N. 93 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 ottobre 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 2 ottobre 2004 (della Regione Campania)
(GU n. 42 del 27-10-2004)

Ricorso della Regione Campania, in persona del presidente della
giunta regionale pro tempore,on. Antonio Bassolino, rappresentato e
difeso, giusta mandato a margine ed in virtu' della delineazione
della giunta regionale n. 1775 del 24 settembre 2004 dal prof. avv.
Vincenzo Cocozza e dall'avv. Vincenzo Baroni dell'Avvocatura
regionale, insieme con i quali elettivamente domicilia in Roma,
presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione Campania alla via
Poli n. 29;

Contro: il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore; per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 30
luglio 2004, n. 191, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, serie
generale n. 178 del 31 luglio 2004 (suppl. ord. 136), nella parte in
cui converte con modifiche l'art. 1, commi 5 - 9 - 10 - 11, e
1'art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, e quindi
da11'art. 1, commi 5 - 9 - 10 - 11, e dell'art. 3, comma 1, del
decreto-legge medesimo, convertito e come modificato; nonche'
dell'art. 3, commi 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21 della legge 24
dicembre 2003, n 350 come modificati e integrati dall'art. 3, comma
1, del d.l. 12 luglio 2004, n. 168 come modificato e convertito dalla
legge 30 luglio 2004, n. 191.

F a t t o

1. - Con il d.l. 12 luglio 2004, n. 168 («Interventi urgenti per
il contenimento della spesa pubblica), il Governo centrale e'
intervenuto a porre in essere norme che si mostrano in piu' punti
lesive della autonomia regionale costituzionalmente garantita,
incidendo anche sulla sfera di autonomia degli enti locali.
Avverso l'art. 1, commi 5 - 9 - 10 - 11, e l'art. 3, comma 1, del
decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, la Regione Campania ha promosso
ricorso in via principale deducendo la lesione della propria sfera di
autonomia.
In data 30 luglio 2004 e' stata approvata la legge di conversione
n. 191 del citato decreto-legge, con cui sono state apportate
limitate modifiche a singole disposizioni, ma sostanzialmente e'
stato confermato l'impianto complessivo dell'intervento legislativo e
il contenuto normativa della disciplina. Avendo riguardo al testo
legislativo integrato dalle modifiche apportate dalla legge di
conversione, si evidenzia che lo stesso risulta confermativo
dell'intervento normativo introdotto dal decreto-legge sia nei
principi ispiratori, sia, sostanzialmente, anche nel dato testuale.
2. - Si tratta, in particolare, dell'art. 1, commi 5 - 9 - 10 e
11, nonche' dell'art. 3, comma 1.
a) Il comma 5 dell'art. 1 introduce l'art. 198-bis al decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267 sull'ordinamento degli enti
locali, prevedendo che «nell'ambito dei sistemi di controllo di
gestione di cui agli articoli 196, 197 e 198, la struttura operativa
alla quale e' assegnata la funzione del controllo di gestione
fornisce la conclusione del predetto controllo, oltre che agli
amministratori ed ai responsabili dei servizi ai sensi di quanto
previsto dall'art. 198, anche alla Corte dei conti».
In tal modo viene a determinarsi una attrazione della gestione
locale nell'ambito della sfera del controllo affidato alla Corte dei
conti, costituzionalmente non consentita.
Peraltro, si determina una illegittima commissione tra il
controllo di gestione e le valutazioni affidate alla Corte dei conti
che puo' alterare l'efficacia e le finalita' dello stesso controllo.
Non diversamente il quinto periodo del comma 9, che il comma 11
rende applicabile alle regioni e agli enti locali, impone di
comunicare in via preventiva alla Corte dei conti le direttive
adottate dalle amministrazioni per conformarsi alla regolamentazione
dello stesso comma «nell'esercizio dei diritti dell'azionista nei
confronti delle societa' di capitali a totale partecipazione
pubblica».
Il comma 11, come modificato dalla legge di conversione, impone
alle regioni e agli enti locali una spesa, generale annua nel 2004
«non superiore alla spesa annua mediamente sostenuta negli anni dal
2001 al 2003, ridotta del 10 per cento». Prosegue, poi, individuando
le spese da ridurre, prevedendo espressamente che tali riduzioni
devono obbligatoriamente applicarsi «alla spesa per missioni
all'estero e per il funzionamento di uffici all'estero, nonche' alle
spese di rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni ed alla spesa
per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei
all'amministrazione, inclusi quelli ad alto contenuto di
professionalita' conferiti ai sensi del comma 6 dell'art. 110 del
testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267». Precisando poi, nel
periodo aggiunto dalla legge di conversione, che per le spese
impegnate la riduzione del 10% non si applica, ma solo «per le
regioni e gli enti locali che hanno rispettato, nell'anno 2003 e sino
al 30 giugno 2004, gli obiettivi previsti relativamente al patto di
stabilita' interno ...».
La disciplina, attraverso un parziale rinvio ai commi 9 e 10,
detta regole particolari volte a restringere ulteriormente le ipotesi
del ricorso alle specifiche spese indicate.
In buona sostanza, e' lo stesso decreto statale, nel disporre
significative riduzioni delle spese regionali e locali ammissibili,
ad individuare le voci di spesa oggetto di detta riduzione,
relativamente anche alle spese gia' impegnate se non ricadenti nella
limitata ipotesi derogaroria.
c) Il comma 1 dell'art. 3 integra l'art. 3 della legge 24
dicembre 2003, n. 350, non modificato dalla legge di conversione, e'
stato gia' in parte impugnato dalla regione campania per violazione
dell' art. 119 cost. e di quanto dalla norma costituzionale discende
quale doverosa modalita' attuativa che codesta ecc.ma corte ha gia'
puntualmente indicato.
Sotto tale aspetto, e' opportuno ricordare alcuni profili della,
questione, rilevanti per cogliere l'illegittimita' anche della
successiva modifica, che in questa sede si impugna.
L'art. 3 della legge n. 350/2003 (Legge finanziaria 2004), nei
commi 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21, con riferimento al 6 comma
dell'art. 119 della Costituzione, ha proceduto ad identificare - per
di piu' senza alcuna intesa o cooperazione con regioni sia le spese
costituenti «investimenti», sia l'«indebitamento» che in relazione
alle prime e' consentito.
In particolare, per cio' che qui specificamente interessa, il
comma 18 ha proceduto ad una (unilaterale), elencazione delle ipotesi
di investimento «ai fini» di cui all'art. 119, sesto comma, per le
quali e' consentita l'assunzione di debiti.
Avverso tale normativa, come detto, e' gia' stata sollevata
questione di legittimita' costituzionale sia per i contenuti, che per
le modalita' con le quali essa e' stata posta in essere.
La questione, tenendo conto di quanto prospettato con il
precedente ricorso, va riproposta sia sotto il profilo del vizio
sostanziale perche' il decreto legge, pur derogando parzialmente al
limiti posti dal comma 18 della norma modificata, in definitiva
conferma l'impostazione limitativa del testo originario; sia sotto il
profilo del vizio procedurale, laddove si interviene, anche questa
volta, in assenza di qualsiasi apporto regionale e confermando la
visione «unilaterale» delle modalita' di individuazione delle ipotesi
ammissibili di investimento.
Le disposizioni impugnate confermano i vizi di legittimita'
emersi in sede di impugnativa del decreto-legge e inducono, pertanto,
alla proposizione del presente ricorso per i seguenti

M o t i v i

La normativa legislativa impugnata, come detto, viola la
Costituzione con diverse disposizioni normative che impongono di
sollevare le seguenti questioni di costituzionalita', soprattutto,
per l'illegittima riduzione delle spese ammissibili attraverso la
specifica individuazione delle voci di spesa da ridurre; per la non
consentita incidenza sul sistema dei controlli attraverso la
previsione di un ruolo della Corte dei conti nei confronti del
sistema delle autonomie territoriali che, per di piu', altera il
controllo di gestione; per l'inammissibile fissazione di limiti
dell'indebitamento delle regioni in violazione del sesto comma
dell'art. 119.
Si deduce, pertanto:
1. - Violazione degli artt. 114, 117 (in part. terzo comma e
quarto comma) e 118 Cost. violazione e falsa applicazione dell'art.
119 Cost. lesione della sfera di autonomia delle regioni violazione
del principio di leale cooperazione. Violazione art. 3 Cost.
Irragionevolezza.
Come ricordato in fatto, il combinato disposto dei commi 9 - 10 e
11 dell'art. 1 d.l. 168/2004, convertito con la legge oggi impugnata,
non limitandosi ad individuare criteri direttivi o limiti massimi di
spesa, specifica ed elenca le spese che gli enti territoriali devono
contenere nell'ambito di previste percentuali.
L'illegittimita' si manifesta, per questa parte, almeno sotto un
duplice profilo:
a) si limita la sfera di autonomia finanziaria di bilancio e
di spesa;
b) si incide, attraverso tale limitazione, sulle scelte di
organizzazione dell'ente.
1.a. - Come e' noto, il novellato art. 119 Cost. espressamente
sancisce che «comuni, le province, le citta' metropolitane e le
regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa».
In coerenza con tale essenziale connotazione dell'autonomia,
spetta allo Stato esclusivamente una competenza (concorrente, e
dunque limitata alla fissazione dei principi fondamentali della
materia) in tema di «armonizzazione dei bilanci pubblici e
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».
Ne discende che appare in irrimediabile contrasto con tale
aspetto essenziale dell'autonomia politica - l'autonomia contabile e
di spesa, tra l'altro espressamente garantita a livello
costituzionale - la contestata ingerenza statale sulla formazione del
bilancio regionale e sulle scelte di spesa delle regioni e degli enti
locali.
La qui dedotta violazione dell'art. 119 Cost. e del terzo comma
dell'art. 117 si mostra evidente perche' si puo' ritenere ammissibile
che lo Stato ponga in essere interventi finalizzati ad una
regolamentazione e razionalizzazione del settore finanziario e,
probabilmente, fra tali interventi possono essere compresi quelli
volti ad individure un tetto massimo generale consentito al fine di
conseguire un contenimento della spesa ed attuare gli impegni in tal
senso assunti in sede comunitaria. Ma non certo si puo' sostenere, a
meno di vanificare, svuotandola di contenuti, l'autonomia finanziaria
costituzionalmente garantita, che lo Stato possa individuare anche le
puntuali modalita' di contenimento della spesa e, ancor di piu',
incidere sulle specifiche voci.
D'altra parte, se, come risulta all'epigrafe del decreto
impugnato, il fine e' quello di limitare la spesa pubblica in
attuazione degli obblighi comunitari, l'individuazione della singola
voce di spesa (piuttosto che la semplice fissazione delle percentuali
generali di risparmio) non si mostra necessaria e, dunque, coerente
con il fine dichiarato.
L'illegittimita' e', poi, e per le stesse ragioni, anche nella
parte in cui si pretende di estendere tale obbligo in quanto
azionista delle societa' di capitali a totale partecipazione
pubblica.
1.a. - Quanto sopra ha ulteriori ricadute laddove, attraverso
limitazioni di carattere finanziario, si finisce per incidere anche
sul modo di esplicarsi della complessiva competenza relativa alle
scelte in tema di organizzazione amministrativa e sui conseguente
funzionamento dell'ente, sottraendo a quest'ultimo valutazioni di sua
esclusiva spettanza, in. quanto affidate alla responsabilita'
politica, gestionale ed economica dell'ente medesimo in relazione ai
fini da conseguire e ai modi per realizzarli.
Si consideri, poi, con particolare riferimento alla posizione
della regione, che cio' rifluisce in contrasto con il III e IV comma
dell'art. 117 Cost., perche' non si mostra dubitabile che la lesione
della sfera di autonomia si verifica non solo attraverso interventi
diretti di disciplina del settore di competenza, ma anche.(e, per
certi versi, soprattutto da un punto di vista piu' concreto e
sostanziale) attraverso la sottrazione o limitazione di risorse
finanziarie che costituiscono - al di la' di generiche affermazioni
di principio - gli strumenti essenziali per l'esercizio effettivo
della specifica protesta' costituzionalmente garantita.
Tali illegittimita' si configurano anche in termini di violazione
del principio di leale cooperazione.
Sarebbe stato quanto meno necessario., infatti, che lo Stato,
sotto il profilo procedurale, avesse effettuato le scelte attraverso
una intesa con le regioni, affinche' queste contribuissero a far
emergere, in base alle differenti esigenze e problematiche locali,
tutto quanto utile e necessario per operare il contenimento della
spesa. Esigenze e problematiche che, come e' intuitivo, non si
mostrano omogenee sull'intero territorio nazionale.
2. - Violazione degli artt. 114, 117 (in part. terzo e quarto
comma) e 118 Cost. Violazione dell'art. 9 della legge Cost. 3/2001.
Lesione della sfera di autonomia delle regioni. Violazione del
principio di leale cooperazione. Violazione dell'art. 100 Cost.
Violazione dell'art. 3 cost. Irragionevolezza.
Il comma 5, dell'art. 1, nonche' i commi 9 - 10 - 11, del decreto
convertito, introducono una disciplina attinente al sistema di
controllo degli atti della regione e degli enti locali al di fuori
delle attribuzioni che la Costituzione riconosce allo Stato in
materia.
Come e' noto, infatti, per quanto riguarda l'organizzazione di
comuni, province e citta' metropolitane, la competenza statale e'
riferita alla legislazione elettorale, agli organi di governo e alle
funzioni fondamentali degli enti locali. Il sistema dei controlli e'
estraneo a tale sfera di competenza statale ed e' riservato alla
potesta' legislativa, regionale ed a quella regolamentare degli enti
locali.
D'altra parte l'evoluzione sistemica rende ancora piu'
illegittima l'invasione di competenza denunciata, giacche' la
normativa statale pretende di inserire sostanzialmente una forma di
controllo della Corte dei conti sul sistema autonomie locali e fa
refluire in tale disegno anche gli atti della regione.
Ebbene, a quanto gia' posto in evidenza con riferimento
all'autonomia degli enti territoriali minori, si aggiunga la oggi
meglio definita posizione delle regioni in conseguenza della riforma
del Titolo V con la legge costituzionale 3/2001, alla stregua della
quale i due soggetti pubblici - Stato e regione - nel rispetto delle
diverse sfere di competenza attribuite, vanno considerati con
posizione equiparata.
Come e' stato sottolineato, e' l'impianto costituzionale ad
essere mutato sol che si consideri la nuova formulazione
dell'art. 114, il nuovo criterio di ripartizione materiale della
potesta' legislativa, nonche' l'abrogazione del controllo preventivo
del Governo sulla legge regionale e la modifica dell'art. 127 Cost.
in tema di accesso alla giustizia costituzionale.
D'altra parte, secondo l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte
(sent. 303/3), il nuovo sistema introdotto dalla riforma del Titolo
V, Parte II, della Costituzione, impone di verificare di volta in
volta, nei rapporti Stato regioni, l'esistenza o meno del parametro
costituzionale e, dunque, del titolo legittimante l'intervento
statale.
Nell'ipotesi in esame esso e' del tutto assente ed anzi conduce a
conclusione opposta.
In questa direzione, infatti la previsione con legge dello Stato
di adempimento attinenti al controllo sugli atti della regione, di
cui ai commi 9 - 10 - 11 dell'art. 1 decreto-legge impugnato, si
mostra del tutto coerente con il nuovo disegno costituzionale, in
quanto l'atto statale avente forza di legge interviene in un settore
nel quale non e' ammesso un tal tipo di disciplina e, perche', si
ripristina, in qualche misura, una forma di' controllo non in linea
con l'innovato impianto costituzionale. E cio' tenendo conto che,
come e' noto, la legge cost. 3/2001 con l'art. 9 ha abrogato gli
artt. 125, primo comma, e 130 che prevedevano controlli di
legittimita' e di merito sugli atti degli enti regionali e
subregionali.
Comunque l'illegittimita' della previsione risiede anche nella
circostanza che si determina una interferenza tra controllo di
gestione e accertamenti della Corte dei conti idonea ad alterare la
effettivita' e l'efficacia del controllo di gestione stesso.
Sotto questo profilo, va eccepita la irragionevolezza perche' si
contraddicono l'impianto e gli obiettivi del controllo di gestione, a
tutto danno dell'autonomia.
3. - Violazione degli artt. 117 (in part. terzo e quarto comma) e
118 Cost. Violazione e falsa applicazione dell'art. 119 Cost. Lesione
della sfera di autonomia delle regioni. Violazione del principio di
leale cooperazione.
Come ricordato in fatto, l'art. 3, comma 1, del d.l. 168/2004
convertito, modifica una normativa (art. 3 legge 24 dicembre 2003,
n. 350) gia' impugnata dalla Regione Campania, ma ne conferma
l'impostazione sostanziale e procedurale.
Infatti, nell'introdurre una limitata deroga alle ipotesi di
indebitamento ammissibili, ribadisce la preesistente, gia'
contestata, struttura normativa, basata su una individuazione non
oggettiva, ma discrezionale, unilaterale da parte dello Stato, di
concetti costituzionali.
A tal senso, anche la recente modifica soffre dei medesimi vizi
dincostituzionalita' eccepiti nei confronti della normativa
originaria.
3.a. - In primo luogo non spetta allo Stato riempire di contenuti
parziali, mutevoli e discrezionali, senza'.alcun elemento che ne
consenta di cogliere il criterio ispiratore, formule costituzionali
che hanno una portata oggettiva e che costituiscono un limite, ma
anche modo di realizzazione della effettiva autonomia finanziaria
regionale.
Al contrario i caratteri della disciplina legislativa statale
posseggono una portata limitativa rispetto ai molteplici contenuti
che possono rientrare nei concetti costituzionali di investimento e
indebitamento.
La deroga ai detti contenuti, introdotta dalla norma oggi
impugnata, non solo non supera la eccepita illegittimita', ma
sottolinea ulteriormente (proprio attraverso l'individuazione di una
eccezione espressa, la rigorosita' dell'elencazione contenuta nel
comma 18 e la non oggettivita' dei contenuti.
Il complesso, pertanto, della normativa, cosi' come modificata e
integrata dall'art. 3, comma 2, del decreto impugnato, risulta in
evidente contrasto con l'art. 119 Cost., determinando gravi ricadute
sul sistema economico delle regioni e sulla loro autonomia.
3.b.- L'intervento, inoltre, non inserendosi nella piu' organica
disciplina del sistema finanziario regionale ai sensi del novellato
art. 119 Cost., finisce per isolare un unico aspetto dello stesso,
che viene cosi' a proporsi soltanto come un limite che, avulso dal
piu' generale contesto nel quale soltanto ha una sua logica ragion
d'essere, determina inevitabili conseguenze negative sui bilanci
regionali.
In assenza, infatti, di un reale regime di autofinanziamento che
garantisca integralmente le funzioni, quale contemplato dalla norma
costituzionale, non e' consentito incidere sul sistema con interventi
che propongono soltanto limiti allo spazio di autonomia operativa
delle regioni.
Invero, la previsione, di cui al sesto comma, secondo la quale le
regioni «... possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare
spese di investimento», costituisce parte integrante di un nuovo
testo che va per intero considerato nella sua portata perche' si
tragga correttamente il senso della regola costituzionale.
Conclusione che si impone anche perche' il novellato art. 119 Cost.
non reca solo una mera modificazione parziale del testo precedente,
ma registra una del tutto diversa impostazione dei rapporti fra
Stato, regioni e enti locali nel campo finanziario.
Come risulta anche dai lavori preparatori, si tratta della
introduzione di nuovi principi finanziari.
Innanzitutto, il principio che regioni ed enti locali si reggono
con la finanza propria; vale a dire finanziando le proprie spese di
funzionamento, di intervento e di amministrazione, con i mezzi
prelevati dalla propria collettivita'.
In secondo luogo il principio di «territorialita' dell'imposta»
che determina che il gettito prelevato da un territorio, in base a
determinate regole stabilite da legge nazionale, dovra' rimanere
almeno in parte nel territorio di produzione.
Non e' inutile ricordare che mentre il vecchio testo prevedeva
l'attribuzione di tributi propri, il testo di riforma si riferisce a
tributi e entrate proprie che vengono «stabiliti e applicati ...
secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario».
Ancora, anziche' di «quote di tributi erariali», il nuovo testo
parla di «compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili
al loro territorio».
Inoltre si introduce ex novo un fondo perequativo senza vincoli
di destinazione e lo si ancora esclusivamente alla capacita' fiscale
per abitante; si prevedono risorse aggiuntive e interventi speciali
dello Stato in favore di determinati enti territoriali per finalita'
di ordine costituzionale o comunque ulteriori rispetto al normale
esercizio delle funzioni, in luogo di contributi speciali assegnati a
singole regioni per «provvedere a scopi determinati e particolarmente
per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole».
Insomma, si e' di fronte ad un impianto completamente diverso da
quello precedente, che necessita, ovviamente, di una serie di
interventi per la, sua concreta attuazione (lo stesso art. 119 rinvia
ampiamente alla legislazione ordinaria).
Si tratta (come si ricava anche dagli interventi Iª Commissione
Permanente Affari Costituzionali del Senato relativi a «Indagine
conoscitiva sugli effetti nell'ordinamento delle revisioni del Titolo
V, Parte II, della Costituzione»), di una normativa complessa,
costituita da competenze, responsabilita' e conseguenti limiti a
questa funzionali. La fase attuativa, e' destinata a prolungarsi
negli anni per arrivare a regime. In tal senso l'art. 119 riformulato
e' stato definito come una «prospettiva evolutiva del sistema».
In definitiva, l'attuazione del nuovo modello attraverso la
legislazione ordinaria deve realizzarsi attraverso un intervento
organico. Ditale esigenza occorre tenere sempre conto quando si
valutano i profili attuativi per non incorrere in ingiustificabili
rotture sia sul piano logico che giuridico, con conseguenze di grave
impatto finanziario.
Sotto questo aspetto, come e' noto, la Corte costituzionale, ha
affermato che l'attuazione dell'art. 119 Cost. «richiede il
preventivo intervento del legislatore statale che detti principi e
regole di coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario, non potendosi ammettere in mancanza di cio', l'emanazione
di discipline autonome delle singole regioni» (cfr. sent.
n. 13/2004).
In tal senso, nel momento in cui le regioni non possono attuare
(in attesa di una disciplina statale) parte rilevante del nuovo
modello finanziario delineato dall'art. 119 Cost. (e, quindi, trovare
risorse in modo autonomo), e' illegittimo sottrarre alle stesse quei
mezzi di gestione della spesa che, attualmente e medio tempore,
possono consentire la governabilita' del sistema finanziario e di
spesa regionale.
Ne consegue che, come e' stato chiarito, «e' evidente come cio'
richieda altresi' la definizione di una disciplina transitoria che
consenta l'ordinato passaggio dall'attuale sistema, caratterizzato
dalla permanenza di una finanza regionale e locale ancora in non
piccola parte "derivata", cioe' dipendente dal bilancio statale, e da
una disciplina statale unitaria di tutti i tributi, con limitate
possibilita' riconosciute a regioni ed enti locali di effettuare
autonome scelte, ad un nuovo sistema» (cfr. Corte cost., 26 gennaio
2004, n. 37).
E nella complessiva giurisprudenza costituzionale emerge questo
dato ricostruttivo: e' possibile giustificare anche interventi
parziali nella materia finanziaria, sempre che essi non dipendano e
siano condizionati dalla necessaria attuazione dell'intero art. 119.
Ed e' proprio il caso di specie.
Nel momento in cui il sesto comma dell'art. 119 Cost. e'
chiaramente complementare all'assetto complessivo da tale articolo
delineato per configurare l'autonomia politico-economica delle
regioni e degli enti locali per le conseguenti scelte di
organizzazione, e' quest'ultima ad essere compressa da una solo
parziale attuazione.
D'altro canto, l'art. 119, nel momento in cui prevede che «i
comuni le province, le citta' metropolitane e le regioni hanno un
proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali e
determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere
all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento»,
conferma il principio che ciascun territoriale deve assumersi la
responsabilita' delle proprie scelte organizzative (di cui il piano
finanziario costituisce uno degli aspetti piu' rilevanti) in
relazione ai parametri costituzionali.
In tal senso nella giurisprudenza della Corte costituzionale e'
emerso, ed e' stato ribadito, che «nell'assetto delle competenze
costituzionali configurato dal nuovo Titolo V, Parte II, della
Costituzione, l'autofinanziamento delle funzioni attribuite alle
regioni ed enti locali non costituisce altro se non un corollario
della potesta' legislativa regionale esclusiva in materia di
ordinamento e organizzazione amministrativa, affinche' per tale via
possa trovare compiuta realizzazione il principio piu' volte ribadito
... circa il parallelismo fra responsabilita' di disciplina della
materia e responsabilita' finanziaria» (sent. Corte cost. 17/2004).
3.c. - Naturalmente l'intervento nel suo complesso, cosi' come
attualmente modificato, e' in palese violazione anche dell'art. 117
Cost., in quanto la disciplina, seppure rientrasse nella materia
«armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario» (il che non e' possibile), non
presenterebbe le caratteristiche di principi fondamentali alla cui
fissazione si deve limitare la legge statale nelle ipotesi di
competenza concorrente.
3.d. - Nell'intervento modificativo emerge anche un profilo di
illegittimita' procedurale.
La disciplina statale e' stata posta in essere escludendo
qualsiasi partecipazione degli enti locali sia nell'attuale fase
normativa di predisposizione della disciplina in generale, sia nelle
fasi successive, confermando l'attribuzione al Ministro dell'Economia
e delle Finanze del potere (unilaterale) di modificare le tipologie
di cui al commi 17 e 18.
Quanto sopra si pone in evidente contrasto con i principi (di
rango costituzionale) di leale cooperazione in una materia in cui la
Costituzione impone, per di piu', un coordinamento fra i sistemi
finanziari, e lo Stato ha una competenza per la individuazione dei.
principi, richiedendosi, nei passaggio da un modello ad un altro, una
normativa che ne accompagni la transizione.
Nel caso di specie, l'incisivo ed unilaterale intervento del
legislatore statale, sicuramente parziale ed irragionevolmente
limitativo, comprime direttamente la sfera di autonomia regionale. In
assenza di una normativa di principio che consenta l'attuazione
organica dell'art. 119 Cost. con la possibilita' per le regioni di
reperire risorse che permettano di finanziare integralmente le
funzioni pubbliche loro attribuite, il vulnus all'autonomia
finanziaria e' di tutta evidenza.
Sotto tale aspetto, il principio costituzionale di leale
cooperazione e le esigenze di coordinamento avrebbero preteso
quantomeno una compartecipazione degli enti interessati alla
predisposizione (nonche' integrazione e modificazione) di un testo
che avesse voluto assumere le caratteristiche di una normazione «di
passaggio».


P. Q. M.
Si conclude affinche' l'ecc.ma Corte costituzionale voglia, in
accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimita'
costituzionale della legge 30 luglio 2004, n. 191, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale n. 178 del 31 luglio 2004 (suppl. ord. n. 136),
nella parte in cui converte con modifiche l'art. 1, commi 5 - 9 - 10
- 11 e l'art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, e
quindi dell'art. 1, commi 5 - 9 - 10 - 11, e dell'art. 3, comma 1,
del decreto-legge medesimo, convertito e come modificato; nonche'
dell'art. 3, commi 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21 della legge 24
dicembre 2003, n. 350 come modificati e integrati dall'art. 3, comma
1, del 12 luglio 2004, n. 168 come modificato e convertito dalla
legge 30 luglio 2004, n. 191 per violazione degli artt. 3, 100, 114,
117 e 119 della Costituzione ed ancora dell'art. 9 legge Cost.
3/2001, nonche' dei principi di ragionevolezza e di leale
cooperazione fra Stato regione e per lesione della sfera di
competenza della regione.
Napoli-Roma, addi' 24 settembre 2004
Prof. avv. Vincenzo Cocozza - Avv. Vincenzo Baroni

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