Ricorso n. 93 del 10 ottobre 2013 (Presidente del Consiglio dei Ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 10 ottobre 2013 (del Presidente del Consiglio dei
ministri) .
(GU n. 47 del 20.11.2013)
Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato
e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato presso cui e'
domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, contro Regione
Sardegna, in persona del Presidente della Giunta regionale pro
tempore per la declaratoria di illegittimita' costituzionale
dell'art. 1 della Legge della Regione Sardegna n. 19 del 2 agosto
2013, pubblicata sul BUR n. 36 dell'8 agosto 2013 recante «Norme
urgenti in materia di usi civici, di pianificazione urbanistica, di
beni paesaggistici e di impianti eolici».
La legge della Regione autonoma Sardegna n. 19 del 2 agosto 2013
recante norme urgenti in materia di usi civici, di pianificazione
urbanistica, di beni paesaggistici e di impianti eolici, all'art. 1
dispone la «Ricognizione generale degli usi civici».
Piu' precisamente stabilisce che:
«1. La Giunta regionale, mediante un Piano straordinario di
accertamento demaniale, provvede alla ricognizione generale degli usi
civici esistenti sul territorio regionale e alla individuazione su
cartografia aggiornata di dati e accertamenti gia' esistenti
riportati su cartografie antiche.
2. A tal fine in deroga alle disposizioni di cui alla legge
regionale 14 marzo 1994, n. 12 (Norme in materia di usi civici.
Modifica della legge regionale 7 gennaio 1977, n. 1 concernente
l'organizzazione amministrativa della Regione sarda), ed in via
straordinaria al fine di superare i limiti e le incongruenze legate
alle procedure di accertamento gia' decretato delle terre gravate da
uso civico, i comuni sono delegati ad effettuare entro il 31 dicembre
2013, e con le procedure per l'adozione e l'approvazione dei piani di
valorizzazione di cui all'articolo 9 della legge regionale n. 12 del
1994, la ricognizione generale degli usi civici esistenti sul proprio
territorio.
3. A tal fine i comuni, oltre a documentare il reale sussistere
dell'uso civico, possono proporre permute, alienazioni,
sclassificazioni e trasferimenti dei diritti di uso civico secondo il
principio di tutela dell'interesse pubblico prevalente. Costituiscono
oggetto di sclassificazione del regime demaniale civico in sede di
ricognizione generale e straordinaria anche i casi in cui i terreni
sottoposti ad uso civico abbiano perso la destinazione funzionale
originaria di terreni pascolativi o boschivi ovvero non sia
riscontrabile ne' documentabile l'originaria sussistenza del vincolo
demaniale civico. I comuni, previa intesa fra le parti interessate,
possono attuare, nell'ambito della ricognizione generale degli usi
civici, processi di transazione giurisdizionale a chiusura di liti o
cause legali in essere. Per quanto previsto al presente articolo non
possono essere assimilate ad uso civico le terre pubbliche sottoposte
da provvedimenti prefettizi ad assegnazione per finalita' sociali.
4. Tutte le risultanze degli accertamenti gia' decretati che
non risultino confermate o coerenti con la documentazione
giustificativa del piano di accertamento straordinario di cui al
comma 1 decadono con l'approvazione, non oltre i tre mesi dalla
conclusione delle procedure comunali, del complessivo Piano
straordinario di accertamento da parte della Giunta regionale. Le
cessazioni degli usi civici derivanti dalle risultanze del piano
straordinario di cui alle presenti norme, hanno efficacia dalla data
dei medesimi atti o provvedimenti, ovvero se precedenti rispetto alle
date indicate negli stessi atti o provvedimenti, dalla data, indicata
nell'atto ricognitivo, in cui e' venuta meno la destinazione
funzionale all'uso civico dei relativi beni.»
La disposizione sopra richiamata, appare costituzionalmente
illegittima, sotto i profili che verranno ora evidenziati, e pertanto
il Governo - giusta delibera del Consiglio dei Ministri del 4 ottobre
2013 (che per estratto autentico si produce sub 1) ai sensi dell'art.
127 Cost. la impugna con il presente ricorso per i seguenti
M O T I V I
Violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s) della
Costituzione; degli artt. 135, 142, comma 1, lettera h) e 143 decreto
legislativo n. 42/2004; dell'art. 3 lettera n) dello Statuto Speciale
della Regione Sardegna (approvato con legge costituzionale n. 3/1948
) e delle disposizioni attuative del medesimo contenute nell'art. 6
del decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975 n. 480.
1. L'articolo 1 della legge regionale della Sardegna n. 19/2013
delega i Comuni «alla ricognizione generale degli usi civici
esistenti sul proprio territorio» (comma 2), prevedendo, altresi',
una procedura di sdemanializzazione dei «terreni sottoposti a uso
civico che abbiano perso la destinazione funzionale originaria di
terreni pascolativi o boschivi ovvero non sia riscontrabile ne'
documentabile l'originaria sussistenza del vincolo demaniale civico»
(comma 3).
Come e' noto, gli «usi civici» sono diritti reali millenari di
natura collettiva, volti ad assicurare un'utilita' o comunque un
beneficio ai singoli appartenenti ad una collettivita'.
Essi sono disciplinati, in linea generale, dalla legge 16 giugno
1927, n. 1766 (mantenuta in vigore dall'allegato 1 del comma 1
dell'art. 1, decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179,
limitatamente agli articoli da 1 a 34 e da 36 a 43) e del relativo
regolamento di cui al r.d. n. 332/1928.
Il legislatore statale, nel disciplinare la destinazione delle
terre sulle quali gravano usi civici all'art. 12, II comma della
legge n. 1766 cit, ha stabilito, in via di principio,
l'inalienabilita' e l'impossibilita' di mutamento di destinazione,
dei terreni convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo
permanente.
Gli usi civici concorrono quindi a determinare la forma del
territorio su cui si esercitano ed incidono sull'ambiente e sul
paesaggio, perche' contribuiscono alla salvaguardia di questi ultimi.
In tale contesto normativo si inserisce l'art. 1 della legge
regionale in esame che come si e' detto delega i comuni ad una
ricognizione generale degli usi civici esistenti sul proprio
territorio e in particolare prevede la progressiva sdemanializzazione
dei terreni sottoposti a uso civico.
La legge regionale non si limita quindi a disciplinare la materia
degli usi civici sul territorio ma prevede la sostanziale cessazione
degli usi civici e quindi interferisce in modo diretto sulla
conservazione e tutela dell'ambiente e del paesaggio, in contrasto
con gli artt. 9 e 117, secondo comma lettera s) Cost. la cui cura
spetta in via esclusiva allo Stato.
Come ha ritenuto la giurisprudenza della Corte Cost. sin dalla
sentenza n. 367/2007 si e' infatti venuto progressivamente chiarendo
gia' prima della riforma del Titolo V della parte seconda della
Costituzione, che «il concetto di paesaggio indica, innanzitutto, la
morfologia del territorio, riguarda cioe' l'ambiente nel suo aspetto
visivo. Ed e' per questo che l'art. 9 della Costituzione ha sancito
il principio fondamentale della "tutela del paesaggio" senza
alcun'altra specificazione. In sostanza, e' lo stesso aspetto del
territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che
e' di per se' un valore costituzionale. Si tratta peraltro di un
valore "primario", come ha gia' da tempo precisato questa Corte
(sentenza n. 151 del 1986; ma vedi anche sentenze n. 182 e n. 183 del
2006), ed anche "assoluto", se si tiene presente che il paesaggio
indica essenzialmente l'ambiente (sentenza n. 641 del 1987).
L'oggetto tutelato non e' il concetto astratto delle "bellezze
naturali", ma l'insieme delle cose, beni materiali, o le loro
composizioni, che presentano valore paesaggistico.
Sul territorio gravano piu' interessi pubblici: quelli
concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura
spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo
del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali
(fruizione del territorio), che sono affidati alla competenza
concorrente dello Stato e delle Regioni.
La tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene
complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza
costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella
competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un
limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla
competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del
territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In
sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici
diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo
Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle
Regioni.
Si tratta di due tipi di tutela, che ben possono essere
coordinati fra loro, ma che debbono necessariamente restare
distinti.».
Parimenti l'art. 117 comma 2 lettera s) ha attribuito alla
competenza esclusiva dello Stato la tutela dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali e la giurisprudenza
costituzionale ha piu' volte stabilito che la particolarita' della
disciplina del bene giuridico ambiente considerato nella sua
completezza ed unitarieta' riverbera i suoi effetti anche quando di
tratta di Regioni autonome, incidendo sulla loro potesta' normativa
(sentenza n. 367/2007).
Gli indicati parametri sono violati perche' l'oggetto della norma
e' indiscriminato: tutti gli usi civici sono presi in considerazione,
senza distinguere quelli che possono presentare un concreto interesse
paesistico e ambientale ne' riservare a questi una normativa
specifica. Sono altresi' violati perche' il solo presupposto della
sdemanializzazione e' la mancanza dell'attuale destinazione
pascolativa o boschiva; senza considerare che la perdita della
destinazione agraria non comporta di per se' perdita di rilevanza
paesistica e ambientale. Infine va censurato l'automatismo della
norma contenuta nel comma 4 che fa decadere tutti gli usi civici non
confermati dalla ricognizione prevista dalla legge impugnata, entro
il breve termine in cui questa deve essere effettuata. In tal modo la
tutela del paesaggio e dell'ambiente (nella misura in cui questa
dipende anche dall'esistenza di usi civici) e' rimessa all'esito di
una ricognizione che non include tra i propri criteri e obiettivi
anche l'interesse paesistico ambientale; va poi considerata la
possibilita' di errori o di altre disfunzioni che possono verificarsi
nel procedimento di ricognizione.
L'automatismo «mancata ricognizione»/ «cessazione dei previgenti
accertamenti» appare quindi misura eccessiva e sproporzionata
rispetto al fine che la legge persegue (il riordino degli usi civici
) e si traduce nello svuotamento del nucleo essenziale della tutela
del paesaggio e dell'ambiente quale impostata dall'art. 9 Cost. e
attuata dalle disposizioni del testo unico sui beni culturali e
ambientali citate nella rubrica del presente motivo.
Per le ragioni fin qui esposte, e' poi evidente come la
disposizione impugnata, oltre che nell'illegittimita' sostanziale ora
denunciata, incorra anche nel vizio di incompetenza: la normativa
regionale priva infatti il sistema di tutela del paesaggio e
dell'ambiente del presidio costituito dagli usi civici, e in tal modo
direttamente incide, invadendola, nella competenza statale esclusiva
sopra menzionata.
2. L'art. 1 in esame contrasta altresi' con le norme interposte
di legge ordinaria in particolare con gli articoli 142, comma 1,
lettera h), 135 e 143 e del decreto legislativo n. 42/2004 (Codice
dei beni culturali e del paesaggio).
Queste disposizioni statali sono state adottate sulla base del
titolo di competenza legislativa nella materia «tutela dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali», di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera s), della Costituzione riguardano in particolare la
materia di beni paesaggistici (nell'ambito dei quali l'art. 142,
comma 1, lettera h) annovera anche gli usi civici) e di
pianificazione paesaggistica (art. 143) contenute nel decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e pertanto sono vincolanti anche
nei confronti delle Regioni.
La Corte Costituzionale, infatti, ha rilevato, come si e' detto,
che «La particolarita' della disciplina del bene giuridico ambiente
considerato nella sua completezza ed unitarieta' riverbera i suoi
effetti anche quando si tratta di Regioni speciali», incidendo sulla
loro potesta' normativa (cfr. C. Cost. n. 367/2007; per la natura di
«norme di grande riforma economico-sociale» delle disposizioni
contenute nel decreto legislativo n. 42/2004, e per i limiti che ne
derivano all'esercizio della competenza legislativa primaria delle
Regioni autonome, cfr., con riferimento all'art. 142 del decreto
legislativo n. 42/2004, C. Cost. n. 164/2009, n. 101/2010, n.
238/2013).
L'art. 142 in particolare sottopone a vincolo paesaggistico le
zone gravate da usi civici. Riprendendo quanto gia' previsto dal
decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito in legge 8 agosto
1985, n. 431 (c.d. «Legge Galasso»), il legislatore statale ha
evidenziato e sottoposto a tutela il valore paesaggistico intrinseco
delle aree territoriali coperte da uso civico, per le tipiche
caratteristiche morfologiche ed ubicazionali che esse presentano.
E' ormai pacifico che gli usi civici non svolgono esclusivamente
la funzione economico-sociale di garantire risorse alla collettivita'
che ne e' proprietaria, atteso che «il riconoscimento di una loro
ulteriore e rilevante funzione nella societa' contemporanea,
conseguente proprio alla natura di bene collettivo, per cui alle
tradizionali funzioni di usi civici si e' nel frattempo aggiunta una
loro fondamentale utilita' ai fini della conservazione del bene
ambiente» (cfr. Cons. Stato, 26 marzo 2013, n. 1698).
La Corte Costituzionale, in particolare, ha ravvisato un
«interesse unitario della comunita' internazionale alla conservazione
degli usi civici, in quanto e nella misura in cui concorrono a
determinare la forma del territorio su cui si esercitano, intesa
quale prodotto di una integrazione fra uomo e ambiente naturale» (C.
Cost., n. 46/1995; in questo senso, cfr. anche l'ordinanza n.
316/1998, secondo cui «le zone vincolate in ragione dell'appartenenza
a universita' agrarie o dell'assoggettamento a usi civici comprendono
vaste aree con destinazione a pascolo naturale o a bosco, o agricole
tradizionali, e risalenti nel tempo nelle diverse regioni in
relazione agli obblighi gravanti e alla particolare sensibilita' alla
conservazione da parte delle collettivita' o comunita' interessate,
in modo da consentire il mantenimento di una serie di porzioni
omogenee del territorio, accomunate da speciale regime o
partecipazione collettiva o comunitaria, e caratterizzate da una
tendenza alla conservazione dell'ambiente naturale o tradizionale,
come patrimonio dell'uomo e della societa' in cui vive», nonche' C.
Cost. n. 133/1993, secondo cui «accanto agli interessi locali, di cui
sono diventate esponenti le regioni, emerge l'interesse della
collettivita' generale alla conservazione degli usi civici, nella
misura in cui essa contribuisce alla salvaguardia dell'ambiente e del
paesaggio»).
In proposito, la Corte Costituzionale ha stabilito che le norme
statali contenute nella legge 16 giugno 1927, n. 1766 (legge sul
riordinamento degli usi civici) e nel relativo regolamento (R.D. n.
332/1928), richiedono che la limitazione o la liquidazione dei
diritti di uso civico non possano prescindere dalle valutazioni del
Ministero per i beni e le attivita' culturali (cfr. C. Cost. n.
345/1997 e 310/2006).
L'articolo 1 della l.r. n. 19/2013, allora, incidendo sulla
classificazione degli usi civici sottrae alla tutela paesaggistica
vaste porzioni territoriali, ad oggi tutelate in forza della legge
nazionale (si consideri che il 15% del territorio sardo e'
assoggettato a gravato da usi civici), e si pone in contrasto con la
norma fondamentale di riforma economico-sociale di cui all'articolo
142, comma 1, lettera h) del Codice dei beni culturali e del
paesaggio.
La disposizione censurata, inoltre, contrasta con le disposizioni
del Codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di
pianificazione paesaggistica, potendo avere effetti negativi diretti
sul processo di copianificazione paesaggistica in corso. Rimandando
ad un'ulteriore cartografia per la rilevazione degli usi civici,
infatti, la disposizione mette in discussione la ricognizione finora
predisposta, incidendo in modo unilaterale sullo strumento di
pianificazione.
L'attivita' di ricognizione, delimitazione e rappresentazione in
scala idonea all'identificazione delle aree tutelate per legge ai
sensi dell'articolo 142 del Codice costituisce uno dei contenuti
necessari del piano paesaggistico (art. 143, comma 1, lettera c) del
Codice) e deve essere svolta congiuntamente dallo Stato e dalla
Regione (art. 135 del Codice). Pertanto, la previsione regionale
impugnata contrasta anche con la normativa statale in materia di
pianificazione congiunta (articoli 135 e 143 del Codice dei beni
culturali), che pure costituisce una norma fondamentale di riforma
economico-sociale.
E' evidente come l'intervento legislativo regionale qui censurato
renda impossibile l'applicazione delle norme statali di competenza
esclusiva ora illustrate, cosi' invadendo sotto gli aspetti appena
specificati tale competenza esclusiva.
3. Sotto altro aspetto appare chiara anche la violazione
dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Sardegna.
Consegue infatti da quanto esposto che nelle indicate materie del
paesaggio e dell'ambiente (in cui rientrano, come si e' detto, gli
usi civici in quanto la conservazione degli usi civici contribuisce
alla salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio) la legge regionale
deve sempre rispettare quanto stabilito dal legislatore statale.
Se quindi e' pur vero che l'art. 3 lettera n) dello Statuto
speciale della Regione Sardegna attribuisce la potesta' legislativa
alla Regione in materia di usi civici «in armonia con la Costituzione
e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col
rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali
nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico sociali
della repubblica»; e parimenti l'art. 6, decreto del Presidente della
Repubblica 22 maggio 1975, n. 480, recante «Nuove norme di attuazione
dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna
attribuisce alla Regione funzioni relative ai beni culturali e ai
beni ambientali, nonche' quelle relative alla redazione e
all'approvazione dei piani paesistici; tuttavia la Regione non ha
esercitato la sua competenza nel rispetto dei limiti individuati
nell'art. 3 dello Statuto della Regione, e quindi in armonia con la
Costituzione e con i principi dell'ordinamento giuridico della
Repubblica, nonche' nel rispetto degli obblighi internazionali e
degli interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle
riforme economico-sociali della Repubblica.
Infatti dalle norme statali e dalle giurisprudenza costituzionale
illustrate nei precedenti motivi risulta che costituisce principio
dell'ordinamento giuridico generale quello secondo cui gli usi civici
fanno parte integrante e sostanziale del complessivo sistema di
tutela dell'ambiente e del paesaggio.
P.T.M.
Si chiede che venga dichiarata la illegittimita' costituzionale
dell'art. 1 della Legge regionale della Regione Sardegna n. 19 del 2
agosto 2013.
Si produce per estratto copia conforme della delibera del
Consiglio dei Ministri del 4 ottobre 2013 completa di relazione.
Roma, 7 ottobre 2013
L'Avvocato dello Stato: Chiarina Aiello