Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria il 15 settembre 2011 (del Presidente  del  Consiglio  dei ministri).

 

 

(GU n. 45 del 26.10.2011)

 

    Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona  del  Presidente della Giunta regionale pro  tempore  Vasco  Errani,  autorizzato  con deliberazione della Giunta regionale del 5 settembre  2011,  n.  1272 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale a  margine

del presente atto, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon  di  Padova  e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio  eletto  in  Roma  nello studio di quest'ultimo in via Confalonieri, n. 5,

    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma  1, lett. b) e del medesimo art. 5, comma 2, lett. b) e c), del  d.l.  13 maggio 2011 n. 70, recante "Semestre  Europeo  -  Prime  disposizioni urgenti per l'economia", convertito in 1. 12  luglio  2011,  n.  106,

pubblicata nella G.U. 12 luglio 2011, n. 160, nella parte in cui tale art. conferma o dispone l'applicabilita' della s.c.i.a. alla  materia edilizia e nella parte in cui  -  attraverso  il  nuovo  comma  6-bis dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990 - introduce un termine breve di trenta giorni per  l'adozione  dei  provvedimenti  di  divieto  di

prosecuzione  dell'attivita'  e  di  rimozione  degli  effetti  della s.c.i.a. in materia edilizia,

    Per violazione degli artt.  3,  9,  97,  114,  117  e  118  della Costituzione, nei modi e per i profili di seguito illustrati.

 

                                Fatto

 

    Con il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,  poi  convertito  con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, 122, il  Governo  era,  tra l'altro, intervenuto sostituendo  la  disciplina  della  denuncia  di inizio attivita' di cui all'art. 19  l.  241/1990  con  quella  della segnalazione certificata di inizio attivita',  attraendo  d'autorita' tale istituto alla competenza esclusiva statale.

    La nuova disciplina e' stata a suo  tempo  contestata  davanti  a codesta Corte  dalla  Regione  Emilia-Romagna  con  proprio  ricorso, rubricato al numero 106/2010 R. r.

    Nelle more della  definizione  di  tale  giudizio  (l'udienza  di discussione risulta, allo stato, fissata per il  giorno  23  novembre 2011), il legislatore statale e' nuovamente intervenuto sulla materia con le disposizioni indicate in  epigrafe,  con  le  quali  e'  stata formalmente sancita  l'applicabilita'  della  s.c.i.a.  alla  materia edilizia e si e'  intervenuti  sulla  sua  concreta  disciplina,  con particolare riferimento alla definizione del termine per  l'esercizio del  potere  inibitorio  da  parte  della  pubblica   amministrazione

successivamente alla presentazione della s.c.i.a. edilizia.

    Tali  disposizioni,  che  in  parte   confermano   timori   -   e corrispondenti censure - gia' espressi con  l'impugnazione  del  d.l. 78/2010,  cristallizzando  l'interpretazione  di  taluni   dei   suoi disposti in senso lesivo dell'autonomia regionale  costituzionalmente garantita, risultano ad avviso della ricorrente Regione illegittime e lesive delle competenze  costituzionali  ad  essa  garantite  per  le seguenti ragioni di

 

                               Diritto

 

    1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, lett. b) e comma 2, lett b) e lett c), nella parte in  cui  conferma  o  dispone l'applicabilita' della s.c.i.a. alla materia edilizia.

    Come noto, l'introduzione del nuovo istituto della  s.c.i.a.  per effetto della riscrittura dell'art. 19 1. 241/1990 (operata dall'art. 49, comma 4-bis, d.l.  31  maggio  2010,  n.  78,  convertito  in  1. 122/2010) aveva da subito posto agli interpreti il problema della sua

applicabilita' o meno anche alla materia dell'edilizia.

    Per tale ragione,  nell'impugnare  il  predetto  art.  49,  comma 4-bis, d.l. 78/2010 (ricorso 106/2010 R.r.) la Regione Emilia-Romagna ne aveva prospettata  l'incostituzionalita'  anche  nell'eventualita' che codesta ecc.ma Corte avesse  ritenuto  di  sciogliere  il  dubbio

interpretativo nel senso della riferibilita' della s.c.i.a. pure alla materia edilizia.

    Le disposizioni di cui  all'art.  5  1.  106/2011  oggetto  della presente  impugnazione  forniscono  interpretazione  autentica   agli intendimenti    del    legislatore    statale,     stabilendo     ora inequivocabilmente che la disciplina della s.c.i.a. - quale contenuta nel riscritto art. 19 1. 241/1990 -  si  applicano  certamente  anche «alle denunce di inizio attivita' in  materia  edilizia  disciplinata dal decreto del presidente della Repubblica 6 giugno  2001,  n.  380»

(anche se «con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in  base alla normativa statale o regionale, siano alternative  o  sostitutive del permesso di costruire»).

    Tale  interpretazione   autentica   si   collega   inoltre   alla enunciazione di cui al comma 1, lett. b), del  medesimo  art.  5,  1. 106/2011  -  parimenti  contestato  nella   presente   sede   -   che espressamente pone quale obiettivo la «estensione della  segnalazione

certificata  di  inizio  attivita'  (SCIA)  agli  interventi  edilizi precedentemente compiuti con denuncia di inizio attivita' (DIA)».

    In definitiva, alla luce delle disposizioni  qui  contestate,  si chiarisce e al tempo stesso si dispone  l'applicabilita'  della  alle ipotesi di  d.i.a.  edilizia  (con  l'esclusione  dei  casi  di  c.d. super-d.i.a.).

    E'   dunque    evidente    che    le    medesime    ragioni    di incostituzionalitagia' sollevate  in  relazione  alla  (allora  solo) presunta applicabilita' della s.c.i.a. in materia  edilizia,  trovano ora ancor piu' netta  conferma  nei  confronti  della  qui  impugnata

normativa statale:  che  chiarisce  e  definitivamente  dispone  tale applicabilita'.

    In  particolare,  viene  in  rilievo  la  possibilita'  di  avvio immediato dell'attivita' a seguito della s.c.i.a.: tale  possibilita' e' ora certamente riferibile anche all'attivita' edilizia  sottoposta a d.i.a.

    Tale previsione, tuttavia, rappresenta una regola  di  dettaglio, in quanto tale preclusa allo  Stato  in  una  materia  -  quella  del governo del territorio (cui, come noto, e' riconducibile  l'edilizia) - demandata alla potesta' legislativa  concorrente:  con  conseguente

limitazione della potesta' statale alla sola fissazione dei principi.

    Al riguardo, si rammenta come  nella  sentenza  303/2003  codesta Corte abbia riconosciuto  che  rappresenta  principio  necessario  la «compresenza nella legislazione di titoli abilitativi  preventivi  ed

espressi [permesso di costruire] e taciti, quale e' la Dia».

    Ma naturalmente altro e' la  previsione  di  siffatto  principio, altro e' la pretesa statuale di disciplinare nei minimi dettagli  gli aspetti procedimentali di tali  titoli,  incluso  -  con  riferimento specifico alla Dia - la regola  che  stabilisce  dopo  quanti  giorni dalla presentazione della segnalazione (nessuno, in questo  caso)  e' possibile iniziare l'attivita'.

    E' chiaro infatti, che in questo modo, il legislatore statale non si limita a fissare regole di principio, ma interviene a disciplinare i dettagli della materia,  privando  le  Regioni  della  possibilita' persino di adattare la norme alle esigenze della situazione  concreta

e delle concrete possibilita' delle amministrazioni.

    Nell'imporre non solo la d.i.a. - ora s.c.i.a.  -  in  luogo  del permesso  edilizio,  ma  nel  disciplinare  le  modalita'  stesse  di funzionamento della S.c.i.a., il momento nel  quale  il  «segnalante» puo' realizzare il progetto (piu' che iniziare una attivita', come la denominazione dovrebbe far pensare), nel disciplinare i  tempi  ed  i limiti del potere o dovere di controllo dell'amministrazione lo Stato ha - ad avviso della Regione Emilia-Romagna - superato i limiti della propria potesta' legislativa concorrente di principio in  materia  di governo del territorio, come posta  dalla  Costituzione  e  precisata dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale.  Risulta estremamente significativa, ad esempio, la ancora recente sentenza n. 278 del 2010, ove si accerta che spetta  alle  Regioni,  e  non  allo Stato, di disciplinare i casi nei quali strutture residenziali mobili

nei campeggi possono essere realizzate  senza  alcun  adempimento:  a maggiore ragione, dunque, spetta alle Regioni di dire se ed in  quali casi al segnalante sia consentito di realizzare subito  il  progetto, in quali sia preferibile che l'amministrazione abbia il tempo  almeno per un primo controllo.

    Di qui, una prima ragione di  illegittimita'  per  contrasto  con l'art. 117, comma 3, Cost.

    Sotto altro profilo, si deve poi osservare come l'estensione alla Dia  edilizia  della  facolta'  di  immediato  inizio  dell'attivita' (prevista al comma  2  del  nuovo  art.  19  1.  241/1990)  determini ulteriori criticita', in considerazione della peculiare  materia  cui

si riferisce.

    La  questione  attiene  in  particolare  all'ipotesi  in  cui  un soggetto inizi l'attivita' pur in assenza dei presupposti  di  legge:

sulla base di una s.c.i.a. che contiene  false  dichiarazioni  o  che comunque e' altrimenti errata.

    Ferma restando la rivendicazione  della  competenza  regionale  adisporre in materia, nei settori commerciali  l'immediato  inizio  di attivita' - pur in assenza dei presupposti  richiesti  -  non  appare particolarmente  grave.   Nella   normalita'   dei   casi,   infatti, l'attivazione del potere inibitorio e di  rimozione  degli  eventuali effetti dannosi medio  tempore  prodotti  (art.  19,  comma  3)  puo' risultare idoneo (perlomeno astrattamente) a tutelare  gli  interessi protetti dalle normative che prevedono il previo  titolo  abilitativo

(sostituito dalla Scia): dal momento che si  tratta  di  settori  nei quali le attivita' svolte, in linea di principio, non  appaiono  tali da determinare effetti irreversibili.

    Discorso completamente diverso vale, invece, con riferimento alla d.i.a.  edilizia.  L'attivita'  edilizia  infatti,  per  sua  natura, determina immediatamente  una  materiale  -  e  potenzialmente  assai rilevante - alterazione del territorio.

    E' pur vero che, a seguito dell'intervento  dell'amministrazione, gli interventi potrebbero essere fisicamente rimossi e la  situazione pregressa ripristinata.

    Tale ripristino, tuttavia, non sempre e' possibile: sia sotto  il profilo materiale (si veda al riguardo quanto disposto dall'art.  33, comma 2, dPR 380/2001, il quale espressamente si occupa  dei  profili sanzionatori di  opere  abusive  in  relazione  alle  quali  non  sia possibile il ripristino dello stato dei luoghi) sia per gli eccessivi costi che il ripristino potrebbe comportare.

    Ne' si dica - con riferimento a tale ultima ipotesi  -  che  tali oneri ricadrebbero comunque necessariamente sui privati  trasgressori che hanno dato inizio alla attivita' di trasformazione in assenza dei presupposti.

    E'  infatti  possibile  (soprattutto  nel  caso   di   interventi complessi e costosi) che questi non abbiano le risorse per provvedere al ripristino. Si pensi al caso di una societa' che - in  conseguenza dell'elevato  costo  del  ripristino  -  fallisca  (o  venga   «fatta fallire», per evitare l'esborso). In tali ipotesi, la possibilita' di

dare reale seguito alla «rimozione degli effetti dannosi» si verrebbe oltremodo complicando.

    Ma anche al di fuori  di  siffatta  eventualita',  il  meccanismo dell'esecuzione in danno rappresenta comunque una soluzione che -  in sede pratica - si presenta di disagevole attivazione.

    Del resto, sono ben note e rientrano  nell'esperienza  comune  le enormi difficolta' - ed i costi - che le  Amministrazioni  incontrano nell'ottenere la demolizione degli intereventi abusivi.

    In tale contesto e' importante  sottolineare  come,  ai  fini  di quanto si viene dicendo, sia del tutto irrilevante la circostanza che gli interventi abusivamente eseguiti  in  assenza  o  in  difformita' dalla d.i.a. siano sottoposti - in linea generale (e salvo eccezioni) - alla  sola  sanzione  pecuniaria  ai  sensi  dell'art.  37  dPR  n.

380/2001.

    In primo luogo, infatti, si osserva come  il  tempestivo  impiego del potere inibitorio da parte  delle  amministrazioni  comunali  era comunque in grado di prevenire in radice  la  commissione  dell'abuso (cosa naturalmente preferibile  rispetto  alla  misura  sanzionatoria successiva) anche con  riferimento  a  tipologie  di  interventi  che -ancorche' non  consentite  nel  caso  concreto  -  fossero  comunque astrattamente riconducibili all'ambito di applicabilita' della d.i.a.

    Ma, soprattutto, l'uso preventivo del potere  inibitorio  era  in grado di impedire il verificarsi dell'eventualita' - ben piu' grave -  in cui il privato presentasse una d.i.a. per  realizzare  interventi che avrebbero invece richiesto il rilascio del permesso di  costruire (e che tuttavia non lo avrebbero concretamente potuto conseguire  per il  contrasto  con  la  disciplina  -  normativa  o  di  piano  -  di riferimento). In tali casi,  le  amministrazioni  comunali  erano  in grado  di  intervenire  bloccando  l'esecuzione  del   lavori   prima

dell'inizio della loro esecuzione, mentre cio' non sarebbe  ora  piu' possibile: con tutti i conseguenti problemi di cui  s'e'  detto  (ivi compresa l'impossibilita' - in determinati  casi  -  di  disporre  la rimessione in pristino: cfr. il citato  art.  33,  comma  2,  dPR  n.

380/2001).

    Su queste premesse, e' chiaro che la  totale  eliminazione  della possibilita' delle amministrazioni (virtuose) di  operare  un  seppur rapido esame preventivo dei  progetti,  allo  scopo  di  impedire  in radice la realizzazione degli abusi, appare non solo  una  violazione

della competenza regionale, ma anche una violazione del principio  di ragionevolezza  e  di  buon  andamento  dell'amministrazione  di  cui all'art. 97, comma 1°,  Cost.:  una  violazione  che  la  Regione  e' legittimata ad impugnare in quanto essa si traduce in una limitazione

della propria potesta' legislativa.

    Inoltre, la nuova disciplina contraddice  apertamente  l'esigenza costituzionalmente tutelata di tutela del paesaggio,  con  violazione dell'art. 9, comma secondo, della Costituzione. Sia nei casi  in  cui la sola sanzione prevista sia economica, sia nei casi in cui si possa in astratto procedere all'intervento demolitorio, ma con la  concreta possibilita' che comunque il territorio  ne  risulti  permanentemente ferito, risulta evidente che solo una verifica preventiva, per quanto in un tempo ridotto, e' in grado di prevenire  le  violazioni,  e  di corrispondere al precetto costituzionale.  Si  noti  che,  anche  per

effetto degli accordi internazionali ai quali l'Italia ha  aderito  - quale la Convenzione europea del paesaggio - la  tutela  di  esso  e' ormai  strutturalmente  connessa  alla  tutela  del  territorio,  non limitandosi piu'  alla  tutela  del  solo  paesaggio  eccezionalmente bello, e percio' protetto da strumenti specifici.

    D'altronde, le evidenti specificita' del settore erano la ragione per la quale il legislatore del 2005 - nel sostituire alla «denuncia» la «dichiarazione di inizio attivita'» con la previsione  di  diverse regole di carattere generale, ritenute  applicabili  anche  alla  Dia

edilizia  (si  pensi  ad  esempio,  alla  previsione  del  potere  di autotutela) - aveva pero' opportunamente ritenuto di mantenere alcune peculiarita' della d.i.a. edilizia,  stabilendo  in  particolare  che «restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l'inizio dell'attivita' e per  l'adozione   da   parte   dell'amministrazione   competente   di provvedimenti  di  divieto  di  prosecuzione  dell'attivita'   e   di rimozione dei suoi effetti» (vecchio art. 19, comma 4).

    Del  tutto  irragionevolmente,  la  disposizione  qui   censurata elimina  tale  clausola  di  salvezza:  spogliando  la   tutela   del territorio di questa - pur tenue - forma di tutela.

    In tal modo, essa determina  un  inammissibile  sbilanciamento  a favore - apparentemente  (ma  si  veda  quanto  si  dira'  subito  di seguito)  -  dell'interesse  ad  una   rapida   (rectius   immediata) definizione delle procedure abilitative edilizie: ma sacrificando  in misura del tutto irragionevole ed ingiustificata  (ed  evidentissima) le esigenze della tutela del territorio nonche' quelle  organizzative delle stesse amministrazioni cui e' affidato il potere  di  verifica:

le quali - in un contesto in cui le notorie e  crescenti  difficolta' di bilancio dello Stato impongono sempre maggiori tagli alle  risorse e restrizioni di personale - si  vedranno  costrette,  con  i  sempre minori mezzi a disposizione, ad «inseguire i cantieri» che potrebbero spuntare da un giorno all'altro sull'intero territorio comunale.

    Per non dire, poi, dell'interesse dei terzi che  si  vedano  lesi dall'attivita' costruttiva: la cui posizione - gia'  tradizionalmente sofferta, come ben noto, in  materia  di  d.i.a.  edilizia  -  verra' ulteriormente pregiudicata.

    D'altra parte, come accennato, non e' nemmeno del tutto certo che l'automatica estensione delle regole generali  della  s.c.i.a.  anche alla  materia  edilizia  vada  realmente  nel   senso   di   tutelare l'effettivo interesse del costruttore.

    Chi realizza  un  intervento  edilizio,  infatti,  ha  certamente interesse a conoscere in tempi rapidi e certi se puo' o non puo' dare corso a tale intervento. Ma altrettanto certamente  ha  interesse  ad operare in quadro di regole sicure: conoscendo in anticipo se  quanto sta realizzando e' o non e' conforme a diritto.

    Sotto tale profilo, l'immediato inizio  dei  lavori  accentua  il rischio che quanto e' in corso di realizzazione venga in  seguito  ad incorrere nell'esercizio (ora solo successivo) del potere inibitorio.

Con esiti potenzialmente in  grado  di  danneggiare  tutte  le  parti interessate: sia l'amministrazione ed il terzo (che  si  troverebbero fisicamente  di  fronte  ad  opere  gia'  realizzate  e  delle  quali dovrebbero preoccuparsi di ottenere la  demolizione)  che  lo  stesso costruttore, che si vede l'intervento bloccato in corso d'opera,  con enorme aumento dei costi.

    Per tale via,  il  pesante  sacrificio  che  viene  imposto  agli interessi  contrapposti  di  cui  s'e'  detto,  non   viene   nemmeno bilanciato da un risolutivo vantaggio  a  favore  dell'interesse  del costruttore.

    In definitiva, la scia sembra avere il solo effetto di  inasprire le criticita' gia' notoriamente presenti nel previgente sistema della dia edilizia: che nel corso di un  ventennio  ha  gia'  dato  cattiva prova  di  se'  (si  vedano,  a  titolo   di   esempio,   le   fosche considerazioni "di sistema" contenute in  Tar  Lombardia,  Milano,  7 luglio 2004, n. 3086).

    Per le ragioni fin qui esposte, l'applicazione  dei  disposti  di cui all'art. 19 1. 241/1990  (come  modificato  dall'art.  49,  comma 4-bis, 1. 122/2010) alle ipotesi di d.i.a. edilizia -  quale  operata dalle  disposizioni  impugnate   nella   presente   sede   -   appare costituzionalmente  illegittimo  nella  parte  in  cui  consente   di iniziare l'attivita' costruttiva alla data della presentazione  della segnalazione (senza prevedere una clausola di salvezza per le diverse disposizioni previste per la d.i.a. edilizia)  -  per  contrasto  con l'art. 3 cost., per  violazione  dei  principi  di  ragionevolezza  e

proporzionalita', e con l'art. 97 cost., per violazione del principio buon andamento dell'attivita' amministrativa.

    Nella misura in cui interferisce con i  poteri  di  controllo  di comuni e regioni sull'attivita' edilizia, la disposizione e' altresi' illegittima per violazione degli artt. 114 e 118 cost.

    Per completezza, si osserva come - nella misura in  cui  e'  oggi positivamente stabilita la riconduzione delle fattispecie  di  d.i.a. edilizia alla disciplina della s.c.i.a. -  la  riconduzione  di  tale disciplina alle materie della tutela della concorrenza e dei  livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali, ai sensi dell'art. 117,  comma  2,  lett.  e)  ed  m),  cost.  (quale prevista dal citato art. 49, comma  4-ter,  d.l.  78/2010)  sia  gia' stata  censurata  in  occasione  dell'impugnazione  di   tale   fonte normativa (cfr. ricorso 106/2010 R.g.):  senza  che  le  disposizioni

impugnate con il presente  ricorso  introducono  sul  tema  ulteriori novita'.

    2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5 comma  2,  lett  b), nella parte in cui - attraverso il nuovo  comma  6-bis  dell'art.  19 della legge n. 241/1990 - introduce un termine breve di 30 giorni per la s.c.i.a. in materia edilizia.

    Risulta   costituzionalmente   illegittima,   ad   avviso   della ricorrente, anche la riduzione del termine di verifica dai 60  giorni stabiliti  in  linea  generale  per  la  s.c.i.a.  ai   30   previsti specificamente per la materia edilizia.

    Ancora  una  volta,  il  legislatore  statale  interviene   nella definizione di aspetti di dettaglio  della  materia  edilizia  -  con precetti per di piu' destinati a trovare  immediata  applicazione  in deroga  alle  diverse  previsioni  normative  regionali  (va  infatti ricordato che l'art. 49,  co.  4-ter,  1.  122/2010  prevede  che  la disciplina della s.c.i.a. di cui al novellato  art.  19  1.  241/1990 «sostituisce direttamente, dalla data  di  entrata  in  vigore  della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione

di inizio attivita' recata da ogni normativa statale  e  regionale»), in violazione delle regole che limitano alla fissazione dei  principi la potesta'  statale  concorrente  con  quella  regionale,  ai  sensi dell'art. 117, comma 3, cost.

    E' anche utile ricordare che la Regione Emilia-Romagna aveva gia' disciplinato  la  materia  autonomamente,   prevedendo   un   sistema articolato di controlli nel quale - a fianco di un primo  termine  di 30 giorni entro cui si provvede «esclusivamente»: a) a verificare  la completezza della documentazione; b) ad accertare  che  la  tipologia dell'intervento descritto e asseverato rientri nei casi previsti;  c) a verificare la correttezza del calcolo del contributo di costruzione ed il relativo versamento - sono previsti termini ben piu' ampi (fino a dodici mesi dalla fine lavori) per  il  «controllo  di  merito  dei contenuti  dell'asseverazione  allegata  alla  denuncia   di   inizio

attivita'» (art. 11, co. 1° e co 3°, 1.r. 31/2002).

    La diretta determinazione da parte  della  legge  statale  di  un termine rigido entro il quale  ogni  controllo  debba  essere  svolto impedisce alla Regione proprio quell'attivita' di  adattamento  delle norme alla concreta situazione  locale  ed  alle  possibilita'  delle

amministrazioni, che costituisce una  delle  ragioni  d'essere  della potesta' legislativa regionale.

    Sotto diverso profilo, la previsione del  termine  di  30  giorni appare anche irragionevole e contraria al principio di buon andamento dell'attivita' amministrativa.

    Se e' vero, infatti, che il termine di verifica di 30  giorni  e' il medesimo che gia' era previsto in materia  edilizia  dall'art.  23 dPR 380/2001, e' altrettanto vero  non  solo  che  tale  termine  era disciplinato in commi aventi natura regolamentare e non  legislativa, e che dopo la riforma del Titolo V essi erano poi stati  diversamente

disciplinati dalla normativa regionale: per la Regione Emilia-Romagna nel modo sopra indicato, che in modo razionale  distingue  i  diversi tipi di controllo, imponendo nei 30 giorni i controlli piu'  semplici e piu' urgenti, ma consentendo un termine piu' lungo per  quelli  che comportano accertamenti specifici e  complessi.  Imporre  un  termine unico di 30 giorni  -  oltretutto  in  una  situazione  in  cui  alle amministrazioni locali e'  precluso  per  limiti  sia  economici  che giuridici di espandere il proprio organico - compromette  in  pratica

la effettiva possibilita' di  vigilare  sull'attivita'  edilizia,  in violazione anche degli artt. 114 e 118 cost.

    La   nuova   regola   appare   ulteriormente   irragionevole    e sproporzionata se si considera che l'art. 19 1. 241/1990 prevede  ora il termine di verifica piu' lungo per attivita' economiche  di  minor impatto mentre  per  l'attivita'  edilizia,  il  cui  svolgimento  e'

notoriamente  piu'  delicato  e  potenzialmente  foriero   di   danni irreversibili al  territorio,  si  prevede  un  termine  di  verifica inferiore. Ne deriva, ad avviso della ricorrente Regione, l'ulteriore incostituzionalita' della disciplina contestata per violazione  degli artt. 3 e 97 cost.

    La norma apparirebbe illegittima e irrazionale sotto un ulteriore profilo ove -  al  contrario  di  quanto  ritenuto  dalla  ricorrente Regione - dovesse risultare legittima per la scia edilizia la  regola che consente l'immediato avvio  dell'attivita',  prima  di  qualunque

controllo.

    Infatti, la determinazione di un termine  breve  -  pur  comunque contestabile in  quanto  non  consente  una  flessibile  applicazione regionale - poteva avere una sua logica quando esso aveva al contempo carattere  dilatorio  rispetto  all'attivita'  costruttiva:  in   una logica, cioe', in cui solo allo scadere di tale  termine  il  privato poteva concretamente dare avvio alle opere.

    Ma se in  denegata  ipotesi  si  ammette  che  anche  in  materia edilizia via sia la possibilita' di dare sempre e comunque  immediato avvio  all'attivita',  contestualmente   alla   presentazione   della segnalazione, allora la riduzione del termine da 60 a 30  giorni  non

ha alcuna reale utilita' per il privato: poiche' non vale  a  ridurre un termine dilatorio che ora e' inesistente.

    All'opposto, tale riduzione avrebbe il solo l'effetto di limitare ingiustificatamente   i   poteri   di   verifica    della    pubblica amministrazione nel controllo del territorio.

    In  definitiva,  ad  avviso  della  Regione  Emilia-Romagna  sono illegittime,  per  violazione  del   riparto   costituzionale   delle competenze legislative nella  materia  e  per  irragionevolezza,  che porta alla compromissione di valori fondamentali, sia la  regola  che

consente l'immediato avvio dell'attivita' edilizia, sia la regola che costringe i controlli nel termine irrazionalmente breve di 30 giorni:

ma la seconda risulta ancor piu' irrazionale se si suppone vigente la prima.

 

                               P.Q.M.

 

    Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  5,  comma  1, lett. b), nonche' comma 2, lett. b) e lett. c), del  d.l.  13  maggio 2011 n. 70, recante "Semestre Europeo -  Prime  disposizioni  urgenti per l'economia", convertito in legge 12 luglio 2011,  n.  106,  nelle parti, nei termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso.

        Padova-Roma, 8 settembre 2011

 

                          Prof. Avv. Falcon

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