RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 9 dicembre 2008 , n. 94
Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria  il  9  dicembre 2008 (del Commissario dello Stato per la
Regione siciliana)

(GU n. 3 del 21-1-2009) 
 
   L'Assemblea  regionale  Siciliana,  nella  seduta  del 25 novembre
2008,  ha  approvato  il  disegno  di  legge n. 133 dal titolo «Norma
transitoria  sulle autorizzazioni all'esercizio di cava», pervenuto a
questo  Commissario dello Stato, ai sensi e per gli effetti dell'art.
28 dello statuto speciale, il 27 novembre 2008.
   Il  provvedimento  legislativo  apporta  modifiche ed integrazioni
alle  vigenti  leggi  che disciplinano la coltivazione dei giacimenti
minerari  e  delle  cave nonche' l'estrazione di materiali lapidei di
pregio  e,  nell'attesa  della  definizione  del  piano regionale dei
materiali  di  cava previsto dall'art. 4 della legge 9 dicembre 1980,
n. 127,   dispone   la   proroga   di  diritto  delle  autorizzazioni
all'esercizio  di  cave  per consentire il completamento dei relativi
programmi di coltivazione.
   Nell'ambito  del provvedimento, l'art. 1 ed il comma 2 dell'art. 3
danno  adito  a censure di incostituzionalita' per le motivazioni che
di seguito si illustrano.
   L'art.   1   recita   come   segue:   Proroga   di  autorizzazioni
all'esercizio  di cava - 1. Sino all'approvazione del Piano regionale
del  materiale  da  cava di cui alla legge regionale 9 dicembre 1980,
n. 127  e,  in  ogni  caso, per non piu' di tre anni, qualora non sia
stato   completato  il  programma  di  coltivazione  autorizzato,  le
autorizzazioni  rilasciate  dal  Distretto  minerario,  ad esclusione
delle  isole  Eolie,  sono prorogate di diritto fino al completamento
del  programma  medesimo.  Ai  soli  fini dell'abbandono in sicurezza
delle  cave, e per quelle rilasciate in sicurezza, sono consentite le
attivita'  conseguenti  che  dovranno  essere completate entro dodici
mesi  dalla relativa comunicazione di inizio lavori. L'autorizzazione
amministrativa  e'  rilasciata,  su  richiesta  corredata  da perizia
asseverata  da  tecnico  abilitato,  di  concerto  con  1'Assessorato
regionale del territorio e dell'ambiente e dell'Assessorato regionale
dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione entro il
termine  di sessanta giorni. Ove tecnicamente strettamente necessario
il piano di messa in sicurezza potra' interessare le aree contermini.
   2. Sino all'approvazione dei relativi piani di gestione e, in ogni
caso,  per  non piu' di due anni, qualora non sia stato completato il
programma   di  coltivazione  autorizzato  per  l'esercizio  di  cave
ricadenti  in ambiti di siti di importanza comunitaria (SIC), zone di
speciale  conservazione (ZSC) e zone di protezione speciale (ZPS), le
autorizzazioni  rilasciate  dal Distretto minerario sono prorogate di
diritto  sino al completamento del programma medesimo, fatte salve le
valutazioni  di  incidenza  di cui all'art. 1 della legge regionale 8
maggio 2007, n. 13.
   3.  Per  le finalita' di cui ai commi 1 e 2, entro il sessantesimo
giorno  antecedente  alla  data  di  scadenza dell'autorizzazione, il
titolare  della  medesima comunica al Distretto minerario la volonta'
di  proseguire l'attivita' estrattiva fino al completamento del piano
di  coltivazione precedentemente autorizzato, allegando una relazione
tecnica  contenente  il  programma  di  utilizzazione  del giacimento
residuo.  Il  Distretto  minerario  autorizza  la proroga nel termine
perentorio  di  sessanta  giorni dal ricevimento della comunicazione,
previa verifica della sussistenza dei requisiti di legge di chi ne fa
richiesta.  La  proroga e' autorizzata solo nei casi in cui sia stata
estratto  almeno  il  60  per cento del volume assentito con la prima
autorizzazione.
   La norma sopratrascritta prevede che, in caso di completamento del
programma   di   coltivazione  autorizzato,  le  autorizzazioni  gia'
rilasciate  siano  tutte  indistintamente  «prorogate di diritto» con
termini  variabili  di  durata  e  senza  alcuna  condizione, sino al
completamento   del   programma   medesimo,  indipendentemente  dalle
estensione   delle   aree   interessate   e   dall'eventuale   regime
vincolistico degli ambiti territoriali in cui le stesse ricadono.
   Al  riguardo  si ritiene utile evidenziare che con l'art. 91, l.r.
n. 6/2001  il  legislatore  siciliano  ha  introdotto la procedura di
valutazione di impatto ambientale in ossequio alle disposizioni della
direttiva  comunitaria  27  giugno  1985  82/337/CEE,  concernente la
V.I.A.  di  determinati  progetti pubblici e privati (successivamente
modificata  dalla  direttiva  comunitaria  3  marzo 1997, 97/11/CE) e
secondo le disposizioni stabilite dal d.P.C.m. 3 settembre 1999.
   Orbene,  poiche' l'art. 1 della legge teste' approvata costituisce
una  sostanziale deroga alla normativa di attuazione di una direttiva
comunitaria,  e'  necessario  verificare  se  la prevista «proroga di
diritto»,  comportando  l'esclusione  dalla  ordinaria  procedura  di
valutazione  di  impatto  ambientale,  si  ponga  in contrasto con la
direttiva stessa.
   All'uopo  occorre  procedere ad un'analisi preliminare della norma
comunitaria  per  verificare  quali  sono  i  principi ed i contenuti
vincolanti  per  gli  Stati  membri  e quali gli eventuali margini di
discrezionalita'  concessi  in ordine all'individuazione dei progetti
da sottoporre alla valutazione di impatto ambientale.
   La direttiva 83/337/CEE, modificata dalle direttive 97 novembre CE
e  2003/35/CE,  ha  introdotto  i  principi  generali  di valutazione
d'impatto  ambientale  per  completare  e  coordinare le procedure di
autorizzazione  dei  progetti pubblici e privati che possono avere un
rilevante impatto sull'ambiente.
   La  direttiva contiene l'elenco delle opere da sottoporre a V.I.A.
In particolare nell'allegato I sono individuate le opere per le quali
la  V.I.A. e' obbligatoria in tutto il territorio dell'Unione Europea
(art.  4,  n. 1)  e  nell'allegato II sono enumerati i progetti per i
quali  gli  Stati membri devono stabilire, caso per caso, mediante un
esame  del progetto o mediante soglia o criteri dagli stessi fissati,
se  il  progetto  debba  essere  sottoposto  a valutazione di impatto
ambientale  (art.  4,  n. 2)  sulla  base  dei  criteri  di selezione
riportati nell'allegato III.
   Per  una  migliore  ricognizione  dei  motivi che hanno indotto la
Comunita'  europea a predisporre l'obbligatorieta' della procedura di
V.I.A. per determinati progetti si Ritiene utile riportare di seguito
alcuni passi delle premesse alla direttiva:
     «Il  consiglio  della  Comunita'  europea:  considerando  che  i
programmi  d'azione della Comunita' europea in materia ambientale del
1973,  del  1976  e  del 1983, i cui orientamenti generali sono stati
approvati  dal Consiglio della Comunita' europea e dai rappresentanti
dei governi degli Stati membri, sottolineano che la migliore politica
ecologica consiste nell'evitare fin dall'inizio inquinamenti ed altre
perturbazioni,  anziche'  combatterne  successivamente gli effetti, e
affermano  che  in  tutti  i  processi tecnici di programmazione e di
decisione  si  deve tenere subito conto delle eventuali ripercussioni
sull'ambiente,  che  a tal fine prevedono l'adozione di procedure per
valutare    queste   ripercussioni   (…);   considerando   che
1'esistenza  di  disparita'  tra  le legislazioni vigenti negli Stati
membri  in  materia di valutazione ambientale dei progetti pubblici e
privati  puo'  creare  condizioni  di  concorrenza  ineguali  e avere
percio'  un  incidenza  diretta sul funzionamento del mercato comune,
previsto  dall'art.  100  del  trattato  (…), considerando che
occorre  introdurre  principi  generali  di  valutazione dell'impatto
ambientale  allo  scopo  di  completare  e coordinare le procedure di
autorizzazione  dei  progetti pubblici e privati che possono avere un
impatto   rilevante  sull'ambiente  (…);  considerando  che  i
principi  di  valutazione  ambientale  devono  essere armonizzati, in
particolare  per  quello  che  riguarda  i  progetti  da sottoporre a
valutazione,  i  principali  obblighi  dei committenti e il contenuto
della  valutazione  (…);  considerando  che,  per  i  progetti
soggetti   a   valutazione,   debbono   essere   fornite  determinate
informazioni essenziali relative al progetto e alle sue ripercussioni
(…), considerando che gli effetti di un progetto sull'ambiente
debbono  essere  valutati per proteggere la salute umana, contribuire
con  un  migliore  ambiente  alla  qualita' della vita, provvedere al
mantenimento della varieta' della specie e conservare la capacita' di
riproduzione dell'ecosistema in quanto risorsa essenziale di vita; ha
adottato la presente direttiva (…)».
   Al  riguardo,  non puo' non evidenziarsi come l'introduzione della
V.I.A  obbligatoria  abbia risolto alcune criticita' dell'ordinamento
derivanti  dalla  disarmonia  tra le procedure ambientali di progetti
pubblici e privati rilevanti per l'ambiente.
   Per  quanto  attiene nello specifico ai progetti aventi ad oggetto
le cave, la direttiva:
     1)  assoggetta a V.I.A. obbligatoria i progetti relativi a «cave
e  attivita'  minerarie  a  cielo  aperto  con  superficie  del  sito
superiore a 25 ettari» (allegato I, punto 19);
     2)  sottopone  ad una verifica, al fine di procedere o meno alla
V.I.A.,  i  progetti  aventi  ad oggetto «cave, attivita' minerarie a
cielo  aperto  e  torbiere  (progetti  non compresi nell'allegato I)»
(allegato I, punto 2, lett. a).
   Pertanto  mentre  per i progetti sub 1) e' indiscutibile che tutti
debbano  essere  assoggettati a V.I.A. obbligatoria, potendo lo Stato
membro  soltanto introdurre soglie piu' severe di quelle comunitarie,
come  disposto  dal  d.P.R.  12 aprile 1998 e s.m.i., applicato dalla
Regione Siciliana, che sottopone a V.I.A. le «cave e torbiere con piu
di  500.000  mc/a  di  materiale  estratto  o  di un'area interessata
superiore a 20 h».
   Per  quanto  attiene  invece  alla  fattispecie sub 2) la Corte di
giustizia  europea  con costante giurisprudenza (ex plurimis sentenza
16  settembre  1999  n. 435)  ha  chiarito che non e' consentito agli
Stati  membri,  «dispensare a priori e globalmente dalle procedure di
V.I.A.  determinate  classi  di  progetti,  elencati nell'allegato II
della  Direttiva 85/337/CEE, ovvero sottrarre alla suddetta procedura
uno  specifico  progetto  in forza di un atto legislativo nazionale o
sulla base di un esame in concreto del progetto».
   Costante   e  consolidata  giurisprudenza  nazionale  ha  altresi'
precisato  che l'art. 4, n. 2 ed il relativo allegato della direttiva
85/337/CEE  devono  interpretarsi nel senso che gli Stati membri sono
tenuti  ad assoggettare alla V.I.A. i progetti previsti nell'allegato
stesso   che   «siano   capaci   di   provocare   impatti   rilevanti
sull'ambiente»  (Consiglio  di  Stato, sez. VI, sentenza 28 settembre
2001 n. 5169).
   Inoltre  secondo  la  Corte  di  giustizia,  gli Stati membri, per
quanto  concerne  i  progetti di cui all'allegato II della direttiva,
possono  fissare  criteri  o  soglie che pero' «non hanno lo scopo di
sottrarre  anticipatamente  all'obbligo  di valutazione talune classi
complete  di  progetti  elencati  nell'allegato II, che si prevede di
attuare  nel  territorio di uno Stato membro, ma mirano unicamente ad
agevolare   la  valutazione  delle  caratteristiche  complete  di  un
progetto  al  fine  di  stabilire  se  sia soggetto al detto obbligo»
(decisione n. 133/94 del 2 maggio 1996).
   L'art.   2,   n. 3  della  direttiva  contempla,  per  determinati
progetti,   in   margini   ristretti   e  per  casi  eccezionali,  la
possibilita'  di  deroga  alla V.I.A. a condizione che la Commissione
sia  informata  prima del rilascio dell'autorizzazione dei motivi che
giustificano l'esenzione.
   Alla  luce  di quanto esposto, l'art. 1 della delibera legislativa
di  cui  trattasi  appare  eccedere  il  margine  di discrezionalita'
concesso  al  legislatore  dagli artt. 2 e 4 della direttiva, poiche'
sottrae  di  fatto  ed  a  priori,  con l'artificio della «proroga di
diritto»,  la  categoria delle autorizzazioni scadute o prossime alla
scadenza  che  non  hanno  completato  il  programma  di coltivazione
autorizzato   e   che   andrebbero  piuttosto  soggette,  qualora  ne
sussistano   i  presupposti,  alle  procedure  per  il  rinnovo,  con
conseguente valutazione degli interessi pubblici coinvolti e verifica
preventiva  delle  situazioni vincolistiche e di assetto territoriale
dei  luoghi,  eventualmente  sopravvenute  nel periodo di vigenza del
provvedimento autorizzatorio originario.
   I  progetti di cave, le cui autorizzazioni sarebbero «prorogate di
diritto»  potrebbero  peraltro  essere  stati approvati, nel rispetto
della  normativa  all'epoca vigente e alle preesistenti situazioni di
ordine ambientale, senza preventiva procedura di V.I.A. o di verifica
di  impatto  ambientale,  nonche'  alla valutazione di compatibilita'
paesaggistica  prevista  dall'art.  146  del  d.lgs. 22 gennaio 2004,
n. 42,  come  sostituito  dall'art.  16  del  d.llgs.  24 marzo 2006,
n. 157.
   Ed  invero dai chiarimenti forniti dall'amministrazione regionale,
ai  sensi  dell'art. 3 del d.P.R. n. 488/1969, (all. I) si evince che
avrebbero  diritto  alla  proroga  per la prosecuzione dell'attivita'
estrattiva  nel periodo 2008/2010, 68 attivita' di cave, pari a circa
il   12%  di  quelle  autorizzate  ed  in  esercizio  sul  territorio
regionale,  di  cui alcune di grandi dimensioni e/o ricadenti in aree
protette (ZPZ e S.I.C.) ed altre mai sottoposte a procedure di V.I.A.
o  di  verifica in quanto precedenti all'entrata in vigore del d.P.R.
del 1996.
   Va  altresi'  posto  in  evidenza  che  codesta ecc.ma Corte nella
sentenza n. 273 del 1998 ha chiarito che:
     «Secondo  1'ordinamento  italiano,  peraltro  interpretabile  in
logico  collegamento  con  la direttiva comunitaria 85/337/CEE del 27
giugno  1985,  la materia della valutazione d'impatto ambientale, pur
potendosi  articolare  in  una  molteplicita' di discipline regionali
resta  regolata,  per  i  progetti  di opere pubbliche di rilievo non
elevato, dall'art. 40, legge 22 febbraio 1994, n. 146 (la norma ha ad
oggetto  i  progetti  inclusi  nell'allegato  11 alla direttiva), che
costituisce  la base normativa dell'atto di indirizzo e coordinamento
governativo  approvato  con  d.P.R. 12 aprile 1996, la qualificazione
d'importanza  dell'impatto  ambientale  per i predetti progetti e' il
risultato  di  un apprezzamento tecnico-discrezionale necessariamente
unitario  su tutto il territorio dello Stato e, come tale, impegna le
regioni e le province autonome all'interno della ragionevole banda di
oscillazione  del  trenta per cento in piu' o in meno prestabilita in
quell'atto di indirizzo».
   Si  ritiene  di  dover  sottolineare  al  riguardo  che  norme che
realizzano   effetti   innovativi   sui  livelli  di  sicurezza,  che
dovrebbero   essere   identici   nell'intero   territorio  nazionale,
potrebbero  nei  fatti  realizzare alterazioni sotto il profilo della
concorrenza  in  danno di quelle imprese che si trovano ad operare in
regioni  la cui disciplina piu' gravosa costringe ad affrontare oneri
maggiori.
   Al  fine di prevenire l'obiezione che la natura di «proroga» e non
di  «nuova  autorizzazione»  degli  atti  in questione possa valere a
sottrarli  dall'ambito  applicativo della direttiva, si ritiene utile
svolgere le seguenti considerazioni.
   La  durata di ogni singola autorizzazione e' elemento fondamentale
del   provvedimento   autorizzativo,   alla  scadenza  del  quale  e'
diritto-dovere dell'amministrazione competente verificare l'eventuale
mutamento  delle  condizioni  territoriali ed ambientali, nonche' gli
aggiornamenti  intervenuti  sul quadro normativo di riferimento prima
di  potere  assumere  una qualsiasi decisione liberatoria sia pure in
termini prescrittivi o, in alternativa, interdittivi.
   Il  limite  temporale  di  un'autorizzazione all'esercizio di cava
dunque   e'   il   punto  cronologico  oltre  il  quale  l'intervento
autorizzativo cessa di esistere.
   Prorogare  il  termine  di un'autorizzazione comporta una modifica
sostanziale che per la direttiva 85/337/CE, secondo la giurisprudenza
della  Corte di giustizia europea, deve essere considerata come nuova
autorizzazione  (decisione  7 gennaio 2004 n. 201/02, punti 44-47) da
sottoporre  alle  procedure  stabilite  dalla normativa vigente e nel
caso  specifico dalla direttiva medesima (V.I.A. o verifica di V.I.A.
a seconda dei casi).
   La  Corte di giustizia, nella richiamata sentenza, nel chiarire la
nozione  di  «autorizzazione»  ha  precisato  che  sarebbe  contrario
all'effetto utile della direttiva sottrarre alla V.I.A. provvedimenti
che  al  di  la' del nomen iuris hanno comunque un effetto abilitante
nel   senso   che  il  privato,  in  assenza  di  un  atto  esplicito
dell'amministrazione,  non  potrebbe  avviare l'attivita'. I predetti
provvedimenti,    comunque    denominati,    costituiscono    «nuove»
autorizzazioni in senso «sostanziale» per cui le autorita' competenti
hanno  l'obbligo  di  effettuare,  qualora  occorra,  una valutazione
dell'impatto ambientale.
   Nella  recente sentenza di luglio del 2008 nella causa c215/06, la
Corte  di  giustizia  nel  punto n. 49 ha altresi' affermato che «gli
Stati  membri  devono  attuare la direttiva 85/337 modificata in modo
pienamente  conforme  ai precetti da essa stabiliti tenendo conto del
suo  obiettivo  essenziale  che consiste nel garantire che, prima del
rilascio  di  un'autorizzazione  per progetti, per i quali si prevede
notevole impatto ambientale, per natura, dimensione o ubicazione, sia
prevista un'autorizzazione e una valutazione di impatto (in tal senso
anche le sentenze 19 settembre 2000 causa c 287/98 e 23 novembre 2006
causa c486/04).
   Dimostrata  con  le  suesposte  argomentazioni  la  difformita'  e
conseguente  violazione  dei  principi  della  direttiva  comunitaria
85/337/CE   delle   norme   contenute   all'art.   1  della  delibera
legislativa,  va  rilevato  che  le  stesse  violano  l'art.  9 della
Costituzione  poiche'  non assicurano la dovuta tutela dell'ambiente.
Esse  infatti escludono sostanzialmente la possibilita' di verificare
l'eventuale    compromissione    del   territorio   derivante   dalla
prosecuzione  di  diritto  dell'attivita'  estrattiva ed addirittura,
consentono  attivita' all'interno di giacimenti minerari dismessi nel
dichiarato intento di assicurarne l'abbandono in sicurezza, ancorche'
gia'  non  rilasciati in «sicurezza», sulla base di una richiesta del
privato corredata da perizia asseverata da tecnico abilitato.
   Con le disposizioni in questione il legislatore regionale esorbita
dalla  competenza  attribuitagli dallo Statuto Speciale in materia di
miniere,  cave  e  torbiere  introducendo  una  implicita deroga alla
procedura  di V.I.A. e di verifica di V.I.A. in palese dissonanza con
quanto prescritto dagli artt. 23 e 32 del d.lgs. n. 152/2006.
   La  Costituzione attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato
la  tutela  dell'ambiente e dell'ecosistema (art. 117, secondo comma,
lett. s).
   Secondo  la  consolidata  giurisprudenza  di codesta ecc.ma Corte,
confermata  nella  pronuncia  n. 378  del  2007,  spetta  allo  Stato
disciplinare  l'ambiente  come  una entita' organica, dettare, cioe',
norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti
considerate   come   parti   del  tutto.  La  disciplina  unitaria  e
complessiva  del  bene  ambientale  inserisce infatti ad un interesse
pubblico   di   valore   costituzionale   primario   (Sentenza  Corte
costituzionale    n. 151/1986)    ed    assoluto    (sentenza   Corte
costituzionale n. 210/1987) e deve garantire, cosi' come prescrive il
diritto   comunitario,  un  elevato  livello  di  tutela,  come  tale
inderogabile da altre discipline di settore.
   La  disciplina  unitaria del bene complessivo ambiente, rimessa in
via  esclusiva  allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle
regioni o dalle province autonome in materie di competenza propria ed
in  riferimento  ad  altri interessi. Cio' comporta che la disciplina
ambientale, che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva
dello  Stato,  investendo  l'ambiente nel complesso e quindi anche in
ciascuna  sua  parte, viene ad operare come un limite alla disciplina
che le regioni dettano in altre materie di loro competenza.
   Pertanto  nelle materie oggetto di disciplina della presente legge
anche   il   legislatore   siciliano   nell'esercizio  della  propria
competenza  legislativa  esclusiva  e'  sottoposto  al rispetto degli
standards  minimi  ed  uniformi  di  tutela  posti  in  essere  dalla
legislazione  nazionale  ex  art.  117, secondo comma, lett. s) della
Costituzione,  oltre  che  al rispetto della normativa comunitaria di
riferimento, secondo quanto disposto dall'art. 117, primo comma della
Costituzione.
   L'art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001 ha sancito che:
     «sino  all'adeguamento  dei  rispettivi  statuti le disposizioni
della presente legge costituzionale si applicano anche alle regioni a
statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per
le  parti  in  cui prevedono forme di autonomia piu' ampia rispetto a
quelle gia' attribuite».
   Lo statuto speciale siciliano non prevede espressamente la materia
ambiente  e  pertanto  necessita verificare, di volta in volta, sotto
quale  aspetto  la  tutela  ambientale  venga considerata, poiche' la
Regione  Siciliana  gode  di  competenza  esclusiva  sotto il profilo
urbanistico, della tutela del paesaggio e delle cave e miniere.
   Orbene  poiche'  la  normativa  censurata,  sebbene direttamente e
specificatamente  riconducibile  alla materia delle cave, investe non
solo  la complessiva tutela dell'ambiente, ma anche il rispetto della
normativa   comunitaria  e  la  tutela  del  principio  della  libera
concorrenza,  deve  concludersi che nel caso specifico, la disciplina
degli  standards  minimi  di  tutela  uniformi sull'intero territorio
nazionale  sia  attribuita  allo  Stato  anche per quanto riguarda la
Sicilia.
   L'art.  1 della delibera legislativa e' altresi' censurabile sotto
il   profilo   dell'art.   97   della   Costituzione   in  quanto  le
autorizzazioni  una volta venute a scadenza, richiedono il rinnovo di
un  procedimento del tutto autonomo secondo procedure concorsuali che
non  possono essere derogate a favore del precedente destinatario del
provvedimento  non sussistendo per l'amministrazione alcun obbligo di
accedere   alla   richiesta   di   quest'ultimo,   ben  potendo  essa
determinarsi  in  senso  negativo  sia per ragioni soggettive sia per
motivi  di  pubblico  interesse (Consiglio di Stato, sez. IV sentenza
n. 952  del  15  giugno 98 Tribunale amministrativo regionaleToscana,
sez. I, sentenza n. 79 del 24 aprile 97).
   La  disposizione  teste' approvata e' pertanto in conflitto con il
principio  di  buon andamento della p.a. di cui all'articolo 97 della
Costituzione giacche' impedisce agli organi amministrativi competenti
di svolgere una adeguata istruttoria e di procedere alla ponderazione
dei  diversi interessi coesistenti, privilegiando invece la tutela di
quelli  economici del privato imprenditore, che peraltro potrebbe non
avere  completato  il  programma di coltivazione delle cave anche per
propria negligenza e disinteresse.
   Anche  la  disposizione  dell'art. 3, secondo comma della delibera
legislativa  in  questione  e' da ritenere in contrasto con l'art. 97
della Costituzione. Essa infatti recita come segue:
     «Dopo  il  comma 3 dell'art. 29 della legge regionale 9 dicembre
1980,  n. 127,  e'  inserito  il seguente comma: ''3-bis) nei casi di
sconfinamento  accidentale  dal progetto di coltivazione autorizzato,
le   disposizioni   del  comma  3  si  applicano  solo  nei  casi  di
recidiva''».
   L'art.   29   della  legge  regionale  9  dicembre  1980,  n. 127,
contenente  il  corpus  organico  di  norme circa la disciplina delle
attivita'  estrattive e della coltivazione delle cave e del materiale
lapideo   di  pregio,  individua  nel  primo  comma  l'esercizio  non
autorizzato  dell'attivita'  di  escavazione  o la prosecuzione della
medesima  dopo la notifica del provvedimento di decadenza o di revoca
quali  comportamenti  illeciti da cui deriva l'ordinanza di immediata
sospensione  dei  lavori  e la contestuale informazione all'autorita'
giudiziaria  competente  da  parte  dell'ingegnere capo del distretto
minerario.
   Unitamente  al  provvedimento  di  sospensione  dei  lavori  viene
disposta  a  carico  del  trasgressore l'applicazione di una sanzione
amministrativa,  il  cui importo e' raddoppiato in caso di recidiva e
triplicato  in  seguito,  nonche'  aumentato  della  meta' qualora il
trasgressore prosegua nell'attivita' di escavazione (secondo comma).
   Contestualmente  alla  suddetta  pena  pecuniaria  e' prevista dal
terzo  comma  l'esclusione  del  responsabile  dell'illecito,  per un
periodo   di   dieci   anni,   dalla   possibilita'  di  ottenere  il
provvedimento  di  autorizzazione  alla  coltivazione  di  giacimenti
minerari e di cave sull'intero territorio regionale.
   Il  combinato  disposto  della  norma censurata con il terzo comma
dell'art.  29  della legge regionale 9 dicembre 1980, n. 127 comporta
quindi il venir meno della menzionata sanzione dell'esclusione per un
periodo di dieci anni dalla possibilita' di ottenere l'autorizzazione
per  coloro  i  quali  abbiano  svolto  attivita'  di escavazioni non
autorizzate   qualora   cio'  sia  avvenuto  per  uno  «sconfinamento
accidentale» rispetto al progetto autorizzato.
   L'estrema  genericita'  della  fattispecie esimente e l'assenza di
elementi  obiettivi  sulle dimensioni dello sconfinamento e sulle sue
conseguenze  inducono  a  ritenere  la  norma  non compatibile con il
principio  di  cui  all'art.  97  della  Costituzione.  Essa  infatti
potrebbe  essere  invocata  a  buon  diritto, e indipendentemente dal
danno  ambientale arrecato, anche da coloro i quali, per imprudenza o
imperizia,    ma   «accidentalmente»,   abbiano   sconfinato,   anche
ampiamente, dal giacimento autorizzato.
   La  disposizione inoltre potrebbe dare luogo a dubbi ed incertezze
nell'attuazione  ingenerando difformita' applicative, poiche' rimette
alla    discrezionalita'    dell'organo   accertatore   la   verifica
dell'accidentalita' dello sconfinamento.

        
      
                              P. Q. M.
   Con  riserva  di presentazione di memorie illustrative nei termini
di legge, il sottoscritto prefetto dott. Alberto Di Pace, Commissario
dello  Stato  per  la  Regione Siciliana, ai sensi dell'art. 28 dello
statuto  speciale,  con  il  presente  atto  impugna  i sottoelencati
articoli  del  disegno  di legge n. 133 dal titolo «Norma transitoria
sulle  autorizzazioni all'esercizio di cava» approvato dall'Assemblea
Regionale Siciliana il 25 novembre 2008:
     l'art.  1,  per  violazione  degli  artt. 9, 11, 97, 117 primo e
secondo  comma lett. e) ed s) della Costituzione nonche' dell'art. 14
dello statuto speciale;
     l'art.  3,  secondo  comma  per  violazione  dell'art.  97 della
Costituzione.
      Palermo, addi' 28 novembre 2008
    Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana: Di Pace

        
      

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