Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria  il  20  settembre  2011  (della  Regione  Friuli-Venezia
Giulia) . 
 
 
(GU n. 45 del 26.10.2011) 
 
     Ricorso della Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  in  persona  del
Presidente della Giunta regionale  pro  tempore  dott.  Renzo  Tondo,
autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n.  1533  del  5
agosto 2011 (doc. 1), rappresentata e difesa  -  come  da  procura  a
margine del presente atto - dall'avv. prof.  Giandomenico  Falcon  di
Padova,  con  domicilio  eletto   in   Roma   presso   l'Ufficio   di
rappresentanza della Regione, in Piazza Colonna, 355; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  17,
comma 1, lett. d), e comma 6, e  dell'art.  20,  commi  4  e  5,  del
decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98,  Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione finanziaria,  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 15 luglio 2011, n. 111, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  n.
164 del 16 luglio 2011; 
    Per violazione: 
        degli articoli 116, 117, 118 e 119 della Costituzione; 
        dell'art. 5, n. 16, e degli  artt.  48  e  49  dello  Statuto
speciale adottato con 1. cost. n. 1 del 1963; 
        del principio di leale collaborazione, 
    per i profili e nei modi di seguito illustrati. 
 
                           Fatto e diritto 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 1, lett.  d),  e
comma 6. 
    Il primo comma dell'articolo 17 del decreto-legge n. 98 del  2011
ridetermina per gli anni 2013-2014 il livello del  finanziamento  del
Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo  Stato,  e  stabilisce
che con specifica intesa fra lo Stato  e  le  Regioni,  entro  il  30
aprile 2012 siano indicate le modalita' per  assicurare  il  rispetto
del livello complessivo del finanziamento cosi' determinato.  Per  il
caso in cui l'intesa non  sia  tempestivamente  raggiunta,  il  comma
prevede la introduzione di una serie di misure, al fine di assicurare
che  per  gli  stessi  anni  2013  e  2014  le   Regioni   rispettino
l'equilibrio di bilancio sanitario. 
    Fra queste, viene in particolare in considerazione, ai fini della
presente controversia, quella di cui alla lettera d) del comma 1,  la
quale affida ad un  regolamento  di  delegificazione  il  compito  di
introdurre - dal 2014 - «misure di compartecipazione  sull'assistenza
farmaceutica e sulle altre prestazioni erogate dal servizio sanitario
nazionale [...]  aggiuntive  rispetto  a  quelle  eventualmente  gia'
disposte dalle regioni»; alle Regioni  la  lettera  d)  riconosce  la
possibilita' di «adottare provvedimenti di riduzione  delle  predette
misure di compartecipazione, purche' assicurino comunque, con  misure
alternative, l'equilibrio economico  finanziario»,  che  deve  essere
previamente certificato «da parte  del  Comitato  permanente  per  la
verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza  e  dal
Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti di cui agli articoli
9 e 12 dell'Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005». 
    Il comma 6 del medesimo art. 17, nel primo periodo, modifica  per
l'anno 2011 il  livello  del  finanziamento  del  servizio  sanitario
nazionale  a  cui  concorre  ordinariamente  lo  Stato;  nel  secondo
periodo, invece, pone norme  sulla  partecipazione  dei  pazienti  al
finanziamento della spesa sanitaria, stabilendo testualmente  che  «a
decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di  conversione
del presente decreto si applicano le disposizioni di cui all'articolo
1, comma 796, lettere p) e p-bis), della legge 27 dicembre  2006,  n.
296, e cessano di avere effetto le disposizioni di  cui  all'articolo
61, comma 19, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133». 
    Per effetto di tali rinvii, ai sensi della lettera  p),  «per  le
prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale»  si  introduce
il pagamento da parte degli  assistiti  «di  una  quota  fissa  sulla
ricetta pari a 10 euro», mentre «per le prestazioni erogate in regime
di pronto soccorso  ospedaliero  non  seguite  da  ricovero,  la  cui
condizione e' stata codificata come codice bianco [...] gli assistiti
non esenti sono tenuti al pagamento di una  quota  fissa  pari  a  25
euro» (facendo «salve le  disposizioni  eventualmente  assunte  dalle
regioni che, per l'accesso al pronto soccorso ospedaliero, pongono  a
carico degli assistiti oneri piu' elevati»). 
    La successiva lettera p-bis) aggiunge che per le  prestazioni  di
assistenza specialistica di cui alla predetta lettera p), le  Regioni
possono sostituire la quota  fissa  sulla  ricetta  pari  a  10  euro
adottando altre misure di partecipazione al costo  delle  prestazioni
sanitarie (tuttavia previa positiva certificazione del  loro  effetto
di equivalenza economica da parte del Tavolo tecnico per la  verifica
degli adempimenti di cui all'articolo  12  dell'intesa  Stato-Regioni
del 23 marzo 2005) ovvero stipulare con il Ministero della  salute  e
il  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  un  accordo  per  la
definizione di altre, equivalenti, misure di partecipazione al  costo
delle prestazioni sanitarie. Il secondo periodo del comma 6 esplicita
poi che per gli anni 2009, 2010 e 2011, cessa di avere  efficacia  la
disposizione del decreto-legge n. 112 del  2008,  che  aveva  abilito
quota di partecipazione al costo per  le  prestazioni  di  assistenza
specialistica ambulatoriale ,  di  cui  all'articolo  1,  comma  796,
lettera p), primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. 
    Entrambe le disposizioni  statali  qui  impugnate  (il  comma  1,
lettera d), mediante rinvio ad un regolamento di delegificazione;  il
comma  6  in  via  diretta),  impongono  dunque  ticket  in   materia
sanitaria; entrambe, se possono  in  linea  di  principio  avere  una
ragione per le Regioni  ordinarie  (sent.  n.  203/2008),  non  hanno
invece ragione e giustificazione  costituzionale  per  la  ricorrente
Regione autonoma, che  non  partecipa  alla  ripartizione  del  Fondo
sanitario nazionale, e sono dunque illegittime  in  quanto  impongono
alla Regione Friuli-Venezia Giulia un vincolo non dovuto. 
    Al riguardo, si deve rammentare che «a decorrere  dal  1997  sono
soppresse le  quote  del  Fondo  sanitario  nazionale  a  carico  del
bilancio dello Stato a favore della regione Friuli-Venezia Giulia che
provvede al finanziamento dell'assistenza sanitaria  con  i  proventi
dei contributi sanitari e con risorse del proprio bilancio» (art.  1,
comma 144, legge n. 662/1996). 
    La  circostanza  che  la  Regione   provveda   autonomamente   ed
integralmente al finanziamento della sanita' locale, esclude  che  lo
Stato abbia titolo per stabilire misure di contenimento  della  spesa
sanitaria: tali misure si traducono nella  pura  e  semplice  lesione
dell'autonomia  finanziaria   della   Regione,   nell'aspetto   della
disponibilita' delle spese, quale  risultante  sia  dall'articolo  48
dello Statuto speciale, sia dall'articolo  119,  commi  1,  2,  e  4,
Cost., applicabile alla Regione  per  effetto  dell'articolo  10,  l.
cost. n. 3/2001, nella parte in cui assicuri  ad  essa  una  maggiore
autonomia. 
    Per il  profilo  qui  considerato,  la  posizione  della  Regione
Friuli-Venezia Giulia e' in tutto analoga  a  quella  delle  Province
autonome di Trento e di Bolzano: anch'esse  finanziano  autonomamente
il servizio sanitario locale, per  effetto  dell'art.  34,  comma  3,
legge 23 dicembre 1994, n. 724, confermato dall'art.  1,  comma  143,
legge 23 dicembre 1996, n. 662. Da tale autonomia  di  finanziamento,
codesta ecc.ma Corte costituzionale, con la  sent.  n.  341/2009,  ha
tratto la conseguenza che «dal momento che lo Stato non  concorre  al
finanziamento  del  servizio  sanitario   provinciale,   ne'   quindi
contribuisce a cofinanziare una eventuale abolizione o riduzione  del
ticket in favore degli utenti dello stesso, esso  neppure  ha  titolo
per dettare norme di coordinamento  finanziario  che  definiscano  le
modalita' di contenimento di una spesa sanitaria che  e'  interamente
sostenuta dalla Provincia autonoma»:  la  ratio  della  decisione  e'
dunque pienamente applicabile nella presente controversia. 
    Sono dunque violati l'art. 117, comma  terzo,  Cost.,  in  quanto
sono superati i poteri legislativi  statali  di  coordinamento  della
finanza pubblica, nonche' gli articoli 48 dello Statuto di  autonomia
e 119, primo comma, Cost., per violazione dell'autonomia finanziaria. 
    Con riferimento specifico all'articolo 17, comma 1,  lettera  d),
la regione denuncia, in  via  subordinata,  una  ulteriore  causa  di
incostituzionalita'. 
    Anche se si ammettesse che  lo  Stato  possa  imporre  misure  di
contenimento della spesa sanitaria  attraverso  la  compartecipazione
dei cittadini al costo dei servizi, cio'  dovrebbe  avvenire  in  via
legislativa e non regolamentare. Tali misure sarebbero espressione di
principi fondamentali nelle materie del coordinamento  della  finanza
pubblica (articolo 48 Statuto e articolo  117,  comma  3,  Cost.),  e
della tutela della salute (articolo 5, n.  16,  Statuto,  e  articolo
117, comma 3, Cost., applicabile alla Regione se ritenuto  espressivo
di maggiore autonomia). Ma «la sussistenza di un ambito materiale  di
competenza concorrente comporta che non e' consentita, ai  sensi  del
sesto comma dell'art. 117 della Costituzione che attua  il  principio
di separazione delle competenze, l'emanazione di atti  regolamentari»
(sent. n. 200/2009), e che prescrizioni contenute in  un  regolamento
«non possono essere considerate espressione di principi  fondamentali
[...], per la inidoneita' della fonte regolamentare a  fissare  detti
principi» (sent. n. 92/2011). 
    Oltretutto, l'articolo 17, comma 1, lettera d), non prevede alcun
coinvolgimento delle Regioni,  con  violazione  anche  del  principio
costituzionale di leale collaborazione. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 20, commi 4 e 5. 
    Il comma 4  dell'articolo  20,  oggetto  della  presente  censura
insieme al successivo comma 5, dispone  che  «fino  alla  entrata  in
vigore di un nuovo patto di stabilita' interno fondato, nel  rispetto
dei principi del federalismo fiscale di cui all'articolo 17, comma 1,
lettera c), della legge 5  maggio  2009,  n.  42,  sui  saldi,  sulla
virtuosita' degli enti e sulla riferibilita' delle regole  a  criteri
europei con riferimento  all'individuazione  delle  entrate  e  delle
spese valide per il patto, fermo restando quanto previsto  dal  comma
3, ai fini della tutela dell'unita'  economica  della  Repubblica  le
misure previste per  l'anno  2013  dall'articolo  14,  comma  1,  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, si intendono  estese  anche  agli
anni 2014 e successivi». 
    Per la migliore comprensione della disposizione occorre ricordare
che il richiamato articolo 14 del decreto-legge n.  78  del  2010  ha
disposto - per quanto riguarda le Regioni speciali  -  che  «ai  fini
della tutela dell'unita' economica della Repubblica» esse «concorrono
alla  realizzazione  degli  obiettivi  di  finanza  pubblica  per  il
triennio 2011-2013» per 500 milioni di euro per l'anno 2011  e  1.000
milioni di euro annui a decorrere  dall'anno  2012,  «in  termini  di
fabbisogno   e   indebitamento   netto»   (comma   1,   lettera   b).
Successivamente, la Tabella 1, allegata alla legge 13 dicembre  2010,
n. 220 (legge  di  stabilita'  2011:  v.  l'art.  1,  comma  131)  ha
precisato che il  concorso  alla  realizzazione  degli  obiettivi  di
finanza pubblica consiste nella riduzione delle spese, e ha ripartito
tra  le  autonomie  speciali  l'obiettivo  complessivo:  la   Regione
Friuli-Venezia Giulia e' chiamata a concorrere  per  77.216.900  euro
nel 2011, e per 154.433.800 euro in ciascuno degli anni 2012 e 2013. 
    Per effetto del comma  4  dell'articolo  20,  qui  impugnato,  le
misure  di  contenimento  finanziario  -  temporalmente  limitate   -
previste dal decreto-legge del  2010  assumono  carattere  stabile  e
continuativo, essendone stabilita la efficacia per gli anni  «2014  e
successivi». 
    A sua volta, il comma 5 dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98
(anch'esso oggetto di censura) dispone che «ai medesimi fini  di  cui
al comma 4, le regioni, le province autonome di Trento e di  Bolzano,
le province e i comuni con popolazione superiore  a  5.000  abitanti,
alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, per gli  anni
2013 e successivi concorrono con  le  seguenti  ulteriori  misure  in
termini di fabbisogno e di  indebitamento  netto:  a)  le  regioni  a
statuto ordinario per 800 milioni di euro per l'anno 2013 e per 1.600
milioni di euro a decorrere dall'anno 2014; b) le regioni  a  statuto
speciale e le province autonome di Trento e Bolzano per 1.000 milioni
di euro per l'anno 2013 e per  2.000  milioni  di  euro  a  decorrere
dall'anno 2014; c) le province per 400 milioni  di  euro  per  l'anno
2013 e per 800 milioni di euro  a  decorrere  dall'anno  2014;  d)  i
comuni per 1.000 milioni di euro per l'anno 2013 e 2.000  milioni  di
euro a decorrere dall'anno 2014». 
    La ricorrente Regione Friuli-Venezia Giulia ritiene che le  nuove
restrizioni introdotte dal decreto-legge n. 98 -  ai  commi  4  e  5,
nelle parti ad essa riferibili -ledano la  autonomia  finanziaria  ad
essa assicurata dagli articoli 48 Statuto  119,  commi  1,  2,  e  4,
Cost.; ritiene inoltre che  le  restrizioni  ledano  l'articolo  116,
comma 1, Cost., e l'articolo 49 Statuto. 
    Per meglio inquadrare le questioni di costituzionalita',  occorre
precisare che le misure indicate si  aggiungono  non  solo  a  quelle
previste  dal  d.l.  n.  78/2010,  ma   anche   a   quelle   disposte
dall'articolo 1, comma 156, primo periodo, della legge n. 220/2010, a
mente del quale «la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia garantisce
un effetto positivo sull'indebitamento netto,  ulteriore  rispetto  a
quello  previsto  dalla  legislazione  vigente,   ivi   comprese   le
disposizioni introdotte dal decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, di
150 milioni di euro nel 2011, di 200 milioni di euro nel 2012, di 250
milioni di euro nel 2013, di 300 milioni di euro  nel  2014,  di  350
milioni di euro nel 2015, di 340 milioni di euro  nel  2016,  di  350
milioni di euro annui dal 2017 al 2030 e di 370 milioni di euro annui
a decorrere dal 2031». Assumendo che la ripartizione tra le Regioni a
statuto speciale delle misure introdotte con il d.l. n. 98/2011 segua
gli stessi criteri utilizzati per  le  norme  precedenti  di  analogo
contenuto, per effetto di tale cumulo il peso a carico della  Regione
Friuli-Venezia Giulia ammonterebbe a circa 558 milioni  di  euro  nel
2013 e 762 milioni di euro dal 2014. Tali somme sono poi destinate ad
aumentare, si nota qui incidentalmente, per effetto dell'articolo  1,
comma 8, d.l. 13 agosto 2011, n.  138  (l'articolo  1  e'  intitolato
«Disposizioni per la riduzione della spesa pubblica», ed  anticipa  i
tagli al 2012, incrementandoli). 
    La Regione e' consapevole che  la  autonomia  finanziaria  intesa
come disponibilita' di risorse sufficienti ad esercitare  le  proprie
attribuzioni costituzionali, e come effettiva capacita' di spesa,  va
valutata nel complesso, e che «contenimenti» transitori  delle  spese
non sono necessariamente incostituzionali (secondo quanto risulta  ad
esempio, in ordine ai vincoli  derivanti  dal  patto  di  stabilita',
dalla  sent.  n.  284/2009).  Tuttavia,  se  non  si  vuole   privare
l'articolo 119 Cost. e, per il Friuli-Venezia Giulia,  l'articolo  48
Statuto,   della   capacita'   di    fungere    da    parametri    di
costituzionalita',  occorre  riconoscere  che  singoli  provvedimenti
normativi (gli unici contro i quali - ex  articolo  127  Cost.  -  la
Regione puo' reagire, ed  entro  termini  tassativi)  possano  essere
sindacati e, se del caso, censurati, anche alla luce di altri singoli
provvedimenti, l'insieme dei quali si dimostra lesivo  dell'autonomia
finanziaria regionale. 
    Nel caso, la Regione si trova nella condizione di  affermare  che
la  trasformazione  delle  misure  di  contenimento   del   2010   da
transitorie a definitive, in una con  le  riduzioni  della  legge  n.
220/2010, determinano la incostituzionalita' dell'articolo 20,  commi
4 e 5,  del  decreto-legge  n.  98,  in  quanto  impongono  riduzioni
consistenti alla spesa, tali  da  pregiudicare  l'assolvimento  delle
funzioni pubbliche ad essa attribuite, in violazione  degli  articoli
119 Cost. e 48 Statuto, la cui portata si precisa anche attraverso la
considerazione  sistematica  di  tutte  le  norme  costituzionali   e
statutarie rilevanti ai fini dell'autonomia  finanziaria.  In  questo
senso, la lesione di altri parametri  -  che  subito  si  illustra  -
concorre a dimostrare anche la violazione degli articolo 119 Cost.  e
48 Statuto. 
    Violato e' in primo luogo l'articolo  116,  comma  1,  Cost.,  il
quale riconosce alle Regioni speciali forme e condizioni  particolari
di autonomia, che non possono non riguardare - data  la  formulazione
della  disposizione  -  anche  la  autonomia  finanziaria  (sent.  n.
82/2007). 
    I commi censurati dell'articolo  20  ledono  la  disposizione  in
quanto riservano alle Regioni speciali - e, per quanto interessa qui,
alla Regione Friuli -  Venezia  Giulia  -  un  trattamento  deteriore
rispetto a quanto vale per le Regioni ordinarie. Come si e'  esposto,
l'insieme di queste concorre al risanamento per 800 milioni  di  euro
per l'anno 2013 e per 1.600 milioni di  euro  a  decorrere  dall'anno
2014, mentre le  sole  Regioni  a  statuto  speciale  e  le  Province
autonome di Trento e Bolzano concorrono per 1.000 milioni di euro per
l'anno 2013 e per 2.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014. 
    L'irragionevolezza  del   trattamento   deteriore   si   apprezza
considerando che  queste  differenziazioni  operano  in  un  contesto
normativo stabile, quanto alle funzioni, per  le  Regioni  ordinarie,
mentre   e'   aumentato   il   concorso   specifico   della   Regione
Friuli-Venezia   Giulia   al   conseguimento   degli   obiettivi   di
perequazione e di  solidarieta'  e  all'assolvimento  degli  obblighi
derivanti dall'ordinamento europeo e dal patto di stabilita' interno.
Si  rammenta  qui  il  comma  152  dell'articolo  1  della  legge  di
stabilita' per il 2011 (legge n. 220/2010), secondo cui «nel rispetto
dei principi indicati nella legge 5 maggio 2009, n. 42,  a  decorrere
dall'anno   2011,   la   regione   autonoma   Friuli-Venezia   Giulia
contribuisce all'attuazione del federalismo fiscale, nella misura  di
370 milioni di euro annui, mediante: a) il pagamento di una somma  in
favore dello Stato; b) ovvero la rinuncia alle  assegnazioni  statali
derivanti dalle leggi di settore, individuate nell'ambito del  tavolo
di confronto di cui all'articolo 27, comma 7, della citata  legge  n.
42 del 2009; c)  ovvero  l'attribuzione  di  funzioni  amministrative
attualmente esercitate dallo Stato, individuate mediante accordo  tra
il Governo e la regione, con oneri a carico  della  regione.  Con  le
modalita' previste dagli articoli 10  e  65  dello  Statuto  speciale
della regione Friuli-Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale
31 gennaio 1963, n. 1, lo Stato e la regione definiscono le  funzioni
da attribuire». 
    Il trattamento gravoso riservato alle autonomie speciali,  e  tra
esse alla ricorrente Regione, non puo' essere giustificato sulla base
della considerazione della relativa maggiore ampiezza - rispetto alle
Regioni ordinarie - delle risorse ad esse  riservate.  Tale  maggiore
ampiezza infatti e'  il  frutto  delle  valutazioni  dell'ordinamento
costituzionale dello  Stato,  e  non  puo'  essere  alterata  se  non
seguendo le vie costituzionalmente prescritte: le quali,  del  resto,
esistono, come tra breve verra' illustrato. 
    L'articolo  49  Statuto  garantisce  alla  Regione  certezza   di
entrate, finalizzate ad  assicurarle  la  possibilita'  di  esercizio
delle proprie funzioni. Le disposizioni censurate  ledono  -  in  via
indiretta ma sicura - anche tale parametro: non ha senso  logico  che
vi sia per la Regione garanzia costituzionale di determinate  entrate
(una garanzia che la ricorrente Regione  ha  potuto  far  valere  con
successo, ad esempio, nella controversia definita  con  la  sent.  n.
74/2009), se poi fosse consentito allo Stato  di  imporre  con  legge
ordinaria massicce riduzioni  della  spesa,  alla  quale  le  entrate
garantite sono finalizzate! 
    Di  fronte  a   tali   sostanziali   violazioni   dei   parametri
costituzionali, non varrebbe certo obiettare che tutte  le  autonomie
territoriali - Regioni speciali comprese - sono soggette ai  principi
di coordinamento della finanza pubblica,  inevitabilmente  fissati  a
livello nazionale, anche in adempimento di obblighi europei (sent. n.
82/2007); che la attribuzione di quote fisse di tributi erariali puo'
condurre ad un incremento delle risorse  regionali,  in  funzione  di
manovre tributarie statali, senza che vi sia necessita'  -  da  parte
della Regione - di  nuove  risorse  per  nuove  funzioni,  o  per  un
migliore assolvimento di compiti precedenti (ma le entrate potrebbero
anche diminuire, per l'andamento negativo  del  ciclo  economico...);
che lo stesso articolo 49 Statuto, nel momento in cui riconosce  alla
Regione autonomia finanziaria, aggiunge subito che essa si svolge (si
deve  svolgere)  «in  armonia  con  i  principi  della   solidarieta'
nazionale». 
    Infatti, la  considerazione  di  tali  valori  deve  essa  stessa
manifestarsi  mediante   strumenti   costituzionalmente   ammissibili
nell'ordinamento. 
    Cosi', anzitutto, le stesse  norme  di  attuazione  statutaria  -
radicate direttamente nel principio di solidarieta' nazionale  (sent.
n. 75/1967)  -  consentono  di  eccettuare  dalla  attribuzione  alla
Regione le nuove  entrate  tributarie  statali  il  cui  gettito  sia
destinato con apposite  leggi  alla  copertura  di  oneri  diretti  a
soddisfare particolari finalita'  contingenti  o  continuative  dello
Stato, specificate nelle leggi medesime (v. l'articolo  4  d.P.R.  23
gennaio 1965,  n.  114).  Ma  la  legittimita'  costituzionale  della
riserva e' subordinata alla presenza  di  una  apposita  clausola  di
destinazione, che vale, come si legge  nella  sent.  n.  61/1987,  «a
rendere  possibile  il  controllo  politico  sull'esatto  e  corretto
esercizio della deroga» al sistema normale  di  finanziamento:  norma
funzionale, quindi, al principio di responsabilita'. 
    Le stesse disposizioni  statutarie  sulla  autonomia  finanziaria
(articolo 49 compreso) possono sempre essere modificate  (come  varie
volte e' gia' accaduto) senza  ricorrere  alla  revisione  con  legge
costituzionale,  purche'  vi  sia  il  coinvolgimento  della  Regione
(articolo 63, comma 5, Statuto). 
    In termini generali, poi,  i  rapporti  finanziari  Stato-Regione
sono  ispirati  al  principio   della   determinazione   consensuale.
L'«obbligo generale  di  partecipazione  di  tutte  le  Regioni,  ivi
comprese quelle a statuto speciale, all'azione di  risanamento  della
finanza pubblica» - puntualizza la Corte con la sent.  n.  82/2007  -
«deve essere contemperato e coordinato con la speciale  autonomia  in
materia finanziaria di cui godono le predette Regioni, in  forza  dei
loro statuti.  In  tale  prospettiva,  come  questa  Corte  ha  avuto
occasione  di  affermare,  la   previsione   normativa   del   metodo
dell'accordo tra  le  Regioni  a  statuto  speciale  e  il  Ministero
dell'economia e delle finanze,  per  la  determinazione  delle  spese
correnti e in conto capitale, nonche' dei  relativi  pagamenti,  deve
considerarsi un'espressione della descritta autonomia  finanziaria  e
del contemperamento di tale principio con  quello  del  rispetto  dei
limiti alla  spesa  imposti  dal  cosiddetto  "patto  di  stabilita'"
(sentenza n. 353 del 2004)». 
    Questo principio, sul  piano  della  legislazione  ordinaria,  ha
trovato fino ad ora varie concretizzazioni. E' sufficiente richiamare
qui, per la sua portata sistematica, l'articolo 27, legge n. 42/2009,
che rimette alle norme di attuazione  statutaria  la  attuazione  dei
principi del c.d. federalismo fiscale (tra i quali vi e' il  rispetto
del patto di stabilita' e dei vincoli  finanziari  europei),  tenendo
«conto della dimensione della finanza delle [...] regioni e  province
autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva,  delle  funzioni
da esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri...». Le stesse
misure particolari dei ricordati commi 152  e  156  dell'articolo  1,
legge n. 220/2010, specificamente concernenti l'apporto della Regione
Friuli-Venezia Giulia al risanamento delle  finanze  pubbliche,  sono
state oggetto di confronto e discussione tra Governo e Regione. 
    Con il principio costituzionale di collaborazione si  pongono  in
contrasto le disposizioni impugnate. 
    Sembra alla Regione opportuno sottolineare che  dall'annullamento
dei commi 4 e 5 dell'articolo 20, d.l. n. 98/2010  non  deriva  alcun
necessario pregiudizio alla «unita' economica della Repubblica»,  ne'
ai  principi  di  solidarieta'  nazionale,  ne'  agli  obiettivi   di
risanamento finanziario. Lo Stato - come  si  e'  appena  indicato  -
continua infatti ad avere tutti gli  strumenti  per  perseguire  tali
obiettivi, nel  rispetto  dell'autonomia  Regionale,  secondo  quanto
sopra esposto. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Voglia codesta Corte costituzionale  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale dell'articolo 17,  comma  1,  lett.  d),  e  comma  6,
nonche' dell'art. 20, commi 4 e 5, del decreto-legge 6  luglio  2011,
n. 98,  Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione  finanziaria,
convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio  2011,  n.  111,
nelle parti e sotto i profili sopra illustrati. 
        Padova, addi' 12 settembre 2011 
 
                          Prof. Avv. Falcon 

 

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