N. 94 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 16 dicembre 2003.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 16 dicembre 2003 (della regione Emilia-Romagna)
(GU n. 5 del 4-2-2004)

Ricorso della regione Emilia-Romagna, in persona del presidente
della giunta regionale pro tempore Vasco Errani, autorizzato con
deliberazione della giunta regionale 1° dicembre 2003, n. 2472 (doc.
1), rappresentata e difesa come da procura rogata dal notaio Federico
Stame del Collegio di Bologna n. 47789 di rep. del 2 dicembre 2003,
dagli avvocati prof. Giandomenico Falcon e Luigi Manzi di Roma, con
domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via
Confalonieri, n. 5;

Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.lgs. 10
settembre 2003, n. 276, attuazione delle deleghe in materia di
occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003,
n. 30, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 235 del 9 ottobre 2003,
suppl. ord. n. 159, con riferimento alle seguenti disposizioni:
art. 2, comma 1, lettera e); art. 3, comma 2, lett. a) e c); art. 4,
commi da 1 a 6, e art. 6 comma 6, in parte qua; art. 6, commi 1, 2,
3, 4, 5, 7 e 8; art. 12, commi 1, 2, 3, 4 e 5; art. 13, commi 1 e 6;
art. 14, commi 1, 2; art. 22, comma 6; art. 48, comma 4; art. 49,
comma 5; art. 50, comma 3; art. 51, comma 2; art. 60, per violazione
degli articoli 3, 4, 76, 97, 117, 118 della Costituzione e del
principio di leale collaborazione, nei modi e per i profili di
seguito illustrati.

F a t t o

Il d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, oggetto della presente
impugnazione, costituisce esercizio della delega conferita al Governo
dalla legge 14 febbraio 2003, n. 30.
Nonostante il legislatore delegante richiamasse il Governo al
rispetto delle competenze regionali, alcuni principi e criteri
direttivi contenuti in quelle disposizioni ledevano le competenze
costituzionali delle regioni, e per questo questa regione ha proposto
il ricorso n. 43/2003, pendente avanti a codesta Corte. La presente
impugnazione costituisce dunque lo sviluppo del contenzioso gia'
instaurato avverso la legge di delega.
Come esposto gia' nel ricorso avverso la legge di delega, nello
stesso vigore del vecchio titolo V era stato riconosciuto alle
regioni un ruolo importante nella materia del mercato del lavoro.
Infatti, il d.lgs. n. 469/97 aveva conferito alle regioni e agli enti
locali, in attuazione della legge n. 59/1997, «funzioni e compiti
relativi al collocamento e alle politiche attive del lavoro». In
particolare, mentre allo Stato venivano mantenute solo le funzioni di
«vigilanza in materia di lavoro, dei flussi di entrata dei lavoratori
non appartenenti all'Unione europea, nonche' procedimenti di
autorizzazione per attivita' lavorativa all'estero», di
«conciliazione delle controversie di lavoro individuali e plurime»,
di «risoluzione delle controversie collettive di rilevanza
pluriregionale», di «conduzione coordinata ed integrata del Sistema
informativo lavoro» e di «raccordo con gli organismi internazionali e
coordinamento dei rapporti con l'Unione europea» (art. 1, comma 3),
venivano conferite alle regioni tutte le funzioni relative al
collocamento (art. 2, comma 1: fra queste, la «preselezione ed
incontro tra domanda ed offerta di lavoro» e le «iniziative volte ad
incrementare l'occupazione e ad incentivare l'incontro tra domanda e
offerta di lavoro anche con riferimento all'occupazione femminile») e
alla politica attiva del lavoro, fra le quali, «in particolare: a)
programmazione e coordinamento di iniziative volte ad incrementare
l'occupazione e ad incentivare l'incontro tra domanda e offerta di
lavoro anche con riferimento all'occupazione femminile; b)
collaborazione alla elaborazione di progetti relativi all'occupazione
di soggetti tossicodipendenti ed ex detenuti; c) programmazione e
coordinamento di iniziative volte a favorire l'occupazione degli
iscritti alle liste di collocamento con particolare riferimento ai
soggetti destinatari di riserva di cui all'art. 25 della legge 23
luglio 1991, n. 223; d) programmazione e coordinamento delle
iniziative finalizzate al reimpiego dei lavoratori posti in mobilita'
e all'inserimento lavorativo di categorie svantaggiate; e) indirizzo,
programmazione e verifica dei tirocini formativi e di orientamento e
borse di lavoro; f) indirizzo, programmazione e verifica dei lavori
socialmente utili ai sensi delle normative in materia; g)
compilazione e tenuta della lista di mobilita' dei lavoratori previa
analisi tecnica».
Come riconosciuto anche dalla giurisprudenza costituzionale
(nelle sentenze n. 74/2001 e 125/2003), la ratio ispiratrice della
delega di cui alla legge Bassanini risiedeva «nell'esigenza di
superare la dissociazione tra le funzioni relative al collocamento e
alle politiche attive del lavoro - di spettanza statale - e le
funzioni in materia di formazione del lavoro - di competenza
regionale» (sent. n. 125/2003, punto 2 del Diritto). Dunque, in un
contesto costituzionale in cui le regioni avevano competenza solo in
materia di formazione professionale, si era comunque arrivati a
concetrare nelle regioni quasi tutte le funzioni amministrative in
materia di mercato del lavoro.
Si noti, inoltre, che in base all'art. 4 d.lgs. n. 469/1997,
«l'organizzazione amministrativa e le modalita' di esercizio delle
funzioni e dei compiti conferiti ai sensi del presente decreto»
dovevano essere disciplinate, «anche al fine di assicurare
l'integrazione tra i servizi per l'impiego, le politiche attive del
lavoro e le politiche formative, con legge regionale», pero' in base
a criteri direttivi posti dallo stesso art. 4, alcuni dei quali sono
stati dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale (con la sent.
n. 74/2001), in quanto lesivi dell'autonomia organizzativa regionale.
La posizione costituzionale delle regioni nella materia e' poi
stata riconosciuta e rafforzata, come e' ben noto, dalla legge
costituzionale n. 3/2001, che ha attribuito ad esse competenza
concorrente in materia di «tutela e sicurezza del lavoro», ed ha
rafforzato la competenza regionale in materia di formazione
professionale, attribuendole carattere pieno.
E' in tale situazione che e' intervenuta la legge 14 febbraio
2003, n. 30, con la quale il Parlamento ha delegato il Governo ad
operare una complessiva riorganizzazione degli strumenti di
intervento in materia di mercato del lavoro, quali stabiliti dalla
precedente legislazione.
Come sopra accennato, essa e' stata impugnata dalla ricorrente
regione nelle disposizioni che incidono sulle competenze regionali in
materia di tutela e sicurezza del lavoro e di istruzione e formazione
professionale, ed in particolare nell'art. 1 (relativo ai servizi per
l'impiego e all'intermediazione nella somministrazione di lavoro) e
nell'art. 2 (relativo al riordino dei contratti a contenuto
formativo).
La legge n. 30/2003 e' ora attuata dal d.lgs. n. 276/2003, che
costituisce un ampio intervento nella materia del mercato del lavoro,
composto di ben ottantasei articoli. Tuttavia, tale decreto non da'
attuazione a tutti i criteri di cui agli artt. 1 e 2, legge
n. 30/2003 (che, peraltro, prevedevano «uno o piu' decreti
legislativi») ma, d'altro canto, contiene norme non riconducibili ad
alcuna norma di delega.
In particolare, il d.lgs. n. 276/2003, dopo un primo titolo
recante disposizioni generali, contiene un secondo titolo
sull'organizzazione e disciplina del mercato del lavoro, un terzo
titolo su somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco,
un quarto titolo recante disposizioni in materia di gruppi di impresa
e trasferimento d'azienda, un quinto titolo sulle tipologie
contrattuali a orario ridotto, modulato o flessibile, un sesto titolo
su apprendistato e contratto di inserimento, un settimo titolo su
tipologie contrattuali a progetto e occasionali, un titolo ottavo
sulle procedure di certificazione ed un titolo nono, recante
disposizioni transitorie e finali.
Alcune di queste discipline attengono all'ordinamento civile e,
dunque, non incidono su competenze regionali. Altre, invece, toccano
direttamente le materie sopra indicate, spettanti alla competenza
concorrente (tutela e sicurezza del lavoro) o piena (formazione
professionale) delle regioni. Diverse norme in esse contenute,
tuttavia, non rispettano le competenze regionali: perche' hanno
carattere dettagliato in materie di competenza concorrente, perche'
attribuiscono funzioni amministrative allo Stato in assenza di
esigenze unitarie (o, comunque, senza coinvolgimento delle regioni),
perche' prevedono poteri statali sostanzialmente regolamentari in
materie di competenza regionale, perche' limitano e condizionano lo
svolgimento delle competenze regionali, perche' affidano alle parti
sociali funzioni che dovrebbero spettare alle regioni, perche'
eccedono la delega attribuita o per gli altri motivi che si
illustreranno.
Tali norme, percio', risultano lesive per le regioni e
costituzionalmente illegittime per i seguenti motivi di

D i r i t t o

1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2, lett. a)
e c), per violazione dell'art. 76 e dell'art. 117, comma 3, Cost.
L'art. 3 e' la prima disposizione del titolo organizzazione e
disciplina del mercato del lavoro. Il comma 2 di tale disposizione
statuisce, nella sua parte iniziale, che restano «ferme ... le
competenze delle regioni in materia di regolazione e organizzazione
del mercato del lavoro regionale»: ma in realta', la successiva
disciplina delle autorizzazioni (artt. 4, 5 e 6) rende evidente che
la clausola di salvaguardia di cui all'art. 3, comma 2, ha carattere
di mera formula di stile.
Del resto, lo stesso comma in cui la presunta norma di
salvaguardia e' contenuta provvede poi a smentirla, disponendo subito
dopo che, «per realizzare l'obiettivo di cui al comma 1: a) viene
identificato un unico regime di autorizzazione per i soggetti che
svolgono attivita' di somministrazione di lavoro, intermediazione,
ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione
professionale; ... c) vengono identificate le forme di coordinamento
e raccordo tra gli operatori, pubblici o privati, al fine di un
migliore funzionamento del mercato del lavoro».
Queste norme rivelano che scopo del legislatore delegato non e'
dettare principi fondamentali (in materia di tutela del lavoro), in
vista della successiva attuazione regionale, ma dettare una
disciplina completa, che «identifichi» il regime di autorizzazione e,
addirittura, le forme di coordinamento di cui sopra: cio' che
rappresenta ad avviso della ricorrente regione una violazione
dell'art. 117, comma 3, Cost.
La lettera c), inoltre, viola l'art. 76 (e di nuovo,
indirettamente, l'art. 117, comma 3), in quanto l'art. 1, comma 2,
lett. f) della legge n. 30/2003 prevedeva non l'«identificazione» ma
l'«incentivazione delle forme di coordinamento e raccordo tra
operatori privati e operatori pubblici ... nel rispetto delle
competenze delle regioni e delle province».
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera
e), dell'art. 4, commi da 1 a 6, per violazione dell'art. 76,
dell'art. 117, commi 3, 4 e 6, e dell'art. 118, commi 1 e 2, Cost., e
del principio di leale collaborazione. Illegittimita' costituzionale
dell'art. 6, comma 6, nella parte in cui limita il potere
autorizzatorio regionale alle attivita' svolte» con esclusivo
riferimento al proprio territorio».
L'art. 2 reca definizioni dei vari istituti che vengono in
rilievo ai fini del decreto legislativo. La lett. e) definisce
«autorizzazione» come il «provvedimento mediante il quale lo Stato
abilita operatori, pubblici e privati, di seguito denominati «agenzie
per il lavoro», allo svolgimento delle attivita' di cui alle lettere
da a) a d)».
L'art. 4 disciplina le autorizzazioni delle agenzie per il
lavoro. I commi 1, 2, 3, 4 e 6 contengono norme di dettaglio in
materia di tutela del lavoro e di formazione (dato che le attivita'
autorizzate comprendono anche la formazione: v. l'art. 2, d.lgs.
n. 276/2003), e percio' violano l'art. 117, commi 3 e 4, Cost.
Il comma 5, secondo cui «Il Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, con decreto da emanare entro trenta giorni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto legislativo, stabilisce le
modalita' della presentazione della richiesta di autorizzazione di
cui al comma 2, i criteri per la verifica del corretto andamento
della attivita' svolta cui e' subordinato il rilascio della
autorizzazione a tempo indeterminato, i criteri e le modalita' di
revoca della autorizzazione, nonche' ogni altro profilo relativo alla
organizzazione, e alle modalita' di funzionamento dell'albo delle
agenzie per il lavoro», prevede un potere statale sostanzialmente
regolamentare, in violazione dell'art. 117, comma 6, Cost. Che per
determinare il carattere normativo di un atto debba usarsi un
criterio «sostanziale» sembra evidente - pena la vanificazione o il
facile aggiramento della norma costituzionale - ed e' comunque
confermato dalla sent. di codesta Corte costituzionale n. 88/2003,
punto 3 del Diritto, che lo ha espressamente utilizzato. Comunque la
disposizione viola anche l'art. 117, comma 3, perche' rimette al
Ministro di dettare una disciplina sicuramente di dettaglio, di
competenza regionale.
Inoltre, la previsione di poteri regolamentari ministeriali viola
l'art. 76, perche' essi non sono specificamente previsti dalla
delega. Il Parlamento ha delegato un potere legislativo al Governo e
questo non puo' a sua volta delegare un potere normativo attuativo ad
un ministro delegata potestas non potest delegari. In questo modo,
fra l'altro, si elude il principio per cui il potere regolamentare
dei ministri richiede una specifica base legislativa e si consente
l'elusione del termine fissato per la delega. Il vizio si traduce in
lesione delle prerogative delle regioni, che sono costrette ad
esercitare le proprie competenze in un quadro incostituzionale.
Infine, l'art. 4, commi 1 e 2, dando seguito all'art. 2, comma 1,
lett. e), attribuisce al Ministero del lavoro funzioni amministrative
(di tenuta dell'albo delle agenzie per il lavoro e di rilascio
dell'autorizzazione). Nelle materie di cui all'art. 117, comma 3, lo
Stato, come noto, dovrebbe limitarsi a dettare i principi
fondamentali, lasciando alle regioni la disciplina di dettaglio e
l'allocazione delle funzioni amministrative, salvo che le esigenze
unitarie impongano di trattenere al livello centrale alcune funzioni
(nel qual caso la Corte ha ammesso anche norme di dettaglio
cedevoli): con la precisazione che la deroga alla competenza
legislativa regionale puo' giustificarsi «solo se la valutazione
dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni
regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta
da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di
costituzionalita', e sia oggetto di un accordo stipulato con la
regione interessata», e che «l'esigenza di esercizio unitario che
consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche
quella legislativa, puo' aspirare a superare il vaglio di
legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che
prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che
devono essere condotte in base al principio di lealta» (sent.
n. 303/2003, punto 2.2 del Diritto).
Pare evidente che non esistono esigenze unitarie che impongano
una gestione centralizzata delle funzioni amministrative in
questione, dato che la verifica dell'esistenza dei requisiti delle
agenzie (che, tra l'altro, costituisce attivita' di puro riscontro,
dei parametri di legge) e la tenuta dell'albo possono essere svolte
adeguatamente dalle regioni (o, eventualmente, dagli enti locali
individuati dalle regioni), nel rispetto dei principi fondamentali
statali e delle proprie norme di dettaglio. Al contrario, la
necessita' di rivolgersi al centro per ottenere l'autorizzazione di
cui all'art. 4 costituisce una inutile complicazione per le agenzie.
Ne' puo' essere obbiettato che la competenza statale
all'autorizzazione sia resa necessaria dal fatto che essa debba
valere per l'intero territorio nazionale, dato che e' anzi
caratteristico dei sistemi decentrati che i provvedimenti assunti da
ciascuno degli enti territoriali competenti sia riconosciuto dagli
altri come se fosse proprio: e, del resto, proprio a cio' serve
l'opera unificatrice delle regole che lo Stato compie dettando i
principi fondamentali.
Tra i principi fondamentali di un sistema decentrato vi e', in
primo luogo, quello della validita' nazionale delle autorizzazioni
concesse. Si tratta d'altronde di un principio che non ha nulla di
speciale, ed opera gia' nell'ordinamento in una pluralita' di
situazioni, sia nel sistema regionale (si pensi ai titoli di
formazione professionale) sia al di fuori di esso: nessuno ha mai
supposto, ad esempio, che la patente di guida rilasciata da una
autorita' locale non valga percio' al di fuori della circoscrizione
di questa.
Dunque, le norme in questione violano sia la competenza
legislativa regionale ad allocare le funzioni amministrative (art.
118, comma 2), sia il principio di sussidiarieta' (art. 118, comma
1).
Comunque, se anche si ritenesse esistente un'esigenza unitaria, i
commi 1 e 2 dell'art. 4 sarebbero comunque illegittimi, in base ai
principi di cui alla sent. n. 303/2003, perche' le regioni non sono
chiamate a dare l'intesa nel momento dell'esercizio della funzione
amministrativa.
Si noti fra l'altro che, se e' vero che nel precedente assetto
costituzionale l'art. 10, d.lgs. n. 469/1997 prevedeva la competenza
ministeriale all'autorizzazione (e all'accreditamento), tuttavia era
contemplato un parere regionale (comma 5): l'art. 4, d.lgs.
n. 276/2003, invece, paradossalmente vorrebbe estromettere le regioni
proprio quando esse hanno una riconosciuta ed espressa competenza
costituzionale in una materia. Si noti che la lesione della
competenza regionale non viene certo meno per il fatto che - tranne
per quanto riguarda l'attivita' di somministrazione - l'art. 6, comma
6, prevede che «l'autorizzazione allo svolgimento delle attivita' di
cui all'art. 2, comma 1 lettere b), c), d), puo' essere concessa
dalle regioni e dalle province autonome con esclusivo riferimento al
proprio territorio e previo accertamento della sussistenza dei
requisiti di cui agli artt. 4 e 5, fatta eccezione per il requisito
di cui all'art. 5, comma 4, lettera b)», cioe' del requisito che
«l'attivita' interessi un ambito distribuito sull'intero territorio
nazionale e comunque non inferiore a quattro regioni».
Infatti, l'art. 6, comma 6, attribuisce alle regioni una
competenza autorizzatoria non solo limitata nell'oggetto (riferendosi
alle attivita' di intermediazione, ricerca e selezione del personale
e supporto alla ricollocazione professionale), ma soprattutto
limitata in relazione ai soggetti autorizzabili, che sono i soggetti
che operino esclusivamente sul territorio regionale.
Inoltre, la norma e' del tutto irragionevole in quanto le regioni
non potrebbero autorizzare anche agenzie che, in ipotesi, ricerchino
in loco personale per un'impresa avente sede in altra regione: ma non
si vede quale sia l'esigenza unitaria che rende necessaria la
competenza statale per autorizzare agenzie che, come e' naturale per
il tipo di attivita' svolta, collaborino con soggetti situati anche
in altre regioni. Essa e' irragionevole anche perche', tenuto conto
dell'art. 5, comma 4, lett. b), sembra esserci un «vuoto» nella
disciplina statale, nel senso che, se una agenzia volesse operare in
due regioni, non vi potrebbe essere autorizzazione statale ne'
regionale.
Tale previsione e' comunque il complemento dell'altra, qui
contestata, che riserva allo Stato le autorizzazioni «generali». Ed
anzi, il limitato riconoscimento della competenza regionale mostra
piu' concretamente l'illegittimita' e l'irrazionalita' della maggiore
competenza statale.
Ne risulta evidente, infatti, che ai fini della autorizzazione
locale le regioni procedono alla verifica degli stessi requisiti:
sicche' l'esistenza di piu' apparati amministrativi dello Stato e
delle regioni risulta completamente duplicativa e smentisce qualunque
profilo «unitario» dell'attivita' statale.
La distinzione tra le autorizzazioni «nazionali» di competenza
statale e quelle «locali» di competenza regionale e'
costituzionalmente illegittima, ma sia consentito di osservare anche
che essa traduce una concezione arcaica dell'organizzazione pubblica,
superata nella Costituzione sia dal principio di sussidiarieta' di
cui all'art. 118 che dal principio di articolazione della Repubblica
di cui all'art. 114 della Costituzione.
Nelle materie concorrenti e residuali l'amministrazione regionale
non e' l'amministrazione di cio' che interessa solo alla regione, ma
e' l'amministrazione della Repubblica in tale materia. L'attrazione
al centro di tale amministrazione non e' ammessa se non per
attivita', che debbano essere svolte unitariamente, alle condizioni e
con le cautele di cui alla sentenza di codesta Corte costituzionale
n. 303 del 2003. Ma e' evidente che in questo caso, al centro, non si
farebbe che verificare domande proposte da enti che hanno una sede
locale, in relazione all'esistenza di requisiti oggettivi
verificabili esattamente allo stesso modo da un ufficio statale e da
un ufficio regionale. Ne risulta che anche l'art. 6, comma 6, e'
affetto da illegittimita' costituzionale nella parte in cui limita il
potere autorizzatorio regionale alle attivita' svolte «con esclusivo
riferimento al proprio territorio».
Per completezza si osserva che tutte le norme sopra indicate
violano anche l'art. 76, dato che la legge n. 30/2003 aveva delegato
il Governo a dettare «principi fondamentali» (art. 1, comma 1) nel
«rispetto delle competenze previste dalla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3» (comma 2, lett. b), n. 1).
3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 1, 2, 3, 4,
5, 7 e 8 per violazione degli artt. 3, 97, 117 e 118 della
Costituzione.
L'art. 6 disciplina regimi particolari di autorizzazione.
Il comma 1 dispone che «sono autorizzate allo svolgimento della
attivita' di intermediazione le universita' pubbliche e private,
comprese le fondazioni universitarie che hanno come oggetto l'alta
formazione con specifico riferimento alle problematiche del mercato
del lavoro, a condizione che svolgano la predetta attivita' senza
finalita' di lucro e fermo restando l'obbligo della interconnessione
alla borsa continua nazionale del lavoro, nonche' l'invio di ogni
informazione relativa al funzionamento del mercato del lavoro ai
sensi di quanto disposto al successivo art. 17». Similmente, il comma
3 prevede che «sono altresi' autorizzate allo svolgimento della
attivita' di intermediazione le associazioni dei datori di lavoro e
dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative che
siano firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro, le
associazioni in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza
nazionale e aventi come oggetto sociale la tutela e l'assistenza
delle attivita' imprenditoriali, del lavoro o delle disabilita', e
gli enti bilaterali a condizione che siano rispettati i requisiti di
cui alle lettere c), d), e), f), g), di cui all'art. 5, comma 1».
Tali norme sembrano autorizzare direttamente allo svolgimento
dell'attivita' di intermediazione i soggetti da esse indicati. Questa
interpretazione e' suggerita anche dal fatto che, in base al comma 2,
«sono altresi' autorizzati allo svolgimento della attivita' di
intermediazione, secondo le procedure di cui all'art. 4 o di cui al
comma 6 del presente articolo, i comuni, le camere di commmercio e
gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e
paritari, a condizione che svolgano la predetta attivita' senza
finalita' di lucro e che siano rispettati i requisiti di cui alle
lettere c), f) e g), di cui all'art. 5, comma 1». Il comma 2, dunque,
a differenza dei commi 1 e 3, richiama espressamente le norme sulle
procedure autorizzatorie, per cui esso di certo non dispone
un'autorizzazione ope legis.
Un regime ancora diverso pare delineato dal comma 4, secondo il
quale «l'ordine nazionale dei consulenti del lavoro puo' chiedere
l'iscrizione all'albo di cui all'art. 4 di una apposita fondazione o
di altro soggetto giuridico dotato di personalita' giuridica
costituito nell'ambito del Consiglio nazionale dei consulenti del
lavoro per lo svolgimento a livello nazionale di attivita' di
intermediazione». La disposizione afferma altresi' che «l'iscrizione
e' subordinata al rispetto dei requisiti di cui alle lettere c), d),
e), f), g) di cui all'art. 5, comma 1». Ma la norma, che prevede la
domanda di iscrizione all'albo, non parla espressamente di
un'autorizzazione.
I commi 1 e 3, qualora intesi nel senso di disporre
un'autorizzazione ope legis, sono illegittimi, in primo luogo, per
violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto: non e' chiara la
ragione per cui i soggetti ivi indicati siano autorizzati
direttamente a svolgere attivita' diverse da quelle che svolgono
abitualmente (nel caso delle universita', questo e' evidente; ma
anche i sindacati si occupano istituzionalmente di rapporti di lavoro
gia' costituiti e non d'intermediazione); agli stessi soggetti viene
irragionevolmente data un'autorizzazione generale, apparentemente non
limitata ai settori in cui essi operano o alla loro circoscrizione
territoriale di competenza o, nel caso delle universita', agli utenti
di esse; ne' sono previsti controlli dei requisiti richiesti. Non
essendovi strumenti amministrativi di autorizzazione, eventuali abusi
o irregolarita' resterebbero privi di sanzione.
Il vizio si traduce in lesione delle prerogative delle regioni,
che sono costrette ad esercitare le proprie competenze legislative ed
amministrative in un quadro incostituzionale.
Inoltre le disposizioni in questione hanno contenuto dettagliato,
anzi si configurano come disposizioni-provvedimento (benche' i
destinatari non siano specificamente indicati), con violazione
dell'art. 117, commi 3 e 4 (dato che l'intermediazione comprende
attivita' formative). Infine, esse violano l'art. 118, in quanto
funzioni sostanzialmente amministrative vengono svolte al centro in
assenza di esigenze unitarie.
L'art. 6, comma 2, che riguarda i comuni, le camere di commercio
e le scuole, anche paritarie, e' illegittimo innanzi tutto perche'
richiama le procedure di cui all'art. 4 ed all'art. 6, comma 6, gia'
censurati per i motivi sopra illustrati. La norma viola anche gli
artt. 3 (principio di ragionevolezza) e 97 Cost. perche' prevede
un'autorizzazione generale, apparentemente non limitata ai settori in
cui i soggetti operano alla loro circoscrizione territoriale di
competenza o, nel caso delle scuole, agli utenti di esse, e perche'
non richiede il possesso del requisito di cui all'art. 5, comma 1,
lettera d).
Il vizio si traduce in lesione delle prerogative delle regioni,
che sono costrette ad esercitare le proprie competenze legislative ed
amministrative in un quadro incostituzionale.
L'art. 6, comma 4 e 5, sono illegittimi in quanto richiamano la
procedura di cui all'art. 4 ed in quanto hanno carattere dettagliato.
L'art. 6, comma 7, illegittimo in quanto disciplina in modo
puntuale la procedura del rilascio dell'autorizzazione da parte della
regione, in violazione dell'art. 117, commi 3 e 4. L'art. 6, comma 8,
viola l'art. 117, comma 6, Cost. perche' prevede un potere
ministeriale sostanzialmente regolamentare (seppur da esercitare su
intesa della Conferenza unificata) in materia di competenza
regionale, al fine di definire «le modalita' di costituzione della
apposita sezione regionale dell'albo di cui all'art. 4, comma 1 e
delle procedure ad essa connesse». Inoltre, la previsione di poteri
regolamentari ministeriali viola l'art. 76, perche' essi non sono
specificamente previsti dalla delega: su cio' si puo' rinviare alle
considerazioni svolte in relazione all'art. 4, comma 5.
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 12, commi 3 e 5, per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale
collaborazione.
L'art. 12 pone l'obbligo, a carico dei soggetti autorizzati alla
somministrazione di lavoro, di «versare ai fondi di cui al comma 4 un
contributo pari al 4 per cento della retribuzione corrisposta ai
lavoratori assunti con contratto a tempo determinato per l'esercizio
di attivita' di somministrazione». Le risorse sono destinate a favore
dei lavoratori stessi, in particolare per «promuovere percorsi di
qualificazione e riqualificazione anche in funzione di continuita' di
occasioni di impiego e ... prevedere specifiche misure di carattere
previdenziale» (comma 1).
Inoltre, i soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro
sono tenuti a «versare ai fondi di cui al comma 4 un contributo pari
al 4 per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti
con contratto a tempo indeterminato», al fine di «garantire
l'integrazione del reddito dei lavoratori assunti con contratto a
tempo indeterminato in caso di fine lavori», di «verificare
l'utilizzo della somministrazione di lavoro e la sua efficacia anche
in termini di promozione della emersione del lavoro non regolare e di
contrasto agli appalti illeciti», di favorire «l'inserimento o il
reinserimento nel mercato del lavoro di lavoratori svantaggiati anche
in regime di accreditamento con le regioni», di promuovere «percorsi
di qualificazione e riqualificazione professionale» (comma 2).
Come si vede, in pratica tutte le iniziative contemplate da
queste disposizioni attengono alle materie della tutela del lavoro e
della formazione professionale (a parte le «misure di carattere
previdenziale» di cui al comma 1). I commi 1 e 2 non formano oggetto
del presente ricorso.
In base al comma 3, «gli interventi e le misure di cui ai commi 1
e 2 sono attuati nel quadro di politiche stabilite nel contratto
collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro
ovvero, in mancanza, stabilite con decreto del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali, sentite le associazioni dei datoti di lavoro
e dei prestatori di lavoro maggiormente rappresentative nel predetto
ambito».
Il comma 3 viola, dunque, l'art. 118 Cost., essendo illegittima
la previsione della competenza (sussidiaria) del Ministero (comma 3),
non sussistendo esigenze unitarie e mancando comunque qualsiasi
coinvolgimento delle regioni: il che, fra l'altro, implica
l'impossibilita' di un raccordo con la programmazione regionale delle
attivita' formative.
Il comma 5 dell'art. 12 prevede che «i fondi di cui al comma 4
sono attivati a seguito di autorizzazione del Ministero del lavoro e
delle politiche sociali, previa verifica della congruita', rispetto
alle finalita' istituzionali previste ai commi 1 e 2, dei criteri di
gestione e delle strutture di funzionamento del fondo stesso, con
particolare riferimento alla sostenibilita' finanziaria complessiva
del sistema, e attribuisce al Ministero del lavoro anche il potere di
«vigilanza sulla gestione dei fondi».
Anche tale disposizione viola l'art. 118 Cost. ed il principio di
leale collaborazione, mancando esigenze unitarie a fondamento dei
poteri statali e, comunque, mancando qualsiasi coinvolgimento delle
regioni.
5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1 e 6, per
violazione degli artt. 3, 76, 117 e 118 Cost.
L'art. 13 si intitola misure di incentivazione del raccordo
pubblico e privato, in questo modo richiamando l'art. 1, comma 2,
lett. f) della legge delega. In realta', tuttavia, il contenuto della
disposizione attiene all'inserimento dei lavoratori «svantaggiati»
nel mercato del lavoro, cioe' alle materie della tutela del lavoro
(art. 117, comma 3), della formazione professionale e delle politiche
sociali (art. 117, comma 4).
L'art. 13, comma 1, stabilisce che, «al fine di garantire
l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro dei
lavoratori svantaggiati, attraverso politiche attive e di workfare,
alle agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro e'
consentito: a) operare in deroga al regime generale della
somministrazione di lavoro, ai sensi del comma 2 dell'art. 23, ma
solo in presenza di un piano individuale di inserimento o
reinserimento nel mercato del lavoro, con interventi formativi idonei
e il coinvolgimento di un tutore con adeguate competenze e
professionalita', e a fronte della assunzione del lavoratore, da
parte delle agenzie autorizzate alla somministrazione, con contratto
di durata non inferiore a sei mesi» (l'art. 23 prevede che «i
lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a un
trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a
quello dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parita' di
mansioni svolte» (comma 1), e che tuttavia questa disposizione «non
trova applicazione con riferimento ai contratti di somministrazione
conclusi da soggetti privati autorizzati nell'ambito di specifici
programmi di formazione, inserimento e riqualificazione professionale
erogati, a favore dei lavoratori svantaggiati, in concorso con
regioni, province ed enti locali ai sensi e nei limiti di cui
all'art. 13»).
Dunque, l'art. 13 da' la possibilita' di attribuire ai lavoratori
«svantaggiati» un trattamento economico e normativo deteriore, a
parita' di mansioni e di livello, rispetto ai lavoratori dipendenti
dall'utilizzatore, qualora ci siano i presupposti di cui al comma 1.
Il comma 2, poi, prevede la decadenza dai trattamenti di
mobilita' e disoccupazione a carico del lavoratore, «destinatario
delle attivita' di cui al comma 1», che rifiuti «di essere avviato a
un progetto individuale di reinserimento» o «non accetti l'offerta di
un lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore del 20
per cento rispetto a quello delle mansioni di provenienza», purche'
«le attivita' lavorative o di formazione offerte al lavoratore siano
congrue rispetto alle competenze e alle qualifiche del lavoratore
stesso e si svolgano in un luogo raggiungibile in 80 minuti con mezziquello della sua residenza» (comma 3). Ancora, i commi 4
e 5 disciplinano la procedura di decadenza dai trattamenti
previdenziali (comprendente la possibilita' di un ricorso alle
direzioni provinciali del lavoro).
Il comma 6 da' atto della competenza regionale in materia,
stabilendo che, «fino alla data di entrata in vigore di norme
regionali che disciplinino la materia, le disposizioni di cui al
comma 1 si applicano solo in presenza di una convenzione tra una o
piu' agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro, anche
attraverso le associazioni di rappresentanza e con l'ausilio delle
agenzie tecniche strumentali del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali, e i comuni, le province o le regioni stesse».
Dunque, dallo stesso art. 13 risulta confermata la competenza
regionale nella materia dell'inserimento lavorativo dei disabili. Si
tratta di una competenza in parte piena (formazione professionale e
politiche sociali) ed in parte concorrente (tutela del lavoro).
Il comma 1, anziche' limitarsi alla determinazione di un
principio, detta norme operative di dettaglio in materie di
competenza regionale. Ora, come si e' visto, codesta Corte ha ammesso
una transitoria normativa statale di dettaglio solo in caso di
attrazione al centro di funzioni amministrative ex art. 118 Cost.:
situazione che non viene qui certo in considerazione. Ne' la
competenza regionale e' tutelata, in attesa delle norme regionali, da
quanto previsto del comma 6, visto che le convenzioni possono essere
concluse anche con comuni e province. Dunque, i commi 1 e 6 violano
l'art. 117, commi 3 e 4, Cost. Inoltre, l'art. 13, commi 1 e 6, viola
l'art. 76, perche' non trova supporto nella delega (l'art. 1, comma
2, lett. m), n. 5, non fa eccezione per i disabili), e l'art. 3
(commi 1 e 2), in quanto prevede un trattamento deteriore dei
lavoratori svantaggiati a fronte di «piani di inserimento»,
«interventi formativi» e «tutori»: e la realta' ha ampiamente
insegnato che una situazione di questo tipo si tradurrebbe in un
lavoro sottopagato a parita' di livello e di mansioni. In pratica, i
lavoratori che dovrebbero ricevere maggiore tutela vengono costretti
ad accettare un trattamento deteriore rispetto agli altri lavoratori
dietro l'alibi dei «piani di inserimento». Del tutto diversa era la
logica della legge n. 68/1999, che tutelava il diritto al lavoro dei
disabili attraverso agevolazioni ai datori di lavoro.
Questi vizi si traducono in lesione delle competenze regionali
perche' costringono la regione ad esercitare le proprie competenze
legislative ed amministrative in un quadro incostituzionale.
6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 1 e 2, per
violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost.
Anche l'art. 14 riguarda l'inserimento lavorativo dei lavoratori
svantaggiati. Esso prevede che, al fine di favorire l'inserimento
lavorativo dei lavoratori svantaggiati e dei lavoratori disabili, i
servizi di cui all'art. 6, comma 1, della legge 12 marzo 1999,
n. 68, ... stipulano con le associazioni sindacali dei datori di
lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative a livello nazionale e con le associazioni di
rappresentanza, assistenza e tutela delle cooperative di cui all'art.
1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, ...
convenzioni quadro su base territoriale che devono essere validate da
parte delle regioni, ... aventi ad oggetto il conferimento di
commesse di lavoro alle cooperative sociali medesime da parte delle
imprese associate o aderenti» (comma 1). I servizi di cui all'art. 6,
legge n. 68/1999 sono «gli organismi individuati dalle regioni ai
sensi dell'art. 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469».
Il comma 2 indica gli aspetti che devono essere disciplinati dalla
«convenzione quadro».
Dunque, i commi 1 e 2 intervengono nelle materie della tutela del
lavoro e delle politiche sociali, dettando norme di dettaglio e
rinviando, per il completamento della disciplina, alle convenzioni
quadro. Alle regioni non resta alcuno spazio per l'esercizio della
potesta' legislativa in materia, potendo esse solo concorrere alla
formazione delle convenzioni. Cio' implica violazione dell'art. 117,
commi 3 e 4.
Inoltre, la disciplina in questione eccede la delega attribuita
al Governo, in violazione dell'art. 76 Cost.
7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 22, comma 6, per
violazione degli artt. 3, 4, 76, 117 e 118 Cost.
L'art. 22 riguarda la disciplina del rapporto di lavoro in caso
di somministrazione. In particolare, il comma 6 stabilisce che «la
disciplina in materia di assunzioni obbligatorie e la riserva di cui
all'art. 4-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 181 del 2000, non
si applicano in caso di somministrazione.».
Dunque, i lavoratori somministrati non vengono computati ai fini
dell'obbligo di assunzione di una percentuale di disabili sul totale
dei dipendenti; cio' costituisce una grave ed irragionevole deroga ad
un principio fondamentale statale in materia di competenza regionale
(tutela del lavoro e politiche sociali).
L'art. 22, comma 6, diminuisce la tutela offerta alla categoria
dei disabili, e la gravita' di questa menomazione risulta chiara se
si pensa al carattere di stabilita' che connota la somministrazione a
tempo indeterminato. Manca, inoltre, un fondamento nella legge di
delega. Questa norma, dunque, viola gli artt. 3, commi 1 e 2, 4 e 76
Cost., il che si ripercuote in violazione dell'art. 117, commi 3 e 4,
Cost., in quanto l'irragionevole deroga al principio condiziona
inevitabilmente ed illegittimamente la legislazione regionale.
8. - Illegittimita' costituzionale degli artt. 48, comma 4, 49,
comma 5, e 50, comma 3, per violazione dell'art. 117 della
costituzione.
Il titolo VI del d.lgs. n. 276/2003 disciplina l'apprendistato e
contratto di inserimento.
L'art. 47 prevede tre tipologie di apprendistato, cosi'
descritte: «a) contratto di apprendistato per l'espletamento del
diritto-dovere di istruzione e formazione; b) contratto di
apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una
qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un
apprendimento tecnico-professionale; c) contratto di apprendistato
per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione».
L'art. 48 disciplina il primo tipo di apprendistato. Il comma 4
stabilisce che «la regolamentazione dei profili formativi
dell'apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di
istruzione e formazione e' rimessa alle regioni e alle province
autonome di Trento e Bolzano, d'intesa con il Ministero del lavoro e
delle politiche sociali e del Ministero dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca, sentite le associazioni dei datori
di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative sul piano nazionale, nel rispetto dei seguenti
criteri e principi direttivi ... c) rinvio ai contratti collettivi di
lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative per la determinazione, anche all'interno degli enti
bilaterali, delle modalita' di erogazione della formazione aziendale
nel rispetto degli standard generali fissati dalle regioni
competenti».
La disposizione interviene in materia di formazione
professionale, espressamente eccettuata dalla competenza concorrente
in materia di istruzione, e devoluta alle regioni ai sensi
dell'art. 117, comma 4, Cost. Essa risulta percio' illegittima, sia
in quanto detta principi vincolanti per le regioni in materia di
piena competenza regionale (non ravvisandosi titoli costituzionali
specifici che giustifichino l'intervento statale) sia perche' vincola
l'esercizio della potesta' legislativa regionale all'intesa con i
ministeri. Quest'ultima norma sarebbe poi illegittima anche se si
riconducesse la materia all'art. 117, comma 3. Infatti, il vincolare
la legge ad intese con soggetti terzi stravolge i principi
sull'esercizio della funzione legislativa, che appartiene agli organi
rappresentativi e non puo' essere condizionata ad assensi esterni se
non vi e' una espressa disposizione costituzionale.
Inoltre, e' in particolare illegittimo il criterio di cui alla
lett. c), sopra citata, che vorrebbe limitare la potesta' legislativa
regionale al compito di dettare standard. Al contrario, spetta semmai
alla legge regionale di definire lo spazio che in ipotesi essa
intenda affidare alle parti sociali, in applicazione di un principio
di sussidiarieta' orizzontale.
L'art. 49 e' dedicato all'apprendistato professionalizzante. In
base al comma 5, «la regolamentazione dei profili formativi
dell'apprendistato professionalizzante e' rimessa alle regioni e alle
province autonome di Trento e Bolzano, d'intesa con le associazioni
dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative sul piano regionale e nel rispetto dei seguenti
criteri e principi direttivi ... b)rinvio ai contratti collettivi di
lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative per la determinazione, anche all'interno degli enti
bilaterali, delle modalita' di erogazione e della articolazione della
formazione».
Dunque, si tratta di una disciplina simile a quella di cui
all'art. 48: cambiano i soggetti chiamati all'intesa con le regioni
ma restano i profili di illegittimita' sopra illustrati (anzi, il
rinvio ai contratti collettivi non implica piu' il rispetto degli
standard generali fissati dalle regioni), ai quali si puo' rinviare.
L'art. 50 disciplina l'apprendistato per l'acquisizione di un
diploma o per percorsi di alta formazione. Il comma 3, secondo il
quale, «ferme restando le intese vigenti, la regolamentazione e la
durata dell'apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per
percorsi di alta formazione e' rimessa alle regioni, per i soli
profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni
territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro, le
universita' e le altre istituzioni formative», detta una disciplina
simile a quelle appena esposte (pur nella corretta - in questo caso -
fissazione di vincoli di contenuto) in quanto subordina la potesta'
legislativa regionale alla volonta' di altri enti che non vi hanno
titolo costituzionale: per cui si puo' rinviare, sotto questo
profilo, alle argomentazioni relative all'art. 48, comma 4.
9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 2, per
violazione dell'art. 11, comma 6, Cost.
L'art. 51 disciplina i crediti formativi. Il comma 2 stabilisce
che, «entro dodici mesi dalla entrata in vigore del presente decreto,
il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il
Ministero dell'istruzione, della universita' e della ricerca, e
previa intesa con le regioni e le province autonome definisce le
modalita' di riconoscimento dei crediti di cui al comma che precede,
nel rispetto delle competenze delle regioni e province autonome e di
quanto stabilito nell'accordo in conferenza unificata
Stato-regioni-autonomie locali del 18 febbraio 2000 e nel decreto del
Ministro del lavoro a della previdenza sociale del 31 maggio 2001».
Dunque, si tratta della previsione di un potere sostanzialmente
regolamentare, seppur da esercitare di intesa con le regioni. La sua
previsione percio' viola l'art. 117, comma 6, come gia' illustrato in
relazione ad altre previsioni del genere (v., in particolare, il
motivo n. 2), sia che si riconduca la materia all'art. 117, comma 3
(istruzione), sia che la si riconduca al comma 4 (formazione
professionale). Essa, inoltre, viola l'art. 76, non trovando supporto
nella delega (v. sempre il motivo n. 2).
Puo' essere opportuno precisare che la presenza dell'intesa delle
regioni non elimina l'illegittimita', dato che i principi definiti
dalla sent. n. 303/2003 valgono per l'esercizio delle funzioni
amministrative. Invece, le esigenze unitarie che riguardano la
funzione normativa in quanto tale sono gia' «codificate dalla
Costituzione e vengono soddisfatte attraverso i principi fondamentali
di cui al comma 3 e attraverso le competenze statali di cui al comma
2 dell'art. 117.
10. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 60 per violazione
dell'art. 117, comma 4, Cost.
L'art. 60 disciplina i tirocini estivi di orientamento. La
disposizione interviene nel dettaglio in una materia di competenza
regionale piena (formazione professionale), con conseguente
violazione dell'art. 117, comma 4, Cost.


P. Q. M.
La regione Emilia-Romagna, come sopra rappresentata e difesa
chiede voglia codesta eccc.ma Corte costituzionale accogliere il
ricorso, dichiarando l'illegittimita' del d.lgs. n. 276 del 2003, con
riferimento alle seguenti disposizioni: art. 2, comma 1, lettera e);
art. 3, comma 2, lettere a) e c); art. 4, commi da 1 a 6, e art. 6,
comma 6, in parte qua; art. 6, commi 1, 2, 3, 4, 5, 7 e 8; art. 12,
commi 3 e 5; art. 13, commi 1 e 6; art. 14, commi 1 e 2; artt. 22,
comma 6; art. 48 comma 4; art. 49, comma 5; art. 50, comma 3; art.
51, comma 2; art. 60, nei termini e per i motivi sopra esposti.
Padova-Roma, addi' 5 dicembre 2003
Prof. avv. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi

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