Ricorso n. 95 del 19 ottobre 2015 (Regione Veneto)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 19 ottobre 2015 (della Regione Veneto).
(GU n. 50 del 2015-12-16)
Ricorso proposto dalla Regione Veneto (C.F. … - P.IVA
…), in persona del Presidente della Giunta Regionale dott.
Luca Zaia (C.F. …), autorizzato con delibera della
Giunta regionale n. 1220 del 28 settembre 2015 (all. 1),
rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente atto,
tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti Ezio Zanon (C.F.
…) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof. Luca
Antonini (C.F. …) del Foro di Milano e Luigi Manzi
(CF. …) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso
lo studio di quest'ultimo in Roma, Via Confalonieri, n. 5 (per
eventuali comunicazioni: fax …, posta elettronica
certificata …).
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti
disposizioni del decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78, recante
«Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali», pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 188 del 14 agosto 2015, come convertito
con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 125 (in S.O. n. 49,
relativo alla Gazzetta Ufficiale 14 agosto 2015, n. 188):
art. 5, commi da 1 a 6;
art. 7, comma 9-quinquies;
art. 9-bis;
art. 9-ter, commi 1, 2, 3, 4, 5, 8 e 9;
art. 9-quater, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7;
art. 9-septies, commi 1 e 2.
Motivi
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, commi da 1 a 6, del
decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78, per violazione degli articoli
117, III e IV comma, 118 della Costituzione, nonche' del principio di
leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.
L'art. 5 del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, determina una
profonda alterazione della posizione costituzionalmente garantita
alle regioni, in quanto, anche in violazione dell'accordo sancito tra
Stato e regioni in sede di Conferenza unificata l'11 settembre 2014
(all. 2), viene indebitamente compressa l'autonomia legislativa
regionale.
Difatti, in violazione del suddetto accordo - che espressamente
escludeva al punto 11, le funzioni provinciali nelle materie oggetto
di future riforme, indicate nell'allegato, e cioe' con riguardo a: i)
servizi per il lavoro e politiche attive, ii) forze di polizia - ,
l'art. 5 del decreto-legge n. 78/2015 include ora tra le funzioni da
riallocare con legge regionale, ai sensi del comma 89 della legge n.
56 del 2014, anche la polizia provinciale.
La disposizione de qua (Misure in materia di polizia
provinciale), senza che sia intervenuta alcuna riforma e quindi in
violazione anche del principio di leale collaborazione di cui
all'art. 120 Cost., stabilisce infatti che:
«1. In relazione al riordino delle funzioni di cui all'art.
1, comma 85, della legge 7 aprile 2014, n. 56, e fermo restando
quanto previsto dal comma 89 del medesimo articolo relativamente al
riordino delle funzioni da parte delle regioni, per quanto di propria
competenza, nonche' quanto previsto dai commi 2 e 3 del presente
articolo, il personale appartenente ai Corpi ed ai servizi di polizia
provinciale di cui all'art. 12 della legge 7 marzo 1986, n. 65,
transita nei ruoli degli enti locali per lo svolgimento delle
funzioni di polizia municipale, secondo le modalita' e procedure
definite con il decreto di cui all'art. 1, comma 423, della legge 23
dicembre 2014, n. 190.
2. Gli enti di area vasta e le citta' metropolitane individuano
il personale di polizia provinciale necessario per l'esercizio delle
loro funzioni fondamentali, fermo restando quanto previsto dall'art.
1, comma 421, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
3. Le leggi regionali riallocano le funzioni di polizia
amministrativa locale e il relativo personale nell'ambito dei
processi di riordino delle funzioni provinciali in attuazione di
quanto previsto dall'art. 1, comma 89, della legge 7 aprile 2014, n.
56.
4. Il personale non individuato o non riallocato, entro il 31
ottobre 2015, ai sensi dei commi 2 e 3, e' trasferito ai comuni,
singoli o associati, con le modalita' di cui al comma 1. Nelle more
dell'emanazione del decreto di cui al medesimo comma 1, gli enti di
area vasta e le citta' metropolitane concordano con i comuni del
territorio, singoli o associati, le modalita' di avvalimento
immediato del personale da trasferire secondo quanto previsto
dall'art. 1, comma 427, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
5. Il transito del personale di cui al comma 1 nei ruoli degli
enti locali avviene nei limiti della relativa dotazione organica e
della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, in deroga
alle vigenti disposizioni in materia di limitazioni alle spese ed
alle assunzioni di personale, garantendo comunque il rispetto del
patto di stabilita' interno nell'esercizio di riferimento e la
sostenibilita' di bilancio. Si applica quanto previsto dall'art. 4,
comma 1.
6. Fino al completo assorbimento del personale di cui al presente
articolo, e' fatto divieto agli enti locali, a pena di nullita' delle
relative assunzioni, di reclutare personale con qualsivoglia
tipologia contrattuale per lo svolgimento di funzioni di polizia
locale. Sono fatte salve le assunzioni di personale a tempo
determinato effettuate dopo la data di entrata in vigore del presente
decreto, anche se anteriormente alla data di entrata in vigore della
relativa legge di conversione, per lo svolgimento di funzioni di
polizia locale, esclusivamente per esigenze di carattere strettamente
stagionale e comunque per periodi non superiori a cinque mesi
nell'anno solare, non prorogabili.
Tali disposizioni, dunque, si pongono non solo in contrasto con
l'impegno sancito del citato accordo dell'11 settembre 2014 (la
violazione del principio di leale collaborazione e' peraltro tanto
piu' grave se si considera che anche alla materia «polizia
provinciale» si estende ora la misura sanzionatoria prevista
dall'art. 7, di cui al punto successivo del presente ricorso), ma
anche con la stessa autonomia costituzionalmente garantita alla
regione.
Esse, infatti, nonostante la materia «polizia amministrativa
locale» rientri pienamente nella competenza residuale delle regioni,
prevedono (comma 1) in via generale che il personale di polizia
provinciale transiti nei ruoli degli enti locali per lo svolgimento,
appunto, delle funzioni di polizia municipale.
Stabiliscono poi, prioritariamente, che gli enti di area vasta e
le citta' metropolitane individuino il personale di polizia
provinciale necessario per l'esercizio delle loro funzioni
fondamentali.
Solo in forma residuale prevedono che le regioni riallochino le
funzioni di polizia amministrativa locale e il relativo personale
nell'ambito dei processi di riordino delle funzioni provinciali in
attuazione di quanto previsto dall'art. 1, comma 89, della legge 7
aprile 2014, n. 56.
Concludono, infine, stabilendo che il personale «non individuato
o non riallocato», entro il 31 ottobre 2015, ai sensi dei commi 2 e
3, sia trasferito ai comuni, singoli o associati, per lo svolgimento
delle funzioni di polizia municipale.
In questi termini la funzione di allocazione costituzionalmente
garantita alle regioni, ai sensi degli artt. 117, III e IV comma,
nonche' 118 Cost., nelle materie non rientranti nelle funzioni
fondamentali degli enti locali, viene indebitamente compressa,
risultando ridotta ad un ruolo ancillare il cui spazio di manovra e'
praticamente inesistente. Tale funzione, infatti, da un lato viene
conformata dal legislatore statale indicando in via generale l'ambito
funzionale cui il personale e' destinato (al comma 1 si dispone
infatti che il personale di polizia provinciale «transita nei ruoli
degli enti locali per lo svolgimento delle funzioni di polizia
municipale»), dall'altro risulta del tutto indebitamente subordinata
alle opzioni effettuate da province e citta' metropolitane. Queste
ultime, infatti, dalla norma censurata vengono considerate
prioritarie rispetto alla facolta' regionale di allocazione, mentre
quest'ultima, sebbene abbia un ruolo primario, anche secondo quanto
stabilito dallo stesso art. 1, comma 89, della legge 7 aprile 2014,
n. 56, con quest'intervento del legislatore statale viene trasformata
in subordinata rispetto alle determinazioni degli altri enti locali
(citta' metropolitane e province).
In buona sostanza, la norma censurata non rispetta il dettato
costituzionale ne' formalmente - dal momento che degrada la potesta'
residuale regionale in materia di polizia amministrativa locale - ne'
sostanzialmente, poiche' la disciplina che concretamente introduce
svuota indebitamente i margini di manovra regionale e, anzi, li
subordina alla discrezionalita' degli enti locali. Va segnalato,
peraltro, (come risulta dall'all. n. 3) che in data 30 luglio 2015 e'
stata sancita la mancata intesa sul D.M. diretto a fissare le
modalita' e le procedure per il transito del personale di cui
all'art. 5, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2015.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 9-quinquies, del
decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78, per violazione degli articoli 3,
5, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione e del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.
L'art. 7 (Ulteriori disposizioni concernenti gli Enti locali),
comma 9-quinquies, del suddetto decreto legge n. 78 del 2015
stabilisce: «Al fine di dare compiuta attuazione al processo di
riordino delle funzioni delle province disposto dalla legge 7 aprile
2014, n. 56, le regioni che, ai sensi dell'art. 1, comma 95, della
medesima legge, non abbiano provveduto nel termine ivi indicato
ovvero non provvedano entro il 31 ottobre 2015 a dare attuazione
all'accordo sancito tra Stato e regioni in sede di Conferenza
unificata l'11 settembre 2014, con l'adozione in via definitiva delle
relative leggi regionali, sono tenute a versare, entro il 30 novembre
per l'anno 2015 ed entro il 30 aprile per gli anni successivi, a
ciascuna provincia e citta' metropolitana del rispettivo territorio,
le somme corrispondenti alle spese sostenute dalle medesime per
l'esercizio delle funzioni non fondamentali, come quantificate, su
base annuale, con decreto del Ministro per gli affari regionali, di
concerto con i Ministri dell'interno e dell'economia e delle finanze,
da adottare entro il 31 ottobre 2015. Il versamento da parte delle
regioni non e' piu' dovuto dalla data di effettivo esercizio della
funzione da parte dell'ente individuato dalla legge regionale».
La fattispecie in oggetto, concretizzandosi nella sanzione posta
a carico della regione inadempiente nell'attuazione dell'accordo
dell'11 settembre 2014 di versare a province e citta' metropolitane
le somme corrispondenti alle spese da queste sostenute per le
funzioni non fondamentali, configura una forma di esercizio del
potere sostitutivo del tutto inedita, che si differenzia nettamente
dalle ipotesi, sia piu' risalenti (come quella prevista ad esempio
nell'art. 5 del d.lgs. n. 112/98 (1) ) sia piu' recenti (come quelle
previste dall'art. 23 del decreto-legge n. 201/2011 (2) ), in cui il
potere sostitutivo statale veniva disciplinato in modo da esplicarsi,
nel caso di inerzia delle regioni nella riallocazione delle
competenze agli altri enti territoriali, attraverso l'emanazione di
norme primarie statali sostitutive direttamente rivolte
all'allocazione delle funzioni agli enti territoriali sub regionali.
Cosi' avvenne, peraltro con il d.lgs. n. 96/1999, che venne emanato
sentite le regioni inadempienti, in considerazione che le regioni
Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche, Lazio, Molise, Campania, Puglia
e Calabria non avevano provveduto nel termine.
Peraltro, anche il comma 95 dell'art. 1 della stessa legge n. 56
del 2014 prevedeva, in caso di inerzia regionale, che l'esercizio del
potere sostitutivo statale avvenisse sulla base dell'art. 8 della
legge n. 131 del 2003, che e' invece stato radicalmente violato dalla
norma impugnata, dal momento che nessuna della fasi procedimentali
ivi previste e' stata rispettata (ad esempio, quella della
convocazione in Consiglio dei ministri del Presidente della regione
destinataria dell'intervento sostitutivo).
Ma non solo. Con la norma impugnata risultano parimenti violati
anche tutti i criteri definiti dalla giurisprudenza di questa ecc.ma
Corte riguardo alle forme di esercizio del potere sostitutivo non
riconducibili all'art. 120 Cost. Infatti, a partire dalla sentenza n.
43 del 2004, dove pure si e' stabilito che l'art. 120, secondo comma,
della Costituzione non esaurisce tutte le possibilita' di esercizio
di poteri sostitutivi e rimane «impregiudicata l'ammissibilita' e la
disciplina di altri casi di interventi sostitutivi», e' stata sempre
ribadita la necessita' di apprestare congrue garanzie procedimentali
per l'esercizio del potere sostitutivo, in conformita' al principio
di leale collaborazione: «dovra' dunque prevedersi un procedimento
nel quale l'ente sostituito sia comunque messo in grado di evitare la
sostituzione attraverso l'autonomo adempimento, e di interloquire
nello stesso procedimento».
Ma vi e' di piu'.
Anche a prescindere da quanto sopra esposto, al fine di
comprendere le ragioni dell'inerzia regionale deve essere considerata
la complessiva vicenda che ora trova il suo epilogo nella norma
impugnata. Da questo punto di vista, si deve constatare che non vi e'
migliore difesa delle istanze regionali che quella di riportare
alcuni significativi passaggi espressi dalla Deliberazione n. 17/2015
(all. 4) della Sezione autonomie della Corte dei Conti, che fornisce
una cristallina ricostruzione delle ragioni che hanno portato le
regioni vuoi all'inadempimento dell'Accordo vuoi ad un adempimento
solo formale (rilevato dalla stessa Sezione autonomie). Della grave
situazione a seguito dei tagli in cui si sono venute a trovare
province e citta' metropolitane fornisce, peraltro, evidente riprova
anche la norma di cui all'art. 1-ter dello stesso decreto-legge n. 78
del 2015 (Predisposizione del bilancio di previsione annuale 2015
delle province e delle citta' metropolitane) che in via del tutto
eccezionale autorizza detti enti locali a predispone, «per il solo
esercizio 2015», «il bilancio di previsione per la sola annualita'
2015», in deroga all'obbligo del triennio.
Nella suddetta deliberazione della Corte dei Conti, infatti, si
esplicita: «La legge n. 56/2014 prevedeva per il riordino delle
funzioni un iter procedurale articolato in una serie di passaggi,
primo fra tutti quello dell'individuazione delle funzioni
fondamentali che restano affidate alle Province e di quelle non
fondamentali da attribuire agli altri enti (Comuni, Regioni, Stato),
cui doveva far seguito la quantificazione di finanziamenti e spese
per gestire entrambe le tipologie di funzioni, con contestuale
individuazione delle risorse umane, strumentali ed organizzative. A
fronte di tale iter procedurale le disposizioni recate dalla legge di
stabilita' per il 2015 ed ancora prima l'accordo dell'11 settembre
2014 ed il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26
settembre 2014 hanno introdotto novita' che, in parte, vanificano
l'anzidetta procedimentalizzazione. In particolare, la legge n.
190/2014 al comma 418 individua il contributo triennale richiesto
alle Province che concorrono con una riduzione della spesa corrente
pari ad 1 miliardo (1.180 milioni) di euro per il 2015, 2 miliardi
per il 2016 e 3 miliardi per il 2017» (3) .
Si specifica poi: «I tagli imposti dalla legge di stabilita' si
sono aggiunti a quelli gia' previsti anche per il 2015 dal
decreto-legge n. 66/2014 e sono intervenuti ancor prima che fosse
possibile conoscere la distribuzione delle competenze fra Province,
Citta' metropolitane ed altri enti ... Si e' gia' riferito che la
Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nella riunione
del 2 aprile 2015, ha approvato un documento che illustra la
posizione delle stesse in merito allo stato di attuazione della legge
n. 56/2014.
Puo' aggiungersi che, con il DEF 2015, il Governo, nello
sciogliere positivamente il nodo delle clausole di salvaguardia,
previste dalla legge di stabilita' 2015, attraverso la loro
sterilizzazione, ha prefigurato ulteriori tagli alla spesa pubblica
per circa 10 mld/€. In tal modo le criticita' gia' evidenziate circa
il percorso attuativo della legge n. 56/2014, potrebbero risentire
dell'ulteriore peggioramento del quadro finanziario dei trasferimenti
agli Enti territoriali» (4) .
Come specificato dalla stessa deliberazione «Il nodo essenziale
del processo di riordino delle Province e' rappresentato dalla
riassegnazione delle risorse finanziarie, umane e strumentali
connesse all'esercizio delle funzioni oggetto di trasferimento» (5) .
In sintesi, la Corte dei conti evidenzia con chiarezza
l'intervento demolitorio che lo stesso legislatore statale,
attraverso la legge di stabilita' per il 2015 e i successivi
interventi di taglio sulle risorse provinciali, ha compiuto nel
percorso tracciato dalla legge n. 56 del 2014, che invece «avrebbe
dovuto assicurare alle Province i fondi necessari da corrispondere
agli enti subentranti per le funzioni trasferite» (6) . Aveva dunque
ritenuto «indispensabili, quindi, un riallineamento ed un costante
coordinamento tra le fasi procedimentali di trasferimento delle
funzioni e delle risorse - come dettagliatamente disciplinate dalla
legge n. 56/2014 - e la produzione degli effetti finanziari che ad
esse si correlano, al fine di garantire una corretta attuazione della
riforma degli enti di area vasta ed il rispetto dei criteri di sana
gestione finanziaria, nonche' la regolarita' amministrativo-contabile
delle gestioni dei medesimi enti» (7) .
In altre parole, secondo la legge n. 56 del 2014 i dipendenti in
uscita dalle province avrebbero portato con se' uno «zainetto» con
«le risorse per garantirsi tutta la busta paga. Dopo i tagli della
manovra, i soldi da infilare nello zainetto non ci sono piu', e sono
gli uffici di destinazione a doversi fare carico di tutti i costi»
(8) .
Ma, invece del riallineamento auspicato dalla Corte dei Conti, il
legislatore statale ha stabilito la misura sostitutiva/sanzionatoria
di cui alla norma impugnata, motivata dalla evidente volonta' di
scaricare il problema creato dallo stesso legislatore statale solo ed
unicamente sulle spalle delle regioni, chiamate a finanziare la spesa
storica (e quindi anche le diseconomie di tale spesa) delle province
(e delle citta' metropolitane che vi subentrano) sulla base di una
quantificazione operata, senza nemmeno che sia sentita la regione
interessata, con decreto del Ministro per gli affari regionali, di
concerto con i Ministri dell'interno e dell'economia e delle finanze.
In questi termini la norma impugnata si pone in evidente
contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., per violazione dei principi di
proporzionalita' (non essendo in alcun modo evidente che il
legislatore abbia fatto ricorso alla soluzione meno invasiva),
ragionevolezza (perche' si fa ricadere sulle regioni un comportamento
ostativo che in realta' e' imputabile allo Stato che, definanziando
oltre misura le funzioni prima svolte dalle province, ne rende
impraticabile la riallocazione) e buon andamento (dato che si impone
il finanziamento della spesa storica), la cui violazione
evidentemente ridonda, per quanto descritto, sulle competenze
costituzionali della regione, anche autonomamente considerate, di cui
agli artt. 117, III, IV comma, e 118 Cost.
Risulta inoltre violato anche l'art. 119 della Costituzione che,
se vieta nelle materie di competenza regionale, come piu' volte
ribadito da questa ecc. ma Corte i finanziamenti statali vincolati,
tanto meno nelle stesse materie puo' in alcun modo legittimare
obblighi statali di destinazione vincolata di risorse regionali.
Risulta infine violato, dai molteplici punti di vista sopra
evidenziati, sia il principio di leale collaborazione, sia il
corretto esercizio del potere sostitutivo statale di cui all'art. 120
Cost.
Infine, considerando l'intera vicenda, risulta difficile sfuggire
all'eco di un palese contrasto con quanto stabilisce l'ultimo periodo
dell'art. 5 della Costituzione, dove limpidamente si afferma che la
Repubblica: «adegua i principi ed i metodi della sua legislazione
alle esigenze dell'autonomia e del decentramento».
Premessa comune alle impugnative seguenti: nn. da 3) a 6).
Gli articoli 9-bis, 9-ter, 9-quater e 9-septies del decreto-legge
n. 78/2015, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015,
n. 125, concretizzano in diverse forme un pesantissimo intervento di
smantellamento dell'attuale modello di welfare in sanita',
introducendo una serie di tagli meramente lineari sulla spesa
sanitaria, senza alcuna considerazione ne' dei costi standard di cui
agli articoli da 25 a 32 del d.lgs. n. 68 del 2011, ne' dei livelli
di spesa di regioni virtuose che hanno gia' raggiunto elevati livelli
di efficienza nella gestione della sanita'. Questo nonostante la
forte disomogeneita' che caratterizza, sotto questo profilo, il
sistema della sanita' regionale italiana, sia stata piu' volte messa
in evidenza da numerosi interventi della Corte dei Conti, da
autorevoli studi (9) e da, anche recenti, indagini conoscitive del
Parlamento (10) .
Si realizza in tal modo un intervento statale che tende a
destrutturare in via generalizzata uno dei pochi settori pubblici in
cui l'Italia si trova ai primi posti nelle classifiche
internazionali: secondo i dati della World Health Organization
infatti il sistema sanitario italiano si collocava al secondo posto
per livello di qualita' (The World Health Report su dati 2000 - all.
5) e, secondo i dati OCSE al diciannovesimo per livello di spesa
(OECD, Health Statistics 2014) (all. 5-bis).
Nel loro complesso, inoltre, le suddette disposizioni mantengono
a carico delle regioni l'obbligo di garantire il finanziamento dei
Lea, la cui determinazione risale pero' al lontano 2001 - decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, poi
modificato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5
marzo 2007 - senza che, ad oggi, l'art. 5 del decreto-legge n. 158
del 2012 che ne aveva prevista la revisione entro il 31 dicembre 2012
sia stato ancora attuato.
E' evidente quindi lo scollamento che si realizza tra un livello
di finanziamento che viene pesantemente e permanentemente ridotto e
una determinazione dei livelli essenziali che non e' stata rivista da
parte dello Stato.
In cio' si realizza una arbitraria violazione, per
irragionevolezza e difetto di proporzionalita', anche del comma II
dell'art. 117 Cost. e dell'art. 32 Cost. che compromette la
possibilita' di garantire i livelli essenziali in materia di diritto
alla salute e ridonda pesantemente, per quanto detto, anche
sull'autonomia costituzionale garantita alle regioni dagli artt. 117,
III e IV comma, 118 e 119 Cost.
E' significativo al riguardo citare le conclusioni del documento
finale delle Commissioni riunite V e XII della Camera dei Deputati,
approvato nell'ambito dell'Indagine conoscitiva sulla sfida della
tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e
obiettivi di finanza pubblica, del 4 giugno 2014 (e quindi ben prima
degli impugnati interventi di taglio), dove si afferma: «Peraltro,
negli ultimi anni alla riduzione delle risorse destinate al Fondo
sanitario nazionale si e' sommata la riduzione di quelle per le
politiche socio assistenziali e per le non autosufficienze. Tutto
cio' ha fatto emergere la piena consapevolezza che il Servizio
Sanitario Nazionale non puo' sopportare ulteriori definanziamenti,
pena l'impossibilita' di garantire i livelli di assistenza e quindi
l'equita' nell'accesso alle prestazioni socio sanitarie.» (11) (all.
6).
Inoltre, e' opportuno considerare la Relazione della 12ª
commissione permanente Igiene e Sanita', (relatori D'Ambrosio,
Lettieri e Dirindin), del Senato della Repubblica, Sullo stato e
sulle prospettive del servizio sanitario nazionale, nell'ottica della
sostenibilita' del sistema e della garanzia dei principi di
universalita', solidarieta' ed equita', del 23 giugno 2015 (all.
6-bis) dove, nelle considerazioni conclusive, si precisa tra l'altro
che «la Commissione ritiene che non sia piu' rinviabile una revisione
dei LEA», e si evidenzia altresi' che «la Commissione ritiene che,
nei prossimi anni, il sistema non sia in grado di sopportare
ulteriori restrizioni finanziarie, pena un ulteriore peggioramento
della risposta ai bisogni di salute dei cittadini e un deterioramento
delle condizioni di lavoro degli operatori. Eventuali margini di
miglioramento, sempre possibili, possono essere perseguiti solo
attraverso una attenta selezione degli interventi di riqualificazione
dell'assistenza, soprattutto in termini di appropriatezza clinica e
organizzativa, evitando azioni finalizzate al mero contenimento della
spesa, nella consapevolezza che i risparmi conseguibili devono essere
destinati allo sviluppo di quei servizi ad oggi ancora fortemente
carenti, in particolare nell'assistenza territoriale anche in
relazione all'aumento delle patologie cronico-degenerative» (12) .
E' evidente quindi che la sanita' sta diventando in Italia un
problema di democrazia e di coesione sociale, a spese dei piu'
fragili e dei piu' poveri.
Ma anche la Corte dei Conti nella delibera del 29 dicembre 2014,
Relazione sulla gestione finanziaria degli enti territoriali (all. 7)
ha chiaramente precisato che al comparto degli enti territoriali e'
stato richiesto, nelle manovre degli ultimi anni, «uno sforzo di
risanamento non proporzionato all'entita' delle loro risorse», in
base a scelte andate «a vantaggio degli altri comparti che compongono
il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche.» Ed
ha quindi auspicato (ma evidentemente non e' avvenuto) che «futuri
interventi di contenimento della spesa assicurino mezzi di copertura
finanziaria in grado di salvaguardare il corretto adempimento dei
livelli essenziali delle prestazioni nonche' delle funzioni
fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali» (13) .
Nella dinamica di questo sviluppo normativo della legislazione
statale e' evidente fra l'altro un fenomeno di abnorme
deresponsabilizzazione dello Stato, che, chiamato semmai ad assumersi
la responsabilita' (sottoponendosi anche alla conseguente verifica di
costituzionalita') di una riduzione dei Lea a seguito del venir meno
delle risorse disponibili, ha scelto invece la strada di lasciare, da
un lato, formalmente invariati i Lea, e dall'altro di perpetrare un
sistema di tagli lineari, in cio' venendo meno ad un corretto
esercizio di quella funzione di coordinamento della finanza pubblica
che e' invece richiesto dall'art. 117, III comma, Cost.
Ma non solo.
Si potrebbe considerare dirimente, nel considerare la
costituzionalita' della misura, l'esistenza di una intesa. E infatti
l'art. 9-bis pretende di stabilire l'applicazione dei successivi
articoli da 9-ter a 9-octies in attuazione delle Intese sancite dalla
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano del 26 febbraio 2015 e 2
luglio 2015 in attuazione della lettera c) del comma 398, del'art. l
della legge n. 140/2014.
Ma non e' cosi'.
Al riguardo occorre precisare non solo il mancato consenso in
tali sedi espresso dalla regione Veneto, ma anche e soprattutto il
relativo contenzioso costituzionale che questa ha instaurato (cfr.
ricorso n.r.g. 31/2015) denunciando la evidente forzatura in cui le
regioni stesse sono state costrette, perche' un effettivo percorso di
leale collaborazione e di auto coordinamento non e' stato, invero, in
alcun modo accordato.
E' opportuno al riguardo ripercorrere la grottesca dinamica
normativa che si e' dispiegata e che ha costretto alcune regioni ad
arrendersi a Una intesa che in realta' non puo' essere considerata
tale senza sminuire la portata sostanziale del principio di leale
collaborazione. Infatti, in base al comma 6 dell'art. 46 del
decreto-legge n. 66 del 2014, cosi' come modificato dalla lettera c)
del comma 398 dell'art. l della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (14) ,
alle regioni, in realta', e' stata proposta un'alternativa
impossibile rispetto a quella di subire un taglio del finanziamento
della sanita'. Queste, infatti, in base a quanto previsto dal
suddetto comma 6, avrebbero potuto evitarlo solo accettando un taglio
sulla spesa extra sanitaria per 3.452 milioni di euro, ovvero di una
cifra che ne avrebbe condotto al sostanziale azzeramento.
Infatti, la spesa extra sanitaria delle regioni (tra cui - si
noti bene - rientra anche la spesa per l'assistenza sociale) e'
quella che ha maggiormente subito l'impatto delle manovre di finanza
pubblica, come risulta, infatti, dal Primo rapporto Copaff
(Commissione tecnica per l'attuazione del federalismo fiscale),
Condivisione tra i livelli di governo dei dati sull'entita' e la
ripartizione delle misure di consolidamento della finanza pubblica,
del 16 gennaio 2014, approvato (all. 8) dalla Conferenza permanente
per il coordinamento della finanza pubblica (istituita dall'art. 5
della legge n. 42 del 2009) in data 14 febbraio 2014, il comparto
della spesa extra sanitaria delle regioni ha subito, per effetto
cumulato delle manovre di finanza pubblica dal 2008 al 2013, una
riduzione pari al 38,7% (contro il 13,4 dello Stato, il 14,3 dei
comuni, il 27,8 delle province). La situazione era tale che l'importo
stabilito della lettera c) del comma 398 non trovava capienza
all'interno dell'ammontare della spesa primaria (extra sanitaria) per
beni e servizi delle regioni, dal momento che l'ammontare del taglio
e' di poco inferiore all'ammontare complessivo della spesa. Come si
evince dalla tabella (all. 9: elaborazione Cinsedo su dati Copaff
2013) la spesa complessiva per beni e servizi delle regioni ammonta a
5.323.938.776,02 Euro. Dal momento che tale aggregato di spesa
comprende, per un importo pari a 1.529 milioni di Euro, i
corrispettivi riconosciuti dalle regioni per garantire il contratto
di servizio stipulato con Trenitalia, al netto di tale importo,
pertanto, l'ammontare di spesa per beni e servizi sostenuta nel 2013
dalle RSO risulta pari a 3.795 milioni di Euro. Per assolvere al
maggiore contributo richiesto dal comma 398 dell'art. 1 della legge
140/2014 (maggiori tagli per 3.452 milioni di euro), le regioni
dovrebbero pertanto ridurre del 91% la spesa sostenuta per l'Acquisto
di beni e servizi!
Se quindi non avessero raggiunto l'intesa, il riparto del taglio
sarebbe stato determinato dal Governo, incidendo, secondo quanto
recita l'ultimo periodo del suddetto comma 6, anche sulle «risorse
destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale»
e ripartito tenendo conto, non dei costi standard di cui al d.lgs. n.
68/2011, ma del Pil regionale e della popolazione residente, e quindi
a tutto discapito dei sistemi regionali piu' efficienti (che si
situano nelle regioni Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Toscana, che
sono tra le piu' popolose e tra quelle che registrano un Pil piu'
alto) (15)
E' evidente che alle regioni non e' stata lasciata alternativa
all'intesa. Ed e' altrettanto evidente che un'intesa che non ha
alternativa, perche' non vi era effettiva possibilita' di evitare il
taglio sulla sanita', non e' tale nella sostanza.
Va aggiunto, peraltro, a ulteriore dimostrazione della violazione
del principio di leale collaborazione, che nessun coinvolgimento e'
avvenuto della (pur istituita: la prima convocazione e' avvenuta il
10 ottobre 2013) Conferenza permanente per il coordinamento della
finanza pubblica, il cui coinvolgimento nella definizione della
manovre di finanza pubblica e' imposto dall'art. 5, comma 1, della
legge n. 42 del 2009: «a) la Conferenza concorre alla definizione
degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione
ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento;» e poi ribadito
dall'art. 33 del d.lgs. n. 68 del 2011 che la definisce quale
«organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica fra
comuni, province, citta' metropolitane, regioni e Stato».
Per tutti i profili indicati, quindi, e' difficile anche in
questo caso sfuggire all'antitesi che l'intera vicenda, considerata
anche luce delle puntuali impugnative successive, dimostra con
l'ultimo periodo dell'art. 5 della Costituzione, dove si afferma che
la Repubblica: «adegua i principi ed i metodi della sua legislazione
alle esigenze dell'autonomia e del decentramento», e, visto che si
tratta di tutela della salute, con l'art. 3, secondo comma, Cost..
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 9-ter, comma 1, lett. a),
commi 4 e 5, del decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78, per violazione
degli articoli 3, 5, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della
Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui all'art.
120 Cost.
L'art. 9-ter (Razionalizzazione della spesa per beni e servizi,
dispositivi medici e farmaci) stabilisce, al comma 1, lett. a) che
per l'acquisto dei beni e servizi di cui alla tabella A allegata al
decreto-legge 78/2015, gli enti del Servizio sanitario nazionale sono
tenuti a proporre ai fornitori una rinegoziazione dei contratti in
essere che abbia l'effetto di ridurre i prezzi unitari di fornitura
e/o i volumi di acquisto, rispetto a quelli contenuti nei contratti
in essere, e senza che cio' comporti modifica della durata del
contratto, al fine di conseguire una riduzione su base annua del 5
per cento del valore complessivo dei contratti in essere.
In questi termini la norma, anche nel suo raccordo attuativo con
i commi 4 e 5, impone di operare un taglio del tutto lineare delle
forniture che contrasta con i principi di ragionevolezza e
proporzionalita' ex art. 3 Cost., dal momento che, a prescindere da
ogni definizione di standard di efficienza - che espressamente la
norma ammette non esistere al momento in cui essa dispiega la sua
operativita' - impone, mettendo a rischio la garanzia dei servizi
sanitari (in violazione dell'art. 32 Cost.) e dei Lea, la suddetta
rinegoziazione anche agli enti del Servizio sanitario che gia' hanno
raggiunto elevati livelli di efficienza e di rapporto qualita'/prezzo
nelle forniture.
A titolo di esempio, si deve considerare che per l'erogazione dei
pasti (definiti in termini di «giornata alimentare») in una struttura
sanitaria della regione Veneto il prezzo pagato ai fornitori e' di
circa 6/7 Euro, mentre in altre realta' questa cifra arriva anche a
superare i 20 Euro. E' evidente a questo punto che l'applicazione del
criterio stabilito della norma diventa estremamente critico per la
regione Veneto, mentre produce solo un blandissimo effetto di
razionalizzazione nelle realta' inefficienti.
E' chiaro come questi vizi di costituzionalita' ridondino sulle
competenze regionali di cui agli artt. 117, III e IV comma, 118 e 119
Cost., dal momento che incidono indebitamente sulle determinazioni
regionali in materia di organizzazione sanitaria, anche autonomamente
considerate.
Al riguardo, occorre inoltre anche richiamare la recente sentenza
n. 125 del 2015, dove questa ecc.ma Corte, sebbene in relazione alle
autonomie speciali, ma con affermazioni di principio, in termini di
inquadramento delle fattispecie, estendibili anche a quelle ordinarie
(16) , ha censurato l'art. 15, comma 13, lettera c), del
decreto-legge n. 95 del 2012 (che peraltro, anziche' come del tutto
inopinatamente fa la norma impugnata disponendo una generalizzata
riduzione percentuale della spesa, stabiliva invece un effettivo
criterio di standard nazionale: obbligo di non superare un livello
non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti), in quanto tali
disposizioni non si articolavano «in enunciati generali riconducibili
alla categoria dei principi, ma pongono in essere una disciplina di
dettaglio. Cio' comporta che le misure in considerazione non possono
trovare fondamento nella potesta' legislativa concorrente dello
Stato, cosi' come sostenuto dalla difesa erariale.» Ha inoltre
precisato che la misura «disponendo una riduzione dello standard dei
posti letto,» non tende «a garantire un minimum intangibile alla
prestazione, ma ad imporre un tetto massimo alla stessa», per cui
«non appare conforme ai parametri di riferimento invocati nel
ricorso» (art. 117, III comma, Cost.).
La norma impugnata, che stabilisce oltretutto una disposizione di
dettaglio, si pone quindi in contrasto con gli artt. 5, 117, II, III
e IV comma, Cost. riguardo sia al corretto esercizio della funzione
statale di coordinamento della finanza pubblica e alla garanzia dei
Lea, sia alla competenza regionale in materia di tutela della salute
e organizzazione dei sistemi sanitari, nonche' con gli artt. 118 e
119 Cost. Contrasta inoltre con il principio di proporzionalita',
rispetto al rapporto tra mezzi e fini, e con il principio di buon
andamento della Pubblica Amministrazione nel combinato disposto degli
artt. 3 e 97 Cost., la cui lesione si riflette sulle competenze
costituzionali garantite alla regione. Viene inoltre violato il
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost., dal
momento che nessuna forma di intesa viene prevista al riguardo.
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 9-ter, comma 1, lett. b,
commi 2, 3, 8 e 9 del decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78, per
violazione degli articoli 3, 5, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118
e 119 della Costituzione, nonche' del principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost.
Il medesimo art. 9-ter, comma 1, alla lett. b), anche nel suo
raccordo attuativo con i commi 8 e 9, obbliga in termini analoghi,
ovvero senza la preventiva definizione di standard di efficienza che
possano fornire un adeguato parametro, in via generale e
indiscriminata gli enti del Servizio sanitario nazionale a proporre
ai fornitori di dispositivi medici una rinegoziazione dei contratti
in essere che abbia l'effetto di ridurre i prezzi unitari di
fornitura e/o i volumi di acquisto, rispetto a quelli contenuti nei
contratti in essere, senza che cio' comporti modifica della durata
del contratto stesso.
L'art. 9-ter, comma 2, dispone inoltre che le disposizioni di cui
alla lettera a) del comma 1 si applicano anche ai contratti per
acquisti dei beni e servizi previsti dalle concessioni di lavori
pubblici, dalla finanza di progetto, dalla locazione finanziaria di
opere pubbliche e dal contratto di disponibilita', di cui,
rispettivamente, agli articoli 142 e seguenti, 153, 160-bis e 160-ter
del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
Il comma 3 dell'art. 9-ter, nel declinare l'applicazione delle
disposizioni di cui alla lettera b) del comma 1, conferma
l'irragionevolezza delle disposizioni impugnate e si dimostra esso
stesso irragionevole dal momento che prevedendo che il Ministero
della salute metta a disposizione delle regioni i prezzi unitari dei
dispositivi medici presenti nel sistema informativo sanitario non ne
trae poi alcuna conseguenza, poiche' non fa discendere da questa
indicazione alcuna deroga all'obbligo comunque generalizzato di
rinegoziazione, che non rimane minimamente scalfito.
Riguardo ai suddetti commi dell'art. 9-ter valgono quindi gli
stessi motivi di incostituzionalita' sopra indicati nel punto 3 del
presente ricorso in relazione al comma 1, lettera a), dello stesso
articolo, ivi compresa l'identica ripercussione sulle competenze
regionali dei primi quattro parametri, in merito alla violazione
degli artt. 3, 5, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118, 119 e 120
Cost., dal momento che tali disposizioni stabiliscono, con una norma
non certo definibile di principio, un obbligo del tutto analogo di
praticare un taglio meramente percentuale della spesa nei rispettivi
settori senza alcuna indicazione di adeguati parametri di riferimento
idonei a distinguere all'interno della stessa, quella efficiente da
quella inefficiente.
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 9-quater, commi 1, 2, 4,
5, 6 e 7, del decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78, per violazione
degli articoli 3, 5, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della
Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui
all'art. 120 Cost.
L'art. 9-quater, al comma 1, prevede che con decreto del Ministro
della salute, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
di Bolzano, siano individuate le condizioni di erogabilita' e le
indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di
assistenza specialistica ambulatoriale. Al comma 2 dispone poi che le
prestazioni erogate al di fuori delle condizioni di erogabilita'
previste dal decreto ministeriale di cui al comma 1 sono a totale
carico dell'assistito; al comma 4 stabilisce che gli enti del
Servizio sanitario nazionale effettuano i controlli necessari ad
assicurare che la prescrizione delle prestazioni sia conforme alle
condizioni e alle indicazioni del suddetto decreto ministeriale. Al
comma 5 stabilisce poi che in caso di comportamento prescrittivo non
conforme alle condizioni e alle indicazioni di cui al decreto
ministeriale, l'ente adotti nei confronti del medico prescrittore una
riduzione del trattamento economico accessorio e nei confronti del
medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, una
riduzione delle quote variabili dell'accordo collettivo nazionale di
lavoro e dell'accordo integrativo regionale. Il comma 6, infine,
dispone che la mancata adozione da parte dell'ente del Servizio
sanitario nazionale dei provvedimenti di competenza nei confronti del
medico prescrittore comporta la responsabilita' del direttore
generale ed e' valutata ai fini della verifica del rispetto degli
obiettivi assegnati al medesimo dalla regione.
Tali disposizioni sono gravemente lesive della corretta garanzia
del diritto costituzionale alla salute e invasive delle competenze
regionali, dal momento che, da un lato stabiliscono un regime
gravemente sanzionatorio per i medici del servizio sanitario
regionale, ma dall'altro non compensano questa previsione con una
adeguata revisione del regime di responsabilita' civile e penale
degli stessi. In questo modo ogni medico del servizio sanitario
regionale viene a trovarsi, usando una metafora, tra l'incudine e il
martello. E' noto, infatti, che la giurisprudenza ha esteso «a
macchia d'olio» principi favorevoli al paziente attore in tema di
nesso casuale, onere della prova, termini di prescrizione, che si
erano inizialmente profilati in relazione a particolarissime
fattispecie, come quelle inerenti il danno da contagio per
trasfusioni o per assunzione di emoderivati infetti. In questo modo
principi del tutto peculiari e giustificati nei casi in cui erano
stati stabiliti (quello delle emotrasfusioni, ossia un settore ad
alto rischio e dominato da forte incertezza scientifica) hanno invece
generato «effetti domino» al di fuori del proprio specifico campo di
applicazione. La cd. riforma Balduzzi (decreto-legge n. 158/2012),
che si era occupata del problema, non e' riuscita in alcun modo a
porvi argine, sollevando anzi ulteriori critiche e dubbi
interpretativi (ad oggi irrisolti) sia nella giurisprudenza che nella
dottrina, ed anche da parte degli operatori sanitari, che si trovano
a dover affrontare una nuova situazione di grande incertezza, che
«rischia di non risolvere, anzi di aggravare il problema economico,
incrementando le richieste di risarcimento con l'aggancio in via
solidale del medico alla struttura responsabile di inadempimento»
(17) .
In questo contesto, la modalita' adottata dalla norma impugnata
per risolvere il problema dei costi generati dalla cd. «medicina
difensiva» appare gravemente lesiva dei principi di proporzionalita'
e ragionevolezza: rimettendo ad un decreto ministeriale la
definizione di cio' che risulta appropriato o meno - con la
conseguente grave incertezza che non puo' che nascere dal sostituire
la valutazione del medico del caso concreto con la complicata
interpretazione di un sistema burocratico generalizzato -, lascia del
tutto esposti i medici del servizio sanitario regionale o alle
sanzioni dell'amministrazione regionale o a quelle dei giudici.
Risulta quindi evidente che tale disposizione produce una grave
alterazione del rapporto tra medico e paziente ed espone il sistema
al probabilissimo rischio di generare un pesante vulnus al diritto
costituzionale alla salute, sia in termini di efficacia nei percorsi
di' cura, sia per il fatto che le prestazioni della cd. black list
diventeranno accessibili solo a pagamento, cioe' solo per chi potra'
permettersele.
Da questo punto di vista, la norma impugnata appare in contrasto
con il principio di proporzionalita', sia sotto il profilo della
«connessione razionale» tra i mezzi predisposti e i fini che si
intendono perseguire, con addirittura il rischio di aggravamento del
problema economico complessivo, sia sotto il profilo della verifica
della «necessita'», perche' non si tratta certo della soluzione meno
invasiva che permette di ottenere l'obiettivo prefissato con il minor
sacrificio possibile di altri diritti costituzionalmente protetti (in
regioni come il Veneto il rischio degli eccessivi costi della
medicina difensiva e' stato, infatti, limitato attraverso forme di
intervento diverse e non destabilizzanti come quella in oggetto).
Le disposizioni dei commi 1, 2, 4, 5 e 6 dell'art. 9-quater si
pongono pertanto in contrasto con il principi di proporzionalita',
ragionevolezza e buon andamento di cui agli artt. 3, 32 e 97 della
Costituzione la cui violazione ridonda in una lesione delle
competenze costituzionalmente assegnate alla regione in tema di
tutela della salute e organizzazione del sistema sanitario ai sensi
degli artt. 117, III e IV comma, e 118 Cost., anche autonomamente
considerati.
Inoltre, dal momento che si stabilisce, nel comma 1, che le
condizioni di erogabilita' sono definite con un mero decreto
ministeriale che, sebbene adottato previa intesa in sede di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, non trova a monte alcuna
definizione di effettivi principi fondamentali all'interno della
norma primaria impugnata riguardo alle condizioni di erogabilita' e
le indicazioni di appropriatezza (si ricorda al riguardo la recente
sentenza n. 125 del 2015, citata in relazione all'impugnativa di cui
al p.to 3 del presente ricorso), risulta altresi' violato, anche da
questo punto di vista, l'art. 117, III comma, della Costituzione.
L'art. 9-quater, al comma 7, secondo la stessa modalita' di
taglio lineare delle precedenti disposizioni del comma 9-ter, impone
che le regioni o gli enti del Servizio sanitario nazionale
ridefiniscano i tetti di spesa annui degli erogatori privati
accreditati delle prestazioni di specialistica ambulatoriale, e per
l'anno 2015 obbliga a rideterminare il valore dei relativi contratti
in modo da ridurre la spesa per l'assistenza specialistica
ambulatoriale complessiva annua da privato accreditato, di almeno l'1
per cento del valore complessivo della relativa spesa consuntivata
per l'anno 2014. La norma, anche in questo caso stabilendo un obbligo
di riduzione della spesa in modo generale e indiscriminato, senza
alcuna istruttoria e senza il riferimento di alcuno standard di
efficienza che possa costituire un adeguato parametro, si pone in
contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalita' ex art.
3 Cost., con gli artt. 5, 117, II, III comma, riguardo al corretto
esercizio della funzione statale di coordinamento della finanza
pubblica e alla garanzia del Lea, nonche' del rispetto alla
competenza regionale in materia di tutela della salute, nonche' con
gli artt. 118 e 119 Cost., e con il principio di buon andamento della
Pubblica Amministrazione di cui agli artt. 32 e 97 Cost., la cui
lesione ridonda sulle competenze costituzionali garantite alla
regione in materia di organizzazione sanitaria indebitamente
compromesse. Viene inoltre violato il principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost., dal momento che nessuna
forma di intesa viene prevista al riguardo.
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 9-septies, commi 1 e 2,
del decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78, per violazione degli articoli
3, 5, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione,
del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.,
nonche' dell'art. 5, lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 e
dell'art. 11 della legge n. 243 del 2013.
L'art. 9-septies (Rideterminazione del livello di finanziamento
del Servizio sanitario nazionale) al comma 1 stabilisce che:
«1. Ai fini del conseguimento degli obiettivi di finanza
pubblica di cui all'art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile
2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno
2014, n. 89, e successive modificazioni, e in attuazione di quanto
stabilito dalla lettera E dell'intesa sancita dalla Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano in data 26 febbraio 2015 e
dall'intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in
data 2 luglio 2015, nonche' dagli articoli da 9-bis a 9-sexies del
presente decreto, il livello del finanziamento del Servizio sanitario
nazionale a cui concorre lo Stato, come stabilito dall'art. 1, comma
556, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e' ridotto dell'importo di
2.352 milioni di euro a decorrere dal 2015.»
In questi termini la suddetta disposizione riduce in via
permanente e senza quindi alcuna limitazione temporale, il livello
del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo
Stato (il cui importo e' definito dall'art. 1, comma 556, della legge
23 dicembre 2014, n. 190 (18) ), di 2.352 milioni di euro a decorrere
dal 2015. Tale disposizione, come ricordato, costituisce l'esito
finale delle disposizioni e del procedimento introdotto, modificando
il comma 6 dell'art. 46 del decreto-legge n. 66 del 2014, dall'art.
1, comma 398, lett. c) della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
Il taglio si realizza, dal punto di vista operativo,
principalmente attraverso l'applicazione delle misure di riduzione
della spesa imposte dagli articoli da 9-ter a 9-quinquies dello
stesso decreto-legge n. 78 del 2015 che, come si e' visto, si
caratterizzano in termini di taglio meramente lineare (addirittura in
percentuale rispetto alla spesa storica), generalizzato e
indiscriminato.
Non viene quindi previsto nessun adeguato criterio di
razionalizzazione della distribuzione del taglio, che pertanto si
presta a incidere in modo indiscriminato tanto sulle realta'
efficienti, dove minimo e' il livello di spreco e quindi la
possibilita' di razionalizzazione della spesa, tanto su quelle
inefficienti, dove invece elevato e' il livello di spreco e alta la
possibilita' di razionalizzazione.
Si tratta, infatti, di una misura che prescinde completamente
dalla applicazione del criterio dei costi standard che gli artt. da
25 a 32 del decreto legislativo n. 68 del 2011 impongono di
considerare per la determinazione e il riparto del fondo sanitario
nazionale.
In questi termini, la misura si pone in evidente contrasto con
quanto, con cristallina lungimiranza, questa ecc.ma Corte ha
affermato nella sentenza n. 193 del 2012 (e nella successiva sentenza
n. 79 del 2014), dichiarando l'incostituzionalita', per violazione
dell'art. 119 Cost., di «misure restrittive in riferimento alle
Regioni ordinarie, alle Province ed ai Comuni senza indicare un
termine finale di operativita' delle misure stesse», in quanto
possono essere ritenute principi fondamentali in materia di
coordinamento della finanza pubblica, ai sensi del terzo comma
dell'art. 117 Cost., le norme che «si limitino a porre obiettivi di
riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un
transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della
spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o
modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenza n.
148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n.
326 del 2010)».
Da questo punto di vista la sentenza ha implicitamente affermato
che il legislatore puo' ristrutturare in termini definitivi la spesa
solo con vere e proprie riforme e non con tagli estemporanei (come
invece si dispone nel complesso normativo qui impugnato), che al
contrario possono essere solo a tempo determinato. La sentenza aveva
quindi fissato in un triennio il limite temporale massimo delle
manovre di contenimento della spesa pubblica a carico delle regioni
ed era stata effettivamente seguita dal legislatore che nelle prime,
successive manovre aveva condizionato in termini triennali la durata
delle misure di contenimento della spesa.
Nel caso di specie, invece, le norme impugnate, come detto, si
concretizzano: i) in un catalogo di tagli meramente lineari alla
spesa sanitaria senza che sia definito alcun criterio effettivo di
sostanziale riforma del comparto (come invece sarebbe stato se si
fosse utilizzato il criterio dei costi standard (19) ; ii) in misure
che assumono un carattere permanente.
Di qui l'evidente contrasto con gli articoli 3, 5, 32, 97 Cost.
che ridonda in una violazione delle competenze regionali
indebitamente compresse di cui agli articoli 117, II, III e IV comma,
118 e 119 della Costituzione, anche autonomamente considerati, e del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.
E' opportuno ricordare, peraltro, che tra gli emendamenti
trasmessi al Parlamento con nota del 6 novembre 2014, le regioni
avevano chiesto di sostituire le disposizioni della legge 23 dicembre
2014, n. 190, che configuravano il taglio che poi si e' concretizzato
nella norma impugnata, con la seguente che appunto implicava
l'applicazione dei costi standard: «In assenza di tale Intesa entro
il predetto termine del 31 gennaio 2015, con decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri, da adottarsi, previa deliberazione del
Consiglio dei ministri, entro 20 giorni dalla scadenza dei predetti
termini, i richiamati importi sono assegnati ad ambiti di spesa ed
attribuiti alle singole Regioni e Province autonome di Trento e
Bolzano, tenendo conto dei costi standard.» (all. 10 Nota Cinsedo del
6 novembre 2014).
Infine, dal momento che, come ricordato nella «premessa comune»
alle presenti impugnative, i Lea non sono stati ridefiniti, si
determina uno scollamento tra un livello di finanziamento che viene
pesantemente ridotto e una determinazione dei livelli essenziali che
non e' stata rivista da parte dello Stato e quindi si espone il
sistema alla loro compromissione, come gia' evidenziato nelle
impugnative relative ai precedenti articoli del decreto-legge n.
78/2015, con una ricaduta anche sulla autonomia costituzionalmente
garantita alle regioni.
Questo nonostante questa ecc.ma Corte abbia in piu' occasioni
ribadito, e anche di recente richiamato, che la determinazione dei
Lea costituisce «un fondamentale strumento per garantire il
mantenimento di una adeguata uniformita' di trattamento sul piano dei
diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un
livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto»
(sentenza n. 111 del 2014), per cui il legislatore statale deve
«porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero
territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come
contenuto essenziale di tali diritti» (sentenza n. 207 del 2012).
In questi termini, oltre che con i parametri gia' invocati, la
norma impugnata si pone in contrasto con quanto dispongono l'art. 5,
lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 (Introduzione del principio
del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) e dell'art. 11
(Concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle
funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi
di eventi eccezionali) della legge n. 243 del 2013. La prima
disposizione citata, infatti, prevede che la legge di cui all'art.
81, sesto comma, della Costituzione disciplini: «g) le modalita'
attraverso le quali lo Stato, nelle fasi avverse del ciclo economico
o al verificarsi degli eventi eccezionali di cui alla lettera d) del
presente comma, anche in deroga all'art. 119 della Costituzione,
concorre ad assicurare il finanziamento, da parte degli altri livelli
di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni
fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali».
La seconda, in vigore dal 30 gennaio 2013, specifica che:
«1. E' istituito nello stato di previsione del Ministero
dell'economia e delle finanze il Fondo straordinario per il concorso
dello Stato, nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi
eccezionali, al finanziamento dei livelli essenziali delle
prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili
e sociali, alimentato da quota parte delle risorse derivanti dal
ricorso all'indebitamento consentito dalla correzione per gli effetti
del ciclo economico del saldo del conto consolidato. L'ammontare
della dotazione del Fondo di cui al presente comma e' determinato nei
documenti di programmazione finanziaria e di bilancio, sulla base
della stima degli effetti dell'andamento del ciclo economico, tenendo
conto della quota di entrate proprie degli enti di cui all'art. 10,
comma 1, influenzata dall'andamento del ciclo economico».
E' evidente che tale disposizioni rafforzano perlomeno in via di
principio e pur nella dinamica dell'equilibrio di bilancio, l'impegno
della Repubblica nella garanzia dei livelli essenziali, riconosciuti
come imprescindibile livello di garanzia dei principi fondamentali di
eguaglianza e solidarieta'. Tuttavia, nella disposizione impugnata
non traspare alcuna verifica al riguardo e nemmeno si riflette la
considerazione di quanto, come ricordato nella «premessa comune», e'
stato espresso in sede parlamentare e in piu' occasioni dalla Corte
dei Conti.
Di qui il contrasto, anche a prescindere dalle procedure
applicative dell'art. 11 citato, della disposizione impugnata con i
presupposti minimi che la dinamica dell'equilibrio di bilancio deve
in ogni caso considerare: una disposizione dove nemmeno alla
considerazione stessa del problema della adeguata garanzia dei Lea e'
stata data alcuna voce. Anche in questo caso e' evidente la ricaduta
della violazione sull'autonomia costituzionalmente riconosciuta alle
regioni, che subisce un definanziamento senza che, in nessuna sede,
siano state nemmeno minimamente prese in considerazione le ipotesi
specificate negli articoli di cui si denuncia la violazione.
(1) Art. 5 (Poteri sostitutivi), del d.lgs. n. 112/98: «1. Con
riferimento alle funzioni e ai compiti spettanti alle regioni e
agli enti locali, in caso di accertata inattivita' che comporti
inadempimento agli obblighi derivanti dall'appartenenza alla
Unione europea o pericolo di grave pregiudizio agli interessi
nazionali, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta
del Ministro competente per materia, assegna all'ente
inadempiente un congruo termine per provvedere. 2. Decorso
inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito il
soggetto inadempiente, nomina un commissario che provvede in via
sostitutiva. 3. In casi di assoluta urgenza, non si applica la
procedura di cui al comma 1 e il Consiglio dei ministri puo'
adottare il provvedimento di cui al comma 2, su proposta del
Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il
Ministro competente. Il provvedimento in tal modo adottato ha
immediata esecuzione ed e' immediatamente comunicato
rispettivamente alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,
di seguito denominata «Conferenza Stato-regioni» e alla
Conferenza Stato-Citta' e autonomie locali allargata ai
rappresentanti delle comunita' montane, che ne possono chiedere
il riesame, nei termini e con gli effetti previsti dall'art. 8,
comma 3, della legge 15 marzo 1997, n. 59. 4. Restano ferme le
disposizioni in materia di poteri sostitutivi previste dalla
legislazione vigente.»
(2) L'art. 23, comma 18, del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201,
convertito in legge 214/2011, prevede che: «lo Stato e le
Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze,
provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le
funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo
che, per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano
acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. In caso di
mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro
il 31 dicembre 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi
dell'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello
Stato».
(3) Corte dei Conti, Il riordino delle Province. Aspetti
ordinamentali e riflessi finanziari. Deliberazione n.
17/SEZAUT/2015/FRG, pag. 40.
(4) Ivi, pp. 40 e 41.
(5) Ivi, pag. 58.
(6) Ivi, pag. 59. Si precisa, inoltre, a pag. 70: «Intanto il quadro
finanziario di riferimento per la predisposizione dei bilanci
2015 sconta la riduzione di spesa corrente di 1 miliardo di euro,
stabilito dall'art. 1, comma 418, della legge di stabilita' 2015,
modificato dall'art. 4, comma 5-ter del decreto-legge «mille
proroghe», convertito con legge 27 febbraio 2015, n. 11, che va a
sommarsi alla riduzione di risorse ex art. 16, comma 7, del
decreto-legge n. 95/2012 - incrementate di ulteriori 50 milioni
(da 1.200 a 1.250), al contributo alla finanza pubblica stabilito
dall'art. 47, comma 1 del decreto-legge n. 66/2014 complessivi
576,7 (di cui 510 per spese correnti) e all'ulteriore contributo
alla finanza pubblica di 60 milioni di cui all'art. 19 del
decreto-legge n. 66/2014. L'attuazione di questa nuova
impegnativa misura di concorso agli obiettivi di finanza
pubblica, per le Province e le Citta' metropolitane, va
considerata sotto il profilo della sostenibilita' della stessa a
partire dalla gestione 2015 e, di conseguenza, nella proiezione
per l'arco triennale di previsione dei bilanci, soprattutto in
considerazione dei ridotti spazi di spesa corrente ancora
aggredibile all'esito delle precedenti riduzioni di risorse
poc'anzi richiamate».
(7) Ivi, p. 97.
(8) Cosi', con molta chiarezza, G. Trovati, Una riforma schiacciata
dal «tutti contro tutti», in IlSole24Ore, 5 ottobre 2015, pag. 5.
(9) Cfr. per tutti, F. Pammolli, G. Papa, N. C. Salerno, La spesa
sanitaria pubblica in Italia: dentro la «scatola nera» delle
differenze regionali. Il modello SaniRegio, in
http://www.astrid-online.it/Politiche-/Documenti/CERM_Sanit-_26_1
0_09.pdf.
(10) Camera dei Deputati, Commissioni riunite V (Bilancio) e XII
(Affari Sociali), Indagine conoscitiva sulla sfida della tutela
della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e
obiettivi di finanza pubblica, 4 giugno 2014.
(11) Ivi, p. 108.
(12) Senato della Repubblica, Relazione della 12° Commissione
permanente (igiene e sanita') sullo Stato e sulle prospettive
del servizio sanitario nazionale e sulle prospettive del
servizio sanitario nazionale, nell'ottica della sostenibilita'
del sistema e della garanzia dei principi di universalita',
solidarieta' ed equita', 23 giugno 2015, pag. 49.
(13) Corte dei Conti, Relazione sulla gestione finanziaria degli enti
territoriali, Deliberazione n. 29 del 29 dicembre 2014, p. VII.
(14) Art. 46, comma 6, del decreto-legge n. 66 del 2014, cosi' come
modificato dalla lettera c) del comma 398 dell'art. 1 della
legge 23 dicembre 2014, a 190: «6. Le regioni a statuto
ordinario, in conseguenza dell'adeguamento dei propri
ordinamenti ai principi di coordinamento della finanza pubblica
introdotti dal presente decreto e a valere sui risparmi
derivanti dalle disposizioni ad esse direttamente applicabili ai
sensi dell'art. 117, comma secondo, della Costituzione,
assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 500
milioni di euro per l'anno 2014 e di 750 milioni di euro per
ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, in ambiti di spesa e per
importi proposti in sede di autocoordinamento dalle regioni
medesime, da recepire con Intesa sancita dalla Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 maggio 2014, con
riferimento all'anno 2014 ed entro il 30 settembre 2014, con
riferimento agli anni 2015 e seguenti. In assenza di tale Intesa
entro i predetti termini, con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri, da adottarsi, previa deliberazione del
Consiglio dei ministri, entro 20 giorni dalla scadenza dei
predetti termini, i richiamati importi sono assegnati ad ambiti
di spesa ed attribuiti alle singoli regioni e Province autonome
di Trento e Bolzano, tenendo anche conto del Pil e della
popolazione residente, e sono rideterminati i livelli di
finanziamento degli ambiti individuati e le modalita' di
acquisizione delle risorse da parte dello Stato. Per gli anni
2015-2018 il contributo delle regioni a statuto ordinario, di
cui al primo periodo, e' incrementato di 3.452 milioni di euro
annui in ambiti di spesa e per importi complessivamente
proposti, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in
sede di autocoordinamento dalle regioni da recepire con intesa
sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro
il 31 gennaio 2015. A seguito della predetta intesa sono
rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti
individuati e le modalita' di acquisizione delle risorse da
parte dello Stato. In assenza di tale intesa entro il predetto
termine del 31 gennaio 2015, si applica quanto previsto al
secondo periodo, considerando anche le risorse destinate al
finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale.»
(15) E cio', peraltro, in evidente contrasto con il criterio
stabilito da questa ecc.ma Corte nella sentenza n. 79 del 2014,
dove, in relazione all'art. 16 del decreto-legge n. 95 del 2012,
ha precisato che un taglio alle risorse regionali applicato in
misura proporzionale anche alle spese sostenute per i consumi
intermedi, nel senso di imporre maggiori riduzioni a quelle
Regioni che abbiano effettuato maggiori spese per i suddetti
consumi intermedi, realizza «un effetto perequativo implicito,
ma evidente, che discende dal collegare la riduzione dei
trasferimenti statali all'ammontare delle spese per i consumi
intermedi, intese quali manifestazioni, pur indirette, di
ricchezza delle Regioni». In questi termini la sentenza n. 79
del 2014 ha ritenuto che «una simile misura perequativa.
tuttavia, contrasta con l'art. 119 Cost. in quanto non soddisfa
i requisiti ivi prescritti, in particolare al terzo ed al quinto
comma». E' indubitabile che il criterio del PII regionale assume
la stessa valenza perequativa vietata del tutto analoga a quella
della spesa per consumi intermedi.
(16) La sentenza, infatti, solo dopo aver esplicitato le affermazioni
piu' generali riportate di seguito nel testo del ricorso,
precisa che l'ulteriore argomentazione, che e' relativa solo
alle autonomie speciali che auto finanziano il sistema
sanitario, e' solo aggiuntiva a quanto in precedenza afferma.
Precisa, infatti: «A tale argomento si aggiunge il rilevo che,
ai sensi dell'art. 34, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n.
724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), «La
regione Valle d'Aosta e le province autonome di Trento e Bolzano
provvedono al finanziamento del Servizio sanitario nazionale nei
rispettivi territori, senza alcun apporto a carico del bilancio
dello Stato [...]». Dunque, come meglio chiarito in prosieguo,
lo Stato non ha comunque titolo per dettare norme di
coordinamento finanziario che definiscano le modalita' di
contenimento di una spesa sanitaria interamente sostenuta da
tali enti».
(17) V. Carbone, La responsabilita' del medico pubblico dopo la legge
Balduzzi, in Danno e resp., 2013, IV, p. 392.
(18) Art. 1, comma 556, della legge n. 190 del 2014: «556. Il livello
del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui
concorre lo Stato e' stabilito in 112.062.000.000 euro per
l'anno 2015 e in 115.444.000.000 euro per l'anno 2016, salve
eventuali rideterminazioni in attuazione dell'art. 46, comma 6,
del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con
modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, come
modificato dal comma 398 del presente articolo, in attuazione di
quanto previsto dall'art. 1, comma 1, del Patto per la salute.»
(19) Peraltro il criterio dei costi standard e' stato ora inserito
anche nella riforma costituzionale in discussione in Parlamento,
nell'art. 119 Cost., dove, per evitare inglesismi nella
Costituzione, si e' fatto riferimento a «indicatori di
riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni
di efficienza».
P. Q. M.
La Regione del Veneto chiede che l'Ecc.ma Corte costituzionale
dichiari l'illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni
del decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78 recante «Disposizioni urgenti
in materia di enti territoriali», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
n. 188 del 14 agosto 2015, come convertito con modificazioni dalla
legge 6 agosto 2015, n. 125 (in S.O. n. 49, relativo alla Gazzetta
Ufficiale 14 agosto 2015, n. 188):
art. 5, commi da 1 a 6, per violazione degli articoli 117,
III e IV comma, 118 della Costituzione, nonche' del principio di
leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.;
art. 7, comma 9-quinquies, per violazione degli articoli 3,
5, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione e del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.;
art. 9-bis, per violazione degli articoli 3, 5, 32, 97, 117,
II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione e del principio di
leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.;
art. 9-ter, commi 1, 2, 3, 4, 5, 8 e 9, per violazione degli
articoli 3, 5, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della
Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui
all'art. 120 Cost.;
art. 9-quater, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7, per violazione degli
articoli 3, 5, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della
Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui
all'art. 120 Cost.;
art. 9-septies, commi 1 e 2, per violazione degli articoli 3,
5, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost., nonche'
dell'art. 5, lett. g), della legge cost. n. 1 del 2012 e dell'art. 11
della legge n. 243 del 2013.
Si depositano:
1) delibera della Giunta Regionale n. 1220 del 28 settembre
2015, di autorizzazione a proporre ricorso e affidamento
dell'incarico di patrocinio per la difesa regionale;
2) accordo tra il Governo e le Regioni sentite le
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, ai sensi
dell'art. 1, comma 91, della legge 7 aprile 2014 n. 56 concernente
l'individuazione delle funzioni di cui al comma 89 (dello stesso
articolo) oggetto del riordino e delle relative competenze,
Repertorio atti n. 106/CU dell'11 settembre 2014;
3) intesa sullo schema di decreto del Ministro per la
semplificazione e la pubblica amministrazione contenente i criteri
per l'attuazione delle procedure di mobilita' riservate al personale
a tempo indeterminato degli enti di area vasta ai sensi dell'art. 30,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Repertorio
atti 89/CU del 30 luglio 2015.
4) deliberazione n. 17/2015 della Sezione autonomie della
Corte dei Conti «Il riordino delle Province. Aspetti ordinamentali e
riflessi finanziari»;
5) World Health Report 2000 a cura della World Health
Organization;
5-bis) rapporto OECD Health Statistics 2014;
6) documento finale delle Commissioni riunite V e XII della
Camera dei Deputati, approvato nell'ambito dell'Indagine conoscitiva
sulla sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema
sanitario e obiettivi di finanza pubblica, del 4 giugno 2014;
6-bis) relazione della 12° Commissione permanente (igiene e
sanita') del Senato della Repubblica sullo Stato e sulle prospettive
del servizio sanitario nazionale e sulle prospettive del servizio
sanitario nazionale, nell'ottica della sostenibilita' del sistema e
della garanzia dei principi di universalita', solidarieta' ed
equita', 23 giugno 2015;
7) relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria
degli enti territoriali, Deliberazione n. 29 del 29 dicembre 2014;
8) primo rapporto Copaff, Condivisione tra i livelli di
governo dei dati sull'entita' e la ripartizione delle misure di
consolidamento della finanza pubblica, del 16 gennaio 2014, approvato
dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza
pubblica in data 14 febbraio 2014;
9) Cinsedo, Tabella sulla spesa complessiva per beni e
servizi delle Regioni, 2013;
10) nota Cinsedo del 6 novembre 2014.
Venezia-Roma, 8 ottobre 2015
Avv. Ezio Zanon
Avv. prof. Luca Antonini
Avv. Luigi Manzi