenda che muove questo ricorso: basti porre attenzione a quando,
per disegno politico incurante della negazione del diritto che si
andava a porre in essere, gli appena diciassette consiglieri che
hanno approvato lo Statuto hanno assunto, sfidando il grottesco, che
esisteva, contro la solare evidenza, la conformita' della seconda
deliberazione alla prima.
4. - Non vale eccepire la possibile via del referendum
confermativo. Si tratta infatti di uno strumento di consenso
politico, non di riesame giuridico: quando invece, specie per il
vizio in procedendo del difetto della doppia conforme, la questione
non e' appunto politica, ma di garanzia dell'effettivita'
giuridico-costituzionale. Il che nella specie e' ulteriormente
dimostrato dalla circostanza che la questione che all'ultimo qui si
pone e' quella della inesistenza, o della nullita', dello Statuto
stesso. Il che certo, come il giudizio stesso di legittimita'
costituzionale, non e' materia da referendum confermativo.
5. - La distinzione tra politica e diritto e' qui dirimente,
perche' il tema e' esattamente quello dei limiti giuridici
all'arbitrio politico. Negando una tale legittimazione, si
affiderebbe al solo Governo, e alla sua valutazione politica, la
decisione sull'an e sul quid della cura giuridico-costituzionale
dell'interesse - che e' interesse superiore e generale - al rispetto
della legalita' costituzionale. In quanto interesse generale, esso
appartiene pero' allo Stato- comunita' e, per effetto del principio
rappresentativo, ha come naturale titolare in primis proprio il
consigliere regionale dissidente. E in quanto interesse generale,
l'assenza di un organo espressamente deputato alla sua tutela per
ragioni oggettive non puo' che essere compensata dalla piu' ampia
legittimazione a ricorrere.
La vicenda che qui occupa dimostra quanto si e' appena detto
anche a livello governativo: malgrado la flagrante violazione del
principio della «doppia conforme» ex art. 123, secondo comma, Cost.,
il Governo della Repubblica, benche' allertato anche sul punto in
questione dall'esposto dell'odierno ricorrente, sembra non intenda
far valere in Giustizia costituzionale il vizio in procedendo e
voglia compiere, di fatto, acquiescenza rispetto ad un'inaccettabile
violazione di detta norma. Violazione che offende non la sfera di
competenze dello Stato (della quale il Governo e' legittimo
interprete) ma quella del rispetto procedimento costituzionale: che
appunto non appartiene al Governo o allo Stato-apparato, ma allo
Stato-comunita'.
Se ora non si riconoscesse la legittimazione a ricorrere del
consigliere regionale non consenziente, circa siffatti aspetti che il
Governo non intende impugnare, l'interesse al rispetto, anche in
rito, della legalita' costituzionale resterebbe adespota e relegato a
questione sottoposta alla sola valutazione governativa di
opportunita' politica, con evidente elusione della giuridicita' della
Costituzione rispetto agli Statuti regionali: quando invece la
Costituzione afferma espressamente che lo Statuto deve essere «in
armonia con la Costituzione» (art. 123, primo comma, Cost.). Gli
Statuti regionali compongono infatti, insieme alla Costituzione, un
sistema di definizione dei tratti fondamentali dell'ordinamento
italiano, in cui non possono essere ammesse, per esigenze di
sistematicita' che derivano dal principio superiore di unita' e
indivisibilita' della Repubblica, attenuazioni o aggiramenti di tale
giuridicita'. Ma il ridurre la garanzia alla sola valutazione di
opportunita' politica del Governo significa privarla della sua
essenziale caratteristica, data dalla possibilita' di verifica
giurisdizionale per ragioni di diritto oggettivo. E per questo che
contro l'inerzia in parte qua del Governo nell'impugnare uno Statuto
non e' immaginabile altro rimedio che quello - che qui viene spiegato
- di un'azione, dai caratteri surrogatori, suppletivi e successivi,
del Consigliere regionale dissenziente. Del resto, solo se si prevede
la conseguenza di un tale rimedio all'omissione governativa, si puo'
affermare senza finzioni che il Governo ha il dovere di valutare
giuridicamente e oggettivamente, e non solo politicamente, uno
Statuto regionale.
6. - Cio' da cui non si puo' prescindere e' la posizione
particolare e preminente che ha oggi uno Statuto regionale nel
sistema delle fonti del diritto. Esattamente e' stato in dottrina
osservato che questa fonte e' (sia per il procedimento di
approvazione che per la particolarissima forza) diversa da quella di
una ordinaria legge regionale (B. Caravita, La Costituzione dopo la
riforma del Titolo V, Torino 2002, 53 ss.), che anzi lo Statuto e'
sovraordinato alla legge regionale e assume ormai la veste di una
vera e propria costituzione regionale. Realizzerebbe percio'
un'inammissibile lesione della rammentata doverosa «armonia con la
Costituzione» il circoscriverne la riduzione giustiziale a
conformita' costituzionale ai soli ricorsi in via principale del
Governo o agli eventuali futuri ricorsi incidentali. A parte la
difficolta' (o, per converso, la precarieta' della fonte di diritto)
insita nel rinvenire in ogni legge regionale, o peggio ancora in ogni
misura non legislativa applicativa dello Statuto, una legge affetta
da illegittimita' costituzionale derivata dal vizio procedimentale
originario dello Statuto sulla cui base e' stata formata, e' lo
stesso interesse generale alla certezza e stabilita' delle previsioni
«costituzionali» (quale appunto uno Statuto regionale) a richiedere
che lo strumento e il momento eminenti del vaglio di
costituzionalita' siano in questo caso quelli immediati del ricorso
in via principale: questo interviene infatti al momento genetico di
un siffatto tipo di norma, e non in quello, eventuale e successivo
(anche di molto), dell'incidente di costituzionalita'. Tanto piu'
cio' vale, se si fa questione di un vizio nel procedimento di
approvazione dello Statuto stesso. L'ovvia conseguenza in punto di
legittimazione a ricorrere in via principale e' che va intesa in
senso non esclusivo a favore del Governo e va riconosciuta anche al
componente consiliare.
Si collega a questa supremazia dello Statuto il fatto che il
ricorso di cui all'art. 123 Cost. e' infraprocedimentale e percio'
preventivo (esso va infatti proposto nei trenta giorni dalla
pubblicazione ai fini notiziali, utile anche ai fini del referendum:
U. De Siervo, I nuovi Statuti regionali nel sistema delle fonti, in
AA.VV., Verso una nuova fase costituente delle Regioni. Problemi di
interpretazione della legge costituzionale n. 1 del 1999, Milano
2001, 100 ss.; R. Tosi, Incertezze e ambiguita' nella nuova normativa
statutaria, in Le Regioni, 1999, 847 ss.) e dunque precede la
promulgazione, affinche' la costituzionalita' sia vagliata prima di
essa, quasi come se d'ufficio. Invece l'impugnazione delle ordinarie
leggi regionali, di cui all'art. 127 Cost., e successiva perche'
segue la loro unica pubblicazione e dunque la loro promulgazione.
Questo stesso eccezionale carattere preventivo impone che la
legittimazione a ricorrere vada riconosciuta con maggiore latitudine,
affinche' il vaglio preventivo di costituzionalita' possa essere il
piu' ampio possibile, ad impedire che nell'ordinamento venga immesso,
anche interinalmente, un testo costituzionalmente illegittimo.
7. - In realta', insomma, e' il criterio della titolarita'
dell'interesse a ricorrere, in una con il rilievo costituzionale del
soggetto ricorrente, che conduce ad individuare i soggetti
legittimati a ricorrere avverso l'espressione di una fonte di diritto
di siffatto rango e per vizi cosi' genetici e radicali. E' il caso di
rammentare che, nel diritto civile, l'azione di nullita' compete a
chiunque vi ha interesse (art. 1421 Cod. civ.): la ratio qui e' la
stessa, perche' l'ordinamento intende consentire a tutti, purche' vi
siano interessati, di contestare in giudizio un atto, qui per di piu'
di importanza primaria e generale, talmente viziato; la sua reazione
all'atto totalmente viziato e' infatti quella che si esprime con una
pronuncia del giudice che pone nel nulla l'atto e che viene investito
dalla piu' ampia platea possibile di soggetti. Se questo avviene per
un atto espressivo di autonomia contrattuale, che cioe' regola solo
interessi interprivati, ad assai maggior ragione deve avvenire per un
atto che regola la vita pubblica di una comunita' regionale, come e'
uno Statuto regionale. Cambia la giurisdizione, non cambia il modo
che ha l'ordinamento per affermare la propria giuridicita'.
8. - Non solo: vi e' un ulteriore e primario interesse, proprio
del consigliere regionale, che entra in questione. E' l'interesse a
che al consiglio regionale siano riferiti solo gli atti che esso ha
adottato nel rispetto delle norme costituzionali. Cosi' qui: il
mancato perfezionamento della fattispecie procedimentale
dell'art. 123, secondo comma, Cost. - malgrado gli artifici verbali
circa le mere «correzioni formali», di cui si vedra' - impedisce
radicalmente l'imputazione dello Statuto al Consiglio regionale e per
esso alla Regione Umbria. Ed avverso un'indebita imputazione di un
atto che percio' stesso e' in realta' giuridicamente inesistente, non
puo' che essere riconosciuta legittimazione ad agire in capo al
Consigliere regionale. L'imputazione, infatti, postula le
legittimita' costituzionale del procedimento in concreto seguito e il
consigliere regionale ha interesse a che non siano riconosciuti come
del consiglio regionale atti che, per la mancata formazione del
giusto procedimento costituzionale, non possono essere ad esso
riferiti.
9. - Non avendo il Governo ne' restituito gli atti alla Regione
Umbria (per mancato perfezionamento della fattispecie procedimentale
dell'art. 123, secondo comma, Cost.), ne' promosso sulla mancanza
della «doppia conforme» la questione di legittimita' costituzionale,
la precettivita' necessaria della Costituzione impone di affermare la
legittimazione a ricorrere al consigliere regionale non consenziente.
Ove occorra, potra' la Corte dichiarare d'ufficio, ex art. 27
u.p. legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 31 della stessa legge come mod. dall'art. 9 legge 5 giugno
2003, n. 131, nella parte in cui non afferma la legittimazione a
ricorrere del consigliere regionale che non ha votato per
l'approvazione dello Statuto.
B) Sul merito della prima questione: vizio in procedendo per
violazione dell'art. 23 Cost.
La deliberazione del 29 luglio 2004 non e' conforme a quella del
2 aprile 2004: pertanto non puo' essere idonea ad imputare al
consiglio regionale dell'Umbria la volonta' di legiferare sullo
Statuto. Essa avrebbe dovuto essere restituita dal Governo al
Consiglio regionale, ovvero, nella misura in cui afferma il
contrario, impugnata davanti alla Corte costituzionale anche a tutela
della legalita' costituzionale procedimentale. Infatti, a ben vedere,
non esiste qui ancora un'approvazione regionale dello Statuto.
L'art. 123, secondo comma, Cost. impone che lo Statuto regionale
sia approvato con legge approvata a maggioranza assoluta, con due
deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due
mesi.
La diversita' tra le due delibere e' macroscopica. Il testo
dell'art. 9 dello Statuto dell'Umbria come risultante dalla
deliberazione del 2 aprile 2004 era il seguente:
«Articolo 9 - Comunita' familiare
1. La regione riconosce i diritti della famiglia e adotta ogni
misura idonea a favorire l'adempimento dei compiti che la
Costituzione affida ad essa e tutela le varie forme di convivenza».
Il testo dell'art. 9 come risultante dalla deliberazione del 29
luglio 2004 e' invece il seguente:
«Articolo 9 - Famiglia. Forme di convivenza
La regione riconosce i diritti della famiglia e adotta ogni
misura idonea a favorire l'adempimento dei compiti che la
Costituzione le affida.
Tutela altresi' forme di convivenza».
Come si vede, nella seconda deliberazione la rubrica originaria
(«Comunita' familiare») e' stata sostituita con «Famiglia. Forme di
convivenza»; le parole «affida ad essa» sono sostituite da «le
affida», la susseguente congiunzione «e» e' stata soppressa e l'unico
comma che componeva l'articolo e' stato scomposto in due commi
(singolarmente, non numerati: mentre il precedente unico comma era -
secondo le note regole di formulazione dei testi legislativi 1) -
numerato con il numero «1»); le parole «le varie» sono state
soppresse e sostituite da «altresi».
Una tale modificazione, intervenuta con la seconda deliberazione,
ha evidente carattere sostanziale ed impedisce di poter ritenere
realizzata la fattispecie delle «due deliberazioni successive»
prevista dall'art. 123, secondo comma, Cost.
Il procedimento previsto da questa norma costituzionale non si e'
perfezionato, perche' non v'e' stata la c.d. doppia conforme, che
deve caratterizzare le «due deliberazioni successive» adottate ad
almeno due mesi di distanza. Dunque non vi e' imputabilita' al
Consiglio regionale di una volonta' di legiferare davvero in ambito
statutario.
Una simile doppia deliberazione e' voluta dalla Costituzione -
replicando il modulo della revisione costituzionale di cui
all'art. 138 Cost., dove si usano le stesse parole - perche', dato il
rilievo della fonte che si va ad introdurre, attraverso il ribadire
una medesima volonta' la ponderazione del testo possa essere massima,
l'intenzione della modificazione ben ferma e la sua motivazione
persistente. Il che fa anche considerare quale enorme precedente
sarebbe il tollerare qui siffatta disinvolta violazione della regola.
L'oggetto delle «due deliberazioni successive» deve essere il
medesimo. Diversamente, infatti, non vi e' doppia conforme e la
seconda deliberazione, con cui si modifica il voluto della prima, ha
il valore di una nuova prima deliberazione: per modo che occorrera'
un'ulteriore deliberazione, conforme a quest'ultima, perche' la
fattispecie si realizzi.
E' ovvio che modifiche del testo in sede di seconda
deliberazione, che non si limitino a caratterizzazioni formali ed
estrinseche, ma che siano implicative di modifiche di contenuto,
interrompono la conformita' e realizzano il caso che si e' appena
detto.
Nel caso umbro in esame, e' esattamente questo che e' avvenuto.
Con la sostituzione di una rubrica semplice con una diversa e
composta (da «comunita' familiare» a «Famiglia. Forme di convivenza»)
e con la scomposizione dell'unico comma in due commi (vale a dire,
rompendo l'omogeneita' della partizione in due proposizioni normative
autonome, come insegnano le regole di formulazione dei testi
legislativi 2) ), con la conseguente separazione della tutela delle
forme di convivenza dal riconoscimento dei diritti della famiglia, e
la conseguente attribuzione di carattere aggiuntivo alla tutela della
convivenza (espressa mediante l'«altresi» si e' inteso infatti venire
(parzialmente) incontro alle proteste di quanti affermavano esservi
nell'equiparazione ed omologazione della convivenza (c.d. coppie di
fatto) alla famiglia legittima una ferita ai principi costituzionali
dell'art. 29 Cost. Di piu': attraverso la soppressione del
riferimento alla «varieta» delle forme di convivenza, si e'
analogamente inteso venire incontro alle proteste di quanti
ravvisavano nella previsione una tutela anche delle convivenze
omosessuali. Il che sovverte ulteriormente l'assetto della comunita'
familiare voluto dalla Costituzione, perche' - ben oltre l'ovvia
liberta' di tale convivenza - da' un effetto giuridico di «tutela»
non previsto e non voluto alle unioni di persone del medesimo sesso.
Di tutto cio' e' dato conto dall'ampio dibattito che si e' svolto
sul tema in consiglio regionale nel corso dell'iter del procedimento
e dalle proteste, espresse anche pubblicamente, degli ambienti della
Chiesa cattolica nei confronti dell'originario testo dell'art. 9.
E' il caso di osservare - a proposito della moralita' del modo di
procedere - che una tale modificazione e' il frutto non
dell'approvazione degli emendamenti proposti, tutti respinti, ma di
analoghe formulazioni sconcertantemente introdotte quali «correzioni
formali» (sic), con un uso del tutto abusivo dell'art. 53 del
Regolamento interno del Consiglio (approvato con l.r. Umbria 16
aprile 1998, n. 14) e malgrado il contrario parere di esperti legali
del Consiglio regionale e quanto e' stato eccepito in sede di
dibattito consiliare (cfr. verbale della seduta del Consiglio, pagina
81).
Sono stati artatamente qualificati come correzioni formali veri e
propri emendamenti, che per di piu' avrebbero dovuto essere
dichiarati inammissibili, perche' presentati oltre il termine
previsto (fissato dall'Ordine del giorno del Consiglio regionale del
20 luglio 2004 entro le «ore 12 del 22 luglio 2004») e perche'
concernenti punti gia' decisi dall'assemblea.
Non v'e' dubbio, se si vuole rimanere nei limiti della logica
democratica, che tutto questo trascenda, e di parecchio, i limiti di
un aggiustamento di forme («correzioni formali») e voglia anzi
espressamente significare una incisiva modifica di sostanza. Lungi
dal costituire una rettifica formale della prima, la seconda
deliberazione costituisce intenzionalmente una diversa deliberazione,
perche' da' volutamente, per espressa ragion politica, alla
disposizione e alle sue parole un significato affatto diverso da
quello originario.
Vi e' stato dunque, con la seconda deliberazione, un diverso
volere legislativo e non si e' realizzato quell'atto complesso,
composto di due deliberazioni intrinsecamente conformi, che deve
caratterizzare il procedimento costituzionalmente stabilito secondo
l'inderogabile previsione dell'art. 123, secondo comma, della
Costituzione.
E' appena il caso di rilevare che, trattandosi di una diretta
violazione della norma costituzionale (art. 123, secondo comma,
Cost.), si tratta di una illegittimita' che non puo' essere relegata
tra gli interna corporis del procedimento legislativo: e' infatti la
Costituzione a prescrivere «direttamente ed espressamente» la doppia
conforme e ogni elusione o violazione in concreto del precetto si
traduce in una violazione diretta, ed in una disapplicazione, della
Costituzione stessa, cioe' dell'ordinamento generale e
costituzionale, non gia' dell'ordinamento interno della sola
assemblea legislativa. Vi e' percio' un vizio «esterno», censurabile
proprio in questa sede di legittimita' costituzionale. E' ben nota la
giurisprudenza costituzionale al riguardo (cfr. Corte cost., sentt. 9
marzo 1959, n. 9 e 29 marzo 1984, n. 78). Ed e' appena il caso di
sottolineare che la conformita' tra le due delibere e' questione di
fatto, non di diritto: che le due deliberazioni abbiano o meno lo
stesso testo e' una realta' oggettiva, non modificabile
nominalisticamente e a piacimento della stessa maggioranza
interessata a negarla. Quindi il consiglio regionale non ha il potere
di contro il vero, qualificare tale fatto e attestare come esistente
una conformita' che invece non sussiste. Se diversamente fosse, la
non conformita' diverrebbe ovviamente mai sindacabile e la norma
dell'art. 123, secondo comma, inutiliter data.
Vi e' stata dunque, con la seconda delibera di approvazione e gli
atti conseguenti, una flagrante violazione del procedimento
dell'art. 123, secondo comma, Cost. Non vi e', allora, uno Statuto
approvato dal consiglio regionale.
C) Sul merito della seconda questione: violazione di norme
costituzionali sostanziali. Violazione degli artt. 3, 121, 122, 123 e
67 Cost.; della insindacabilita' e del divieto di mandato imperativo
per i consiglieri «supplenti» e della configurazione costituzionale
del Consiglio regionale.
Il testo deliberato il 29 luglio e' altresi' lesivo di altre
previsioni costituzionali. In particolare, l'art. 66 del deliberato
Statuto stabilisce:
«Articolo 66 - Incompatibilita' e supplenza
1. La carica di componente della Giunta e' incompatibile con
quella di Consigliere regionale.
2. Al Consigliere regionale nominato membro della Giunta subentra
il primo tra i candidati non eletti nella stessa lista, secondo le
modalita' stabilite dalla legge elettorale. Il subentrante dura in
carica per tutto il periodo in cui il Consigliere mantiene la carica
di Assessore.
3. Qualora prima della fine della legislatura il Consigliere
nominato Assessore venga revocato o si dimetta dalla carica, riassume
le funzioni di Consigliere con effetto dalla data di comunicazione al
Consiglio regionale».
Questa previsione non solo introduce una figura, il consigliere
regionale supplente o subentrante, non prevista ai sensi
dell'art. 122, primo comma, Cost. (che demanda alla legge statale
stabilire i principi fondamentali circa le incompatibilita' dei
consiglieri regionali: e una tale discendente previsione non e' stata
in quella sede stabilita) e dunque viola la detta norma
costituzionale, ma anche contraddice il principio, essenziale del
regime rappresentativo, da cui nasce il divieto di mandato imperativo
(e che trova un'espressione nell'art. 67 Cost.).
Oltre infatti a determinare una moltiplicazione di spese e un
deprecabile sostituirsi e confondersi di seggi, questa nuova figura
comporta un'evidente violazione dell'art. 122 della Costituzione
(sulle immunita' dei consiglieri regionali) e del principio
costituzionale del divieto di mandato imperativo (cfr. art. 67
Cost.), immanente al regime rappresentativo (anche ove non
esplicitato) ed esplicitato comunque dall'articolo 57, comma 1, dello
stesso nuovo Statuto regionale dell'Umbria, a norma del quale «I
Consiglieri regionali rappresentano l'intera Regione senza vincolo di
mandato».
La conseguenza e' anche una violazione dell'art. 3 Cost., perche'
si avranno due tipi di consigliere regionale, a status differenziato,
dove il consigliere del genere «supplente» avra' minori garanzie
dell'ordinario: praticamente un consigliere capitis deminutus.
Che questo realizzi una violazione del principio del divieto di
mandato imperativo e del principio della autonomia e della liberta'
del volere dell'eletto rappresentante del popoio, e della pari sua
dignita' rispetto ai colleghi, di cui e' espressione, sara' evidente
nel caso in cui il supplente assuma, con i suoi voti o la sua
opinione, una posizione sgradita alla giunta.
E' realistico infatti che il supplente, non godendo della
medesima «inamovibilita» per tutto il mandato di cui gode il
consigliere ordinario ed essendo invece per definizione precario per
fatto altrui, sarebbe in tal caso esposto ad una revoca ad hoc,
mediante apposita restituzione del supplito alla sua originaria
funzione di consigliere (previa cessazione da quella di componente
della giunta).
Occorre considerare che il divieto di mandato imperativo e
comunque l'intrinseca natura del regime rappresentativo, di cui e' un
corollario e che si esprime anche attraverso la rammentata
insindacabilita', comportano che il giudizio sull'operato del
parlamentare, o del consigliere regionale, possa essere espresso dal
solo corpo elettorale e alla fine del mandato elettorale: il che
implica che non puo' essere consentita la revoca nel corso del
mandato (C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, 9ª ed., Padova
1975, 461).
Non basta: qui si avrebbe anche l'enorme aggravante - rispetto
alla tutela della liberta' del volere dell'eletto - che la revoca
verrebbe operata non gia' dal corpo elettorale, di fronte al quale
egli pur sempre risponde politicamente, bensi' dall'esecutivo
regionale, vale a dire dall'organo sottoposto al controllo politico
del consiglio, cioe' - con evidente paradosso - dall'organo che e'
politicamente responsabile davanti al consiglio e comunque sottoposto
al suo controllo politico: praticamente, il controllato potrebbe
rimuovere a piacimento (con una virtuale lettre de cachet) il
controllore, con sconcertante alterazione del principio di equilibrio
tra i poteri.
Di piu': il principio rappresentativo non ammette soluzione di
continuita' circa il mandato dell'eletto: o si e' rappresentanti
dell'elettorato e lo si e' per tutto il mandato, o non lo si e' piu'.
Invece, con la previsione in esame, il mandato stesso viene
interrotto, creando un'inammissibile sospensione nel corso della
legislatura e spezzando lo stesso rapporto di rappresentanza
politica.
Una tale deminutio capitis e' consequenziale all'aberrazione
intrinseca della figura, che e' ben diversa da quella del
subentrante, ad es., per elezioni suppletive, il quale gode, per il
resto del mandato consiliare, della medesima inamovibilita' del
consigliere ordinario.
La norma si palesa incostituzionale anche sotto un altro profilo,
costituito dalla violazione degli artt. 121, 122 e 123 Cost., nella
parte in cui configurano la composizione del Consiglio regionale
senza distinguere categorie a status differenziato di consiglieri
regionali, e nel superamento dei principi fondamentali delle leggi
della Repubblica in tema di incompatibilita' (come previsto, in
particolare, dall'art. 122, primo comma): nessuno di quei principi
fondamentali prevede infatti un siffatta incompatibilita' e,
soprattutto, un tale asimmetrico rimedio per farvi fronte.
Si deve infine considerare che, poiche' la giunta puo' essere di
dieci componenti (art. 67, comma 2) e il Consiglio e' di trentasette
(art. 42, comma 1), si puo' giungere ad un consiglio che, di fatto,
e' composto da piu' di un quarto di soggetti che il corpo elettorale
non ha eletto: con il che si vulnera gravemente ed oltre ogni
ragionevole misura il principio rappresentativo e democratico.
D) Violazione dell'art. 29, e dell'art. 117, secondo comma, lett. i)
Cost.
Si aggiunge a quanto sopra, per il suo valore, quanto segue, che
pure forma, a quanto pare, oggetto della impugnazione governativa.
La modifica dell'art. 9 di cui si e' detto, pur concretizzando
una violazione del procedimento dell'art. 123, secondo comma, Cost.,
non riesce comunque ad emancipare il testo dall'addebito di
violazione della norma sostanziale dell'art. 29 (e 30 e 31) Cost.,
che «riconosce i diritti della famiglia come societa' naturale
fondata sul matrimonio».
Vela la pena a questo proposito di menzionare alcune sconcertate
reazioni che la nuova «tutela» di convivenze non basate sul
matrimonio ha ingenerato. Il testo della seconda deliberazione
rappresenta, a detta dell'Arcivescovo di Perugia Mons. Giuseppe
Chiaretti, Presidente della Conferenza Episcopale Umbra «lo statuto
delle ambiguita». In un articolo sul settimanale diocesano «La Voce»
del 6 agosto 2004 (www.lavoce.it), e in un comunicato ANSA del 5
agosto 2004, egli esattamente sottolinea che «la famiglia e' stata
considerata come una variabile tra tante forme di convivenza
possibili, che non vogliono pero' accedere alla struttura impegnativa
e pubblica del matrimonio-famiglia, ma ne esigono tutta la tutela
"come se" fossero matrimonio e famiglia. Il che e' un controsenso
giuridico oltre che morale, un "vulnus" arrecato alla stabilita'
della famiglia, che non manchera' di pesare gravemente sul partner
piu' fragile e soprattutto sui figli, e di riflesso sulla societa».
Al di la' delle ben condivisibili opinioni del Presidente della
Conferenza Episcopale Umbra, resta evidente a tutti, anche a quanto
si riferiscono ad una accezione laica della comunita' familiare, che
la previsione statutaria dell'art. 9 viola l'art. 29 (e 30 e 31)
Cost., che non ammette forme di «tutela» della famiglia se non e'
basata sul matrimonio, religioso o civile che sia. Il che, del resto,
e' proprio l'applicazione del piu' laico dei principi, che e' quello
di responsabilita', che vuole i diritti si accompagnino ai doveri:
come appunto col matrimonio avviene.
Ovviamente, nulla impedisce e deve impedire la convivenza delle
coppie di fatto: ma proprio perche' si tratta di una scelta di
liberta' dei singoli, che come non si vuole comporti vincoli e
doveri, cosi' non comporta nemmeno i diritti che nascono dal
matrimonio. Ma lo Statuto non si limita a riconoscere, se mai ve ne
fosse bisogno, una tale liberta': con la parola «tutela» si spinge
piuttosto ad impegnare la Regione ad agire attivamente a protezione
della convivenza di fatto ogniqualvolta si attribuiscano al nucleo di
conviventi diritti e opportunita', con l'effetto di una parificazione
alla famiglia di diritto e della riduzione del matrimonio ad opzione
ad effetto meramente morale ed esternamente carica solo di doveri.
Con la previsione di questa «tutela» si introduce la regola del
riconoscimento e della garanzia attiva di pretese analoghe o eguali a
quelle che nascono dal matrimonio; il che e' contrario alla ricordata
norma della Costituzione, che vuol rendere inutiliter data, e ne
vanifica il presupposto. Il risultato che si vuole e' quello della
equiparazione delle coppie (anche omosessuali, si noti bene) e delle
famiglie di fatto e quelle di diritto.
Oltre questo, vi e' da parte della regione una palese usurpazione
di competenze statali, perche' la previsione in questione non rientra
nelle competenze regionali: trattandosi di questione inerente
l'ordinamento dello stato civile, e' infatti materia di esclusiva
spettanza legislativa statale (art. 117, secondo comma, lett. i)
Cost.). Per simile motivo il Governo ha poche settimane addietro
impugnato lo Statuto della Regione Toscana.
1) Cfr. § 7 - Partizione interne degli articoli, di cui
alle note circolari di Presidenza del Consiglio, Senato e
Camera del maggio 2001, secondo cui «Il comma termina con
i/punto a capo», «Tutti gli atti legislati vi sono redatti
con i commi numerati», «Il comma unico di un articolo e'
contrassegnato con il numero cardinale "I"» e «Ogni comma
puo' suddividersi in periodi, cioe' in frasi
sintatticamente complete che terminano con il punto, senza
andare a capo».
2) Cfr. § 2 - Aspetti generali dell'atto legislativo, di
cui alle citate circolari, secondo cui «La ripartizione
delle materie all'interno dell'atto e' operata assicurando
il carattere omogeneo di ciascuna partizione ivi compreso
l'articolo, nonche' di ciascun comma all'interno
dell'articolo».
P. Q. M.
Voglia la Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita'
costituzionale, ovvero la nullita' o l'inesistenza, dello Statuto
della Regione Umbria, e in subordine degli articoli 9 e 66, come
deliberato dal Consiglio regionale dell'Umbria nelle sedute del 2
aprile e 29 luglio 2004.
Con vittoria di spese, funzioni e onorari.
Si producono:
1) supplemento ordinario n. 1 al «Bollettino Ufficiale» -
serie generale - n. 33 dell'11 agosto 2004 della Regione Umbria,
contenente lo Statuto come approvato;
2) verbale delle sedute 2 aprile 2004 e 29 luglio 2004 del
Consiglio regionale, con testo dello Statuto come approvato nella
prima di queste;
3) nota del Consigliere regionale Carlo Ripa Di Meana in data
13 agosto 2004, diretta alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed
all'Ufficio legislativo del Ministero dell'interno.
Roma - Perugia, addi' 10 settembre 2004
Avv. Urbano Barelli - Avv. Mario Sanino