Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 19 giugno  2012  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
 (GU n. 32 del 08.08.2012 )  
 
 
 
    Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri,  rappresentato
e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso  i  cui
uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro la Regione Lazio, in persona del Presidente  della  Giunta
p.t., per la declaratoria di incostituzionalita' (degli art. 1, 2, 3,
6, 9 e 10 della legge regionale 28 marzo 2012 n.  1,  pubblicata  nel
B.U.R. n. 14 del 14 aprile 2012 avente ad oggetto  «Disposizioni  per
il sostegno dei sistemi di qualita'  e  tracciabilita'  dei  prodotti
agricoli e agroalimentari. Modifica alla legge regionale  10  gennaio
1995, n. 2», giusta delibera del Consiglio dei  Ministri  in  data  7
giugno 2012. 
    1. La legge della Regione Lazio 28 marzo 2012 n. 1,  composta  di
13 articoli, detta - fra l'altro - disposizioni per il  sostegno  dei
sistemi  di  qualita'  e  tracciabilita'  dei  prodotti  agricoli   e
agro-alimentari. 
    Detta legge presenta profili di illegittimita' costituzionale  in
relazione alle disposizioni  che,  istituendo  un  marchio  regionale
collettivo di qualita'  per  garantire  l'origine,  la  natura  e  la
qualita'  valorizzare  i  prodotti  agricoli  ed  agroalimentari,  si
pongono in conflitto con il diritto dell'Unione europea e, quindi, in
violazione dell'art. 117, comma 1 della Costituzione,  che  richiede,
nell'esercizio della potesta' legislativa, il  rispetto  dei  vincoli
derivanti  dall'ordinamento  comunitario;  dette  norme  si  pongono,
altresi' in contrasto con l'art. 120 Cost. 
    2. L'illegittimita' costituzionale riguarda, in particolare: 
        l'art. 1, commi 1 e 2, che istituiscono un «marchio regionale
collettivo di qualita'» al fine  di  incentivare  e  valorizzare  «la
promozione della cultura economica tipica regionale»: il  riferimento
alla  valorizzazione  della  cultura  «tipica  regionale»  induce   a
ritenere che l'ambito di applicazione della legge sia circoscritto ai
prodotti provenienti dalla medesima regione; 
        l'art. 2 (Marchio regionale collettivo di qualita') che,  nel
rimettere  ad   una   deliberazione   della   Giunta   regionale   la
determinazione dei prodotti agricoli ed agroalimentari  da  ammettere
all'uso del marchio  e  la  adozione  dei  relativi  disciplinari  di
produzione,  non  esclude  che  il  marchio  regionale  possa  essere
utilizzato per favorire i prodotti originari della regione Lazio; 
        l'art. 3, comma 1, lettere a), b), c) ed e), nella  parte  in
cui rinvia ad un regolamento della Giunta per la  definizione,  oltre
che della denominazione  e  delle  caratteristiche  ideografiche  del
marchio  (lett.  a),  anche  «dei  criteri  e  delle   modalita'   di
concessione  in  uso  del  marchio  regionale,  nonche'  i  casi   di
sospensione, decadenza o revoca della concessione stessa» (lett.  b),
delle modalita' di uso  del  marchio  (lett.  c)  e  delle  procedure
semplificate per l'ammissione all'uso del marchio  stesso;  la  norma
regionale,  infatti,  non  delinea  con  sufficiente  precisione   le
caratteristiche attestate dal marchio e, in particolare, non  esclude
che il marchio  possa  essere  rilasciato  a  prodotti  fabbricati  o
costruiti nel Lazio, con conseguente lesione al principio  di  libera
circolazione delle merci; 
        l'art. 9, secondo cui il marchio regionale non e' concesso  o
e' revocato per i prodotti «provenienti da aziende non in regola  con
i contratti collettivi  nazionali  del  lavoro  o  con  la  normativa
vigente in materia di sicurezza  sul  lavoro»  (lettera  a),  nonche'
provenienti da «aziende, singole o associate, non in  regola  con  la
certificazione  antimafia».  Laddove  la   normativa   subordina   la
concessione del marchio al rispetto  di  normative  nazionali,  quali
quella in materia di certificazione antimafia, ovvero al rispetto  di
contratti collettivi nazionali di  lavoro,  essa  si  traduce  in  un
ostacolo all'accesso al marchio da parte delle imprese  stabilite  in
altri Stati membri, andando cosi' a ledere il  principio  comunitario
della libera circolazione delle merci. 
        gli artt.: 1, comma 2, lett. c), 6 e 10, nella parte  in  cui
essi fanno riferimento alla concessione di  contributi  in  relazione
all'istituendo marchio regionale di qualita': queste norme si pongono
in contrasto con il diritto europeo, in quanto sono  suscettibili  di
favorire prodotti di origine nazionale rispetto a prodotti  originari
di altri Stati Membri. 
    3. Le ragioni a base della eccepita illegittimita' costituzionale
sono comuni alle disposizioni teste' richiamate  e  vengono  pertanto
sviluppate congiuntamente, in riferimento agli art. 117, comma  1,  e
120 Cost. 
    3.1 Come ha avuto modo di sottolineare in  diverse  occasioni  la
Corte di Giustizia, una legislazione nazionale che regoli o  applichi
misure  di  marcatura  di  origine,  siano  i  marchi  obbligatori  o
volontari, e' contraria agli obiettivi del mercato  interno,  perche'
puo' rendere piu' difficile la vendita  in  uno  Stato  membro  della
merce prodotta in un  altro  Stato  membro,  ostacolando  gli  scambi
intracomunitari e facendo cosi' venir meno  i  benefici  del  mercato
interno. 
    In  particolare,  con  decisione  del  5  novembre  2002   (causa
C-325/00) la Corte ha - in caso analogo al presente  -  censurato  la
Repubblica Federale di Germania,  per  aver  violato  l'art.  30  del
Trattato (ora art. 28) con la concessione  del  marchio  di  qualita'
«Markenqualität  aus  deutschen  Landen»  (qualita'  di  marca  della
campagna  tedesca)  sottolineando  che  la  provenienza  tedesca  dei
prodotti interessati «puo' indurre  i  consumatori  ad  acquistare  i
prodotti  che  portano  il  marchio  (...)  escludendo   i   prodotti
importati». Nella sentenza, la Corte ha ritenuto che  un  sistema  di
marcatura, seppure facoltativo, nel momento in cui esso e' imputabile
ad un ente pubblico puo'  avere  effetti  potenzialmente  restrittivi
sulla libera  circolazione  delle  merci  tra  Stati  membri  ed,  in
conseguenza, sulla concorrenza nel mercato  interno;  questo  perche'
l'uso del marchio «favorisce o e' atto  a  favorire  lo  smercio  dei
prodotti  in  questione  rispetto  ai  prodotti   che   non   possono
fregiarsene». 
    In senso conforme anche la decisione della Corte di Giustizia del
7 maggio 1997, cause riunite da C-321-94 a C-324-94, Pistre e  altri,
che, relativamente all'utilizzazione  della  denominazione  «prodotti
della montagna francese»,  ha  affermato  l'assimilabilita'  di  tale
segno ad una indicazione di provenienza e, in quanto  tale,  operante
come un marchio di qualita' diretto a  promuovere  i  prodotti  delle
zone montane. Ad avviso della Corte, l'uso della dicitura  «montagna»
accompagnata    da    aggettivazioni    nazionali,    ha    carattere
discriminatorio nei confronti  dei  prodotti  importati  dagli  altri
Stati membri, se riservata ai soli prodotti nazionali ed elaborati  a
partire da materie prime nazionali, ed e' percio'  incompatibile  con
Part. 34 del Trattato. 
    Ancora in materia di marchi regionali, con decisione 6 marzo 2003
(causa  C-6/02)  la  Corte  ha  affermato  la  responsabilita'  della
Repubblica Francese, la  quale  «non  avendo  posto  fine,  entro  il
termine  fissato  nel  parere  motivato,  alla  protezione  giuridica
nazionale concessa alla denominazione «Salaisons d'Auvergne»  nonche'
ai   marchi   regionali    «Savoie»,    «Franche-Comte'»,    «Corse»,
«Midi-Pyrenees»,  «Normandie»,  «Nord-Pas-de-Calais»,  «Ardennes   de
France», «Limousin», «Languedoc-Roussillon»  e  «Lorraine»  (...)  e'
venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in  forza  dell'art.  34
CEE». 
    Per quanto riguarda  l'Italia,  la  Commissione  europea  ha,  in
passato, contestato l'esistenza  di  marchi  di  qualita'  regionali,
avviando una procedura di  infrazione  relativamente  al  marchio  di
qualita' della Regione Sicilia (istituito con la legge  regionale  n.
14/1966) e quello della  regione  Abruzzo  (istituito  con  la  legge
regionale  n.  31/1982);  secondo  la   Commissione,   tali   marchi,
attribuibili soltanto ai prodotti trasformati o preparati all'interno
delle rispettive regioni e  realizzati  secondo  un  disciplinare  di
produzione  vincolante,  ricollegavano  la  qualita'   dei   prodotti
esplicitamente alla loro origine, abruzzese o siciliana,  ingenerando
nel consumatore l'impressione che i prodotti  provenienti  da  quelle
regioni  fossero  di  qualita'  superiore  rispetto  agli  altri   ed
inducendolo  ad  acquistare  quei  prodotti  piuttosto   che   quelli
provenienti da altri Stati membri, in tal modo ostacolando gli scambi
intracomunitari. Convenuta l'Italia davanti alla Corte  di  Giustizia
(causa C-430/02), la causa e' stata  cancellata  dal  ruolo  solo  in
seguito all'abrogazione da parte  delle  Regioni  delle  disposizioni
contestate. 
    In applicazione di questi principi,  nella  recente  sentenza  12
aprile 2012, n. 86, la Corte Costituzionale ha cosi' deciso  un  caso
analogo  a  quello  oggetto  del   presente   ricorso,   pronunciando
l'illegittimita' costituzionale  di  identiche  norme  di  una  legge
regionale delle Marche, in relazione all'art. 117, comma 1, Cost.  ed
agli art. 34-36 TFUE, osservando che: «Dalle suddette disposizioni si
evince il rilievo centrale che, nella disciplina del  mercato  comune
delle merci, ha il divieto di restrizioni quantitative degli scambi e
di misure di effetto equivalente, concernente  sia  le  importazioni,
sia le esportazioni. In particolare, la giurisprudenza della Corte di
giustizia dell'Unione europea  ha  elaborato  una  nozione  ampia  di
«misura di effetto  equivalente»,  nozione  riassunta  nel  principio
secondo cui «ogni normativa commerciale degli Stati membri che  possa
ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in  potenza,  gli
scambi intracomunitari va considerata  come  una  misura  di  effetto
equivalente a restrizioni quantitative» (Corte di giustizia, sentenza
11 luglio 1974, in causa 8/1974, Dassonville contro Belgio). 
    ...Ad avviso della Corte, la disciplina controversa aveva, quanto
meno potenzialmente, effetti restrittivi  sulla  libera  circolazione
delle  merci  fra  Stati  membri.  Infatti  una  simile   disciplina,
introdotta al fine di promuovere la commercializzazione dei  prodotti
agroalimentari  realizzati  in   Germania   ed   il   cui   messaggio
pubblicitario  sottolineava  la  provenienza  tedesca  dei   prodotti
interessati, poteva indurre i consumatori ad  acquistare  i  prodotti
recanti il marchio CMA, escludendo i prodotti importati. 
    ...Pertanto, sussiste la denunziata violazione dei vincoli  posti
dall'ordinamento dell'Unione europea e,  per  conseguenza,  dell'art.
117, primo comma, Cost.» 
    E' innegabile, nella specie, il contrasto delle  norme  in  esame
con quanto disposto, fra l'altro, dagli arti. 34 e 35  del  TFUE  che
fanno divieto agli  Stati  membri  di  porre  in  essere  restrizioni
quantitative all'importazione ed all'esportazione, nonche'  qualsiasi
misura di effetto equivalente, integrando l'istituzione di un marchio
di qualita' da parte di uno Stato o di una  Regione  una  «misura  ad
effetto equivalente» contraria al  disposto  delle  richiamate  norme
comunitarie. 
    Se gli Stati  membri  stessi,  o  al  loro  interno  le  Regioni,
sostengono una etichetta di qualita' ed origine, come chiarito  dalla
Corte di Giustizia, tale attivita' ha, infatti, potenzialmente  degli
effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci  tra  Stati
membri   poiche'   mira   a   promuovere   ed   a   privilegiare   la
commercializzazione di prodotti realizzati in taluni paesi o regioni,
inducendo i consumatori ad acquistare tali prodotti  anziche'  quelli
importati o di provenienza da altri Stati membri o Regioni. 
    Quando titolare del marchio collettivo e'  un  soggetto  privato,
qualunque siano le regole previste  dal  relativo  disciplinare  (ivi
comprese  le  regole  sull'origine  dei  prodotti),  non   sussistono
implicazioni rispetto ai principi comunitari. La situazione e' invece
diversa qualora titolare del marchio sia un ente pubblico,  come  nel
caso di specie. Per la Corte di Giustizia e',  invero,  incompatibile
con il mercato unico,  proprio  in  base  agli  artt.  34  e  35  del
Trattato, la presunzione di qualita' legata alla  localizzazione  nel
territorio nazionale o regionale di tutto o  di  parte  del  processo
produttivo, la quale per cio' stesso limita o svantaggia un  processo
produttivo le cui fasi si svolgano in tutto o in parte in altri Stati
membri  (a  tale  principio  fanno  eccezione  unicamente  le  regole
relative  alle  denominazioni  di  origine  e  alle  indicazioni   di
provenienza, DOP, IGP). 
    3.2 Le suddette norme regionali, oltre a porsi in  contrasto  con
l'art. 117, comma 1, della Costituzione, per inosservanza dei vincoli
derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, si presentano inoltre
in contrasto con l'art. 120, comma 1, della Costituzione,  in  quanto
la misura adottata dalla regione Lazio potrebbe ostacolare la  libera
circolazione delle merci anche  all'interno  del  mercato  nazionale,
inducendo i consumatori a preferire i  prodotti  laziali  rispetto  a
quelli provenienti da altre Regioni, in dispregio di uno dei principi
cardine della nostra Costituzione, oltre che dell'Unione europea. 
    Soccorrono in proposito le medesime considerazioni  che  si  sono
sopra  espresse  in  relazione  alla  violazione   della   disciplina
comunitaria. 
    Cosi' come l'istituzione del marchio regionale vale ad ostacolare
il libero scambio delle merci in seno al mercato comunitario  interno
violando  le  rammentate  disposizioni  comunitarie,  altrettanto  la
predetta  istituzione  produce  all'interno  del  mercato   nazionale
violando il principio del libero scambio delle  merci  tra  le  varie
Regioni, tutelato dall'art. 120 Cost. 
    I consumatori attratti da un particolare marchio, legato  ad  una
specifica  Regione,  sono  inevitabilmente  portati  ad  escludere  i
prodotti da esso non contrassegnati e che provengono da altre Regioni
pregiudicando, per l'effetto, la circolazione delle merci. 
    Un sistema di marcatura, seppure facoltativo, nel momento in  cui
e' imputabile ad un ente pubblico puo' avere  effetti  potenzialmente
restrittivi sulla libera circolazione delle merci perche'  l'uso  del
marchio favorisce o e' atto a favorire lo  smercio  dei  prodotti  in
questione rispetto ai prodotti che non possono fregiarsene. 
 
 
                              P. Q. M. 
 
    Si chiede che la Corte  costituzionale  adita  voglia  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 6, 9 e 10  della
legge regionale del Lazio 28 marzo 2012 n. 1, pubblicata  nel  B.U.R.
n. 14 del 14 aprile 2012, avente  ad  oggetto  «Disposizioni  per  il
sostegno dei  sistemi  di  qualita'  e  tracciabilita'  dei  prodotti
agricoli e agroalimentari. Modifica alla legge regionale  10  gennaio
1995, n. 2», per violazione dell'art. 117, comma 1, e  dell'art.  120
della Costituzione. 
    Si produrra' copia della delibera del Consiglio dei Ministri. 
 
      Roma, addi' 7 giugno 2012 
 
                  L'avvocato dello Stato: Albenzio 

 

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