Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 22 ottobre 2015 (della Regione Umbria) .
 
 (GU n. 51 del 2015-12-23)

    Ricorso nell'interesse  della  Regione  Umbria  (codice  fiscale:
…), con sede in 06123 Perugia (PG), Corso Vannucci  n.  96,
in persona del Vice-Presidente pro  tempore  della  Giunta  Regionale
dott. Fabio Paparelli, giusta procura speciale a margine del presente
atto nonche' in forza della delibera  della  Giunta  regionale  della
Regione Umbria 12 ottobre  2015,  n.  1147,  rappresentata  e  difesa
dall'avv. prof. Massimo Luciani  (codice  fiscale:  …;
fax:      …;      posta      elettronica       certificata:
…)  e  dell'avv.  Paola   Manuali
(codice fiscale: …; fax …;  posta  elettronica
certificata:  …)  ed  elettivamente
domiciliata presso lo studio del primo  in  00153  Roma,  Lungotevere
Raffaello Sanzio n. 9,
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente  del  Consiglio  pro  tempore,  rappresentato   e   difeso
dall'Avvocatura Generale dello Stato, nella cui sede in  00186  Roma,
Via dei Portoghesi n. 12, e' domiciliato ex lege,
    Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale all'art. 7,
comma 9-sexies, del d.l. 19  giugno  2015,  n.  78,  convertito,  con
modificazioni, in legge 6  agosto  2015,  n.  125,  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale n. 188 del 14 agosto 2015, S.O.
 
                              F a t t o
 
    1.  -   Prima   di   esporre   le   ragioni   dell'illegittimita'
costituzionale  della  disposizione  censurata  e'   necessaria   una
sintetica descrizione del contesto in cui essa si  inserisce.  Ne  e'
elemento  essenziale  l'istituto  del  «PAC  -  Piano  di  Azione   e
Coesione».
    Si tratta di uno strumento che e'  stato  istituito  al  fine  di
accelerare l'attuazione dei programmi cofinanziati dal Fondo  europeo
di sviluppo regionale per il  settennato  2007-2013.  Come  e'  noto,
l'Unione  europea  promuove  «il  rafforzamento  della  sua  coesione
economica, sociale e territoriale» (art. 174 TFUE)  anche  attraverso
«fondi  a  finalita'   strutturale   (Fondo   europeo   agricolo   di
orientamento e di garanzia,  sezione  "orientamento",  Fondo  sociale
europeo, Fondo europeo di sviluppo regionale), la Banca  europea  per
gli investimenti e gli altri strumenti  finanziari  esistenti»  (art.
175 TFUE). In particolare, «il Fondo europeo di sviluppo regionale e'
destinato a contribuire  alla  correzione  dei  principali  squilibri
regionali  esistenti  nell'Unione,  partecipando  allo   sviluppo   e
all'adeguamento strutturale delle  regioni  in  ritardo  di  sviluppo
nonche' alla riconversione  delle  regioni  industriali  in  declino»
(art. 176 TFUE).
    Cio' detto, al fine di  colmare  i  ritardi  nell'attuazione  dei
programmi di spesa  per  il  settennato  2007-2013  e  di  rafforzare
l'efficacia degli interventi, il Governo italiano,  con  lettera  del
Presidente del Consiglio dei ministri al Presidente della Commissione
Europea e al Presidente del Consiglio Europeo del 26 ottobre 2011, ha
comunicato l'avvio del procedimento per la revisione  dei  contributi
del FESR all'Italia. Tale revisione, si legge nella lettera,  «potra'
comportare una riduzione del tasso di cofinanziamento  nazionale  dei
programmi comunitari», generando risorse che, «resesi  disponibili  a
seguito  di  questa  riduzione,  saranno  programmate  attraverso  un
percorso di concertazione tra il Ministro delegato alle politiche  di
coesione, il Commissario europeo competente e le Regioni  interessate
basato su una cooperazione  rafforzata  con  la  Commissione  europea
attraverso un apposito gruppo di azione».
    La proposta del Governo italiano e' stata valutata favorevolmente
al Consiglio europeo di Bruxelles del 23-26  ottobre  2011.  Come  si
legge nelle Conclusioni della Presidenza e dichiarazione dei Capi  di
Stato e di Governo dell'Eurozona adottate all'esito dei lavori, preso
atto che «il Fondo europeo  di  sviluppo  regionale  e'  destinato  a
contribuire  alla  correzione  dei  principali  squilibri   regionali
esistenti nell'Unione, partecipando allo sviluppo  e  all'adeguamento
strutturale  delle  regioni  in  ritardo  di  sviluppo  nonche'  alla
riconversione  delle  regioni  industriali  in  declino»,   i   Paesi
dell'Area  Euro   hanno   dichiarato   di   sostenere   «l'intenzione
dell'Italia di rivedere i programmi  relativi  ai  fondi  strutturali
ridefinendo le priorita' dei progetti e concentrando l'attenzione  su
istruzione, occupazione, agenda digitale e ferrovie/reti  allo  scopo
di migliorare le condizioni per un  rafforzamento  della  crescita  e
affrontare il divario regionale».
    2. - In conformita' alle Conclusioni sopra riportate, il  Governo
ha definito, in accordo con la Commissione (ai sensi dell'articolo 33
del regolamento CE n. 1083/2006, oggi abrogato, ma  che  disciplinava
il funzionamento del FESR), una riprogrammazione  delle  risorse  dei
fondi  strutturali,  con  una  diversa  percentuale  della  quota  di
cofinanziamento  comunitario.  Il  contributo  comunitario  e'  stato
elevato dall'originario 50 al 75 per cento delle risorse erogate, con
corrispondente riduzione della quota di cofinanziamento nazionale.
    Per  l'impiego  delle  risorse  cosi'  liberate  il  Governo   ha
stipulato l'accordo del 3 novembre 2011, denominato «Piano  Nazionale
per il Sud: Sud 2020» con le Regioni Abruzzo,  Basilicata,  Calabria,
Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, concernente - appunto -
la rimodulazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali. In
questo accordo, in ossequio all'art. 176 TFUE, all'art. 119  Cost.  e
all'intesa raggiunta con la Commissione europea, il riutilizzo  delle
risorse  liberate  dal  FESR  e'  stato  vincolato  al  principio  di
territorialita' (cfr. art.  2  dell'accordo:  «Le  rimodulazioni  dei
programmi   potranno   prevedere   la   revisione   del   tasso    di
cofinanziamento comunitario a condizione che  le  risultanti  risorse
nazionali siano vincolate al riutilizzo nel  rispetto  del  principio
della territorialita'»).
    In ossequio a tale principio  e'  stato  istituito  il  Piano  di
Azione e Coesione, inteso ad  investire  sul  territorio  le  risorse
liberate dagli obiettivi del FESR.
    3. - Successivamente, a causa delle difficolta' nella conclusione
dei rispettivi programmi di sviluppo regionale, anche  altre  Regioni
hanno aderito al PAC. Una di esse e' la ricorrente Regione Umbria. Il
procedimento di adesione al PAC e' stato scandito dai seguenti atti:
        i) con la proposta  del  4  giugno  2014  lo  Stato  italiano
chiedeva la revisione del programma FESR  2007-2013  per  la  Regione
Umbria (tanto risulta dal documento di cui al numero che segue);
        ii)  tale  proposta  veniva  accolta  dalla  Commissione  con
Decisione 28 agosto 2014, C(2014) 6163;
        iii) la Giunta regionale, con deliberazione 31 ottobre  2014,
n.  1340  (quindi  assai  sollecitamente),  adottava  il   «programma
parallelo» al POR FESR 2007-2013;
        iv) con Nota prot. n. 145702 del 5 novembre 2014, la  Regione
trasmetteva il «programma parallelo» ai competenti uffici «Gruppo  di
Azione e Coesione» del Dipartimento per lo  Sviluppo  e  la  coesione
economica del Ministero del Tesoro;
        v) con  Nota  del  13  novembre  2014,  prot.  n.  10707,  il
Presidente del Gruppo di Azione e Coesione  comunicava  alla  Regione
l'adesione  al  PAC,  trasmettendo  «il  quadro   finanziario   degli
interventi a titolarita'» della Regione;
        vi) infine, con d.m. 22 dicembre 2014, n.  61,  il  Ministero
dell'economia e delle finanze destinava le  risorse  derivanti  dalla
riduzione della quota di cofinanziamento statale per i programmi FESR
20072-2013 al PAC, per  interventi  in  favore  (tra  l'altro)  della
Regione  Umbria  (si  tratta  degli  interventi  indicati  nel   c.d.
«programma parallelo» al POR FESR 2007- 2013).
    4. - E' in questo contesto che l'art. 1, comma 122,  della  legge
23 dicembre 2014, n. 190  (legge  di  stabilita'  per  il  2015),  ha
previsto (nella formulazione originale) che «al  finanziamento  degli
incentivi di cui ai commi 118 e 121 si provvede, quanto a 1  miliardo
di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni  di
euro per l'anno 2018, a valere sulla corrispondente  riprogrammazione
delle risorse del Fondo di rotazione  di  cui  all'articolo  5  della
legge 16 aprile 1987, n. 183,  gia'  destinate  agli  interventi  del
Piano di azione coesione, ai sensi dell'articolo 23, comma  4,  della
legge 12 novembre 2011, n. 183, che, dal sistema di monitoraggio  del
Dipartimento della Ragioneria  generale  dello  Stato  del  Ministero
dell'economia e delle finanze, risultano non  ancora  impegnate  alla
data del 30 settembre 2014».
    Il legislatore statale, dunque, distraeva alcuni  fondi  dal  PAC
per destinarli a interventi di incentivazione fiscale e  contributiva
(previsti, appunto, dai commi 118 e  121  dell'unico  articolo  della
medesima legge di stabilita').
    Come si e' visto, pero',  «alla  data  del  30  settembre  2014»,
l'odierna ricorrente Umbria ancora non aveva aderito al PAC,  sicche'
tale disposizione  di  legge  risultava  inapplicabile  alla  Regione
Umbria (e, dunque, non poteva essere  lesiva  dei  suoi  interessi  e
delle sue attribuzioni costituzionali).
    5. - Da ultimo, pero', l'art. 7,  comma  9-sexies,  del  d.l.  19
giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 6  agosto
2015, n. 125, sopravvenuto dopo l'adesione della  Regione  Umbria  al
PAC, ha novellato il riportato comma 122, sostituendo le parole «alla
data del 30 settembre 2014» con le parole «alla data  di  entrata  in
vigore della presente legge» (ossia al 1° gennaio 2015).
    Ne e' conseguita l'applicabilita', anche alla Regione Umbria, del
meccanismo  di  distrazione  dei  fondi  inizialmente   destinati   a
finanziare il «programma parallelo» al POR  FESR  2007-2013,  nonche'
l'impossibilita' di dare  attuazione  agli  interventi  di  cui  alla
menzionata DGR 31 ottobre 2014, n. 1340.
    L'art. 7, comma  9-sexies,  del  d.l.  19  giugno  2015,  n.  78,
convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto  2015,  n.  125,  e'
lesivo degli interessi  e  delle  attribuzioni  costituzionali  della
Regione  Umbria,  che  ne  chiede  la  declaratoria  d'illegittimita'
costituzionale per i seguenti motivi di
 
                            D i r i t t o
 
    1. - Violazione degli  artt.  11,  117  e  119  Cost.,  anche  in
riferimento agli artt. 175  e  176  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea, alla  decisione  della  Commissione  europea  28
agosto 2014, C(6163), nonche' all'accordo  Stato-Regioni  3  novembre
2011. Violazione del principio di leale collaborazione.
    La disposizione censurata, nell'estendere l'ambito  temporale  di
applicazione dell'art. 1, comma 122, della legge  n.  190  del  2014,
sortisce l'effetto di sottoporre anche le risorse destinate  al  c.d.
«programma parallelo» al POR FESR 2007-2013 (e  comprese  nell'ambito
del Programma di Azione e Coesione) alla distrazione a  favore  degli
interventi previsti ai commi 121 e 118  del  medesimo  art.  1  della
legge n. 190 del 2014.
    Ai sensi dei  predetti  commi  118  e  121,  invero,  le  risorse
sottratte al «programma parallelo» della  Regione  Umbria  verrebbero
impiegate per finanziare alcune misure di  incentivazione  fiscale  e
contributiva per i lavoratori neoassunti. In questo modo, le  risorse
gia'  destinate  a  interventi  di   natura   perequativa   su   base
territoriale sarebbero distolte per finanziare misure che  non  hanno
alcun carattere di solidarieta'  territoriale  su  base  nazionale  e
regionale.
    Tale circostanza determina anzitutto la violazione dell'art.  119
Cost., commi 3 e 5, che  disciplinano  l'intervento  perequativo  del
legislatore statale.
    Come ha piu' volte ricordato l'Ecc.ma Corte costituzionale,  «gli
interventi statali fondati sulla differenziazione tra Regioni,  volti
a rimuovere gli squilibri economici  e  sociali,  devono  seguire  le
modalita' fissate dall'art. 119, quinto comma, Cost.» (sentt. nn.  46
del 2013 e 284 del 2009). Si e' anche affermato - ed e' cio' che piu'
rileva in relazione  alla  disposizione  censurata  -  che,  «ove  le
risorse acquisite siano destinate ad un apposito  fondo  perequativo,
esse  devono  essere  indirizzate  ai  soli  "territori  con   minore
capacita' fiscale per abitante"» (sent. n. 76 del 2014).
    Ne consegue che sono illegittime le disposizioni di legge statale
che «non contengono alcun indice da cui possa trarsi  la  conclusione
che le risorse in tal modo acquisite  siano  destinate  ad  un  fondo
perequativo indirizzato  ai  soli  "territori  con  minore  capacita'
fiscale per abitante" (art. 119, terzo comma, Cost.),  ne'  che  esse
siano volte a fornire quelle "risorse aggiuntive", che lo Stato - dal
quale, peraltro, dovrebbero  provenire  -  destina  esclusivamente  a
"determinate" Regioni per "scopi diversi dal normale esercizio  delle
loro funzioni" (art. 119, quinto comma, Cost.: ex plurimis,  sentenze
n. 273 del 2013; n. 451 del 2006; n. 107 del 2005; n. 423, n. 320, n.
49 e n. 16 del 2004), con riferimento a specifici ambiti territoriali
e/o a particolari categorie svantaggiate» (sent. n. 76 del 2014).
    Anche  nel  caso  di   specie,   infatti,   «dal   tenore   delle
disposizioni» in  oggetto  «emerge  esclusivamente  che  il  maggiore
sacrificio  imposto  alle   Regioni   [...]   si   risolve   in   una
corrispondente maggiore riduzione dei trasferimenti statali, ove  non
addirittura nell'obbligo di restituzione di risorse  gia'  acquisite,
che vengono assicurate all'entrata del bilancio  dello  Stato,  senza
alcuna indicazione circa la  loro  destinazione»  (sent.  n.  76  del
2014).
    Va ancora aggiunto che l'Ecc.ma Corte ha anche affermato che, nel
disciplinare gli interventi perequativi dello Stato (e, dunque, anche
nell'intervenire sui fondi perequativi gia' attivi e  finanziati)  il
legislatore statale deve rispettare il «principio di tipicita'  delle
ipotesi e dei procedimenti attinenti alla perequazione regionale, che
caratterizza  la  scelta  legislativa  di  perequazione   "verticale"
effettuata in  sede  di  riforma  del  Titolo  V  della  Costituzione
mediante la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche  al
titolo V della parte  seconda  della  Costituzione)»,  principio  che
impone  che  gli  interventi  perequativi  siano  disciplinati  «solo
attraverso quei moduli legislativi e  procedimentali  non  collidenti
con il  dettato  dell'art.  119  Cost.»  (sent.  n.  176  del  2012).
Circostanza che, qui, non si verifica.
    1.2. - La sottrazione delle  risorse  dal  «programma  parallelo»
della Regione Umbria al Piano di Azione e Coesione e' anche violativa
degli artt. 11, 117, comma 1, e 119 Cost., in riferimento agli  artt.
175 e 176 TFUE, alla decisione della Commissione  europea  28  agosto
2014, C(6163), all'accordo «Piano Nazionale per il Sud: Sud 2020» del
3 novembre 2011.
    Come si e' illustrato in narrativa (parr. 2 e 3), il PAC (e,  per
la Regione Umbria, il «programma parallelo») e' lo strumento con  cui
lo Stato italiano collabora con  l'Unione  europea  per  lo  sviluppo
regionale, cofinanziando interventi di  coesione  territoriale  e  di
sostegno alle economie territoriali. Questa finalita', gia'  espressa
con la citata lettera del Presidente del Consiglio dei ministri  alle
istituzioni europee del 26 ottobre 2011 (in cui l'Italia si impegnava
a impiegare le risorse resesi disponibili a seguito  della  riduzione
della partecipazione ai programmi FESR  «attraverso  un  percorso  di
concertazione tra il Ministro delegato alle politiche di coesione, il
commissario europeo competente e le Regioni interessate»), ha trovato
espresso riconoscimento nel menzionato accordo del 3  novembre  2011,
in cui, come si  e'  gia'  osservato,  il  riutilizzo  delle  risorse
liberate dal FESR e' stato vincolato al principio di  territorialita'
(cfr. art. 2 dell'accordo: «Le rimodulazioni dei  programmi  potranno
prevedere la revisione del tasso  di  cofinanziamento  comunitario  a
condizione che le risultanti risorse  nazionali  siano  vincolate  al
riutilizzo nel rispetto del principio della territorialita'»).
    Come si e' visto, pero', il principio di territorialita' e' stato
completamente disatteso dal legislatore statale, il quale ha previsto
che  i  fondi  sottratti  al  PAC  (e,  a  causa  della  disposizione
censurata, anche al «programma parallelo» della Regione Umbria) siano
destinati a interventi di fiscalita' generale, privi di  qualsivoglia
connotazione territoriale.
    Di conseguenza, la disposizione censurata:
        i) e' violativa degli artt. 11, 117, comma  1,  Cost.,  nella
misura in cui consente allo Stato di sottrarsi agli obblighi  assunti
nei confronti dell'Unione europea, con la  quale  lo  Stato  italiano
aveva negoziato la diversa quota di  compartecipazione  ai  programmi
FESR, impegnandosi anche alla concertazione con le Regioni,
        e' violativa degli artt. 117 e 119 Cost., in quanto  consente
allo Stato di eludere gli  obblighi  contratti  nei  confronti  delle
Regioni che hanno sottoscritto l'accordo 3 novembre 2011  (o  che  vi
hanno aderito successivamente, attraverso la partecipazione  al  PAC,
come  ha  fatto  la  Regione  ricorrente  attraverso  il   «programma
parallelo»). La violazione  di  un  accordo  Stato-Regione,  infatti,
integra la violazione del principio di leale  collaborazione  e,  con
esso,  l'ingiustificata  e  irragionevole  lesione  delle  competenze
regionali, in quanto gli  accordi  e  le  intese  sono  i  principali
strumenti di attuazione del principio di leale collaborazione  (cfr.,
per tutte, la sent. Corte cost., n. 303 del 2003).
    2. - Violazione dell'art. 117, comma 3, Cost., in relazione  agli
artt.  3,  97  e  119  Cost.  Violazione  del  principio   di   leale
collaborazione.
    Come si e' gia' accennato, la disposizione censurata consente  la
sottrazione, dalla disponibilita' della Regione  Umbria,  di  risorse
gia'  stanziate  dallo  Stato  per  finanziare  il  c.d.   «programma
parallelo» della Regione Umbria al POR  FESR  2007-2013.  La  Regione
Umbria aveva programmato l'impiego di tali risorse con  deliberazione
31 ottobre 2014, n. 1340, nella quale erano indicati gli interventi e
i progetti da finanziare mediante il «programma parallelo».
    Parte delle risorse ivi contemplate, invece, viene ora  destinata
a finanziare interventi di natura fiscale  e  contributiva  su  scala
nazionale, senza alcuna connotazione perequativa  e  di  solidarieta'
territoriale.
    In tal modo,  pero',  lo  Stato  ha  anzitutto  esorbitato  dalla
competenza concorrente nella  materia  «coordinamento  della  finanza
pubblica», che, ai sensi dell'art.  117,  comma  3,  e'  limitata  ai
principi generali della materia, cosi'  usurpando  la  corrispondente
competenza regionale nell'ambito della disciplina di dettaglio.
    A tal proposito, l'Ecc.ma Corte ha ricordato che  lo  Stato  puo'
imporre un sacrificio  all'autonomia  finanziaria  regionale  purche'
esso: a) non impedisca alla Regione lo svolgimento delle funzioni  ad
essa confidate; b) sia ragionevolmente definito  nel  tempo;  c)  sia
indispensabile per il  conseguimento  degli  obiettivi  nazionali  di
finanza pubblica, generalmente connessi con  gli  obblighi  derivanti
all'Italia dalla partecipazione all'Unione europea (cfr. sent.  Corte
cost., n. 193 del 2012). Nel caso di specie, poi,  in  considerazione
del fatto che i fondi in oggetto erano gia' destinati a interventi di
perequazione territoriale, il titolo competenziale dello  Stato  puo'
sussistere solo se si verifica una quarta condizione, e cioe' che: d)
siano  rispettati  i  «moduli  legislativi  e   procedimentali»   che
assicurino la compatibilita'  dell'intervento  con  le  finalita'  di
perequazione territoriale.
    Nel  caso  di  specie,  per  le  ragioni  gia'  evidenziate,   le
condizioni  sopra  indicate  non  ricorrono,  sicche'  la  competenza
legislativa regionale nella materia del coordinamento  della  finanza
pubblica risulta vulnerata, con violazione dell'art.  117,  comma  3,
Cost.
    Quanto alla condizione sub a), in ragione della  norma  censurata
la Regione non puo' piu' esercitare le funzioni nei numerosi  settori
contemplati dal programma parallelo; quanto alla condizione  sub  b),
il taglio e' definitivo e riguarda tutte le annualita' del «programma
parallelo»  (e,  di  conseguenza,  tutte  le  annualita'  residue  di
svolgimento dei programmi FESR 2007-2013); quanto alla condizione sub
c), la legge statale non dimostra l'essenzialita'  della  distrazione
delle risorse al fine di raggiungere essenziali obiettivi di  finanza
pubblica, connessi alla  partecipazione  statale  all'Unione  europea
(sul dovere di dimostrare l'impatto finanziario delle leggi, si v. la
sent. Corte cost. n. 70 del 2015); quanto alla condizione sub d),  la
Regione e' stata assoggettata alla decurtazione senza alcuna garanzia
procedimentale,  ne'   sul   piano   legislativo,   ne'   su   quello
amministrativo.
    La lesione delle competenze regionali ex art. 117, comma 3, Cost.
non  si  apprezza  solo  nella  prospettiva  della  disciplina  della
perequazione territoriale (art. 119 Cost.), ma anche  in  quella  del
buon andamento della pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.)  e  del
principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in quanto la  sottrazione
delle  risorse  pregiudica  irragionevolmente  la  realizzazione  dei
progetti contenuti nel «programma  parallelo»  e  deliberati  con  la
menzionata DGR n. 1340/2013. Infatti: i) il piano degli interventi e'
ipso facto reso impossibile dal taglio  lineare  delle  risorse;  ii)
proprio  tale  sottrazione  di  risorse  in  modo  proporzionale  non
consente alla Regione di rimodulare efficacemente la propria  azione,
facendo si' che la pianificazione  degli  interventi  del  «programma
parallelo» possa conservare validita' e funzionalita'  rispetto  allo
scopo dei medesimi.
    Violato, infine, e' anche il principio di  leale  collaborazione,
perche' -  come  gia'  detto  -  la  disposizione  impugnata  non  ha
osservato alcuna delle garanzie procedimentali necessarie a fronte di
interventi riduttivi della finanza regionale.
    3. - Violazione degli artt. 5, 117, 118 e  119  Cost.  Violazione
del principio di leale collaborazione.
    Come si e' gia'  osservato,  con  la  disposizione  censurata  il
legislatore statale  ha  consentito  la  sottrazione  di  risorse  al
«programma parallelo»  di  interventi  sociali  di  competenza  della
Regione.  Considerate  le  finalita'  di   sostegno   alla   crescita
economico-sociale di tale «programma parallelo», e' evidente  che  la
regolamentazione,  la  gestione  e   l'esecuzione   del   «programma»
costituiscono esercizio non solo della potesta' legislativa regionale
concorrente nelle materie «coordinamento della  finanza  pubblica»  e
«ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione  per  i
settori produttivi», ma anche di quella residuale (ai sensi dell'art.
117,  comma  4,  Cost.)  nelle  materie  «formazione  professionale»,
«lavori  pubblici»,  «politiche   dell'occupazione»,   «trasporti   e
viabilita'», «assistenza sociale».
    Si deve considerare, invero, che le  materie  ora  elencate  sono
essenziali  per  gli  interventi  perequativi   e   di   riequilibrio
socio-territoriale. Da sempre, in particolare, la Regione  Umbria  e'
intervenuta con proprie leggi in detti settori, e proprio allo  scopo
di porre rimedio a situazioni di svantaggio  sociale  e  territoriale
(v. ad es., le leggi regionali nn. 25 del 2008, 4 e 17 del  2013,  3,
10  e  16  del  2014,  in  materia  di   sviluppo   dell'agricoltura,
dell'artigianato, di formazione professionale e continua, di sostegno
all'insediamento delle piccole e  medie  imprese,  etc.).  Non  solo:
proprio il «programma parallelo» elaborato  dalla  Regione  Umbria  e
approvato dai competenti uffici statali ha assunto tali materie  come
terreni privilegiati di  intervento.  Basta  pensare,  infatti,  agli
interventi intesi a:
        garantire l'accesso ad  internet  alle  scuole  e  alle  aree
pubbliche del territorio regionale e la connessione «a  banda  larga»
per i maggiori centri urbani;
        creare «poli di innovazione tecnologica»  per  consentire  lo
sviluppo di imprese che operano nell'ambito  della  ricerca  e  dello
sviluppo tecnologico;
        sviluppare poli d'attrazione  naturalistica  per  l'industria
turistica del territorio;
        potenziare il «turismo sostenibile», etc.
    Quelli segnalati, peraltro, sono stati indicati  come  principali
ambiti d'intervento  dei  PAC  (e,  di  conseguenza,  del  «programma
parallelo» della Regione Umbria)  dallo  stesso  legislatore  statale
che,  nel  disciplinare  il  fondo  di  rotazione  per  le  politiche
comunitarie (che fornisce le risorse al PAC),  vi  fa  confluire  «le
somme [...] aventi le stesse finalita' di quelle previste dalle norme
comunitarie da attuare» (art. 5 della legge 16 aprile 1987,  n.  183,
richiamata dall'art. 1, comma 122, della legge n. 190 del 2014).
    Si tratta, dunque, delle stesse «finalita'» del FESR,  le  quali,
ai sensi del Reg. CE, 5 luglio 2006, n. 1080/2006, «relativo al Fondo
europeo di sviluppo regionale», comprendono anche:
        «interventi destinati a rafforzare la  coesione  economica  e
sociale eliminando le principali disparita' regionali  attraverso  il
sostegno allo sviluppo e all'adeguamento strutturale  delle  economie
regionali, inclusa la  riconversione  delle  regioni  industriali  in
declino e delle regioni in ritardo di sviluppo» (art. 2);
        «investimenti produttivi che contribuiscono alla creazione  e
al mantenimento di posti di lavoro stabili, in primo luogo attraverso
aiuti diretti agli investimenti principalmente nelle piccole e  medie
imprese» (art. 3, comma 1, lett. a);
        «investimenti in infrastrutture» (lett. b);
        «sviluppo  di  potenziale  endogeno  attraverso  misure   che
sostengono lo sviluppo regionale e locale» (lett. c);
        «sostegno allo sviluppo economico sostenibile e integrato,  a
livello regionale e locale, e all'occupazione» (art. 4);
        «ricerca  e  sviluppo   tecnologico   (R&ST), innovazione e imprenditorialita', incluso il rafforzamento delle capacita' di ricerca e sviluppo tecnologico e la loro integrazione nello Spazio europeo della ricerca, comprese le infrastrutture;   aiuto   alla   R&ST in particolare nelle PMI e al trasferimento di tecnologie;
miglioramento dei legami tra  le  PMI,  gli  istituti  di  istruzione
terziaria,  gli  istituti  di  ricerca  e  i  centri  di  ricerca   e
tecnologici;   sviluppo   di   reti    di    imprese,    partenariato
pubblico-privato e agglomerati di imprese», etc. (art. 4, n. 1);
        «turismo, inclusa la valorizzazione delle risorse naturali in
quanto potenziale di sviluppo per un turismo sostenibile» (art. 4, n.
6);
        «investimenti nella cultura» (art. 4, n. 7);
        «investimenti   nell'istruzione,   compresa   la   formazione
professionale, che contribuiscano ad aumentare  le  attrattive  e  la
qualita' della vita» (art. 4, n. 10).
    In considerazione del fatto  che  la  distrazione  delle  risorse
incide cosi' profondamente nell'esercizio di  competenze  legislative
regionali,  in  ossequio  al  principio  di  tutela  delle  autonomie
territoriali (art. 5 Cost.), a quello di leale  collaborazione  (art.
117 Cost.), nonche' alle disposizioni costituzionali che tutelano  le
competenze legislative  e  amministrative  della  Regione  e  la  sua
autonomia economico-finanziaria (artt. 117,  118  e  119  Cost.),  il
legislatore statale avrebbe dovuto:  i)  acquisire  l'intesa  con  le
Regioni interessate prima di individuare l'entita' della (eventuale!)
distrazione di risorse dal fondo perequativo; ii)  prevedere  che  le
modalita' di impatto di  tale  (eventuale!)  taglio  di  risorse  sui
programmi regionali di utilizzo di tale fondo fossero definite  sulla
base di detta intesa.
    Quanto al primo  profilo,  nella  giurisprudenza  costituzionale,
ancora di recente, si  e'  affermato  che,  per  quanto  concerne  le
disposizioni  di  legge  che  incidono  direttamente  negli  obblighi
finanziari delle Regioni, la «procedura pattizia e'  ormai  diventata
parte integrante della dimensione costituzionale dello Stato riguardo
ai rapporti finanziari con le autonomie speciali» e  che  il  «metodo
pattizio»  e'  «strumento  indefettibile,  anche  sotto  il   profilo
procedurale, nella disciplina delle relazioni finanziarie tra Stato e
autonomie speciali» (Corte cost., sent. n. 153 del 2015). Anche se la
sentenza richiamata  concerne  il  regime  delle  Regioni  a  statuto
speciale, il principio pattizio deve applicarsi anche in questa sede,
in ragione della particolare disciplina degli interventi  perequativi
ex  art.  119  Cost.:  solo  la  «previa  intesa»  con   le   Regioni
interessate, infatti, puo' garantire che la  distrazione  di  risorse
gia' assegnate  agli  interventi  di  perequazione  territoriale  sia
compatibile con le finalita' di solidarieta' territoriale sancite dal
medesimo art. 119 Cost.
    Quanto al  secondo  profilo,  e'  sufficiente  osservare  che  le
disposizioni impugnate,  «incidendo  su  una  materia  di  competenza
regionale concorrente, non prevedono alcuna forma  di  coinvolgimento
delle Regioni», nemmeno «con riguardo alla realizzazione concreta sul
territorio regionale degli interventi in esso previsti» (sent. n. 263
del 2012). Ne consegue la loro illegittimita', in quanto,  «affinche'
(...) nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.,
una  legge   statale   possa   legittimamente   attribuire   funzioni
amministrative a  livello  centrale  ed  al  tempo  stesso  regolarne
l'esercizio, e' necessario che essa detti una  disciplina  (...)  che
sia adottata a seguito di procedure che assicurino la  partecipazione
dei livelli  di  governo  coinvolti  attraverso  strumenti  di  leale
collaborazione  o,  comunque,  attraverso  adeguati   meccanismi   di
cooperazione per l'esercizio concreto delle  funzioni  amministrative
allocate in capo agli organi centrali» (sentt. nn. 278 del 2010 e 263
del 2011, ma v. anche la sent. n. 232 del 2011).
    4. - Violazione  degli  artt.  3,  117  e  119  Cost.,  anche  in
relazione agli  artt.  6  e  13  della  Convenzione  EDU  nonche'  al
principio del legittimo affidamento.
    La lesione della competenza legislativa regionale  nelle  materie
sopra indicate, nonche' dell'autonomia  finanziaria  regionale,  puo'
essere rilevata anche per il profilo della (e  in  connessione  alla)
violazione del principio del legittimo  affidamento,  riconosciuto  e
tutelato  sia  dalla  Costituzione  italiana  (come  espressione  del
principio di ragionevolezza e certezza del diritto, ex art. 3 Cost.),
che  dalla  Convenzione  EDU,  nonche'  dall'ordinamento  dell'Unione
europea.
    Come   l'Ecc.ma   Corte   ha   affermato   nella   sua   costante
giurisprudenza, il divieto di retroattivita'  della  legge,  previsto
dall'art. 11 delle  Preleggi,  costituisce  «valore  fondamentale  di
civilta' giuridica»: esso informa di se' l'ordinamento  non  solo  in
ambito  penale,  ma  anche  in  ambito  extrapenale,  in  quanto   il
legislatore   puo'   adottare   norme   retroattive    «purche'    la
retroattivita'  trovi  adeguata  giustificazione   nell'esigenza   di
tutelare principi, diritti e  beni  di  rilievo  costituzionale,  che
costituiscono altrettanti "motivi imperativi di interesse  generale",
ai sensi della Convenzione europea  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU)» (cosi', fra le tante,  la  sent.  Corte
cost., n. 103 del 2013).
    La lesione del legittimo affidamento comporta la  violazione  non
solamente dell'art. 3 Cost., ma anche dell'art. 117, comma 1,  Cost.,
per violazione degli artt. 6  e  13  della  Convenzione  Europea  dei
Diritti dell'Uomo.
    La Corte europea dei diritti dell'uomo ha  piu'  volte  affermato
che, in linea di principio, nulla  vieta  al  potere  legislativo  di
regolare con nuove disposizioni  dalla  portata  retroattiva  diritti
risultanti  da  leggi  in  vigore.  Tuttavia,  il   principio   della
preminenza del  diritto  e  il  concetto  di  processo  equo  sanciti
dall'art. 6 della Convenzione ostano a tale  intervento  retroattivo,
salvo ch'esso si giustifichi  per  imperative  ragioni  di  interesse
generale (ex plurimis: sent. Sez. II, 7 giugno 2011, Agrati ed  altri
c. Italia; 31 maggio 2011, Maggio c. Italia; 10 giugno 2008,  Bortesi
e altri c. Italia; 24 giugno 2014, Azienda  Agricola  Silverfunghi  e
altri c. Italia; Sez. V, 11 febbraio 2010, Javaugue c. Francia).
    Ebbene: tra i motivi imperativi di interesse generale non rientra
l'ottenimento di un mero beneficio economico per la finanza pubblica.
La  Corte  EDU  lo  ha  piu'  volte  statuito.  Per  tutte  valga  il
riferimento alle sentt. Sez. IV, 28 ottobre 1999, Zielinsky, Pradal e
Gonzales c. Francia, e Sez. III,  21  giugno  2007,  SCM  Scanner  de
l'Ouest Lyonnais c. Francia. In entrambi i casi la Corte ha affermato
che le giustificazioni di tipo economico - riguardanti il rischio  di
mettere in pericolo l'equilibrio finanziario e la prospettiva  di  un
aumento esponenziale dei costi del personale - che lo Stato pone alla
base del suo intervento non possono essere considerate di  importanza
generale tale da  giustificare  una  compressione  retroattiva  delle
situazioni di vantaggio gia' assicurate dalla legge.
    Infine, la Corte di giustizia dell'Unione  europea  ha  affermato
che, «secondo costante giurisprudenza della Corte, i  principi  della
tutela del legittimo affidamento e della certezza del  diritto  fanno
parte dell'ordinamento giuridico comunitario; pertanto devono  essere
rispettati dalle istituzioni comunitarie ma anche dagli Stati  membri
nell'esercizio dei poteri loro conferiti dalle direttive comunitarie»
(sent. CGUE, 14 settembre 2006, cause riunite C-181/04 e C-183/04, ma
si vedano anche almeno le sentt. 3  dicembre  1998,  causa  C-381/97,
Belgocodex, 26 aprile 2005, causa C-376/02, Goed Wonen).
    La lesione dell'affidamento legittimamente  sorto  in  capo  alla
Regione e' qui evidente. Come gia' si e' detto in narrativa, ai parr.
2 e 3, il procedimento  di  approvazione  del  «programma  parallelo»
della Regione Umbria al POR FESR 2007-2013 e' transitato per numerosi
passaggi:  dalla  preliminare  interlocuzione  con  l'Unione  europea
all'approvazione da parte  della  Giunta  regionale  alla  successiva
ratifica da parte del Dipartimento per la coesione e  lo  sviluppo  e
del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato del  Ministero
dell'economia e delle finanze (cfr. la Nota del Presidente del Gruppo
di Azione e  Coesione  presso  Dipartimento  per  la  coesione  e  lo
sviluppo del 13 novembre  2014,  prot.  n.  10717,  nonche'  il  d.m.
dell'Economia e delle finanze 22 dicembre 2014, n. 61).
    Nessun dubbio, dunque, che la Regione abbia maturato un legittimo
affidamento  circa  la  disponibilita'  di  quelle  risorse,   stante
«l'avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali (sentenza n.  24
del 1999)» (cosi' Corte cost., sent. n. 124  del  2010),  affidamento
che, dopo essere stato determinato dallo stesso Stato (il  che,  come
e'   noto,   e'   ulteriore   indice   d'illegittimita')   e'   stato
irragionevolmente pregiudicato dalla sostanziale retroattivita' della
disposizione censurata.

 
                              P. Q. M.
 
    La Regione Umbria,  come  in  epigrafe  rappresentata  e  difesa,
chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale, in  accoglimento  del
presente ricorso, voglia dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
dall'art. 7,  comma  9-sexies,  del  d.l.  19  giugno  2015,  n.  78,
convertito, con modificazioni,  in  legge  6  agosto  2015,  n.  125,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 188 del 14 agosto 2015, S.O.
        Perugia - Roma, addi' 12 ottobre 2015
 
           Avv. Paola Manuali - Avv. Prof. Massimo Luciani

 

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