Ricorso n. 91 del 15 settembre 2011 (Presidente del Consiglio dei Ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 15 settembre 2011 (del Presidente del Consiglio dei ministri).
(GU n. 45 del 26.10.2011)
Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore Vasco Errani, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale del 5 settembre 2011, n. 1272 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine
del presente atto, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma nello studio di quest'ultimo in via Confalonieri, n. 5,
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, lett. b) e del medesimo art. 5, comma 2, lett. b) e c), del d.l. 13 maggio 2011 n. 70, recante "Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia", convertito in 1. 12 luglio 2011, n. 106,
pubblicata nella G.U. 12 luglio 2011, n. 160, nella parte in cui tale art. conferma o dispone l'applicabilita' della s.c.i.a. alla materia edilizia e nella parte in cui - attraverso il nuovo comma 6-bis dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990 - introduce un termine breve di trenta giorni per l'adozione dei provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell'attivita' e di rimozione degli effetti della s.c.i.a. in materia edilizia,
Per violazione degli artt. 3, 9, 97, 114, 117 e 118 della Costituzione, nei modi e per i profili di seguito illustrati.
Fatto
Con il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, poi convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, 122, il Governo era, tra l'altro, intervenuto sostituendo la disciplina della denuncia di inizio attivita' di cui all'art. 19 l. 241/1990 con quella della segnalazione certificata di inizio attivita', attraendo d'autorita' tale istituto alla competenza esclusiva statale.
La nuova disciplina e' stata a suo tempo contestata davanti a codesta Corte dalla Regione Emilia-Romagna con proprio ricorso, rubricato al numero 106/2010 R. r.
Nelle more della definizione di tale giudizio (l'udienza di discussione risulta, allo stato, fissata per il giorno 23 novembre 2011), il legislatore statale e' nuovamente intervenuto sulla materia con le disposizioni indicate in epigrafe, con le quali e' stata formalmente sancita l'applicabilita' della s.c.i.a. alla materia edilizia e si e' intervenuti sulla sua concreta disciplina, con particolare riferimento alla definizione del termine per l'esercizio del potere inibitorio da parte della pubblica amministrazione
successivamente alla presentazione della s.c.i.a. edilizia.
Tali disposizioni, che in parte confermano timori - e corrispondenti censure - gia' espressi con l'impugnazione del d.l. 78/2010, cristallizzando l'interpretazione di taluni dei suoi disposti in senso lesivo dell'autonomia regionale costituzionalmente garantita, risultano ad avviso della ricorrente Regione illegittime e lesive delle competenze costituzionali ad essa garantite per le seguenti ragioni di
Diritto
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, lett. b) e comma 2, lett b) e lett c), nella parte in cui conferma o dispone l'applicabilita' della s.c.i.a. alla materia edilizia.
Come noto, l'introduzione del nuovo istituto della s.c.i.a. per effetto della riscrittura dell'art. 19 1. 241/1990 (operata dall'art. 49, comma 4-bis, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in 1. 122/2010) aveva da subito posto agli interpreti il problema della sua
applicabilita' o meno anche alla materia dell'edilizia.
Per tale ragione, nell'impugnare il predetto art. 49, comma 4-bis, d.l. 78/2010 (ricorso 106/2010 R.r.) la Regione Emilia-Romagna ne aveva prospettata l'incostituzionalita' anche nell'eventualita' che codesta ecc.ma Corte avesse ritenuto di sciogliere il dubbio
interpretativo nel senso della riferibilita' della s.c.i.a. pure alla materia edilizia.
Le disposizioni di cui all'art. 5 1. 106/2011 oggetto della presente impugnazione forniscono interpretazione autentica agli intendimenti del legislatore statale, stabilendo ora inequivocabilmente che la disciplina della s.c.i.a. - quale contenuta nel riscritto art. 19 1. 241/1990 - si applicano certamente anche «alle denunce di inizio attivita' in materia edilizia disciplinata dal decreto del presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380»
(anche se «con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire»).
Tale interpretazione autentica si collega inoltre alla enunciazione di cui al comma 1, lett. b), del medesimo art. 5, 1. 106/2011 - parimenti contestato nella presente sede - che espressamente pone quale obiettivo la «estensione della segnalazione
certificata di inizio attivita' (SCIA) agli interventi edilizi precedentemente compiuti con denuncia di inizio attivita' (DIA)».
In definitiva, alla luce delle disposizioni qui contestate, si chiarisce e al tempo stesso si dispone l'applicabilita' della alle ipotesi di d.i.a. edilizia (con l'esclusione dei casi di c.d. super-d.i.a.).
E' dunque evidente che le medesime ragioni di incostituzionalitagia' sollevate in relazione alla (allora solo) presunta applicabilita' della s.c.i.a. in materia edilizia, trovano ora ancor piu' netta conferma nei confronti della qui impugnata
normativa statale: che chiarisce e definitivamente dispone tale applicabilita'.
In particolare, viene in rilievo la possibilita' di avvio immediato dell'attivita' a seguito della s.c.i.a.: tale possibilita' e' ora certamente riferibile anche all'attivita' edilizia sottoposta a d.i.a.
Tale previsione, tuttavia, rappresenta una regola di dettaglio, in quanto tale preclusa allo Stato in una materia - quella del governo del territorio (cui, come noto, e' riconducibile l'edilizia) - demandata alla potesta' legislativa concorrente: con conseguente
limitazione della potesta' statale alla sola fissazione dei principi.
Al riguardo, si rammenta come nella sentenza 303/2003 codesta Corte abbia riconosciuto che rappresenta principio necessario la «compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi ed
espressi [permesso di costruire] e taciti, quale e' la Dia».
Ma naturalmente altro e' la previsione di siffatto principio, altro e' la pretesa statuale di disciplinare nei minimi dettagli gli aspetti procedimentali di tali titoli, incluso - con riferimento specifico alla Dia - la regola che stabilisce dopo quanti giorni dalla presentazione della segnalazione (nessuno, in questo caso) e' possibile iniziare l'attivita'.
E' chiaro infatti, che in questo modo, il legislatore statale non si limita a fissare regole di principio, ma interviene a disciplinare i dettagli della materia, privando le Regioni della possibilita' persino di adattare la norme alle esigenze della situazione concreta
e delle concrete possibilita' delle amministrazioni.
Nell'imporre non solo la d.i.a. - ora s.c.i.a. - in luogo del permesso edilizio, ma nel disciplinare le modalita' stesse di funzionamento della S.c.i.a., il momento nel quale il «segnalante» puo' realizzare il progetto (piu' che iniziare una attivita', come la denominazione dovrebbe far pensare), nel disciplinare i tempi ed i limiti del potere o dovere di controllo dell'amministrazione lo Stato ha - ad avviso della Regione Emilia-Romagna - superato i limiti della propria potesta' legislativa concorrente di principio in materia di governo del territorio, come posta dalla Costituzione e precisata dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale. Risulta estremamente significativa, ad esempio, la ancora recente sentenza n. 278 del 2010, ove si accerta che spetta alle Regioni, e non allo Stato, di disciplinare i casi nei quali strutture residenziali mobili
nei campeggi possono essere realizzate senza alcun adempimento: a maggiore ragione, dunque, spetta alle Regioni di dire se ed in quali casi al segnalante sia consentito di realizzare subito il progetto, in quali sia preferibile che l'amministrazione abbia il tempo almeno per un primo controllo.
Di qui, una prima ragione di illegittimita' per contrasto con l'art. 117, comma 3, Cost.
Sotto altro profilo, si deve poi osservare come l'estensione alla Dia edilizia della facolta' di immediato inizio dell'attivita' (prevista al comma 2 del nuovo art. 19 1. 241/1990) determini ulteriori criticita', in considerazione della peculiare materia cui
si riferisce.
La questione attiene in particolare all'ipotesi in cui un soggetto inizi l'attivita' pur in assenza dei presupposti di legge:
sulla base di una s.c.i.a. che contiene false dichiarazioni o che comunque e' altrimenti errata.
Ferma restando la rivendicazione della competenza regionale adisporre in materia, nei settori commerciali l'immediato inizio di attivita' - pur in assenza dei presupposti richiesti - non appare particolarmente grave. Nella normalita' dei casi, infatti, l'attivazione del potere inibitorio e di rimozione degli eventuali effetti dannosi medio tempore prodotti (art. 19, comma 3) puo' risultare idoneo (perlomeno astrattamente) a tutelare gli interessi protetti dalle normative che prevedono il previo titolo abilitativo
(sostituito dalla Scia): dal momento che si tratta di settori nei quali le attivita' svolte, in linea di principio, non appaiono tali da determinare effetti irreversibili.
Discorso completamente diverso vale, invece, con riferimento alla d.i.a. edilizia. L'attivita' edilizia infatti, per sua natura, determina immediatamente una materiale - e potenzialmente assai rilevante - alterazione del territorio.
E' pur vero che, a seguito dell'intervento dell'amministrazione, gli interventi potrebbero essere fisicamente rimossi e la situazione pregressa ripristinata.
Tale ripristino, tuttavia, non sempre e' possibile: sia sotto il profilo materiale (si veda al riguardo quanto disposto dall'art. 33, comma 2, dPR 380/2001, il quale espressamente si occupa dei profili sanzionatori di opere abusive in relazione alle quali non sia possibile il ripristino dello stato dei luoghi) sia per gli eccessivi costi che il ripristino potrebbe comportare.
Ne' si dica - con riferimento a tale ultima ipotesi - che tali oneri ricadrebbero comunque necessariamente sui privati trasgressori che hanno dato inizio alla attivita' di trasformazione in assenza dei presupposti.
E' infatti possibile (soprattutto nel caso di interventi complessi e costosi) che questi non abbiano le risorse per provvedere al ripristino. Si pensi al caso di una societa' che - in conseguenza dell'elevato costo del ripristino - fallisca (o venga «fatta fallire», per evitare l'esborso). In tali ipotesi, la possibilita' di
dare reale seguito alla «rimozione degli effetti dannosi» si verrebbe oltremodo complicando.
Ma anche al di fuori di siffatta eventualita', il meccanismo dell'esecuzione in danno rappresenta comunque una soluzione che - in sede pratica - si presenta di disagevole attivazione.
Del resto, sono ben note e rientrano nell'esperienza comune le enormi difficolta' - ed i costi - che le Amministrazioni incontrano nell'ottenere la demolizione degli intereventi abusivi.
In tale contesto e' importante sottolineare come, ai fini di quanto si viene dicendo, sia del tutto irrilevante la circostanza che gli interventi abusivamente eseguiti in assenza o in difformita' dalla d.i.a. siano sottoposti - in linea generale (e salvo eccezioni) - alla sola sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 37 dPR n.
380/2001.
In primo luogo, infatti, si osserva come il tempestivo impiego del potere inibitorio da parte delle amministrazioni comunali era comunque in grado di prevenire in radice la commissione dell'abuso (cosa naturalmente preferibile rispetto alla misura sanzionatoria successiva) anche con riferimento a tipologie di interventi che -ancorche' non consentite nel caso concreto - fossero comunque astrattamente riconducibili all'ambito di applicabilita' della d.i.a.
Ma, soprattutto, l'uso preventivo del potere inibitorio era in grado di impedire il verificarsi dell'eventualita' - ben piu' grave - in cui il privato presentasse una d.i.a. per realizzare interventi che avrebbero invece richiesto il rilascio del permesso di costruire (e che tuttavia non lo avrebbero concretamente potuto conseguire per il contrasto con la disciplina - normativa o di piano - di riferimento). In tali casi, le amministrazioni comunali erano in grado di intervenire bloccando l'esecuzione del lavori prima
dell'inizio della loro esecuzione, mentre cio' non sarebbe ora piu' possibile: con tutti i conseguenti problemi di cui s'e' detto (ivi compresa l'impossibilita' - in determinati casi - di disporre la rimessione in pristino: cfr. il citato art. 33, comma 2, dPR n.
380/2001).
Su queste premesse, e' chiaro che la totale eliminazione della possibilita' delle amministrazioni (virtuose) di operare un seppur rapido esame preventivo dei progetti, allo scopo di impedire in radice la realizzazione degli abusi, appare non solo una violazione
della competenza regionale, ma anche una violazione del principio di ragionevolezza e di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97, comma 1°, Cost.: una violazione che la Regione e' legittimata ad impugnare in quanto essa si traduce in una limitazione
della propria potesta' legislativa.
Inoltre, la nuova disciplina contraddice apertamente l'esigenza costituzionalmente tutelata di tutela del paesaggio, con violazione dell'art. 9, comma secondo, della Costituzione. Sia nei casi in cui la sola sanzione prevista sia economica, sia nei casi in cui si possa in astratto procedere all'intervento demolitorio, ma con la concreta possibilita' che comunque il territorio ne risulti permanentemente ferito, risulta evidente che solo una verifica preventiva, per quanto in un tempo ridotto, e' in grado di prevenire le violazioni, e di corrispondere al precetto costituzionale. Si noti che, anche per
effetto degli accordi internazionali ai quali l'Italia ha aderito - quale la Convenzione europea del paesaggio - la tutela di esso e' ormai strutturalmente connessa alla tutela del territorio, non limitandosi piu' alla tutela del solo paesaggio eccezionalmente bello, e percio' protetto da strumenti specifici.
D'altronde, le evidenti specificita' del settore erano la ragione per la quale il legislatore del 2005 - nel sostituire alla «denuncia» la «dichiarazione di inizio attivita'» con la previsione di diverse regole di carattere generale, ritenute applicabili anche alla Dia
edilizia (si pensi ad esempio, alla previsione del potere di autotutela) - aveva pero' opportunamente ritenuto di mantenere alcune peculiarita' della d.i.a. edilizia, stabilendo in particolare che «restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l'inizio dell'attivita' e per l'adozione da parte dell'amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attivita' e di rimozione dei suoi effetti» (vecchio art. 19, comma 4).
Del tutto irragionevolmente, la disposizione qui censurata elimina tale clausola di salvezza: spogliando la tutela del territorio di questa - pur tenue - forma di tutela.
In tal modo, essa determina un inammissibile sbilanciamento a favore - apparentemente (ma si veda quanto si dira' subito di seguito) - dell'interesse ad una rapida (rectius immediata) definizione delle procedure abilitative edilizie: ma sacrificando in misura del tutto irragionevole ed ingiustificata (ed evidentissima) le esigenze della tutela del territorio nonche' quelle organizzative delle stesse amministrazioni cui e' affidato il potere di verifica:
le quali - in un contesto in cui le notorie e crescenti difficolta' di bilancio dello Stato impongono sempre maggiori tagli alle risorse e restrizioni di personale - si vedranno costrette, con i sempre minori mezzi a disposizione, ad «inseguire i cantieri» che potrebbero spuntare da un giorno all'altro sull'intero territorio comunale.
Per non dire, poi, dell'interesse dei terzi che si vedano lesi dall'attivita' costruttiva: la cui posizione - gia' tradizionalmente sofferta, come ben noto, in materia di d.i.a. edilizia - verra' ulteriormente pregiudicata.
D'altra parte, come accennato, non e' nemmeno del tutto certo che l'automatica estensione delle regole generali della s.c.i.a. anche alla materia edilizia vada realmente nel senso di tutelare l'effettivo interesse del costruttore.
Chi realizza un intervento edilizio, infatti, ha certamente interesse a conoscere in tempi rapidi e certi se puo' o non puo' dare corso a tale intervento. Ma altrettanto certamente ha interesse ad operare in quadro di regole sicure: conoscendo in anticipo se quanto sta realizzando e' o non e' conforme a diritto.
Sotto tale profilo, l'immediato inizio dei lavori accentua il rischio che quanto e' in corso di realizzazione venga in seguito ad incorrere nell'esercizio (ora solo successivo) del potere inibitorio.
Con esiti potenzialmente in grado di danneggiare tutte le parti interessate: sia l'amministrazione ed il terzo (che si troverebbero fisicamente di fronte ad opere gia' realizzate e delle quali dovrebbero preoccuparsi di ottenere la demolizione) che lo stesso costruttore, che si vede l'intervento bloccato in corso d'opera, con enorme aumento dei costi.
Per tale via, il pesante sacrificio che viene imposto agli interessi contrapposti di cui s'e' detto, non viene nemmeno bilanciato da un risolutivo vantaggio a favore dell'interesse del costruttore.
In definitiva, la scia sembra avere il solo effetto di inasprire le criticita' gia' notoriamente presenti nel previgente sistema della dia edilizia: che nel corso di un ventennio ha gia' dato cattiva prova di se' (si vedano, a titolo di esempio, le fosche considerazioni "di sistema" contenute in Tar Lombardia, Milano, 7 luglio 2004, n. 3086).
Per le ragioni fin qui esposte, l'applicazione dei disposti di cui all'art. 19 1. 241/1990 (come modificato dall'art. 49, comma 4-bis, 1. 122/2010) alle ipotesi di d.i.a. edilizia - quale operata dalle disposizioni impugnate nella presente sede - appare costituzionalmente illegittimo nella parte in cui consente di iniziare l'attivita' costruttiva alla data della presentazione della segnalazione (senza prevedere una clausola di salvezza per le diverse disposizioni previste per la d.i.a. edilizia) - per contrasto con l'art. 3 cost., per violazione dei principi di ragionevolezza e
proporzionalita', e con l'art. 97 cost., per violazione del principio buon andamento dell'attivita' amministrativa.
Nella misura in cui interferisce con i poteri di controllo di comuni e regioni sull'attivita' edilizia, la disposizione e' altresi' illegittima per violazione degli artt. 114 e 118 cost.
Per completezza, si osserva come - nella misura in cui e' oggi positivamente stabilita la riconduzione delle fattispecie di d.i.a. edilizia alla disciplina della s.c.i.a. - la riconduzione di tale disciplina alle materie della tutela della concorrenza e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. e) ed m), cost. (quale prevista dal citato art. 49, comma 4-ter, d.l. 78/2010) sia gia' stata censurata in occasione dell'impugnazione di tale fonte normativa (cfr. ricorso 106/2010 R.g.): senza che le disposizioni
impugnate con il presente ricorso introducono sul tema ulteriori novita'.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5 comma 2, lett b), nella parte in cui - attraverso il nuovo comma 6-bis dell'art. 19 della legge n. 241/1990 - introduce un termine breve di 30 giorni per la s.c.i.a. in materia edilizia.
Risulta costituzionalmente illegittima, ad avviso della ricorrente, anche la riduzione del termine di verifica dai 60 giorni stabiliti in linea generale per la s.c.i.a. ai 30 previsti specificamente per la materia edilizia.
Ancora una volta, il legislatore statale interviene nella definizione di aspetti di dettaglio della materia edilizia - con precetti per di piu' destinati a trovare immediata applicazione in deroga alle diverse previsioni normative regionali (va infatti ricordato che l'art. 49, co. 4-ter, 1. 122/2010 prevede che la disciplina della s.c.i.a. di cui al novellato art. 19 1. 241/1990 «sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione
di inizio attivita' recata da ogni normativa statale e regionale»), in violazione delle regole che limitano alla fissazione dei principi la potesta' statale concorrente con quella regionale, ai sensi dell'art. 117, comma 3, cost.
E' anche utile ricordare che la Regione Emilia-Romagna aveva gia' disciplinato la materia autonomamente, prevedendo un sistema articolato di controlli nel quale - a fianco di un primo termine di 30 giorni entro cui si provvede «esclusivamente»: a) a verificare la completezza della documentazione; b) ad accertare che la tipologia dell'intervento descritto e asseverato rientri nei casi previsti; c) a verificare la correttezza del calcolo del contributo di costruzione ed il relativo versamento - sono previsti termini ben piu' ampi (fino a dodici mesi dalla fine lavori) per il «controllo di merito dei contenuti dell'asseverazione allegata alla denuncia di inizio
attivita'» (art. 11, co. 1° e co 3°, 1.r. 31/2002).
La diretta determinazione da parte della legge statale di un termine rigido entro il quale ogni controllo debba essere svolto impedisce alla Regione proprio quell'attivita' di adattamento delle norme alla concreta situazione locale ed alle possibilita' delle
amministrazioni, che costituisce una delle ragioni d'essere della potesta' legislativa regionale.
Sotto diverso profilo, la previsione del termine di 30 giorni appare anche irragionevole e contraria al principio di buon andamento dell'attivita' amministrativa.
Se e' vero, infatti, che il termine di verifica di 30 giorni e' il medesimo che gia' era previsto in materia edilizia dall'art. 23 dPR 380/2001, e' altrettanto vero non solo che tale termine era disciplinato in commi aventi natura regolamentare e non legislativa, e che dopo la riforma del Titolo V essi erano poi stati diversamente
disciplinati dalla normativa regionale: per la Regione Emilia-Romagna nel modo sopra indicato, che in modo razionale distingue i diversi tipi di controllo, imponendo nei 30 giorni i controlli piu' semplici e piu' urgenti, ma consentendo un termine piu' lungo per quelli che comportano accertamenti specifici e complessi. Imporre un termine unico di 30 giorni - oltretutto in una situazione in cui alle amministrazioni locali e' precluso per limiti sia economici che giuridici di espandere il proprio organico - compromette in pratica
la effettiva possibilita' di vigilare sull'attivita' edilizia, in violazione anche degli artt. 114 e 118 cost.
La nuova regola appare ulteriormente irragionevole e sproporzionata se si considera che l'art. 19 1. 241/1990 prevede ora il termine di verifica piu' lungo per attivita' economiche di minor impatto mentre per l'attivita' edilizia, il cui svolgimento e'
notoriamente piu' delicato e potenzialmente foriero di danni irreversibili al territorio, si prevede un termine di verifica inferiore. Ne deriva, ad avviso della ricorrente Regione, l'ulteriore incostituzionalita' della disciplina contestata per violazione degli artt. 3 e 97 cost.
La norma apparirebbe illegittima e irrazionale sotto un ulteriore profilo ove - al contrario di quanto ritenuto dalla ricorrente Regione - dovesse risultare legittima per la scia edilizia la regola che consente l'immediato avvio dell'attivita', prima di qualunque
controllo.
Infatti, la determinazione di un termine breve - pur comunque contestabile in quanto non consente una flessibile applicazione regionale - poteva avere una sua logica quando esso aveva al contempo carattere dilatorio rispetto all'attivita' costruttiva: in una logica, cioe', in cui solo allo scadere di tale termine il privato poteva concretamente dare avvio alle opere.
Ma se in denegata ipotesi si ammette che anche in materia edilizia via sia la possibilita' di dare sempre e comunque immediato avvio all'attivita', contestualmente alla presentazione della segnalazione, allora la riduzione del termine da 60 a 30 giorni non
ha alcuna reale utilita' per il privato: poiche' non vale a ridurre un termine dilatorio che ora e' inesistente.
All'opposto, tale riduzione avrebbe il solo l'effetto di limitare ingiustificatamente i poteri di verifica della pubblica amministrazione nel controllo del territorio.
In definitiva, ad avviso della Regione Emilia-Romagna sono illegittime, per violazione del riparto costituzionale delle competenze legislative nella materia e per irragionevolezza, che porta alla compromissione di valori fondamentali, sia la regola che
consente l'immediato avvio dell'attivita' edilizia, sia la regola che costringe i controlli nel termine irrazionalmente breve di 30 giorni:
ma la seconda risulta ancor piu' irrazionale se si suppone vigente la prima.
P.Q.M.
Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, lett. b), nonche' comma 2, lett. b) e lett. c), del d.l. 13 maggio 2011 n. 70, recante "Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia", convertito in legge 12 luglio 2011, n. 106, nelle parti, nei termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso.
Padova-Roma, 8 settembre 2011
Prof. Avv. Falcon