Ricorso n. 96 del 22 ottobre 2015 (Regione Umbria)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 22 ottobre 2015 (della Regione Umbria) .
(GU n. 51 del 2015-12-23)
Ricorso nell'interesse della Regione Umbria (codice fiscale:
…), con sede in 06123 Perugia (PG), Corso Vannucci n. 96,
in persona del Vice-Presidente pro tempore della Giunta Regionale
dott. Fabio Paparelli, giusta procura speciale a margine del presente
atto nonche' in forza della delibera della Giunta regionale della
Regione Umbria 12 ottobre 2015, n. 1147, rappresentata e difesa
dall'avv. prof. Massimo Luciani (codice fiscale: …;
fax: …; posta elettronica certificata:
…) e dell'avv. Paola Manuali
(codice fiscale: …; fax …; posta elettronica
certificata: …) ed elettivamente
domiciliata presso lo studio del primo in 00153 Roma, Lungotevere
Raffaello Sanzio n. 9,
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in persona del
Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura Generale dello Stato, nella cui sede in 00186 Roma,
Via dei Portoghesi n. 12, e' domiciliato ex lege,
Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale all'art. 7,
comma 9-sexies, del d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con
modificazioni, in legge 6 agosto 2015, n. 125, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 188 del 14 agosto 2015, S.O.
F a t t o
1. - Prima di esporre le ragioni dell'illegittimita'
costituzionale della disposizione censurata e' necessaria una
sintetica descrizione del contesto in cui essa si inserisce. Ne e'
elemento essenziale l'istituto del «PAC - Piano di Azione e
Coesione».
Si tratta di uno strumento che e' stato istituito al fine di
accelerare l'attuazione dei programmi cofinanziati dal Fondo europeo
di sviluppo regionale per il settennato 2007-2013. Come e' noto,
l'Unione europea promuove «il rafforzamento della sua coesione
economica, sociale e territoriale» (art. 174 TFUE) anche attraverso
«fondi a finalita' strutturale (Fondo europeo agricolo di
orientamento e di garanzia, sezione "orientamento", Fondo sociale
europeo, Fondo europeo di sviluppo regionale), la Banca europea per
gli investimenti e gli altri strumenti finanziari esistenti» (art.
175 TFUE). In particolare, «il Fondo europeo di sviluppo regionale e'
destinato a contribuire alla correzione dei principali squilibri
regionali esistenti nell'Unione, partecipando allo sviluppo e
all'adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo
nonche' alla riconversione delle regioni industriali in declino»
(art. 176 TFUE).
Cio' detto, al fine di colmare i ritardi nell'attuazione dei
programmi di spesa per il settennato 2007-2013 e di rafforzare
l'efficacia degli interventi, il Governo italiano, con lettera del
Presidente del Consiglio dei ministri al Presidente della Commissione
Europea e al Presidente del Consiglio Europeo del 26 ottobre 2011, ha
comunicato l'avvio del procedimento per la revisione dei contributi
del FESR all'Italia. Tale revisione, si legge nella lettera, «potra'
comportare una riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale dei
programmi comunitari», generando risorse che, «resesi disponibili a
seguito di questa riduzione, saranno programmate attraverso un
percorso di concertazione tra il Ministro delegato alle politiche di
coesione, il Commissario europeo competente e le Regioni interessate
basato su una cooperazione rafforzata con la Commissione europea
attraverso un apposito gruppo di azione».
La proposta del Governo italiano e' stata valutata favorevolmente
al Consiglio europeo di Bruxelles del 23-26 ottobre 2011. Come si
legge nelle Conclusioni della Presidenza e dichiarazione dei Capi di
Stato e di Governo dell'Eurozona adottate all'esito dei lavori, preso
atto che «il Fondo europeo di sviluppo regionale e' destinato a
contribuire alla correzione dei principali squilibri regionali
esistenti nell'Unione, partecipando allo sviluppo e all'adeguamento
strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo nonche' alla
riconversione delle regioni industriali in declino», i Paesi
dell'Area Euro hanno dichiarato di sostenere «l'intenzione
dell'Italia di rivedere i programmi relativi ai fondi strutturali
ridefinendo le priorita' dei progetti e concentrando l'attenzione su
istruzione, occupazione, agenda digitale e ferrovie/reti allo scopo
di migliorare le condizioni per un rafforzamento della crescita e
affrontare il divario regionale».
2. - In conformita' alle Conclusioni sopra riportate, il Governo
ha definito, in accordo con la Commissione (ai sensi dell'articolo 33
del regolamento CE n. 1083/2006, oggi abrogato, ma che disciplinava
il funzionamento del FESR), una riprogrammazione delle risorse dei
fondi strutturali, con una diversa percentuale della quota di
cofinanziamento comunitario. Il contributo comunitario e' stato
elevato dall'originario 50 al 75 per cento delle risorse erogate, con
corrispondente riduzione della quota di cofinanziamento nazionale.
Per l'impiego delle risorse cosi' liberate il Governo ha
stipulato l'accordo del 3 novembre 2011, denominato «Piano Nazionale
per il Sud: Sud 2020» con le Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria,
Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, concernente - appunto -
la rimodulazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali. In
questo accordo, in ossequio all'art. 176 TFUE, all'art. 119 Cost. e
all'intesa raggiunta con la Commissione europea, il riutilizzo delle
risorse liberate dal FESR e' stato vincolato al principio di
territorialita' (cfr. art. 2 dell'accordo: «Le rimodulazioni dei
programmi potranno prevedere la revisione del tasso di
cofinanziamento comunitario a condizione che le risultanti risorse
nazionali siano vincolate al riutilizzo nel rispetto del principio
della territorialita'»).
In ossequio a tale principio e' stato istituito il Piano di
Azione e Coesione, inteso ad investire sul territorio le risorse
liberate dagli obiettivi del FESR.
3. - Successivamente, a causa delle difficolta' nella conclusione
dei rispettivi programmi di sviluppo regionale, anche altre Regioni
hanno aderito al PAC. Una di esse e' la ricorrente Regione Umbria. Il
procedimento di adesione al PAC e' stato scandito dai seguenti atti:
i) con la proposta del 4 giugno 2014 lo Stato italiano
chiedeva la revisione del programma FESR 2007-2013 per la Regione
Umbria (tanto risulta dal documento di cui al numero che segue);
ii) tale proposta veniva accolta dalla Commissione con
Decisione 28 agosto 2014, C(2014) 6163;
iii) la Giunta regionale, con deliberazione 31 ottobre 2014,
n. 1340 (quindi assai sollecitamente), adottava il «programma
parallelo» al POR FESR 2007-2013;
iv) con Nota prot. n. 145702 del 5 novembre 2014, la Regione
trasmetteva il «programma parallelo» ai competenti uffici «Gruppo di
Azione e Coesione» del Dipartimento per lo Sviluppo e la coesione
economica del Ministero del Tesoro;
v) con Nota del 13 novembre 2014, prot. n. 10707, il
Presidente del Gruppo di Azione e Coesione comunicava alla Regione
l'adesione al PAC, trasmettendo «il quadro finanziario degli
interventi a titolarita'» della Regione;
vi) infine, con d.m. 22 dicembre 2014, n. 61, il Ministero
dell'economia e delle finanze destinava le risorse derivanti dalla
riduzione della quota di cofinanziamento statale per i programmi FESR
20072-2013 al PAC, per interventi in favore (tra l'altro) della
Regione Umbria (si tratta degli interventi indicati nel c.d.
«programma parallelo» al POR FESR 2007- 2013).
4. - E' in questo contesto che l'art. 1, comma 122, della legge
23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilita' per il 2015), ha
previsto (nella formulazione originale) che «al finanziamento degli
incentivi di cui ai commi 118 e 121 si provvede, quanto a 1 miliardo
di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni di
euro per l'anno 2018, a valere sulla corrispondente riprogrammazione
delle risorse del Fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della
legge 16 aprile 1987, n. 183, gia' destinate agli interventi del
Piano di azione coesione, ai sensi dell'articolo 23, comma 4, della
legge 12 novembre 2011, n. 183, che, dal sistema di monitoraggio del
Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero
dell'economia e delle finanze, risultano non ancora impegnate alla
data del 30 settembre 2014».
Il legislatore statale, dunque, distraeva alcuni fondi dal PAC
per destinarli a interventi di incentivazione fiscale e contributiva
(previsti, appunto, dai commi 118 e 121 dell'unico articolo della
medesima legge di stabilita').
Come si e' visto, pero', «alla data del 30 settembre 2014»,
l'odierna ricorrente Umbria ancora non aveva aderito al PAC, sicche'
tale disposizione di legge risultava inapplicabile alla Regione
Umbria (e, dunque, non poteva essere lesiva dei suoi interessi e
delle sue attribuzioni costituzionali).
5. - Da ultimo, pero', l'art. 7, comma 9-sexies, del d.l. 19
giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto
2015, n. 125, sopravvenuto dopo l'adesione della Regione Umbria al
PAC, ha novellato il riportato comma 122, sostituendo le parole «alla
data del 30 settembre 2014» con le parole «alla data di entrata in
vigore della presente legge» (ossia al 1° gennaio 2015).
Ne e' conseguita l'applicabilita', anche alla Regione Umbria, del
meccanismo di distrazione dei fondi inizialmente destinati a
finanziare il «programma parallelo» al POR FESR 2007-2013, nonche'
l'impossibilita' di dare attuazione agli interventi di cui alla
menzionata DGR 31 ottobre 2014, n. 1340.
L'art. 7, comma 9-sexies, del d.l. 19 giugno 2015, n. 78,
convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2015, n. 125, e'
lesivo degli interessi e delle attribuzioni costituzionali della
Regione Umbria, che ne chiede la declaratoria d'illegittimita'
costituzionale per i seguenti motivi di
D i r i t t o
1. - Violazione degli artt. 11, 117 e 119 Cost., anche in
riferimento agli artt. 175 e 176 del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea, alla decisione della Commissione europea 28
agosto 2014, C(6163), nonche' all'accordo Stato-Regioni 3 novembre
2011. Violazione del principio di leale collaborazione.
La disposizione censurata, nell'estendere l'ambito temporale di
applicazione dell'art. 1, comma 122, della legge n. 190 del 2014,
sortisce l'effetto di sottoporre anche le risorse destinate al c.d.
«programma parallelo» al POR FESR 2007-2013 (e comprese nell'ambito
del Programma di Azione e Coesione) alla distrazione a favore degli
interventi previsti ai commi 121 e 118 del medesimo art. 1 della
legge n. 190 del 2014.
Ai sensi dei predetti commi 118 e 121, invero, le risorse
sottratte al «programma parallelo» della Regione Umbria verrebbero
impiegate per finanziare alcune misure di incentivazione fiscale e
contributiva per i lavoratori neoassunti. In questo modo, le risorse
gia' destinate a interventi di natura perequativa su base
territoriale sarebbero distolte per finanziare misure che non hanno
alcun carattere di solidarieta' territoriale su base nazionale e
regionale.
Tale circostanza determina anzitutto la violazione dell'art. 119
Cost., commi 3 e 5, che disciplinano l'intervento perequativo del
legislatore statale.
Come ha piu' volte ricordato l'Ecc.ma Corte costituzionale, «gli
interventi statali fondati sulla differenziazione tra Regioni, volti
a rimuovere gli squilibri economici e sociali, devono seguire le
modalita' fissate dall'art. 119, quinto comma, Cost.» (sentt. nn. 46
del 2013 e 284 del 2009). Si e' anche affermato - ed e' cio' che piu'
rileva in relazione alla disposizione censurata - che, «ove le
risorse acquisite siano destinate ad un apposito fondo perequativo,
esse devono essere indirizzate ai soli "territori con minore
capacita' fiscale per abitante"» (sent. n. 76 del 2014).
Ne consegue che sono illegittime le disposizioni di legge statale
che «non contengono alcun indice da cui possa trarsi la conclusione
che le risorse in tal modo acquisite siano destinate ad un fondo
perequativo indirizzato ai soli "territori con minore capacita'
fiscale per abitante" (art. 119, terzo comma, Cost.), ne' che esse
siano volte a fornire quelle "risorse aggiuntive", che lo Stato - dal
quale, peraltro, dovrebbero provenire - destina esclusivamente a
"determinate" Regioni per "scopi diversi dal normale esercizio delle
loro funzioni" (art. 119, quinto comma, Cost.: ex plurimis, sentenze
n. 273 del 2013; n. 451 del 2006; n. 107 del 2005; n. 423, n. 320, n.
49 e n. 16 del 2004), con riferimento a specifici ambiti territoriali
e/o a particolari categorie svantaggiate» (sent. n. 76 del 2014).
Anche nel caso di specie, infatti, «dal tenore delle
disposizioni» in oggetto «emerge esclusivamente che il maggiore
sacrificio imposto alle Regioni [...] si risolve in una
corrispondente maggiore riduzione dei trasferimenti statali, ove non
addirittura nell'obbligo di restituzione di risorse gia' acquisite,
che vengono assicurate all'entrata del bilancio dello Stato, senza
alcuna indicazione circa la loro destinazione» (sent. n. 76 del
2014).
Va ancora aggiunto che l'Ecc.ma Corte ha anche affermato che, nel
disciplinare gli interventi perequativi dello Stato (e, dunque, anche
nell'intervenire sui fondi perequativi gia' attivi e finanziati) il
legislatore statale deve rispettare il «principio di tipicita' delle
ipotesi e dei procedimenti attinenti alla perequazione regionale, che
caratterizza la scelta legislativa di perequazione "verticale"
effettuata in sede di riforma del Titolo V della Costituzione
mediante la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al
titolo V della parte seconda della Costituzione)», principio che
impone che gli interventi perequativi siano disciplinati «solo
attraverso quei moduli legislativi e procedimentali non collidenti
con il dettato dell'art. 119 Cost.» (sent. n. 176 del 2012).
Circostanza che, qui, non si verifica.
1.2. - La sottrazione delle risorse dal «programma parallelo»
della Regione Umbria al Piano di Azione e Coesione e' anche violativa
degli artt. 11, 117, comma 1, e 119 Cost., in riferimento agli artt.
175 e 176 TFUE, alla decisione della Commissione europea 28 agosto
2014, C(6163), all'accordo «Piano Nazionale per il Sud: Sud 2020» del
3 novembre 2011.
Come si e' illustrato in narrativa (parr. 2 e 3), il PAC (e, per
la Regione Umbria, il «programma parallelo») e' lo strumento con cui
lo Stato italiano collabora con l'Unione europea per lo sviluppo
regionale, cofinanziando interventi di coesione territoriale e di
sostegno alle economie territoriali. Questa finalita', gia' espressa
con la citata lettera del Presidente del Consiglio dei ministri alle
istituzioni europee del 26 ottobre 2011 (in cui l'Italia si impegnava
a impiegare le risorse resesi disponibili a seguito della riduzione
della partecipazione ai programmi FESR «attraverso un percorso di
concertazione tra il Ministro delegato alle politiche di coesione, il
commissario europeo competente e le Regioni interessate»), ha trovato
espresso riconoscimento nel menzionato accordo del 3 novembre 2011,
in cui, come si e' gia' osservato, il riutilizzo delle risorse
liberate dal FESR e' stato vincolato al principio di territorialita'
(cfr. art. 2 dell'accordo: «Le rimodulazioni dei programmi potranno
prevedere la revisione del tasso di cofinanziamento comunitario a
condizione che le risultanti risorse nazionali siano vincolate al
riutilizzo nel rispetto del principio della territorialita'»).
Come si e' visto, pero', il principio di territorialita' e' stato
completamente disatteso dal legislatore statale, il quale ha previsto
che i fondi sottratti al PAC (e, a causa della disposizione
censurata, anche al «programma parallelo» della Regione Umbria) siano
destinati a interventi di fiscalita' generale, privi di qualsivoglia
connotazione territoriale.
Di conseguenza, la disposizione censurata:
i) e' violativa degli artt. 11, 117, comma 1, Cost., nella
misura in cui consente allo Stato di sottrarsi agli obblighi assunti
nei confronti dell'Unione europea, con la quale lo Stato italiano
aveva negoziato la diversa quota di compartecipazione ai programmi
FESR, impegnandosi anche alla concertazione con le Regioni,
e' violativa degli artt. 117 e 119 Cost., in quanto consente
allo Stato di eludere gli obblighi contratti nei confronti delle
Regioni che hanno sottoscritto l'accordo 3 novembre 2011 (o che vi
hanno aderito successivamente, attraverso la partecipazione al PAC,
come ha fatto la Regione ricorrente attraverso il «programma
parallelo»). La violazione di un accordo Stato-Regione, infatti,
integra la violazione del principio di leale collaborazione e, con
esso, l'ingiustificata e irragionevole lesione delle competenze
regionali, in quanto gli accordi e le intese sono i principali
strumenti di attuazione del principio di leale collaborazione (cfr.,
per tutte, la sent. Corte cost., n. 303 del 2003).
2. - Violazione dell'art. 117, comma 3, Cost., in relazione agli
artt. 3, 97 e 119 Cost. Violazione del principio di leale
collaborazione.
Come si e' gia' accennato, la disposizione censurata consente la
sottrazione, dalla disponibilita' della Regione Umbria, di risorse
gia' stanziate dallo Stato per finanziare il c.d. «programma
parallelo» della Regione Umbria al POR FESR 2007-2013. La Regione
Umbria aveva programmato l'impiego di tali risorse con deliberazione
31 ottobre 2014, n. 1340, nella quale erano indicati gli interventi e
i progetti da finanziare mediante il «programma parallelo».
Parte delle risorse ivi contemplate, invece, viene ora destinata
a finanziare interventi di natura fiscale e contributiva su scala
nazionale, senza alcuna connotazione perequativa e di solidarieta'
territoriale.
In tal modo, pero', lo Stato ha anzitutto esorbitato dalla
competenza concorrente nella materia «coordinamento della finanza
pubblica», che, ai sensi dell'art. 117, comma 3, e' limitata ai
principi generali della materia, cosi' usurpando la corrispondente
competenza regionale nell'ambito della disciplina di dettaglio.
A tal proposito, l'Ecc.ma Corte ha ricordato che lo Stato puo'
imporre un sacrificio all'autonomia finanziaria regionale purche'
esso: a) non impedisca alla Regione lo svolgimento delle funzioni ad
essa confidate; b) sia ragionevolmente definito nel tempo; c) sia
indispensabile per il conseguimento degli obiettivi nazionali di
finanza pubblica, generalmente connessi con gli obblighi derivanti
all'Italia dalla partecipazione all'Unione europea (cfr. sent. Corte
cost., n. 193 del 2012). Nel caso di specie, poi, in considerazione
del fatto che i fondi in oggetto erano gia' destinati a interventi di
perequazione territoriale, il titolo competenziale dello Stato puo'
sussistere solo se si verifica una quarta condizione, e cioe' che: d)
siano rispettati i «moduli legislativi e procedimentali» che
assicurino la compatibilita' dell'intervento con le finalita' di
perequazione territoriale.
Nel caso di specie, per le ragioni gia' evidenziate, le
condizioni sopra indicate non ricorrono, sicche' la competenza
legislativa regionale nella materia del coordinamento della finanza
pubblica risulta vulnerata, con violazione dell'art. 117, comma 3,
Cost.
Quanto alla condizione sub a), in ragione della norma censurata
la Regione non puo' piu' esercitare le funzioni nei numerosi settori
contemplati dal programma parallelo; quanto alla condizione sub b),
il taglio e' definitivo e riguarda tutte le annualita' del «programma
parallelo» (e, di conseguenza, tutte le annualita' residue di
svolgimento dei programmi FESR 2007-2013); quanto alla condizione sub
c), la legge statale non dimostra l'essenzialita' della distrazione
delle risorse al fine di raggiungere essenziali obiettivi di finanza
pubblica, connessi alla partecipazione statale all'Unione europea
(sul dovere di dimostrare l'impatto finanziario delle leggi, si v. la
sent. Corte cost. n. 70 del 2015); quanto alla condizione sub d), la
Regione e' stata assoggettata alla decurtazione senza alcuna garanzia
procedimentale, ne' sul piano legislativo, ne' su quello
amministrativo.
La lesione delle competenze regionali ex art. 117, comma 3, Cost.
non si apprezza solo nella prospettiva della disciplina della
perequazione territoriale (art. 119 Cost.), ma anche in quella del
buon andamento della pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.) e del
principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in quanto la sottrazione
delle risorse pregiudica irragionevolmente la realizzazione dei
progetti contenuti nel «programma parallelo» e deliberati con la
menzionata DGR n. 1340/2013. Infatti: i) il piano degli interventi e'
ipso facto reso impossibile dal taglio lineare delle risorse; ii)
proprio tale sottrazione di risorse in modo proporzionale non
consente alla Regione di rimodulare efficacemente la propria azione,
facendo si' che la pianificazione degli interventi del «programma
parallelo» possa conservare validita' e funzionalita' rispetto allo
scopo dei medesimi.
Violato, infine, e' anche il principio di leale collaborazione,
perche' - come gia' detto - la disposizione impugnata non ha
osservato alcuna delle garanzie procedimentali necessarie a fronte di
interventi riduttivi della finanza regionale.
3. - Violazione degli artt. 5, 117, 118 e 119 Cost. Violazione
del principio di leale collaborazione.
Come si e' gia' osservato, con la disposizione censurata il
legislatore statale ha consentito la sottrazione di risorse al
«programma parallelo» di interventi sociali di competenza della
Regione. Considerate le finalita' di sostegno alla crescita
economico-sociale di tale «programma parallelo», e' evidente che la
regolamentazione, la gestione e l'esecuzione del «programma»
costituiscono esercizio non solo della potesta' legislativa regionale
concorrente nelle materie «coordinamento della finanza pubblica» e
«ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i
settori produttivi», ma anche di quella residuale (ai sensi dell'art.
117, comma 4, Cost.) nelle materie «formazione professionale»,
«lavori pubblici», «politiche dell'occupazione», «trasporti e
viabilita'», «assistenza sociale».
Si deve considerare, invero, che le materie ora elencate sono
essenziali per gli interventi perequativi e di riequilibrio
socio-territoriale. Da sempre, in particolare, la Regione Umbria e'
intervenuta con proprie leggi in detti settori, e proprio allo scopo
di porre rimedio a situazioni di svantaggio sociale e territoriale
(v. ad es., le leggi regionali nn. 25 del 2008, 4 e 17 del 2013, 3,
10 e 16 del 2014, in materia di sviluppo dell'agricoltura,
dell'artigianato, di formazione professionale e continua, di sostegno
all'insediamento delle piccole e medie imprese, etc.). Non solo:
proprio il «programma parallelo» elaborato dalla Regione Umbria e
approvato dai competenti uffici statali ha assunto tali materie come
terreni privilegiati di intervento. Basta pensare, infatti, agli
interventi intesi a:
garantire l'accesso ad internet alle scuole e alle aree
pubbliche del territorio regionale e la connessione «a banda larga»
per i maggiori centri urbani;
creare «poli di innovazione tecnologica» per consentire lo
sviluppo di imprese che operano nell'ambito della ricerca e dello
sviluppo tecnologico;
sviluppare poli d'attrazione naturalistica per l'industria
turistica del territorio;
potenziare il «turismo sostenibile», etc.
Quelli segnalati, peraltro, sono stati indicati come principali
ambiti d'intervento dei PAC (e, di conseguenza, del «programma
parallelo» della Regione Umbria) dallo stesso legislatore statale
che, nel disciplinare il fondo di rotazione per le politiche
comunitarie (che fornisce le risorse al PAC), vi fa confluire «le
somme [...] aventi le stesse finalita' di quelle previste dalle norme
comunitarie da attuare» (art. 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183,
richiamata dall'art. 1, comma 122, della legge n. 190 del 2014).
Si tratta, dunque, delle stesse «finalita'» del FESR, le quali,
ai sensi del Reg. CE, 5 luglio 2006, n. 1080/2006, «relativo al Fondo
europeo di sviluppo regionale», comprendono anche:
«interventi destinati a rafforzare la coesione economica e
sociale eliminando le principali disparita' regionali attraverso il
sostegno allo sviluppo e all'adeguamento strutturale delle economie
regionali, inclusa la riconversione delle regioni industriali in
declino e delle regioni in ritardo di sviluppo» (art. 2);
«investimenti produttivi che contribuiscono alla creazione e
al mantenimento di posti di lavoro stabili, in primo luogo attraverso
aiuti diretti agli investimenti principalmente nelle piccole e medie
imprese» (art. 3, comma 1, lett. a);
«investimenti in infrastrutture» (lett. b);
«sviluppo di potenziale endogeno attraverso misure che
sostengono lo sviluppo regionale e locale» (lett. c);
«sostegno allo sviluppo economico sostenibile e integrato, a
livello regionale e locale, e all'occupazione» (art. 4);
«ricerca e sviluppo tecnologico (R&ST), innovazione e imprenditorialita', incluso il rafforzamento delle capacita' di ricerca e sviluppo tecnologico e la loro integrazione nello Spazio europeo della ricerca, comprese le infrastrutture; aiuto alla R&ST in particolare nelle PMI e al trasferimento di tecnologie;
miglioramento dei legami tra le PMI, gli istituti di istruzione
terziaria, gli istituti di ricerca e i centri di ricerca e
tecnologici; sviluppo di reti di imprese, partenariato
pubblico-privato e agglomerati di imprese», etc. (art. 4, n. 1);
«turismo, inclusa la valorizzazione delle risorse naturali in
quanto potenziale di sviluppo per un turismo sostenibile» (art. 4, n.
6);
«investimenti nella cultura» (art. 4, n. 7);
«investimenti nell'istruzione, compresa la formazione
professionale, che contribuiscano ad aumentare le attrattive e la
qualita' della vita» (art. 4, n. 10).
In considerazione del fatto che la distrazione delle risorse
incide cosi' profondamente nell'esercizio di competenze legislative
regionali, in ossequio al principio di tutela delle autonomie
territoriali (art. 5 Cost.), a quello di leale collaborazione (art.
117 Cost.), nonche' alle disposizioni costituzionali che tutelano le
competenze legislative e amministrative della Regione e la sua
autonomia economico-finanziaria (artt. 117, 118 e 119 Cost.), il
legislatore statale avrebbe dovuto: i) acquisire l'intesa con le
Regioni interessate prima di individuare l'entita' della (eventuale!)
distrazione di risorse dal fondo perequativo; ii) prevedere che le
modalita' di impatto di tale (eventuale!) taglio di risorse sui
programmi regionali di utilizzo di tale fondo fossero definite sulla
base di detta intesa.
Quanto al primo profilo, nella giurisprudenza costituzionale,
ancora di recente, si e' affermato che, per quanto concerne le
disposizioni di legge che incidono direttamente negli obblighi
finanziari delle Regioni, la «procedura pattizia e' ormai diventata
parte integrante della dimensione costituzionale dello Stato riguardo
ai rapporti finanziari con le autonomie speciali» e che il «metodo
pattizio» e' «strumento indefettibile, anche sotto il profilo
procedurale, nella disciplina delle relazioni finanziarie tra Stato e
autonomie speciali» (Corte cost., sent. n. 153 del 2015). Anche se la
sentenza richiamata concerne il regime delle Regioni a statuto
speciale, il principio pattizio deve applicarsi anche in questa sede,
in ragione della particolare disciplina degli interventi perequativi
ex art. 119 Cost.: solo la «previa intesa» con le Regioni
interessate, infatti, puo' garantire che la distrazione di risorse
gia' assegnate agli interventi di perequazione territoriale sia
compatibile con le finalita' di solidarieta' territoriale sancite dal
medesimo art. 119 Cost.
Quanto al secondo profilo, e' sufficiente osservare che le
disposizioni impugnate, «incidendo su una materia di competenza
regionale concorrente, non prevedono alcuna forma di coinvolgimento
delle Regioni», nemmeno «con riguardo alla realizzazione concreta sul
territorio regionale degli interventi in esso previsti» (sent. n. 263
del 2012). Ne consegue la loro illegittimita', in quanto, «affinche'
(...) nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.,
una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni
amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne
l'esercizio, e' necessario che essa detti una disciplina (...) che
sia adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione
dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale
collaborazione o, comunque, attraverso adeguati meccanismi di
cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni amministrative
allocate in capo agli organi centrali» (sentt. nn. 278 del 2010 e 263
del 2011, ma v. anche la sent. n. 232 del 2011).
4. - Violazione degli artt. 3, 117 e 119 Cost., anche in
relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU nonche' al
principio del legittimo affidamento.
La lesione della competenza legislativa regionale nelle materie
sopra indicate, nonche' dell'autonomia finanziaria regionale, puo'
essere rilevata anche per il profilo della (e in connessione alla)
violazione del principio del legittimo affidamento, riconosciuto e
tutelato sia dalla Costituzione italiana (come espressione del
principio di ragionevolezza e certezza del diritto, ex art. 3 Cost.),
che dalla Convenzione EDU, nonche' dall'ordinamento dell'Unione
europea.
Come l'Ecc.ma Corte ha affermato nella sua costante
giurisprudenza, il divieto di retroattivita' della legge, previsto
dall'art. 11 delle Preleggi, costituisce «valore fondamentale di
civilta' giuridica»: esso informa di se' l'ordinamento non solo in
ambito penale, ma anche in ambito extrapenale, in quanto il
legislatore puo' adottare norme retroattive «purche' la
retroattivita' trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di
tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che
costituiscono altrettanti "motivi imperativi di interesse generale",
ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU)» (cosi', fra le tante, la sent. Corte
cost., n. 103 del 2013).
La lesione del legittimo affidamento comporta la violazione non
solamente dell'art. 3 Cost., ma anche dell'art. 117, comma 1, Cost.,
per violazione degli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei
Diritti dell'Uomo.
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha piu' volte affermato
che, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di
regolare con nuove disposizioni dalla portata retroattiva diritti
risultanti da leggi in vigore. Tuttavia, il principio della
preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti
dall'art. 6 della Convenzione ostano a tale intervento retroattivo,
salvo ch'esso si giustifichi per imperative ragioni di interesse
generale (ex plurimis: sent. Sez. II, 7 giugno 2011, Agrati ed altri
c. Italia; 31 maggio 2011, Maggio c. Italia; 10 giugno 2008, Bortesi
e altri c. Italia; 24 giugno 2014, Azienda Agricola Silverfunghi e
altri c. Italia; Sez. V, 11 febbraio 2010, Javaugue c. Francia).
Ebbene: tra i motivi imperativi di interesse generale non rientra
l'ottenimento di un mero beneficio economico per la finanza pubblica.
La Corte EDU lo ha piu' volte statuito. Per tutte valga il
riferimento alle sentt. Sez. IV, 28 ottobre 1999, Zielinsky, Pradal e
Gonzales c. Francia, e Sez. III, 21 giugno 2007, SCM Scanner de
l'Ouest Lyonnais c. Francia. In entrambi i casi la Corte ha affermato
che le giustificazioni di tipo economico - riguardanti il rischio di
mettere in pericolo l'equilibrio finanziario e la prospettiva di un
aumento esponenziale dei costi del personale - che lo Stato pone alla
base del suo intervento non possono essere considerate di importanza
generale tale da giustificare una compressione retroattiva delle
situazioni di vantaggio gia' assicurate dalla legge.
Infine, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha affermato
che, «secondo costante giurisprudenza della Corte, i principi della
tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto fanno
parte dell'ordinamento giuridico comunitario; pertanto devono essere
rispettati dalle istituzioni comunitarie ma anche dagli Stati membri
nell'esercizio dei poteri loro conferiti dalle direttive comunitarie»
(sent. CGUE, 14 settembre 2006, cause riunite C-181/04 e C-183/04, ma
si vedano anche almeno le sentt. 3 dicembre 1998, causa C-381/97,
Belgocodex, 26 aprile 2005, causa C-376/02, Goed Wonen).
La lesione dell'affidamento legittimamente sorto in capo alla
Regione e' qui evidente. Come gia' si e' detto in narrativa, ai parr.
2 e 3, il procedimento di approvazione del «programma parallelo»
della Regione Umbria al POR FESR 2007-2013 e' transitato per numerosi
passaggi: dalla preliminare interlocuzione con l'Unione europea
all'approvazione da parte della Giunta regionale alla successiva
ratifica da parte del Dipartimento per la coesione e lo sviluppo e
del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato del Ministero
dell'economia e delle finanze (cfr. la Nota del Presidente del Gruppo
di Azione e Coesione presso Dipartimento per la coesione e lo
sviluppo del 13 novembre 2014, prot. n. 10717, nonche' il d.m.
dell'Economia e delle finanze 22 dicembre 2014, n. 61).
Nessun dubbio, dunque, che la Regione abbia maturato un legittimo
affidamento circa la disponibilita' di quelle risorse, stante
«l'avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali (sentenza n. 24
del 1999)» (cosi' Corte cost., sent. n. 124 del 2010), affidamento
che, dopo essere stato determinato dallo stesso Stato (il che, come
e' noto, e' ulteriore indice d'illegittimita') e' stato
irragionevolmente pregiudicato dalla sostanziale retroattivita' della
disposizione censurata.
P. Q. M.
La Regione Umbria, come in epigrafe rappresentata e difesa,
chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del
presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale
dall'art. 7, comma 9-sexies, del d.l. 19 giugno 2015, n. 78,
convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2015, n. 125,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 188 del 14 agosto 2015, S.O.
Perugia - Roma, addi' 12 ottobre 2015
Avv. Paola Manuali - Avv. Prof. Massimo Luciani