Ricorso n. 91 del 30 settembre 2004 (Regione Toscana)
N. 91 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 settembre 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 30 settembre 2004 (della Regione Toscana)
(GU n. 40 del 13-10-2004)
Ricorso per la Regione Toscana, in persona del suo presidente pro
tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 804
del 27 agosto 2004, rappresentato e difeso, per delega in calce al
presente atto, dagli avvocati Lucia Bara e Fabio Lorenzoni e presso
lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, Via del
Viminale n. 43
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale
ded'art. 1, comma undicesimo del decreto-legge 12 luglio 2004,
n. 168, convertito in legge 30 luglio 2004, n. 191 recante
«Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica», per
violazione degli articoli 114,117,118 e 119, anche in relazione agli
artt. 3 e 97 della Costituzione.
Sul Supplemento Ordinario n. 136 nella Gazzetta Ufficiale del
31 luglio 2004 n. 178 e' stata pubblicata la legge n. 191/2004, che
ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 12 luglio 2004
n. 168 relativo agli interventi urgenti per il contenimento della
spesa pubblica.
In particolare, l'art. 1, undicesimo comma, come risultante dalle
modifiche apportate in sede di conversione, dispone che ciascuna
regione a statuto ordinario, ciascuna provincia e ciascun comune con
popolazione superiore a 5.000 abitanti concorrono alla realizzazione
degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2004-2006
assicurando che la spesa per l'acquisto di beni e servizi, esclusa
quella dipendente dalla prestazione di servizi correlati a diritti
soggettivi dell'utente, sostenuta nell'anno 2004 non sia superiore
alla spesa annua mediamente sostenuta negli anni dal 2001 al 2003,
ridotta del 10%; tale riduzione si applica anche alla spesa per
missioni all'estero e per il funzionamento di uffici all'estero,
nonche' alle spese di rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni
ed alla spesa per studi ed incarichi di consulenza conferiti a
soggetti estranei all'amministrazione, inclusi quelli ad alto
contenuto di professionalita'. E' altresi disposto che l'affidamento
di incarichi di studio, ricerca e consulenze, possibile solo nei casi
previsti dalla legge o per eventi straordinari, sia adeguatamente
motivato e preventivamente comunicato agli organi di controllo e di
revisione dell'ente; e' sancita la responsabilita' disciplinare ed
erariale a fronte del mancato rispetto delle suddette disposizioni.
E' previsto che per le regioni e gli enti locali che hanno
rispettato nell'anno 2003 e sino al 30 giugno 2004 gli obiettivi
previsti relativamente al patto di stabilita' interno, la riduzione
del 10% non si applica con riferimento alle spese che siano gia'
state impegnate alla data di entrata in vigore della nuova normativa.
Il Consiglio delle Autonomie locali della Toscana, istituito con
legge regionale n. 36 del 21 marzo 2000, con risoluzione n. 3 del 5
agosto 2004 (doc. n. 1) ha avanzato - ai sensi e per gli effetti di
quanto disposto dall'art. 9, comma secondo, della legge n. 131/2003 -
al presidente della giunta regionale la proposta di impugnare alla
Corte costituzionale l'art. 1, undicesimo comma, della legge in
parola, con analitiche e puntuali motivazioni che la Giunta regionale
ha condiviso, come risulta dalla deliberazione n. 804/2004 che
autorizza la proposizione del presente ricorso.
Cio' in quanto la norma impugnata, al di fuori di un'azione
organica e strutturale, pone un nuovo limite di spesa,in modo del
tutto illegittimo ed illogico, come verra' dimostrato, cosi' violando
l'autonomia di spesa costituzionalmente garantita alle regioni e agli
enti locali.
La regione e' quindi sicuramente legittimata a proporre la
presente impugnativa per la lesione diretta subita dalla norma
contestata, ma lo e' anche per la rigidita' all'azione degli enti
locali che la disposizione medesima produce. Sotto questo profilo,
infatti, l'art. 118 Cost. attribuisce alla regione il ruolo (insieme
allo Stato) di «allocatore» delle funzioni amministrative, per cui
una norma che ponga limiti incostituzionali alle funzioni degli enti
locali incide illegittimamente su detto ruolo regionale, oltre che
sul ruolo della regione di rappresentante generale degli interessi
della popolazione regionale. Piu' in particolare, poiche', in
applicazione dell'art. 118 Cost., la regione e' tenuta a trasferire
agli enti locali le funzioni amministrative, restando titolare del
potere di legislazione e programmazione, e' evidente che l'autonomia
regionale e' collegata alla efficienza dell'amministrazione locale,
restandone a sua volta condizionata. Percio' ogni limite
all'efficienza dell'amministrazione locale si riflette negativamente
sull'attuazione delle politiche della regione e quindi sulla sua
autonomia.
Tanto premesso, la norma impugnata e' incostituzionale per i
seguenti motivi di
D i r i t t o
1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, undicesimo comma,
per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost.
La norma e' finalizzata al coordinamento della finanza pubblica,
per la riduzione della spesa.
L'art. 117 Cost. annovera il «coordinamento della finanza
pubblica» tra le materia a legislazione concorrente, in cui, quindi,
allo Stato compete la sola determinazione dei principi fondamentali.
Nello stesso senso in base all'art. 119, secondo comma, Cost. lo
Stato deve limitarsi a fissare i principi del coordinamento
finanziario e tributario.
Le impugnate disposizioni invece non sono qualificabili come
principi di coordinamento della finanza pubblica, perche' non
possiedono, dei principi, la generalita', la struttura e la funzione:
esse infatti stabiliscono, in modo dettagliato ed autoapplicativo, le
categorie di spesa sulle quali gli enti devono operare, disciplinando
minuziosamente la procedura.
Questo costituisce un primo motivo di contrasto con l'art. 117
Cost. Tale parametro costituzionale e' violato anche per un ulteriore
profilo.
Com'e' noto, l'art. 117, secondo comma lett. p) affida alla
legislazione esclusiva dello Stato la materia «legislazione
elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni,
province e citta' metropolitane». L'impugnata disposizione invece,
non si limita ad incidere sulle sole funzioni fondamentali degli enti
locali - le sole che, almeno per la loro individuazione rientrano
nella competenza statale - ma si riferiscono indiscriminatamente a
tutte le funzioni esercitate dagli enti locali, ivi comprese quelle
affidate agli enti medesimi dal legislatore regionale. L'estensione
indeterminata ad ogni attivita' di spesa consistente nell'acquisto di
beni e servizi a qualunque titolo esercitata e' dunque
incostituzionale perche' il legislatore statale potra' incidere sulle
sole funzioni fondamentali riconducibili nell'ambito della competenza
di cui al citato art. 117 secondo comma lett. p).
Ancora la norma e' in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., in
quanto, in base a tali disposizioni costituzionali, mentre la
potesta' legislativa e' regionale in un cospicuo e rilevante numero
di materie, le funzioni amministrative devono di regola essere
allocate in capo agli enti locali, secondo il criterio di
sussidiarieta' ed adeguatezza, ad eccezione di quelle che per
esigenze unitarie non possono restare a tale livello.
Ne consegue che la regione, nell'ambito della propria potesta'
legislativa di cui all'art. 117 Cost. e nel rispetto dell'art. 118
Cost., alloca l'esercizio di funzioni in capo agli enti locali;
tuttavia tale legislazione regionale viene vanificata dal fatto che
le autonomie locali non possano poi concretamente esercitare le
funzioni per il nuovo limite di spesa posto dal legislatore statale.
L'introduzione del nuovo limite di spesa fissato in modo
indiscriminato ed uguale per tutti gli enti, a prescindere dalle
risorse di cui ciascun ente puo' disporre, si risolve in una
predeterminazione dal centro del livello massimo delle funzioni, dei
compiti e servizi esercitabili e gestibili dagli enti locali, con la
conseguenza di costringere gli enti stessi a tagliare servizi e
funzioni e a non rispettare le previsioni contenute nelle leggi
regionali circa l'esercizio delle funzioni medesime.
2. - Illeggittimita' costituzionale dell'art. 1, undicesimo
comma, per violazione degli artt. 114 e 119 Cost.
Come sopra rilevato, la norma impugnata dovrebbe trovare un
fondamento nel coordinamento finanziario, essendo emanata per
contenere la spesa pubblica.
A tale proposito la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che
l'azione di coordinamento finanziario ha carattere finalistico e
quindi implica l'esercizio dei poteri necessari affinche' quella
finalita' di coordinamento possa essere realizzata. Tuttavia, e'
aggiunto, «i poteri in questione devono essere con figurati in modo
consono all'esistenza di sfere di autonomia, costituzionalmente
garantite, rispetto a cui l'azione di coordinamento non puo' mai
eccedere i limiti al di la' dei quali si trasformerebbe in attivita'
di direzione o in indebito condizionamento dell'attivita' degli enti
autonomi», per cui la norma e' compatibile con il sistema
costituzionale se non attribuisce allo Stato «il potere di incidere
sulle scelte autonome degli enti quanto alla provvista o all'impiego
delle loro risorse, effettuate nei limiti dei principi di
armonizzazione stabiliti dalle leggi statali o, peggio, di adottare
determinazioni discrezionali che possano concretarsi in trattamenti
di favore o di sfavore nei confronti dei singoli enti» e non precluda
«determinazioni ed attivita' che gli enti autonomi possano porre in
essere nell'esplicazione della propria capacita' contrattuale»
(sentenza n. 376/2003).
Nello stesso senso, nella sentenza n. 17/2004 la Corte
costituzionale, nel ribadire che in materia di «armonizzazione dei
bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario» allo Stato spetta la determinazione dei principi
fondamentali, ha ritenuto legittime le norme relative
all'esternalizzazione dei servizi, perche' esse hanno un valore di
principio, facoltizzante ed autorizzatorio, ma non incidono
sull'autonomia delle regioni, posto che «la scelta riguardante il
reperimento sul mercato o l'affidamento dei servizi o la gestione
diretta resta rimessa, in ogni caso, alla regione e agli enti
territorialt sia in ordine all'an sia in ordine al quomodo».
Ancora nello stesso senso la Corte cotituzionale, nel rilevare
che il legislatore statale puo' porre vincoli alle politiche di
bilancio degli enti territoriali che si traducano in un limite
annuale alla crescita della spesa corrente, ha tuttavia specificato
che deve trattarsi di un «limite complessivo che lascia agIi enti
stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi
ambiti ed obiettivi di spesa» (sentenza n. 36/2004).
Quindi la giurisprudenza costituzionale ha sempre sottolineato la
necessita' che il coordinamento finanziario non comprima l'autonomia
costituzionalmente riconosciuta aIle regioni e agli enti locali,
lasciando invece ai medesimi la possibilita' di scegliere e di agire
per perseguire i propri compiti istituzionali, cosi' di fatto
richiedendo il rispetto del principio di proporzionalita', nel senso
che le misure adottate in nome del coordinamento finanziario siano
proporzionate rispetto al fine e contemperino comunque i diversi
interessi coinvolti, ivi compreso il rispetto dell'autonomia delle
Amministrazioni territoriali.
Questo significa, con riferimento al caso in questione, che il
legislatore statale, in nome dell'armonizzazione dei bilanci pubblici
e del coordinamento della finanza pubblica, potra' porre alle regioni
e agli enti locali l'obiettivo finanziario che deve essere perseguito
anche dalle Amministrazioni regionali e locali, lasciando pero' alla
loro autonomia la decisione circa le modalita' con cui raggiungere
quell'obiettivo.
Solo in questo modo l'azione di coordinamento non si trasforma in
quella attivita' di direzione o di indebito condizionamento che, come
sopra evidenziato, la Corte costituzionale ritiene incompatibile con
l'autonomia degli enti territoriali. Inoltre solo in questo modo la
norma non sarebbe irrazionale ed illogica: infatti si permetterebbe,
fermo restando il raggiungimento dell'obiettivo finanziario posto,
alle Amministrazioni territoriali di agire secondo le proprie
specificita' e di adeguare a queste le misure da adottare per
contenere le spese.
Cosi', ad esempio, per un comune che ha deciso di investire
sull'internazionalizzazione del proprio tessuto produttivo e' molto
piu' incisivo tagliare le spese per il funzionamento degli uffici
all'estero e per le relazioni pubbliche di quanto non sia per un
altro ente: se la norma fosse rispettosa dei parametri costituzionali
e si limitasse a porre gli obiettivi finanziari da raggiungere,
lasciando la liberta' di scelta sul come perseguire i medesimi,
quelybmune potrebbe tagliare altre spese e non incidere su quelle
essenziali per l'attuazione del proprio programma di governo.
La norma impugnata, invece, non rispetta i suddetti criteri ed e'
dunque incostituzionale perche' non stabisce l'obiettivo del
riequilibrio finanziario, non della «un limite complessivo che lascia
agli enti ampia liberta' di allocazione delle risorse» (citata sent.
n. 36/2004), ma individua le specifiche categorie di spesa sulle
quali gli enti devono indiscriminatamente operare, senza possibilita'
di effettuare diverse ed autonome scelte all'interno dei propri
bilanci e senza poter tener conto delle funzioni - proprie,
fondamentali o altrimenti attribuite - cui dette spese sono
correlate.
La norma dunque fa venir meno la liberta' di allocazione delle
risorse fra i diversi ambiti di spesa e percio' e' incostituzionale
per violazione dell'art. 119 Cost.
E' inoltre sicuramente violato anche l'art. 114, primo e secondo
comma Cost., che sancisce l'equiordinazione dei diversi enti che
compongono la Repubblica ed il riconoscimento di una piena autonomia
politica degli enti territoriali: il drastico limite di spesa posto
dalla norma impugnata non consente infatti agli enti territoriali il
regolare svolgimento delle azioni programmate.
3. - Illegittimita' castituzianale dell'art. 1, undicesimo comma
per ulteriore violazione degli artt. 114 e' 119 Cost., anche in
relazione agli artt. 3 e 97 Cost.
La norma impugnata impone alle regioni e agli enti locali di
applicare il nuovo limite di spesa gia' nel 2004, con un
provvedimento emanato nel mese di luglio dello stesso anno, quando,
evidentemente, molte scelte sono gia' state compiute, le azioni
programmate e la gestione impostata. Percio' l'articolo censurato
produce in modo puntuale e al di fuori di un'azione organica e
strutturale effetti sull'esercizio finanziario in corso, applicando
alla sua parte restante una riduzione calcolata sulla totalita'
dell'esercizio stesso: cio' sconvolge la programmazione iniziale
approvata dagli enti che, per essere realizzata, non dovrebbe subire
modificazioni nello scenario di riferimento. Inoltre la casuale
successione temporale delle spese gia' effettuate rispetto a quelle
ancora da realizzare penalizza queste ultime indipendentemente dal
loro rilievo sulle strategie politico-finanziarie delle
Amministrazioni.
Pertanto la norma inficia totalmente la programmazione
finanziaria, su cui si basa l'azione delle Amministrazioni
territoriali e che costituisce un presupposto essenziale per
un'efficace azione amministrativa, con conseguente violazione del
principio del buon andamento dell'Amministrazione.
Per tali motivi la norma viola l'autonomia politica e finanziaria
delle Regioni ed enti locali sancita dagli artt. 114 e 119 Cost,
anche in relazione all'art. 97 Cost.
L'impugnata disposizione determina altresi' una disparita' di
trattamento tra gli enti, applicando a tutti la stessa misura, senza
tener conto delle diverse situazioni finanziarie e di bilancio delle
Amministrazioni: si applica un limite astratto ed uguale a situazioni
che sono oggettivamente diverse, in totale violazione del principio
di proporzionalita', perche' il vincolo posto alle spese e'
eccessivamente rigido e perche' non si tiene conto di possibili
eccezioni, cioe' di particolari disponibilita' finanziarie degli enti
territoriali nell'anno 2004. Inoltre l'assunzione di un parametro (il
10%) di risparmio sul bilancio attuale correlato non all'entita' del
bilancio stesso, o alla sua quota non ancora impegnata, ma alla media
della spesa pregressa costituisce un ulteriore motivo di disparita'
di effetti tra gli enti sulla base di un dato del tutto casuale.
Il nuovo vincolo, poi, non e' giustificato dal rispetto del patto
di stabilita' e crescita e dall'adempimento di obblighi derivanti
dall'appartenenza all'Unione europea - per tale fine infatti
l'andamento della spesa delle Amministrazioni territoriali e'
continuamente controllato - ma viene a sommarsi ad esso, e in tal
modo si colpiscono indiscriminatamente, ai fini del contenimento
della spesa pubblica, le Amministrazioni che stanno gia' rispettando
i vincoli cui sono soggetti, anziche' intervenire su quei centri di
spesa della finanza pubblica responsabili del disavanzo.
Inoltre la norma impugnata pretende di valutare il rispetto del
patto di stabilita' interno assumendo come parametro temporale
un'arbitraria data intermedia (30 giugno 2004) che non ha alcun
rilievo ai fini dell'effettivo rispetto del patto stesso, il quale
non prevede scadenze intermedie di verifica: cosi si introduce una
ulteriore disparita' di trattamento tra gli enti, in base
all'occasionale andamento della spesa determinatosi, nel corso
dell'attuale esercizio, sino al mese di giugno.
Per tutti gli esposti motivi la norma e' incostituzionale per
violazione degli artt. 114 e 119, anche in relazione agli artt. 3 e
97 della Costituzione.
4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, undicesimo comma,
per ulteriore violazione degli artt. 114 e 119, anche in relazione
agli artt. 3 e 97 Cost.
La norma impugnata e' ulteriormente incostituzionale per
violazione dei parametri indicati, in quanto e' palesemente illogica
ed irrazionale e contrastante con il principio consacrato
nell'art. 97 Cost. Infatti si consente di superare il limite di spesa
del 10% «in casi eccezionali, previa adozione di un motivato
provvedimento adottato dall'organo di vertice dell'amministrazione,
da comunicare preventivamente agli organi di controllo ed agli organi
di revisione dell'ente» solo per le missioni all'estero, le spese di
rappresentanza, le relazioni pubbliche ed i convegni (art. 1, decimo
comma richiamato dall'undicesimo comma qui impugnato), ma non anche
per le altre categorie di spesa che le Amministrazioni devono
sostenere, in certi casi anche piu' attinenti agli obiettivi degli
enti stessi: in tal modo di restringe ulteriormente ed
immotivatamente l'autonomia finanziaria e politica delle Regioni e
degli enti locali.
Per tutti i motivi sopra indicati, come rilevato dal Consiglio
delle Autonomie locali della Toscana nella citata risoluzione
n. 3/2004, la norma impugnata esprime una scelta di politica
economica e flnanziaria che lede immotivatamente l'autonomia delle
regioni e degli enti locali, in particolare sotto il profilo
dell'autonomia di spesa e dell'autonomia gestionale e di
programmazione, nonche' il principio di equiordinazione tra i
soggetti istituzionali che compongono la Repubblica, violando
altresi' i limiti della competenza statale in materia di
coordinamento finanziario della finanza pubblica.
P. Q. M.
Si chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale dichiari
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, undicesimo comma, del
decreto-legge 12 luglio 2004 n. 168 convertito in legge 30 luglio
2004 n. 191, per violazione degli artt. 114, 117, 118 e 119, anche in
relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione.
Si deposita la risoluzione del Consiglio delle Autonomie locali
della Toscana n. 3 del 5 agosto 2004 (doc. n. 1) nonche' la delibera
della giunta regionale n. 804 del 27 agosto 2004.
Firenze-Roma, addi' 15 settembre 2004
Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni