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N. 96 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 settembre 2010. |
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Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 28 settembre 2010 (della Regione Valle d'Aosta).
(GU n. 45 del 10-11-2010) |
Ricorso della Regione Valle d'Aosta, con sede in Aosta, P.zza
Deffeyes, n. 1, c.f. n. 80002270074, in persona del Presidente pro
tempore, Augusto Rollandin, rappresentato e difeso, in forza di
procura a margine del presente atto ed in virtu' della Deliberazione
della Giunta regionale n. 2519 del 2010, dal Prof. Avv. Francesco
Saverio Marini (c.f. MRNFNC73D28H501U), presso il cui studio in Roma,
via dei Monti Parioli n. 48, ha eletto domicilio, ricorrente;
Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del
Consiglio dei ministri pro tempore, con sede in Roma, Palazzo Chigi,
Piazza Colonna n. 370, resistente, per la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale del decreto-legge 31 maggio 2010, n.
78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitivita' economica», convertito con modificazioni dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122, pubblicata nel supplemento ordinario n.
174 alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 176 del 30 luglio
2010, limitatamente all'art. 5, comma 5, art. 6, commi 2, 3, 5, 6, 7,
8, 9, 12, 13, 14, 19, e 20, primo periodo, art. 9, commi 2-bis, 4 e
28, art. 14, commi 24-bis e 32, art. 49, commi 4-ter, 4-quater,
4-quinquies.
F a t t o
1. - Il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122- pubblicata nel
supplemento ordinario n. 174 alla Gazzetta Ufficiale, serie generale,
n. 176 del 30 luglio 2010 - reca «Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica».
2. - Alcune delle norme contenute nel citato decreto appaiono,
tuttavia, lesive dell'autonomia legislativa, finanziaria ed
organizzativa della Regione Autonoma Valle d'Aosta. Si tratta, in
estrema sintesi, delle seguenti previsioni normative:
del comma 5 dell'articolo 5, nella parte in cui dispone che
lo svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche
amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge n.
196/2009 ai titolari di cariche elettive, inclusa la partecipazione
ad organi collegiali, puo' dar luogo unicamente al rimborso delle
spese sostenute;
dei commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 13, 14 e 19 dell'articolo
6, nella parte in cui impongono misure di vario contenuto volte al
contenimento della spesa pubblica, le quali, ai sensi del primo
periodo del comma 20 del medesimo articolo, «non si applicano
direttamente alle regioni, alle province autonome e agli enti del
servizio sanitario regionale per i quali costituiscono disposizioni
di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica»;
dei commi 2-bis, 4 e 28 dell'articolo 9, letti congiuntamente
all'art. 14, comma 24-bis, nella parte in cui, rispettivamente,
dispongono: a) il divieto per le pubbliche amministrazioni di cui
all'articolo 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 di incrementare le
risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale
anche di livello dirigenziale rispetto agli importi stanziati per
l'anno 2010; b) il divieto, riferito ai rinnovi contrattuali del
personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio
2008/2009, di determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per
cento, anche con riguardo ai contratti e agli accordi gia' stipulati,
le cui clausole eventualmente difformi sono dichiarate inefficaci; c)
l'obbligo per le regioni, le province autonome e gli enti del
Servizio sanitario nazionale di ridurre del 50 per cento la spesa
sostenuta nell'anno 2009 per il personale a tempo determinato o
utilizzato con convenzioni o con contratti di collaborazione
coordinata e continuativa, salva la possibilita' indicata al citato
articolo 14, comma 24-bis, di superare il predetto limite in ragione
della proroga dei rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati
dalle regioni a statuto speciale e dagli enti territoriali facenti
parte delle predette regioni, a valere sulle risorse finanziarie
aggiuntive appositamente reperite da queste ultime attraverso
apposite misure di riduzione razionalizzazione della spesa
certificata dagli organi di controllo interno, con obbligo a carico
di tali amministrazioni di attingere prioritariamente per
l'attuazione dei processi assunzionali ai lavoratori interessati
dalle predette proroghe;
del comma 32 dell'articolo 14, nella parte in cui vieta ai
comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti di costituire
societa', obbligandoli a liquidare le partecipazioni gia' detenute
entro il 31 dicembre 2011, e limita il numero delle societa'
partecipabili per i comuni con popolazione superiore a 30.000
abitanti, nonche' nella parte in cui demanda ad un decreto del
Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione
territoriale, di concerto con i Ministri dell'economia e delle
finanze e per le riforme per il federalismo, la determinazione delle
modalita' attuative della disposizione in argomento e ulteriori
ipotesi di esclusione del relativo ambito di applicazione.
Oggetto di censura e' altresi' la disciplina recata dall'art. 49
del decreto-legge n. 78/2010, sulla quale e' opportuno soffermarsi
sin d'ora, data la complessita' delle questioni che la stessa pone.
L'art. 49 contiene disposizioni in materia di conferenza di servizi,
apportando una pluralita' di modifiche alla disciplina dell'istituto,
dettata dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.
In particolare, l'art. 49, comma 4-bis, sostituisce integralmente
l'art. 19 della legge n. 241/1990, introducendo la «Segnalazione
certificata di inizio attivita'» (SCIA) e prevedendo che tale
Segnalazione sostituisca la «Denuncia di inizio attivita'» (DIA).
L'art. 49, comma 4-ter, , dispone che il comma 4-bis del medesimo
art. 49 «attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell'articolo
117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e costituisce
livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma», prevedendo
altresi' che «le espressioni "segnalazione certificata di inizio
attivita'" e "Scia" sostituiscono, rispettivamente, quelle di
"dichiarazione di inizio attivita'" e "Dia", ovunque ricorrano, anche
come parte di una espressione piu' ampia». Infine, il comma 4-ter
stabilisce che «la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce
direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di
inizio attivita' recata da ogni normativa statale e regionale».
Nel presente ricorso si denunzia l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 49, comma 4-ter, del decreto-legge n. 78/2010. Tuttavia,
poiche' tale disposizione introduce una disciplina «complementare»
rispetto a quella dettata dal comma precedente (comma 4-bis),
regolandone, in particolare, gli effetti normativi, e' opportuno
richiamare brevemente anche il contenuto della disciplina contenuta
nell'art. 49, comma 4-bis, del decreto.
Il comma 1 dell'art. 19 della legge n. 241/1990, cosi' come
sostituito dall'art. 49, comma 4-bis, del d.1. n. 78/2010, dispone
che «ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non
costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le
domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio
di attivita' imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui
rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e
presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a
contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente
complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il
rilascio degli stessi, e' sostituito da una segnalazione
dell'interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano
vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati
dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica
sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza,
all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle
finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione
del gettito, anche derivante dal gioco, nonche' di quelli imposti
dalla normativa comunitaria». Il medesimo comma disciplina altresi'
la presentazione di certificazioni, attestazioni e dichiarazioni che
devono corredare la segnalazione di inizio attivita' da parte
dell'interessato.
I successivi commi del novellato art. 19 prevedono che
«l'attivita' oggetto della segnalazione puo' essere iniziata dalla
data della presentazione della segnalazione all'amministrazione
competente» (comma 2) e che quest'ultima, in caso di accertata
carenza dei requisiti e dei presupposti richiesti, nel termine di
sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, «adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attivita' e di
rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove
cio' sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla
normativa vigente detta attivita' ed i suoi effetti entro un termine
fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta
giorni» (comma 3). Lo stesso comma 3 fa salvo il potere
dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di
autotutela e prevede che, in caso di dichiarazioni sostitutive di
certificazione e dell'atto di notorieta' false o mendaci,
l'amministrazione «puo' sempre e in ogni tempo adottare i
provvedimenti di cui al primo periodo», ferma restando l'applicazione
delle sanzioni penali previste dal successivo comma 6 (in base al
quale «ove il fatto non costituisca piu' grave reato, chiunque, nelle
dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la
segnalazione di inizio attivita', dichiara o attesta falsamente
l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 e'
punito con la reclusione da uno a tre anni»), nonche' di quelle di
cui al capo VI del testo unico adottato col decreto del Presidente
della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
Il comma 4 dell'art. 19 della legge n. 241/1990, cosi' come
sostituito dall'art. 49, comma 4-bis, del decreto-legge n. 78/2010,
dispone poi che «decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti
di cui al primo periodo del comma 3, all'amministrazione e'
consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per
il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute,
per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato
accertamento dell'impossibilita' di tutelare comunque tali interessi
mediante conformazione dell'attivita' dei privati alla normativa
vigente».
Infine, il comma 5 dell'art. 19 della legge n. 241/1990, cosi'
come sostituito dall'art. 49, comma 4-bis, del decreto-legge n.
78/2010, prevede che lo stesso art. 19 «non si applica alle attivita'
economiche a prevalente carattere finanziario» e dispone altresi' che
ogni controversia relativa all'applicazione del medesimo art. 19 e'
devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e
che il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque
interessato nei termini di legge, puo' riguardare anche gli atti di
assenso formati in virtu' delle norme sul silenzio assenso previste
dall'art. 20 della legge n. 241/1990.
L'art. 49 del decreto-legge n. 78/2010 introduce, ai commi
4-quater e 4-quinquies, una disciplina volta alla semplificazione e
riduzione degli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e
medie imprese, prevedendo il ricorso allo strumento della
delegificazione.
In particolare, il citato art. 49, comma 4-quater, dispone che,
«al fine di promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la
competitivita' delle imprese, anche sulla base delle attivita' di
misurazione degli oneri amministrativi di cui all'articolo 25 del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, il Governo e' autorizzato ad
adottare uno o piu' regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2,
della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la
pubblica amministrazione e l'innovazione, per la semplificazione
normativa e dello sviluppo economico, sentiti i Ministri interessati
e le associazioni imprenditoriali, volti a semplificare e ridurre gli
adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese, in
base ai seguenti principi e criteri direttivi, nel rispetto di quanto
previsto dagli articoli 20, 20-bis e 20-ter della legge 15 marzo
1997, n. 59, e successive modificazioni: a) proporzionalita' degli
adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione dell'impresa
e al settore di attivita', nonche' alle esigenza di tutela degli
interessi pubblici coinvolti; b) eliminazione di autorizzazioni,
licenze, permessi, ovvero di dichiarazioni, attestazioni,
certificazioni, comunque denominati, nonche' degli adempimenti
amministrativi e delle procedure non necessarie rispetto alla tutela
degli interessi pubblici in relazione alla dimensione dell'impresa
ovvero alle attivita' esercitate; c) estensione dell'utilizzo
dell'autocertificazione, delle attestazioni e delle asseverazioni dei
tecnici abilitati nonche' delle dichiarazioni di conformita' da parte
dell'Agenzia delle imprese di cui all'articolo 38, comma 4, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133; d) informatizzazione degli
adempimenti e delle procedure amministrative, secondo la disciplina
del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante codice
dell'amministrazione digitale; e) soppressione delle autorizzazioni e
dei controlli per le imprese in possesso di certificazione ISO o
equivalente, per le attivita' oggetto di tale certificazione; f)
coordinamento delle attivita' di controllo al fine di evitare
duplicazioni e sovrapposizioni, assicurando la proporzionalita' degli
stessi in relazione alla tutela degli interessi pubblici coinvolti».
L'art. 49, comma 4-quinquies, prevede che i regolamenti di cui al
succitato comma 4-quater sono emanati entro dodici mesi dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 78/2010 ed
entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla data della
loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Con effetto dalla data
di entrata in vigore dei predetti regolamenti sono abrogate le norme,
anche di legge, regolatrici dei relativi procedimenti. Tali
interventi confluiscono nel processo di riassetto di cui all'art. 20
della legge 15 marzo 1997, n. 59.
3. - Cio' premesso, con il presente ricorso la Regione autonoma
Valle d'Aosta, come in epigrafe rappresentata e difesa, impugna il
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, limitatamente alle norme piu'
sopra menzionate, in quanto lesive delle proprie attribuzioni
costituzionali e statutarie, e ne chiede,pertanto, la declaratoria di
illegittimita' costituzionale alla luce dei seguenti motivi di
D i r i t t o
I. Illegittimita' costituzionale della norma contenuta nel comma 5,
dell'art. 5, del decreto-legge n. 78 del 2010 convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per violazione
dell'art. 3, comma 1, lett. f), dello Statuto speciale per la Valle
d'Aosta (legge cost. n. 4 del 1948), nonche' degli articoli 117,
comma 3 e 119, comma 2, Cost., in combinato disposto con l'art. 10,
legge cost. n. 3 del 2001.
1. - L'art. 5, comma 5, del decreto-legge n. 78 del 2010,
convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010, dispone
quanto segue: «Ferme le incompatibilita' previste dalla normativa
vigente, nei confronti dei titolari di cariche elettive lo
svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche
amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31
dicembre 2009 n. 196, inclusa la partecipazione ad organi collegiali
di qualsiasi tipo, puo' dar luogo esclusivamente al rimborso delle
spese sostenute. Eventuali gettoni di presenza non possono superare
l'importo di 30 euro a seduta».
Con tale disposizione, come risulta evidente dalla semplice
lettura della stessa, il legislatore statale ha stabilito il divieto
assoluto di corresponsione di indennita', di qualsivoglia genere in
favore dei titolari di cariche elettive per le prestazioni svolte su
incarico delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 3,
della legge di contabilita' e finanza pubblica 31 dicembre 2009, n.
196.
I soggetti contemplati dalla norma impugnata, infatti, potranno
beneficiare unicamente del rimborso delle spese sostenute in
occasione dell'espletamento dell'incarico loro conferito.
In proposito e' bene rilevare, anzitutto, la sostanziale
differenza esistente tra rimborso spese ed indennita', atteso che
queste ultime, diversamente dai rimborsi, si configurano quali somme
di denaro dovute a titolo di corrispettivo, caratterizzate da
contenuto patrimoniale e dalla proporzionalita' (in base ai criteri
stabiliti di volta in volta dalla legge) alla prestazione effettuata.
I rimborsi spese, invece, assolvono ad una funzione meramente
reintegrativa dei costi anticipati dal beneficiario.
Ebbene, la norma recata dall'art. 5, comma 5, del decreto-legge
n. 78/2010 risulta illegittima poiche' lede le attribuzioni
statutarie e costituzionali della Regione ricorrente, comprimendone
indebitamente l'autonomia finanziaria di spesa.
Risulta violato, infatti, l'art. 3, comma 1, lett. f) dello
Statuto speciale (legge cost. n. 4/1948), che riconosce, come noto,
alla Valle la potesta' di legiferare, nell'ambito dei principi
individuati con legge dello Stato, in materia di «finanze regionali»,
al fine adattare la normativa statale alle «condizioni regionali».
La previsione statutaria, letta alla luce dei novellati articoli
117, comma 3 e 119, comma 2, Cost., qualifica la competenza normativa
della Valle D'Aosta in materia di «finanze regionali» non piu' come
meramente suppletiva rispetto a quella statale, ma garantita
nell'ambito dei principi di coordinamento stabiliti dallo Stato.
Quest'ultimo deve, dunque, limitarsi alla individuazione di tali
principi.
Nel caso di specie, tuttavia, il legislatore statale non ha
arrestato la propria competenza all'adozione di disposizioni di
principio, ma ha imposto alla ricorrente una misura di contenimento
della spesa pubblica estremamente dettagliata. Siffatta misura
produce, quale effetto diretto, quello di privare radicalmente la
Regione sia del potere di svolgere qualsivoglia valutazione in ordine
all'an e al quomodo di una eventuale corresponsione di indennita' ai
titolari delle cariche elettive indicati dalla norma, sia di adattare
la previsione statale alle condizioni regionali.
E' evidente, pertanto, la lesione del citato art. 3, comma 1,
lett. f) dello Statuto (legge cost. n. 4/1948), atteso che la norma
impugnata non lascia alla ricorrente alcuna possibilita' di desumere
i principi cui ispirare o adeguare la propria produzione legislativa
in materia.
Parimenti violato risulta, poi, il combinato disposto degli
articoli 117, comma 3, e 119, comma 2, Cost., resi applicabili alla
Valle, come noto, in virtu' della clausola di cui all'art. 10, legge
cost. n. 3/2001.
Le citate disposizioni costituzionali impongono, come piu' volte
affermato dalla giurisprudenza costituzionale, che la competenza
dello Stato si limiti unicamente alla determinazione dei principi di
coordinamento della finanza pubblica, risultando illegittime le norme
statali, quali quella oggetto di sindacato, che superano
indebitamente tale soglia.
Ed infatti, le previsioni che fissano - esattamente al pari di
quella all'esame - vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa
dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono
principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai
sensi dell'art. 117, comma 3, Cost., e ledono pertanto l'autonomia
finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost. agli enti
territoriali (Corte cost., sent. n. 417/2005; in termini analoghi,
cfr. sent. n. 36 del 2004; sent. n. 376 del 2003; sent. n. 390 del
2004). La legge dello Stato, infatti, puo' legittimamente stabilire
soltanto un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia
liberta' di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti ed
obiettivi di spesa» (sent. n. 36 del 2004), ma non puo'
legittimamente spingersi, come e' accaduto nel presente caso, a
determinare la singola voce di spesa destinataria della misura di
contenimento.
In proposito occorre richiamare anche la sentenza n. 159/2008,
con la quale codesta ecc.ma Corte ha annullato alcune norme della
legge finanziaria per il 2007 che imponevano alle regioni e alle
province autonome l'adeguamento ai principi, puntualmente indicati,
relativi alla disciplina dei compensi degli amministratori delle
societa' partecipate e al numero massimo dei componenti i consigli di
amministrazione di dette societa'.
Disposizioni di questo tipo - molto simili, strutturalmente,
all'art. 5, comma 5, di cui si discute - sono state dichiarate
costituzionalmente illegittime in ragione del fatto che le stesse si
risolvono nella imposizione di misure dettagliate o autoapplicative
che non consentono di adeguare in alcun modo la produzione
legislativa regionale a quella statale, con la conseguente
illegittima compressione dell'autonomia finanziaria degli enti
regionali e provinciali (Corte cost., sent. n. 159/2008).
Conclusivamente sul punto, atteso che il divieto assoluto di
remunerazione posto dall'art. 5, comma 5, del decreto-legge n.
78/2010, vincola del tutto la Regione, non e' possibile dubitare che
siffatto divieto, oltre a contraddire la richiamata giurisprudenza di
questa Corte, leda la sfera di autonomia finanziaria di spesa della
Regione Valle d'Aosta, violando l'art. 3, comma 1, lett. f) dello
Statuto nonche' gli articoli 117, comma 3, Cost., e 119, comma 2,
Cost. in combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del
2001.
Si insiste, pertanto, alla luce delle considerazioni sinora
svolte, nella declaratoria di incostituzionalita' della norma
impugnata.
II. Illegittimita' costituzionale delle norme contenute nei commi 2,
3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 13, 14, 19 e 20, primo periodo, dell'art. 6 del
decreto-legge n. 78/2010, come convertito con modificazioni dalla
legge n. 122/2010, per violazione degli artt. 2, comma 1, lett. a);
2, comma 1, lett. b); 3, comma 1, lett. f); 3, comma 1, lett. l) e 4
dello Statuto della Valle d'Aosta (legge cost. n. 4/1948) nonche'
dell'art. 10, legge cost. n. 3/2001, e per vizio di ragionevolezza.
I commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 13, 14 e 19 dell'art. 6 del
decreto-legge n. 78/2010 pongono norme che sono accomunate da una
analoga ratio di intervento (la «riduzione dei costi degli apparati
amministrativi») e che si palesano, tutte, lesive di competenze
attribuite da norme di rango costituzionale alla Regione ricorrente.
Per accertarsene, e' sufficiente menzionare le prescrizioni
salienti contenute nelle disposizioni appena citate, che qui si
impugna. Per il comma 2 dell'art. 6, «a decorrere dall'entrata in
vigore del presente decreto la partecipazione agli organi collegiali,
anche di amministrazione, degli enti, che comunque ricevono
contributi a carico delle finanze pubbliche, nonche' la titolarita'
di organi dei predetti enti e' onorifica; essa puo' dar luogo
esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla
normativa vigente; qualora siano gia' previsti i gettoni di presenza
non possono superare l'importo di 30 euro a seduta giornaliera
[...]». Ai sensi del comma 3 «a decorrere dal 10 gennaio 2011 le
indennita', i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre
utilita' comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche
amministrazioni [...] ai componenti di organi di indirizzo, direzione
e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque
denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono
automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi
risultanti alla data del 30 aprile 2010 [...]». Il comma 5, dal canto
suo, prevede che «tutti gli enti pubblici, anche economici, e gli
organismi pubblici, anche con personalita' giuridica di diritto
privato, provvedono all'adeguamento dei rispettivi statuti al fine di
assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di
entrata in vigore del presente decreto, gli organi di amministrazione
e quelli di controllo, ove non gia' costituiti in forma monocratica,
nonche' il collegio dei revisori, siano costituiti da un numero non
superiore, rispettivamente, a cinque e a tre componenti [...]». In
base al comma 6, «nelle societa' inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione [...], nonche' nelle
societa' possedute direttamente o indirettamente in misura
totalitaria, alla data di entrata in vigore del presente
provvedimento dalle amministrazioni pubbliche, il compenso di cui
all'articolo 2389, primo comma, del codice civile, dei componenti
degli organi di amministrazione e di quelli di controllo e' ridotto
del 10 per cento [...]». Per la prescrizione del comma 7, «al fine di
valorizzare le professionalita' interne alle amministrazioni, a
decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di
consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di
consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche
amministrazioni [...], non puo' essere superiore al 20 per cento di
quella sostenuta nell'anno 2009 [...]». Per il comma 8, «a decorrere
dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto
economico consolidato della pubblica amministrazione, come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi
del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196,
[...] non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni,
mostre, pubblicita' e di rappresentanza, per un ammontare superiore
al 20 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime
finalita' [...]», mentre ai sensi del successivo comma 9 le medesime
amministrazioni pubbliche «non possono effettuare spese per
sponsorizzazioni», ne' possono, per il comma 12, «effettuare spese
per missioni, anche all'estero, [...] per un ammontare superiore al
50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 [...]» e «a
decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto le
diarie per le missioni all'estero di cui all'art. 28 del
decreto-legge 4 luglio 2006, n. 233, convertito con legge 4 agosto
2006, n. 248, non sono piu' dovute [...]».
Le stesse pubbliche amministrazioni, poi, per quanto previsto dal
comma 13, a decorrere dall'anno 2011 non possono sostenere una spesa
«per attivita' esclusivamente di formazione [...] superiore al 50 per
cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 [...]», ne' possono, a
decorrere dallo stesso anno - per quanto previsto dal comma 14 del
medesimo articolo - «effettuare spese di ammontare superiore all'80
per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per l'acquisto, la
manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonche' per
l'acquisto di buoni taxi [...]». Ai sensi, infine, del comma 19
dell'art. 6, le citate pubbliche amministrazioni «[...] non possono,
salvo quanto previsto dall'art. 2447 codice civile, effettuare
aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito,
ne' rilasciare garanzie a favore delle societa' partecipate non
quotate che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite
di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il
ripianamento di perdite anche infrannuali [...]».
Cio' chiarito, tutte le disposizioni dell'art. 6 del
decreto-legge n. 78/2010 dianzi menzionate incidono in modo
stringente in ambiti che sono agevolmente individuabili: quelli della
disciplina degli uffici ed agli enti pubblici, anche dipendenti dalla
regione ricorrente, e del relativo stato giuridico ed economico del
personale, nonche' quello finanziario, attraverso l'introduzione di
una puntuale limitazione a singole voci di spesa degli enti pubblici,
anche regionali e comunali.
Pertanto, non potrebbe essere piu' evidente, anzitutto, il
contrasto con l'art. 2, comma 1, lett. a) dello Statuto speciale
valdostano (legge cost. n. 4/1948) (ai sensi del quale spetta alla
regione ricorrente la potesta' legislativa nella materia «ordinamento
degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico
ed economico del personale»). Le norme impugnate, infatti,
illegittimamente pretendono sia di dettare una disciplina attinente
all'organizzazione degli enti pubblici regionali (in particolare, si
consideri l'impugnato comma 5 dell'art. 6), sia di regolarne il
funzionamento e l'attivita' (su cio' intervengono, in particolare, i
commi 8, 9, 12, 13, 14 e 19), sia di ridefinire lo stato «giuridico
ed economico del personale» (cio' mirano a realizzare, peculiarmente,
i commi 2, 3, 6 e 7).
D'altro canto, poiche' la normazione statale nelle materie di cui
si e' detto, abusivamente posta, non puo' non incidere, limitandole,
sull'esercizio delle funzioni amministrative regionali nei medesimi
ambiti, ne risulta altresi' violato l'art. 4 dello Statuto speciale
della Regione Valle d'Aosta, ai sensi del quale «la Regione esercita
le funzioni amministrative sulle materie nelle quali ha potesta'
legislativa a norma degli articoli 2 e 3» dello Statuto stesso.
Ne' avrebbe senso il tentativo, invero del tutto infondato, di
qualificare le norme impugnate come miranti a tutelare gli «interessi
nazionali», o a porre «principi dell'ordinamento giuridico della
Repubblica», o quali «norme fondamentali delle riforme
economico-sociali della Repubblica», che ai sensi dell'art. 2 dello
Statuto speciale possono costituire un limite allo svolgimento della
potesta' legislativa regionale valdostana. Anzitutto, infatti, le
disposizioni censurate non perseguono affatto lo scopo di introdurre
ne' principi dell'ordinamento repubblicano, ne' norme fondamentali di
riforma economica o sociale, poiche' si limitano ad introdurre
previsioni - secondo quanto espressamente chiarito dal titolo
dell'art. 6 del decreto-legge n. 78/2010 - meramente e puntualmente
finalizzate alla «riduzione dei costi degli apparati amministrativi».
Ma tali generici limiti, inoltre, debbono intendersi superati nelle
materie che lo Statuto speciale attribuisce alla potesta' legislativa
regionale, almeno in relazione a quelle materie - come nel presente
caso - che per le regioni ordinarie ricadono nella competenza
legislativa residuale ex art. 117, comma 4, Cost. Cio' si determina
in virtu' dell'art. 10 della legge cost. n. 3/2001 (il quale pertanto
- in combinato disposto con gli artt. 117, commi 3 e 4, e 118 Cost. -
risulterebbe altresi' violato), che estende alle regioni speciali le
piu' ampie competenze attribuite alle regioni ordinarie, come codesta
ecc.ma Corte ha avuto modo di chiarire in piu' occasioni (si veda, ad
es., la sent. n. 274/2003). Pertanto, in seguito alla riforma
introdotta dalla citata legge costituzionale e' da considerarsi
illegittimo ogni intervento legislativo dello Stato che, come nel
presente caso, risulti sine titulo, poiche' incidente in materie
diverse da quelle previste dall'art. 117, secondo comma, Cost.: le
uniche su cui lo Stato e' titolare di competenza legislativa
esclusiva. E la lett. g) di tale ultima disposizione attribuisce allo
Stato esclusivamente la potesta' di dettare norme legislative con
riguardo allo «ordinamento e organizzazione amministrativa dello
Stato e degli enti pubblici nazionali», non certamente di quelli
regionali o locali. Al riguardo, sembra utile ricordare ancora come
codesta ecc.ma Corte, con la sent. n. 159/2008, abbia dichiarato
costituzionalmente illegittime norme legislative statali che
fissavano per le regioni e le province autonome la disciplina dei
compensi degli amministratori delle societa' partecipate ed il numero
massimo dei componenti i consigli di amministrazione di dette
societa', in quanto impositive - analogamente alle disposizioni ora
impugnate - di misure dettagliate o autoapplicative che non lasciano,
a livello regionale o provinciale, alcun margine di adeguamento della
relativa produzione legislativa.
Ancor piu' patente, poi, risulterebbe l'illegittimita'
costituzionale se, tra gli enti pubblici cui le norme impugnate si
riferiscono, venisse ritenuta inclusa anche l'Azienda sanitaria
valdostana, ente dipendente dalla Regione. In questo caso, infatti,
si verrebbe oltretutto ad incidere altresi' sulla competenza
legislativa in materia di «igiene e sanita', assistenza ospedaliera e
profilattica» (con profili che attengono, in particolare,
all'organizzazione dei servizi sanitari): competenza spettante alla
regione ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. l) dello Statuto
speciale, che risulterebbe, quindi, anch'esso violato. In tale ambito
materiale, peraltro, l'art. 117 Cost., a seguito della citata riforma
del 2001 del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, delinea
forme di autonomia piu' ampie di quelle gia' attribuite dallo
Statuto, giacche' la sanita' - come ribadito da codesta Corte nella
sent. n. 328 del 2006 - risulta ora ripartita fra la materia di
competenza regionale concorrente della «tutela della salute» (art.
117, terzo comma), che deve essere intesa come «assai piu' ampia
della precedente materia assistenza sanitaria ed ospedaliera»
contemplata nell'originario art. 117, primo comma (sent. n. 181 del
2006 e sent. n. 270 del 2005), e quella dell'organizzazione
sanitaria, in cui le Regioni possono adottare «una propria disciplina
anche sostitutiva di quella statale» (come gia' aveva rilevato nella
sent. n. 510/2002). Ne deriva, pertanto, ai sensi dell'art. 10 della
legge cost. n. 3/2001, che la particolare forma di autonomia,
riconosciuta dal novellato art. 117 della Costituzione alle regioni
ad autonomia ordinaria in materia di tutela della salute ed
organizzazione sanitaria, deve applicarsi anche alla Regione Valle
d'Aosta in quanto piu' ampia rispetto a quella prevista dallo Statuto
speciale.
Alla luce delle considerazioni fin qui esposte, deve
conseguentemente ritenersi che le norme impugnate, se intese come
applicabili all'Azienda sanitaria valdostana, si palesano
costituzionalmente illegittime anche in riferimento all'art. 117,
quarto comma, in combinato disposto con l'art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001.
Anche a ritenere, in maniera inesatta, che l'organizzazione dei
servizi sanitari, non costituisca una materia di competenza residuale
regionale ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost.,
considerandolo come un aspetto rientrante nella materia «tutela della
salute» di competenza concorrente ai sensi del terzo comma del
medesimo art. 117, le disposizioni impugnate, se applicate
all'Azienda sanitaria valdostana, si paleserebbero comunque lesive
della competenza regionale. La disciplina che esse recano non
rappresenta, infatti, un principio fondamentale di organizzazione,
estendendosi ampiamente anche ai profili di dettaglio di
quest'ultima. Basti considerare, a mero titolo esemplificativo, che
le disposizioni censurate individuerebbero: la puntuale riduzione del
10 per cento, rispetto a quanto percepito ad aprile 2010, delle
utilita' corrisposte ai componenti degli organi di indirizzo,
direzione e controllo dell'Azienda sanitaria (art. 6, comma 3); la
necessita' che gli organi di amministrazione e di controllo
dell'Azienda non superino, rispettivamente, i cinque e i tre
componenti (art. 6, comma 5); addirittura il divieto per l'Azienda
sanitaria di organizzare convegni scientifici a partire dall'anno
2011 per un ammontare di spesa superiore del 20 per cento rispetto al
dato del 2009 per la medesima finalita' (art. 6, comma 8)! Si tratta
di norme estremamente specifiche e dettagliate che non hanno nessuna
delle caratteristiche tipiche delle disposizioni di principio. Tanto
piu' illegittime, poi, esse si mostrano, se soltanto si consideri che
esse verrebbero applicate ad un ente, quale l'Azienda sanitaria
valdostana, che risulta interamente finanziata dalla regione, senza
alcun apporto a carico del bilancio dello Stato, come peraltro
affermato dall'art. 34, comma 3, della legge n. 724/1994.
Da tale ultima notazione bisogna prendere le mosse per tornare a
considerazioni di carattere piu' generale. Vale a dire, i commi
dell'art. 6 qui impugnati intervengono altresi', ledendola, in
materia di autonomia finanziaria regionale, garantita da norme di
rango costituzionale, quali l'art. 3, comma 1, lett. f) dello Statuto
speciale della Valle d'Aosta e dagli artt. 117, comma 3, Cost. e 119,
comma 2, Cost. in combinato disposto con l'art. 10, legge cost. n.
3/2001. Poiche' le disposizioni censurate stabiliscono una specifica
riduzione di spesa a carico degli enti pubblici e delle societa'
regionali, il loro carattere illegittimo non verrebbe meno neppure
ove si tentasse, precariamente, di accreditarne il carattere
vincolante per la Regione ricorrente, in quanto «principi di
coordinamento della finanza pubblica», adottati dallo Stato in
applicazione dell'art. 119, comma 2, Cost.
Come accennato, infatti, si tratta di norme che in nessun modo
possono essere ricondotte alla figura del «principio» - che di
necessita' risulta caratterizzato da una portata marcatamente
generale - se soltanto si consideri il livello di specificazione e di
dettaglio che le caratterizza.
I commi 2, 3, 6, 7, 8, 9, 12, 13 e 14 dell'art. 6 del d.1. n.
78/2010 qui impugnati, infatti, non si propongono di definire un
limite complessivo della spesa degli enti pubblici regionali, ma si
spingono fino a disciplinare in modo specifico e puntuale le singole
voci di spesa, al fine di realizzare la riduzione dei costi degli
apparati amministrativi. Pertanto, alla luce della giurisprudenza di
codesta Corte, siffatte previsioni non possono essere lette come
principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica cui le
regioni (ai sensi dell'art. 119, comma 2) sono tenute ad attenersi,
manifestandosi piuttosto quali vincolanti e puntuali limitazioni di
spesa lesive dell'autonomia finanziaria della Regione ricorrente, in
contrasto con la disciplina di rango costituzionale in materia, ed in
particolare con l'art. 117, comma 3, Cost. che limita la competenza
statale in materia di coordinamento della finanza pubblica
esclusivamente alla fissazione dei principi fondamentali (cfr. sentt.
nn. 417/2005; 390/2004; 376/2003). Codesta ecc.ma Corte, nella sent.
n. 88 del 2006, ha avuto modo di ribadire l'illegittimita'
costituzionale delle leggi statali che impongano «limiti precisi e
puntuali (e non gia' di principio [...] - idonei a contenere la spesa
corrente) non giustificabili dall'esigenza di coordinare la spesa
pubblica». Allo stesso modo, nella sent. n. 95 del 2007 e' stato
definitivamente ribadito che «secondo quanto costantemente affermato
dalla giurisprudenza di questa Corte, la previsione, da parte della
legge statale, di un limite all'entita' di una singola voce di spesa
della regione non puo' essere considerata un principio fondamentale
in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento
della finanza pubblica ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.,
perche' pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della
spesa e si risolve, di conseguenza, in un'indebita invasione
dell'area riservata dall'art. 119 Cost. all'autonomia finanziaria
delle Regioni».
Appare evidente, allora, che l'espresso riferimento, nelle
disposizioni impugnate, a limitazioni di singole voci di spesa
riguardanti enti pubblici e societa' regionali, quali voci da ridurre
o contenere, si pone in contrasto netto e diretto con le norme di
livello costituzionale che la Corte ha piu' volte individuato come
parametro. Per gli stessi motivi risulta altresi' violato sia il
comma 1, lett. b) dell'art. 2 dello Statuto speciale valdostano (ai
sensi del quale, ricade nella potesta' legislativa regionale la
materia dell'ordinamento degli enti locali), sia il comma 1, lett.
f), dell'art. 3 dello stesso Statuto speciale, che attribuisce alla
Regione la competenza legislativa in materia di «finanze regionali e
comunali» (competenza da qualificarsi, a seguito della Novella
costituzionale del 2001, come in precedenza rilevato, non piu' come
meramente suppletiva).
Al che si aggiunge, infine, la violazione della competenza
legislativa regionale in materia di autonomia finanziaria anche
comunale, la quale spetta alla Valle ai sensi del citato comma 1,
lett. f), dell'art. 3 dello Statuto speciale: competenza riconosciuta
da codesta ecc.ma Corte nella sent. n. 47 del 2004 ed espressamente
ribadita nella sent. n. 95/2007.
Ne' la incostituzionalita' delle menzionate norme puo' ritenersi
esclusa per effetto della previsione contenuta nel primo periodo del
comma 20 dello stesso art. 6 dell'atto normativo impugnato - ai sensi
del quale «le disposizioni del presente articolo non si applicano in
via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del
Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni
di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica».
Le disposizioni censurate, infatti, sono connotate da un elevato
grado di dettaglio e specificita', che impedisce di configurarle
quali disposizioni di principio.
Basti pensare, a mero titolo esemplificativo, alla previsione di
cui al comma 3, che impone una puntuale riduzione delle indennita',
compensi, gettoni, retribuzioni o altre utilita' comunque denominata,
corrisposti dalle pubbliche amministrazioni ai componenti di organi
collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di
qualsiasi tipo; oppure alla previsione contenuta nel comma 7, secondo
cui la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza sostenuta
dalle pubbliche amministrazioni [...], non puo' essere superiore al
20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009.
Si tratta, come e' evidente, di disposizioni di dettaglio che
eccedono la sfera di competenza statale, violando i parametri
normativi piu' sopra indicati. Da ultimo, occorre soffermarsi sul
comma 12 dell'art. 6 del decreto, atteso che la norma da esso recata
si mostra costituzionalmente illegittima sotto un profilo ulteriore
rispetto a quelli gia' esaminati.
Con tale disposizione, giova ribadirlo, il legislatore statale ha
stabilito che le amministrazioni pubbliche «non possono effettuare
spese per missioni, anche all'estero, [...] per un ammontare
superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 [...]»
e «a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto
le diarie per le missioni all'estero di cui all'art. 28 del
decreto-legge 4 luglio 2006, n. 233, convertito con legge 4 agosto
2006, n. 248, non sono piu' dovute [...]». Inoltre, la medesima
disposizione ha previsto che al personale contrattualizzato delle
pubbliche amministrazioni non si applicano, a far data dal 31 maggio
2010, gli artt. 15, legge n. 836/1973 e 8, legge n. 417/1978,
riguardanti, tra l'altro, l'utilizzo del mezzo proprio da parte dei
dipendenti per spostamenti di servizio e la corresponsione della
relativa indennita' chilometrica.
Ebbene, si tratta di una previsione che incide, anzitutto,
sull'organizzazione e sulle modalita' di svolgimento dell'attivita'
degli enti pubblici regionali, comprimendo indebitamente la
competenza legislativa della Valle in materia di «ordinamento degli
uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed
economico del personale», garantita ai sensi dell'art. 2, comma 1,
lett. a) dello Statuto speciale, che risulta, quindi, violato.
Lo stesso comma 12 lede, poi, l'autonomia finanziaria della
Regione ricorrente, tutelata sia dall'art. 3, comma 1, lett. f), che
dagli articoli 117, comma 2, Cost. e 119, comma 2 Cost., in combinato
disposto con l'art. 10, legge cost. n. 3/2001.
Sotto quest'ultimo profilo e' evidente, infatti, come e' dato
desumere dalla semplice lettura della disposizione impugnata, che
quest'ultima si traduce in un vincolo di spesa dettagliato e
puntuale, che eccede la competenza statale e si mostra, pertanto,
lesivo dell'autonomia finanziaria regionale.
La illegittimita' del comma 12 rileva, infine, anche per vizio di
irragionevolezza - il quale ridonda in un vizio di incompetenza
statale.
Ed infatti la norma, nel prevedere l'inapplicabilita' degli arti.
15, legge n. 836/1973 e 8, legge n. 417/1978 al personale
contrattualizzato delle pubbliche amministrazioni, impedisce
l'utilizzo del mezzo proprio da parte dei dipendenti per spostamenti
di servizio. Tuttavia e' ragionevole ritenere che l'utilizzo di
vetture proprie sia idoneo a produrre, almeno a lungo termine, una
riduzione della spesa pubblica e non certo un aggravio della stessa.
Infatti, tenuto anche conto delle caratteristiche morfologiche della
Regione valdostana, e' senz'altro piu' conveniente per
l'amministrazione (anche sotto il profilo dell'efficienza)
corrispondere un'indennita' chilometrica piuttosto che pagare un taxi
o un mezzo di trasporto ad esso analogo, specialmente nei casi in cui
il dipendente deve raggiungere sedi amministrative dislocate sul
territorio e non servite o mal servite da mezzi pubblici.
III. Illegittimita' costituzionale dell'articolo 9, comma 2-bis, e
del combinato disposto degli articoli 9, comma 28, e 14, comma
24-bis, del decreto-legge n. 78/2010, convertito con modificazioni
dalla legge n. 122/2010, per violazione degli artt. 2, comma 1, lett.
a) e 4, comma 1, dello Statuto della Valle d'Aosta (legge. cost. n.
4/1948) nonche' dell'art. 10, legge cost. n. 3/2001.
Il comma 2-bis dell'art. 9 del d.1. n. 122/2010, introdotto dalla
legge di conversione n. 122/2010, prevede che «a decorrere dal 1°
gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 l'ammontare complessivo delle
risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del
personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle
amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non puo' superare il
corrispondente importo dell'anno 2010 ed e', comunque,
automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del
personale in servizio». Dal canto suo, l'articolo 9, comma 28, del
decreto-legge n. 78/2010, stabilisce, tra l'altro, quanto segue: «A
decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni dello Stato [...]
possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni
ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel
limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalita'
nell'anno 2009.
Per le medesime amministrazioni la spesa per personale relativa a
contratti di formazione lavoro, ad altri rapporti formativi, alla
somministrazione di lavoro, nonche' al lavoro accessorio [...], non
puo' essere superiore al 50 per cento della spesa sostenuta per le
rispettive finalita' nell'anno 2009.».
La stessa disposizione, specifica, poi, che le riportate
previsioni in essa contenute «costituiscono principi generali ai fini
del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le
Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario
nazionale».
Con la norma impugnata, dunque, il legislatore statale ha imposto
la riduzione del 50 della spesa pubblica per il personale non di
ruolo sostenuta nell'anno 2009, mediante il contenimento
dell'utilizzo delle forme contrattuali flessibili di assunzione
(contratti a tempo determinato, convenzioni, collaborazioni
coordinata e continuativa).
Per quanto riguarda la specifica posizione della Regione Autonoma
Valle d'Aosta, occorre altresi' rilevare come il citato articolo 9,
comma 28, vada coordinato con quanto previsto dall'articolo 14, comma
24-bis, del medesimo decreto-legge. Ai sensi di quest'ultima
disposizione, il limite di spesa previsto dall'articolo 9, comma 28,
puo' essere superato esclusivamente nel caso di proroga dei rapporti
di lavoro a tempo determinato stipulati dalle regioni a statuto
speciale, nonche' dagli enti territoriali facenti parte delle
predette regioni, «a valere sulle risorse finanziarie aggiuntive
appositamente reperite da queste ultime attraverso apposite misure di
riduzione e razionalizzazione della spesa», fatto comunque salvo il
rispetto dei vincoli ed obiettivi di contenimento della spesa
pubblica previsti dal patto di stabilita' interno.
Inoltre, sempre secondo il comma 24-bis, dell'art. 14, per
l'attuazione dei «processi assunzionali la regione e' tenuta ad
attingere prioritariamente ai lavoratori a tempo determinato».
Cio' premesso, occorre sin d'ora rilevare come sia il comma 2-bis
dell'art. 9, sia il combinato disposto degli artt. 9, comma 28, e 14,
comma 24-bis, del decreto-legge n. 78/2010, si pongano in contrasto
con l'art. 2, comma 1, lett. a) e art. 4, comma 1, dello statuto
della Valle d'Aosta (legge cost. n. 4/1948), nonche' con l'art. 10,
legge cost. n. 3/2001, in quanto ledono gravemente la competenza
legislativa e amministrativa della Regione ricorrente.
Infatti, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. a) dello Statuto,
la Regione Valle d'Aosta gode di una competenza primaria in materia
di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e
stato giuridico ed economico del personale». Conseguentemente, nella
relativa disciplina, la Regione valdostana non puo' essere limitata
dall'intervento del legislatore statale, essendo peraltro venuto
meno, al riguardo, il limite del rispetto dei principi
dell'ordinamento giuridico della Repubblica, dell'interesse nazionale
e delle norme fondamentali di riforma economico-sociale, in virtu'
della previsione di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001
(si veda Corte cost. sent. n. 274/2003).
Nella medesima materia, poi, in forza del c.d. parallelismo posto
dall'art. 4 dello Statuto regionale, la Valle esercita le rispettive
funzioni amministrative.
In considerazione di cio', risulta evidente l'illegittimita'
della disciplina posta sia dall'art. 9, comma 2-bis, sia dal
combinato disposto di cui agli articoli 9 comma 28, e 14, comma
24-bis del decreto-legge oggetto di sindacato, atteso che tali
previsioni introducono dei limiti allo status giuridico ed economico
del personale dipendente della Regione, traducendosi in una
menomazione delle richiamate attribuzioni statutarie della Valle
d'Aosta. La normativa statale, in effetti, impone dei pervasivi e
rigidi vincoli al potere di gestione dei rapporti contrattuali
relativi al personale amministrativo valdostano.
Ed infatti, il citato art. 9, comma 2-bis, opera un «blocco»
della cifra complessiva, per il triennio 2011-2013, che le
amministrazioni pubbliche regionali e comunali possono destinare al
trattamento accessorio del relativo personale; mentre l'art. 9, comma
28, fissa un tetto massimo alla spesa relativa al personale a tempo
determinato, o con convenzioni o con contratti di collaborazione
coordinata e continuativa, nonche' a quello con contratti di
formazione lavoro, ed altri rapporti formativi, compresa la
somministrazione di lavoro ed il lavoro accessorio di cui all'art.
70, comma 1, lett. d), del decreto legislativo n. 276 del 2003.
Da cio' consegue che la Regione, cosi' come gli enti pubblici
regionali, per effetto delle norme impugnate, non potranno
autonomamente determinarsi circa il trattamento accessorio da
destinare al personale, ne' potranno - per la parte eccedente il
puntuale limite fissato con legge statale - assumere nuovo personale
o mantenere i rapporti contrattuali in essere, dovendo, altrimenti,
rideterminarne, in senso peggiorativo, il relativo trattamento
economico.
Ora, non sembra necessario ricorrere a particolari dimostrazioni
per render palese come le norme impugnate, per quanto si e' appena
detto, incidono in maniera diretta, puntuale e paradigmatica, proprio
su un aspetto che concerne lo «stato economico» del personale.
D'altro canto, neanche la deroga introdotta dall'art. 14, comma
24-bis del medesimo decreto-legge, risulta esente da censure.
La legge statale, infatti, nel consentire alla Regione di
superare il tetto massimo di spesa posto dal comma 28 dell'art. 9
solo nell'ipotesi della proroga di contratti a tempo determinato,
impone all'Ente la scelta di uno specifico modello contrattuale ed
incide negativamente sulle attribuzioni regionali in materia di
status giuridico del personale, in violazione dell'art. art. 2, comma
1, lett. a) dello Statuto.
Analoghe considerazioni valgono, poi, con riferimento all'ultimo
periodo dell'art. 14, comma 24-bis del decreto-legge, laddove e'
fatto obbligo alla Regione - nelle ipotesi di nuove assunzioni - di
attingere prioritariamente a personale a tempo determinato. La
pervasivita' del vincolo e' resa tanto piu' evidente dall'obbligo di
motivazione che il medesimo comma impone in capo alla Regione nel
caso in cui quest'ultima intenda assumere personale diverso da quello
indicato dal legislatore statale (cioe' dal personale a tempo
determinato). In argomento si richiama la sentenza n. 95/2008,
relativa ad una fattispecie analoga a quella di cui si discute, con
la quale codesta ecc.ma Corte ha dichiarato la illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 560, legge n. 296 del 2006. Tale
disposizione imponeva alle regioni che intendessero procedere ad
assunzioni di personale a tempo determinato, l'obbligo di riservare
una quota di posti a favore di chi avesse gia' intrattenuto (con
l'amministrazione banditrice del concorso) rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa. La Corte, piu' in particolare, ha basato
la citata pronuncia sull'assunto che «la regolamentazione delle
modalita' di accesso al lavoro pubblico regionale e' riconducibile
alla materia dell'organizzazione amministrativa delle regioni e degli
enti pubblici regionali e rientra nella competenza residuale delle
regioni». Lo Stato, pertanto, non ha titolo per intervenire su tali
ambiti materiali.
Conclusivamente, le norme che hanno introdotto le tante
limitazioni di cui si e' detto, gravando su una materia di esclusiva
competenza - sia legislativa che amministrativa - della Regione
ricorrente ai sensi dei menzionati articoli 2, comma 1, lett. a) e 4,
comma 1, dello Statuto, esorbitano dalla competenza legislativa
statale e devono, pertanto, essere dichiarate costituzionalmente
illegittime.
In subordine, qualora, errando, dovesse ritenersi che un
intervento del legislatore statale in materia di «ordinamento degli
uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed
economico del personale» sia ammissibile se volto alla fissazione dei
principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, non
puo' che ugualmente rilevarsene l'illegittimita' costituzionale,
sotto i seguenti ulteriori profili.
A) Sulla natura dei vincoli apposti dal legislatore statale
all'autonomia finanziaria di spesa della Regione Valle d'Aosta.
Violazione ad opera dell'art. 9, comma 2-bis, e del combinato
disposto di cui agli articoli 9, comma 28, e 14, comma 24-bis del
decreto-legge n. 78/2010 dell'art. 3, comma 1, lett. f) dello Statuto
della Valle (legge cost. n. 4/1948), nonche' degli articoli 117,
comma 3, 119, comma 2, Cost., resi applicabili ex art. 10, legge
cost. n. 3/2001.
Le norme impugnate sono affette da illegittimita' costituzionale
per violazione dell'art. 3, comma 1, lett. f) dello Statuto (legge
cost. n. 4/1948), nonche' degli articoli 117, comma 3, 119, comma 2,
Cost., resi applicabili ex art. 10, legge cost. n. 3/2001.
E' noto infatti che il coordinamento della finanza pubblica
rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 117, comma 3, Cost.
Pertanto, trattandosi di materia di competenza concorrente, la
legislazione statale deve arrestarsi alla individuazione dei principi
generali.
Le previsioni censurate, invece, lungi dall'introdurre principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica si risolvono
nella imposizione di misure analitiche e di dettaglio che non
lasciano alcun margine di intervento al legislatore regionale in
materia e che ledono, quindi, i parametri normativi piu' sopra
indicati (in tal senso Corte cost., sent. nn. 417/2005; n. 376 del
2003; n. 390 del 2004).
Ed infatti, in base alle norme oggetto di sindacato, la Regione
valdostana non potra' assumere alcuna determinazione con riguardo al
trattamento accessorio del personale; ne' potra' destinare, a partire
dal 2011, alla spesa per il personale non di ruolo, una somma
superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009, per
le medesime finalita'.
Il che significa che non residua in capo alla ricorrente alcun
margine di apprezzamento in ordine alla scelta di strumenti idonei a
perseguire l'obiettivo del contenimento della spesa pubblica, ne'
circa la fissazione del quantum delle riduzioni necessarie al
contenimento stesso.
Per non considerare, poi, la irragionevolezza intrinseca del
limite del 50 per cento, che e' stato indifferentemente stabilito per
tutte le regioni senza tenere nella dovuta considerazione il diverso
grado di efficienza di ciascun Ente territoriale relativamente alla
gestione del personale ed alla allocazione delle relative risorse.
Ne' la indebita ingerenza nelle attribuzioni statutarie e
costituzionali della Regione puo' ritenersi esclusa dalla previsione
della deroga introdotta dall'art. 14, comma 24-bis, del
decreto-legge.
Tale disposizione, infatti, riconnette la possibilita' di
superare il predetto limite di spesa del 50 per cento a due
circoscritte ipotesi: che si tratti di una proroga di contratti gia'
in essere e che la stessa concerna soltanto rapporti di lavoro a
tempo determinato.
La Valle, dunque, non potra', per un importo eccedente il 50 per
cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalita',
ne' rinnovare contratti di tipo diverso da quelli a tempo
determinato, tantomeno procedere all'assunzione di nuovo personale.
Si tratta, quindi, come e' evidente, di una deroga surrettizia ed
asfittica, che non lascia al legislatore regionale alcun margine di
discrezionalita'. Alla luce di quanto rilevato, non vi e' dubbio che
le norme recate dall'articolo 9, comma 2-bis, e dal combinato
disposto degli articoli 9, comma 28 e 14, comma 24-bis, del
decreto-legge n. 78/2010, si traducono nella imposizione di misure di
immediata e diretta applicazione. Tali misure non possono in alcun
modo qualificarsi come principi fondamentali di coordinamento della
finanza pubblica atteso che, come in precedenza rilevato, pongono
obiettivi precisi e permanenti di riequilibrio della spesa e
prevedono in modo esaustivo gli strumenti e modalita' per il
perseguimento degli obiettivi stessi (sul punto Corte cost., sentt.
nn. 289/2008, n. 120/2008; n. 412/2007, n. 169/2007, n. 88/2006).
Risulta, conseguentemente, che le norme impugnate eccedono la
competenza legislativa spettante allo Stato ex art. 117, comma 3,
Cost. e determinano una illegittima quanto intollerabile menomazione
dell'autonomia finanziaria della Valle tutelata, come detto, dagli
articoli 3, comma 1, lett. f) dello Statuto, nonche' dal combinato
disposto degli articoli 119, comma 2, Cost. e 10, legge cost. n.
3/2001.
A conferma di quanto sin qui argomentato, si richiama, inoltre,
l'orientamento piu' volte espresso, e di recente ribadito, da codesta
ecc.ma Corte circa la natura del rapporto intercorrente tra norma di
principio e di dettaglio, secondo il quale «l'una e' volta a
descrivere criteri ed obiettivi, mentre all'altra spetta la
individuazione degli strumenti concreti per raggiungere quegli
obiettivi» (Corte cost., sent. 26/2010, 237/2009, 181/2006).
Ebbene, non v'e' chi non veda come le misure introdotte dalle
disposizioni statali in epigrafe indicate, non presentano alcuna
delle caratteristiche delle norme di principio. Le stesse, quindi,
esorbitano dalla competenza concorrente statale ex art. 117, comma 3,
Cost. ingerendo indebitamente sull'autonomia finanziaria di spesa
della Regione, in contrasto con la disciplina di rango costituzionale
piu' volte invocata dalla ricorrente.
Inoltre, le disposizioni impugnate si mostrano illegittime anche
in relazione alla limitazione che esse apportano all'autonomia
finanziaria dei Comuni. situati nella Regione Valle d'Aosta. La
competenza in tale materia, infatti, spetta alla Regione ricorrente
ai sensi del citato comma 1, lett. f), dell'art. 3 dello Statuto
speciale: competenza che, si ribadisce, codesta ecc.ma Corte ha piu'
volte riconosciuto (si vedano, ad es., la sent. n. 47 del 2004 e la
sent. n. 95/2007).
B) Sulla natura dei vincoli apposti dal legislatore statale
all'autonomia finanziaria di entrata della Regione Valle d'Aosta.
Violazione ad opera del combinato disposto di cui agli articoli 9,
comma 28, e 14, comma 24-bis del decreto-legge n. 78/2010, dell'art.
3, comma 1, lett. f) e art. 12 dello Statuto della Valle (legge cost.
n. 4/1948), nonche' degli articoli, 119, comma 2, Cost. e 10, legge
cost. n. 3/2001.
L'art. 14, comma 24-bis, determina, poi, la lesione
dell'autonomia finanziaria di entrata della Valle d'Aosta,
costituzionalmente tutelata dagli articoli 3, comma 1, lett. f) e 12
dello Statuto (legge cost. n. 4/1948), nonche' dall'art. 119 Cost. e
art. 10, legge cost. n. 3/2010.
Ed infatti, la disposizione impugnata, in contrasto con i
parametri normativi ora menzionati, dispone che i contratti a tempo
determinato prorogati dalla Regione in virtu' della deroga di cui al
medesimo articolo, gravino solo «sulle risorse finanziarie aggiuntive
appositamente reperite» dalla Valle «attraverso apposite misure di
riduzione e razionalizzazione della spesa certificate dagli organi di
controllo interno».
Il legislatore statale, in estrema sintesi, ben al di la' della
sua competenza in materia di fissazione di norme di principio
nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica ex art. 117,
comma 3, Cost., ha seccamente imposto alla Regione valdostana
l'istituzione di risorse aggiuntive, ne ha fissato le modalita' di
reperimento, nonche' individuato la relativa destinazione - cosi'
violando qualsivoglia garanzia afferente all'autonomia finanziaria di
entrata della ricorrente.
Peraltro, che la norma impugnata non sia configurabile alla
stregua di un principio e' circostanza chiaramente confermata dallo
stesso tenore letterale della disposizione, nel punto in cui il comma
24-bis fa riferimento a «risorse appositamente reperite», «apposite
misure di riduzione e razionalizzazione», «certificazione ad opera
degli organi di controllo interni».
Da cio' consegue, pertanto, anche sotto questo ulteriore profilo,
la illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 24-bis, per
violazione dei parametri piu' sopra indicati.
III. 2) Relativamente al Servizio Sanitario Nazionale.
Per espressa previsione normativa, l'art. 9, comma 28, del
decreto-legge di cui si discute si applica, altresi', agli enti del
Servizio sanitario nazionale (Snn), ai quali e' parimenti imposto di
non superare il 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per
il personale non di ruolo.
La norma censurata risulta, a ben vedere, invasiva dell'autonomia
legislativa e finanziaria regionale sotto una pluralita' di profili.
Valgano in proposito tutti i rilievi gia' formulati nel presente
ricorso (relativamente alla incostituzionalita' delle norme che si
riferiscono agli enti del Ssn), ai quali, per brevita', sia
consentito rinviare.
III. 3) Violazione degli artt. 117, commi 3 e 4, e 119, Cost., in
combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3/2001, nonche'
degli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lett. f), e 4
dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta (legge cost. n. 4 del
1948) e delle relative norme di attuazione, da parte dell'art. 9,
comma 4, del d.l. n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122.
L'art. 9, comma 4, del d.1. n. 78/2010, cosi' come modificato
dalla legge di conversione n. 122/2010, prevede che i rinnovi
contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche
amministrazioni, cosi' come i. miglioramenti economici del rimanente
personale in regime di diritto pubblico, relativi al biennio
2008-2009 non possono, in ogni caso, determinare aumenti retributivi
superiori al 3,2 per cento. Restano esclusi dall'applicazione di tale
previsione il comparto sicurezza-difesa ed i Vigili del fuoco.
Il divieto di introdurre i citati aumenti retributivi si applica
anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata
in vigore del decreto n.78/2010, determinando l'inefficacia delle
clausole difformi contenute nei predetti contratti ed accordi a
decorrere dalla mensilita' successiva alla data di entrata in vigore
dello stesso decreto, con conseguente adeguamento dei trattamenti
retributivi.
Cio' premesso, ove si ritenesse che la disciplina dettata dal
citato art. 9, comma 4, - la quale si riferisce, in modo del tutto
generico, alle «pubbliche amministrazioni» senza contenere alcun
espresso riferimento alle Regione ad autonomia speciale - vada
applicata anche alla Valle d'Aosta, valgano le seguenti
considerazioni.
La disposizione impugnata stabilisce una misura di contenimento
della spesa per il personale delle pubbliche amministrazioni che, ove
ritenuta vincolante anche per la Regione Valle d'Aosta ed agli altri
enti del comparto unico valdostano, determina un'indebita
compressione dell'autonomia legislativa, organizzativa e finanziaria
della Regione, in violazione dello Statuto speciale e delle norme
costituzionali applicabili alla Regione in virtu' dell'art. 10 della
legge cost. n. 3/2001.
Deve anzitutto considerarsi che il divieto di determinare aumenti
retributivi superiori al 3,2 per cento - divieto riferito ai rinnovi
contrattuali del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni
per il biennio 20082009 ed ai miglioramenti economici del rimanente
personale in regime di diritto pubblico nel medesimo biennio - si
riferisce ad una singola e puntuale voce di spesa della Regione e non
puo' quindi qualificarsi come un principio fondamentale di
coordinamento della finanza pubblica spettante alla competenza
statale ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost. La definizione di un
limite massimo, calcolato in termini percentuali, applicabile ai
rinnovi contrattuali del personale non esprime, infatti, un mero
indirizzo rivolto al legislatore regionale, ne' un obiettivo che
quest'ultimo possa perseguire con autonome decisioni, ma incide
direttamente su una specifica e puntuale voce della spesa regionale,
privando la Regione della possibilita' di decidere autonomamente su
quali voci e con quali modalita' realizzare l'obiettivo del
contenimento della spesa.
La norma censurata, dunque, nel fissare un vincolo puntuale ad
una singola voce di spesa regionale, lede l'autonomia finanziaria
della Regione e si pone in insanabile contrasto con l'art. 117, comma
3, Cost. e con l'art. 119 Cost. che garantiscono, ai sensi dell'art.
10 della legge cost. n. 3 del 2001, anche la sfera di autonomia
finanziaria della Regione Valle d'Aosta.
A tale proposito, deve osservarsi che codesta ecc.ma Corte ha in
piu' occasioni ribadito che non possono qualificarsi principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica tutte quelle
norme statali che intervengono a fissare vincoli puntuali a singole
voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali (ex
plurimis, sent. n. 417 del 2005). La legge dello Stato puo'
legittimamente fissare soltanto un «limite complessivo, che lascia
agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse tra i
diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentt. nn. 88 del 2006, 36 del
2004).
La disposizione censurata, invece, nell'impedire che in sede di
rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche
amministrazioni relativi al biennio 2008-2009 possano prevedersi
aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento, non stabilisce un
limite complessivo alla spesa per il personale, ma vincola la Regione
nell'allocazione delle risorse fra i diversi possibili ambiti della
suddetta spesa, imponendo un «livellamento» degli aumenti retributivi
per il personale regionale e degli altri enti del comparto unico
valdostano.
Ne' puo' sostenersi che la previsione di un «tetto» massimo alla
previsione di aumenti retributivi, lasciando alla Regione la
possibilita' di differenziare e graduare gli aumenti retributivi del
personale purche' inferiori a tale soglia, possa percio' stesso
qualificarsi come un principio di coordinamento della finanza
pubblica. La giurisprudenza di codesta Corte ha infatti chiarito,
come in precedenza ricordato, che la previsione di limiti specifici
all'entita' di una singola voce di spesa della Regione, come pure
l'imposizione degli strumenti concreti da utilizzare al fine del
perseguimento del contenimento della spesa pubblica, si risolvono
nella indebita invasione dell'area riservata dall'art. 119 Cost. alle
autonomie regionali e degli enti locali (Corte cost., sent. n. 449
del 2005). La norma statale impugnata, impedendo alla Regione non
solo di compiere una scelta tra i diversi possibili strumenti volti
al perseguimento del contenimento della spesa per il personale, ma
anche di selezionare le modalita' attraverso le quali distribuire i
possibili aumenti retributivi tra le diverse strutture organizzative
e le diverse figure professionali - dovendo comunque per tutte
allinearsi al di sotto del limite percentuale fissato dal legislatore
statale - si muove, pertanto, in direzione opposta rispetto a quanto
piu' volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale.
Da tale prospettiva, non assume alcun rilievo che la previsione
contenuta nell'art. 9, comma 4, del d.l. n. 78/2010 sia temporalmente
limitata al biennio 2008/2009. La determinazione temporale della
misura di contenimento della spesa per il personale non puo' infatti
giustificare l'indebita sostituzione del legislatore statale a quello
regionale in una scelta che concerne la sfera organizzativa della
Regione e degli altri enti del comparto unico valdostano per il
profilo relativo alle risorse umane in essa coinvolte ed al loro
trattamento economico.
Ad avvalorare le considerazioni fin qui svolte concorre,
peraltro, anche l'ulteriore disciplina dettata dall'art. 9, comma 4,
del d.l. n. 78/2010, laddove si prevede che il divieto di aumenti
retributivi superiori al 3,2 per cento si applica anche ai contratti
ed accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del
decreto-legge, cosicche' «le clausole difformi contenute nei predetti
contratti ed accordi sono inefficaci a decorrere dalla mensilita'
successiva alla data di entrata in vigore» dello stesso decreto. La
norma statale impugnata produce dunque un puntuale effetto abrogativo
sulle clausole contrattuali che abbiano disposto aumenti retributivi
superiori al 3,2 per cento, con cio' palesando la natura dettagliata
ed autoapplicativa della previsione in esame, in violazione del
riparto di competenze costituzionalmente garantito che impone al
legislatore statale di arrestarsi alla fissazione di principi
fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica,
suscettibili di ulteriori sviluppi normativi da parte del legislatore
regionale.
La disciplina introdotta dall'art. 9, comma 4, del decreto-legge
n. 78/2010 determina, altresi', una violazione dell'art. 2, comma 1,
lett. a) dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta, che riserva
alla potesta' legislativa regionale primaria la disciplina in materia
di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e
stato giuridico ed economico del personale».
La norma impugnata, che vieta la determinazione di aumenti
contributivi superiori al 3,2 per cento in sede di rinnovi
contrattuali del personale dipendente delle pubbliche
amministrazioni, incide infatti in maniera diretta e puntuale sullo
«stato economico» di tale personale. Pertanto, la norma statale
impugnata, proponendosi di regolare un aspetto che, ex art. 2, comma
1, lett. a), dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta, risulta
attribuito alla piena competenza legislativa regionale, deve
ritenersi costituzionalmente illegittima anche in relazione a tale
parametro costituzionale.
Analogamente, deve ritenersi che l'art. 9, comma 4, del d.l. n.
78/2010, laddove ritenuto applicabile anche agli altri enti del
comparto unico valdostano, sia lesivo della competenza legislativa
primaria attribuita alla Regione Valle d'Aosta dall'art. 2, lett. b),
dello Statuto speciale in materia di «ordinamento degli enti locali e
delle relative circoscrizioni». A tale riguardo deve sottolinearsi
che, ai sensi dell'art. 47 della legge regionale 23 luglio 2010, n.
22 (recante «Nuova disciplina dell'organizzazione
dell'Amministrazione regionale e degli enti del comparto unico della
Valle d'Aosta. Abrogazione della legge regionale 23 ottobre 1995, n.
45, e di altre leggi in materia di personale»), costituiscono un
unico comparto di contrattazione (oltre alle strutture della Regione)
tutti gli enti contemplati nell'art. 1 della medesima legge e cioe'
gli enti pubblici non economici dipendenti dalla Regione, gli enti
locali e le loro forme associative. La previsione contenuta nella
norma statale impugnata, qualora ritenuta applicabile a tutti gli
enti del comparto unico valdostano, appare pertanto lesiva anche
della competenza legislativa primaria attribuita dallo Statuto alla
Regione Valle d'Aosta in materia di ordinamento degli enti locali:
tale competenza implica infatti che spetta alla Regione dettare la
disciplina riguardante l'organizzazione amministrativa di tali enti,
non esclusi gli aspetti concernenti lo stato economico del personale
dipendente.
Inoltre, l'art. 9, comma 4, del d.1. n. 78/2010 deve considerarsi
costituzionalmente illegittimo anche in riferimento al parametro di
legittimita' rappresentato dall'art. 3, comma 1, lett. f) dello
Statuto speciale, che attribuisce alla Regione la potesta' di
introdurre norme legislative di integrazione ed attuazione,
nell'ambito dei principi individuati con legge dello Stato, in
materia di «finanze regionali e comunali». Alla stregua di tale norma
statutaria, il legislatore statale non puo' vincolare la spesa per il
personale delle amministrazioni locali valdostane attraverso una
disciplina di dettaglio ed auto-applicativa, come fa invece la
disposizione censurata, ma deve limitarsi alla fissazione di una
disciplina di principio. Sussiste, dunque, un ulteriore e distinto
profilo di illegittimita' della norma impugnata, dal momento che essa
pretende di porre un vincolo diretto e puntuale anche ad una voce di
spesa riguardante gli enti locali della Regione Valle d'Aosta, in
violazione dell'art. 3, comma 1, lett. f), dello Statuto speciale.
Infine, l'art. 9, comma 4, del d.l. n. 78/2010 deve considerarsi
costituzionalmente illegittimo anche in riferimento al parametro
costituito dall'art. 4 dello Statuto speciale della Regione Valle
d'Aosta, che attribuisce alla Regione le funzioni amministrative
sulle materie nelle quali la stessa Regione e' titolare di potesta'
legislativa. Tale disposizione statutaria implicitamente tutela
l'autonomia regionale in materia di attivita' - e relative
determinazioni di spesa - che hanno ad oggetto il personale
necessario sia a svolgere dette funzioni, sia ad assicurare il buon
andamento ed il funzionamento degli uffici e degli enti dipendenti
dalla Regione stessa. Da questo punto di vista, il limite imposto
dalla disposizione statale censurata agli aumenti retributivi
disposti dai rinnovi contrattuali del personale dipendente delle
pubbliche amministrazioni, qualora applicabile anche alla Regione
Valle d'Aosta, comporterebbe una illegittima menomazione anche delle
competenze amministrative regionali, dal momento che la
determinazione dello stato economico del personale regionale e degli
altri enti rientranti nel comparto unico valdostano incide su un
aspetto determinante della contrattazione relativa alle risorse umane
attraverso cui l'Ente regionale esercita le proprie funzioni
amministrative.
Pertanto, l'art. 9, comma 4, del d.l. n. 78/2010, ponendosi in
contrasto con l'art. 4 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta,
e' da considerarsi anche sotto tale aspetto costituzionalmente
illegittimo.
IV. Violazione ad opera dell'art. 14, comma 32, del decreto-legge n.
78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122, degli articoli 2, comma 1, lett. b) e 3, comma 1, lett.
f) dello Statuto speciale della Valle d'Aosta (legge cost. n.
4/1948), nonche' del combinato disposto degli articoli 117, comma 2,
lett. g) Cost. e 117, comma 4, Cost. e dell'art. 117, comma 6, Cost.
L'art. 14, comma 32, del decreto-legge impugnato cosi' dispone:
«Fermo quanto previsto dall'art. 3, commi 27, 28 e 29, della legge 24
dicembre 2007, n. 244, i comuni con popolazione inferiore a 30.000
abitanti non possono costituire societa'. Entro il 31 dicembre 2011 i
comuni mettono in liquidazione le societa' gia' costituite alla data
di entrata in vigore del presente decreto, ovvero ne cedono le
partecipazioni. La disposizione di cui al presente comma non si
applica alle societa', con partecipazione paritaria ovvero con
partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite da
piu' comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti;
i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti
possono detenere la partecipazione di una sola societa'; entro il 31
dicembre 2011 i predetti comuni mettono in liquidazione le altre
societa' gia' costituite. Con decreto del Ministro per i rapporti con
le regioni e per la coesione territoriale, di concerto con i Ministri
dell'economia e delle finanze e per le riforme per il federalismo, da
emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto, sono determinate le
modalita' attuative del presente comma nonche' ulteriori ipotesi di
esclusione dal relativo ambito di applicazione».
Riassumendo, il legislatore statale ha previsto:
a) il divieto per i comuni con meno di 30.000 abitanti di
costituire societa' di qualunque tipo o parteciparvi e l'obbligo, per
gli stessi, di mettere in liquidazione, entro il 31 dicembre 2011,
tutte le societa' gia' costituite, ovvero cederne le partecipazioni;
b) il divieto per i comuni con popolazione compresa tra
30.000 e 50.000 abitanti di detenere la partecipazione a piu' d'una
societa' e l'obbligo, per gli stessi, di mettere in liquidazione,
entro il 31 dicembre 2011, tutte le societa' gia' costituite;
c) la rimessione ad un decreto ministeriale (da emanarsi
entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione) della individuazione delle modalita' attuative della
norma e di ipotesi di esclusione dell'applicazione della stessa.
Cio' premesso, anche tale previsione si mostra costituzionalmente
illegittima poiche' - oltre a violare il principio costituzionale di
leale collaborazione, come in seguito si chiarira' - determina una
indebita compressione dell'autonomia organizzativa della ricorrente
sotto almeno due profili.
Anzitutto risulta violato l'art. 2, comma 1, lett. b) dello
Statuto speciale della Valle (legge cost. n. 4/1948) che riconosce
alla Regione, come noto, la potesta' legislativa primaria in materia
di «ordinamento degli enti locali». E non vi e' dubbio che
l'intervento statale realizzato attraverso il citato comma 32,
dell'art. 14, incida proprio su tale ambito materiale. In proposito
sia sufficiente rilevare che i divieti ed obblighi, in precedenza
riassunti, posti dalla norma impugnata in capo alle amministrazioni
comunali valdostane, non solo condizionano del tutto le modalita'
organizzative dei servizi resi dagli enti locali, ma ne limitano
fortemente l'iniziativa economica e la capacita' di agire, ingerendo
negativamente sul relativo assetto ordinamentale e organizzativo.
Ebbene, in proposito non puo' non rilevarsi come il legislatore
statale non abbia titolo competenziale costituzionale per legiferare
nella materia «ordinamento degli enti locali». L'esercizio del potere
legislativo in tale settore, infatti, e' riservato alla Regione Valle
d'Aosta in base all'art. 2, comma 1, lett. b) dello Statuto speciale
- disposizione che risulta, pertanto, gravemente lesa dalla norma
impugnata.
La illegittimita' di quest'ultima rileva, peraltro, anche sotto
l'ulteriore profilo della violazione del combinato-disposto dei commi
secondo e quarto dell'art. 117 Cost.
Il comma secondo dell'art. 117, lett. g), infatti, attribuendo
alla potesta' legislativa statale soltanto la disciplina
dell'«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato»,
derubrica la materia dell'«ordinamento e organizzazione
amministrativi degli enti sub statali». Tale materia, non essendo
«espressamente riservata» alla competenza statale, ricade quindi
nella potesta' legislativa regionale, per effetto del comma quarto
dello stesso articolo, ai sensi del quale «spetta alle regioni la
potesta' legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente
riservata alla legislazione dello Stato». Le norme costituzionali
appena citate, come noto, sono pacificamente invocabili come
parametro di legittimita' anche dalla Regione Valle d'Aosta, in forza
dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Per tali ragioni, l'art. 14, comma 32, del decreto-legge n.
78/2010 e' da ritenersi costituzionalmente illegittimo in quanto
contrario all'art. 2, comma primo, lett. b) dello Statuto speciale
per la Valle d'Aosta e all'art. 117, commi 2 e 4, Cost.
A quanto precede deve, inoltre, essere aggiunto il riferimento
all'art. 3, comma 1, lett. f) dello Statuto speciale, che appare
parimenti violato.
Tale norma statutaria, infatti, riconosce, come noto, alla
Regione la potesta' di introdurre norme legislative di integrazione
ed attuazione, nell'ambito dei principi individuati con legge dello
Stato, in materia di «finanze comunali». Ed e' chiaro che la finanza
comunale venga in evidenza nel presente caso, atteso che si discute
del potere dei comuni di operare scelte in materia societaria.
Ora, alla luce del combinato-disposto tra la disposizione
statutaria citata e gli artt. 117, comma 3 e 119, comma 2, Cost., la
competenza normativa della Valle in tale materia, in forza della
clausola di cui all'art. 10, legge cost. n. 3/2001, e' garantita
nell'ambito dei principi di coordinamento stabiliti dallo Stato che
deve, pertanto, limitarsi ad individuare tali principi.
Nel caso di specie, tuttavia, con l'art. 14, comma 32, il
legislatore statale si e' spinto, come e' evidente, ben oltre la
determinazione dei suddetti principi, invadendo la potesta' normativa
regionale in materia di «finanze comunali». Ne' varrebbe sostenere,
facendo leva sull'orientamento espresso da codesta ecc.ma Corte in
materia di societa' partecipate dalle amministrazioni pubbliche con
la sentenza n. 326/2008 (che ha dichiarato non fondata la q.lc.
dell'art. 13 del decreto-legge n. 223/2006, c.d. Decreto Bersani),
che la materia relativa alla capacita' dei comuni di costituire,
partecipare, dismettere societa' di qualsiasi tipo vada ricondotta
anziche', correttamente, alla potesta' legislativa regionale in
materia di «ordinamento degli enti locali» e «finanze comunali», alle
diverse materie «ordinamento civile» e «tutela della concorrenza», di
spettanza esclusiva statale.
Ed invero, la fattispecie che ha formato oggetto della citata
pronuncia n. 326/2008 si mostra sensibilmente diversa da quella in
esame.
In quell'occasione, infatti, diversamente da quanto accade nel
nostro caso, le disposizioni censurate, come chiarito dalla stessa
Corte costituzionale, miravano «a definire il regime giuridico di
soggetti di diritto privato e a tracciare il confine tra attivita'
amministrativa e attivita' di persone giuridiche private» - cosi'
incidendo sulla materia «ordinamento civile».
Le stesse disposizioni, poi, avevano il dichiarato scopo di
tutelare la concorrenza.
L'art. 14, comma 32, del decreto-legge impugnato, invece, non
solo non persegue alcuna finalita' anti-distorsiva del mercato
concorrenziale, ma mira, in ultima analisi, a regolare lo svolgimento
dell'azione amministrativa dei comuni, incidendo direttamente
sull'iniziativa economica e la capacita' di agire degli enti locali e
sull'assetto ordinamentale e organizzativo dei medesimi.
E' evidente, pertanto, che i vincoli posti dal comma 32 alla
Regione ricorrente eccedono la competenza legislativa statale e
ledono gli articoli 2, comma 1, lett. b) e 3, comma 1, lett. f) dello
Statuto speciale della Valle d'Aosta.
L'ultimo periodo dell'art. 14, comma 32, del decreto-legge n.
78/2010 rimette, come in precedenza rilevato, ad un decreto del
Ministro per i rapporti con le Regioni e per la coesione
territoriale, di concerto con i Ministri dell'economia e delle
finanze e per le riforme per il federalismo - da emanare entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione -, la determinazione delle modalita' attuative del citato
comma nonche' la individuazione di ipotesi di esclusione dal relativo
ambito di applicazione.
Anche tale previsione si mostra palesemente illegittima per piu'
di una ragione.
Anzitutto per violazione del combinato disposto degli articoli
117, comma 6, Cost. e 10, legge cost. n. 3/2001 i quali fondano la
potesta' regolamentare della Valle d'Aosta in tutte le materie che
non siano di competenza esclusiva dello. Stato.
Ora, atteso che la norma impugnata incide, come in precedenza
rilevato, sulla materia «ordinamento degli enti locali» e «finanze
comunali» di competenza regionale, e' evidente che il legislatore
centrale risulta sprovvisto del titolo costituzionale su cui basare,
in tali ambiti, la propria potesta' regolamentare.
Da cio' consegue, all'evidenza, la illegittimita' del citato art.
14, comma 32, poiche' la norma da esso recata - rimettendo al Governo
la determinazione delle modalita' attuative della disposizione
nonche' la individuazione di ipotesi di esclusione dal relativo
ambito di applicazione - attribuisce allo Stato il potere di incidere
con regolamento su materie che esulano dalla propria competenza
esclusiva e che rientrano, di converso, nella sfera di attribuzioni
della Regione ricorrente.
Ulteriore profilo di incostituzionalita' della disposizione
censurata va ravvisato, poi, con riferimento agli articoli 5 e 120
Cost., nella misura in cui non contempla alcun meccanismo di leale
collaborazione tra Stato e Regioni nell'adozione dei decreti
attuativi della previsione di divieto.
Ora, anche nell'ipotesi, piu' sopra criticata, che la disciplina
recata dall'art. 14, comma 32, fosse ritenuta conforme a Costituzione
in quanto ascrivibile alla competenza esclusiva dello Stato nelle
materie dell'ordinamento civile e della tutela della concorrenza, e'
pur vero che la competenza riconosciuta al Ministro per i rapporti
con le regioni e per la coesione territoriale, ed ai Ministri
dell'economia e delle finanze e per le riforme per il federalismo,
incide su ambiti materiali riferibili anche a settori di competenza
regionale, rendendosi quindi necessari - ai fini dell'attuazione
della norma - meccanismi di reciproco coinvolgimento e di
coordinamento dei livelli di governo statale e regionale (in tal
senso, tra le altre, Corte cost., sent. n. 213/2006).
Nessuno di tali meccanismi, tuttavia, e' stato previsto dalla
disposizione oggetto di sindacato. Essa, infatti, consente al Governo
di fissare le modalita' attraverso cui i comuni valdostani dovranno
mettere in liquidazione le societa' gia' costituite ovvero cederne le
partecipazioni, nonche' di individuare le fattispecie da escludere
dall'ambito di applicazione della norma, a prescindere dalla
consultazione della Regione nell'ambito delle Conferenze (Unificata e
Stato-Regioni), ovvero dal raggiungimento di qualsivoglia accordo con
la stessa.
Il che determina, a ben vedere, una illegittima compressione del
principio costituzionale di leale collaborazione, che secondo la nota
giurisprudenza di questa ecc.ma Corte «deve presiedere a tutti i
rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni» (cfr., tra le altre,
Corte cost., sent. n. 31/2006; Sulla leale collaborazione, quale
principio che «si deve sostanziare in momenti di reciproco
coinvolgimento istituzionale e di necessario coordinamento dei
livelli di governo statale e regionale», cfr., ex plurimis, sent. n.
213/2006; 240/2007).
Alla luce di quanto detto non puo' non dubitarsi, pertanto, della
conformita' a Costituzione, sotto il profilo appena esplicitato,
dell'art. 14, comma 32, del decreto-legge n. 78/2010.
Ad ulteriore sostengo di tale assunto sia consentito, infine,
richiamare la sentenza n. 76/2009 resa da codesta ecc.ma Corte in
materia di turismo. Con tale pronuncia e' stato affermato che ove lo
Stato intenda, pur in materie di competenza residuale delle regioni,
predisporre una disciplina uniforme di procedure acceleratorie e di
semplificazione dirette alla realizzazione di economie di scala e al
contenimento dei costi di gestione delle imprese, deve
necessariamente provvedervi mediante lo strumento incisivo di leale
collaborazione con le regioni rappresentato dall'intesa con la
Conferenza Stato-Regioni, trattandosi di discipline che incidono in
maniera significativa sulle competenze regionali.
Per tutti motivi che precedono, si chiede, pertanto, a codesta
ecc.ma Corte di volere annullare la norma desumibile dal piu' volte
richiamato art. 14, comma 32, del decreto-legge n. 78/2010,
convertito con modificazioni, dalla legge n. 122/2010.
V) Violazione ad opera dell'art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del
2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.
122, dell'art. 117 Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della
legge cost. n. 3/2001, nonche' degli artt. 2, comma 1, lettere g), p)
e q), e 3, comma 1, lett. a), dello Statuto speciale per la Valle
d'Aosta (legge cost. n. 4 del 1948) e delle relative norme di
attuazione, nonche', in subordine, del principio costituzionale di
leale collaborazione.
L'art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78/2010, dispone che il comma
4-bis del medesimo art. 49 «attiene alla tutela della concorrenza ai
sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera e), della
Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del
medesimo comma». Tale previsione, nel definire l'ambito materiale cui
deve ascriversi la disciplina sulla «Segnalazione certificata di
inizio attivita'» (SCIA) dettata dall'art. 49, comma 4-bis del d.1.
n. 78/2010, riconduce tale disciplina alla legislazione esclusiva
dello Stato e dunque individua nella legge statale la sola fonte
competente ad intervenire in tema di SCIA. Inoltre, l'art. 49, comma
4-ter, nel prevedere che «le espressioni "segnalazione certificata di
inizio attivita'" e "Scia" sostituiscono, rispettivamente, quelle di
"dichiarazione di inizio attivita'" e "Dia"», ovunque ricorrano,
anche come parte di una espressione piu' ampia», stabilisce che «la
disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data
di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto,
quella della dichiarazione di inizio attivita' recata da ogni
normativa statale e regionale». Stando a tale ultima previsione,
dunque, la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella gia'
esistente in tema di DIA, modificando non solo la previgente
normativa statale ma anche quella regionale.
La disposizione statale censurata, qualora ritenuta applicabile
anche alla Regione Valle d'Aosta, viola l'assetto costituzionale
delle competenze regionali delineato nello Statuto speciale (adottato
con legge cost. n. 4/1948) nonche' nell'art. 117 Cost., per la parte
in cui devono applicarsi anche alla Regione Valle d'Aosta le piu'
ampie forme di autonomia ivi previste ai sensi dell'art. 10 della
legge cost. n. 3/2001.
Pur nella consapevolezza, maturata sulla base della
giurisprudenza di questa ecc.ma Corte, che «l'autoqualificazione di
una norma come inerente alla materia della concorrenza non ha
carattere precettivo e vincolante» e che pertanto, «ancora prima di
ogni valutazione sulla correttezza o meno della qualificazione
stessa, una previsione di tal fatta e' priva di contenuto lesivo» per
la Regione ricorrente (cfr., ex multis, sentt. nn. 414 del 2004 e 1
del 2008), sembra opportuno svolgere alcune considerazioni proprio
sull'autoqualificazione contenuta nella disciplina statale censurata.
Deve considerarsi, infatti, che l'art. 49, comma 4-ter, del d.1.
n. 78/2010 effettua un'erronea individuazione dell'ambito materiale
cui ascrivere la disciplina della Segnalazione certificata di inizio
attivita'. Quest'ultima, infatti, non attiene alla «tutela della
concorrenza», annoverata tra le voci di legislazione esclusiva
statale ex art. 117, comma 2, lett. e), Cost., e nemmeno costituisce
livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali di cui alla lett. m) dell'art. 117, comma 2, Cost.
Quanto al primo aspetto, deve osservarsi che la disciplina sulla
Segnalazione certificata di inizio attivita' non mira a tutelare la
concorrenza del mercato, bensi' ad alleggerire gli oneri
amministrativi ricadenti sul privato per l'avvio di talune attivita'
di rilievo imprenditoriale, commerciale o artigianale, nell'ottica di
agevolare l'esercizio di tali attivita' nonche' di semplificare le
funzioni amministrative di controllo ad esse relative. La ratio della
disciplina non e' quella di eliminare pratiche anticoncorrenziali o
di rimuovere elementi distorsivi del mercato, e nemmeno quella di
promuovere un ampliamento delle possibilita' di accesso degli attori
che vi operano. Essa, invece, si propone, da un lato, di ridurre il
costo ed i tempi che gravano sui privati che intendano intraprendere
un'attivita' imprenditoriale, commerciale o artigianale, in tutti i
casi in cui non siano coinvolti rilevanti interessi pubblici che
giustifichino il permanere di atti amministrativi di natura
autorizzativi o permissiva; dall'altro, di razionalizzare l'agire
delle pubbliche amministrazioni, riducendo i costi organizzativi e
finanziari connessi al rilascio degli atti amministrativi enunciati
nell'art. 19, comma 1, della legge n. 241/1990, cosi' come sostituito
dall'art. 49, comma 4-bis, del d.1. n. 78/2010. Certo, non puo'
escludersi che indirettamente la disciplina in tema di SCIA possa
anche avere come effetto quello di ridurre una delle barriere che
possono ostacolare, in fatto, l'ingresso del privato nell'esercizio
di una nuova attivita' imprenditoriale o commerciale, nel senso di
contribuire ad abbassare i costi legati all'avvio dell'impresa e
dunque a facilitarne l'inserimento sul mercato offrendo beni o
servizi a prezzi piu' competitivi, soprattutto nel settore delle
esportazioni. Ma tale disciplina non si propone di eliminare una
disparita' di trattamento tra gli operatori economici o di rimuovere
una barriera all'ingresso degli stessi operatori sul mercato, bensi'
di semplificarne gli oneri procedimentali nei rapporti con le
pubbliche amministrazioni. Pertanto e' senz'altro da escludere che la
disciplina sulla SCIA possa per cio' stesso ascriversi, anche solo in
via prevalente, al titolo competenziale individuato dal legislatore
statale nell'art. 117, comma 2, lett. e), e cioe' alla tutela della
concorrenza. A tale riguardo puo' altresi' osservarsi che questa
ecc.ma Corte, gia' nella sent. n. 14 del 2004, ha sottolineato come
«dal punto di vista del diritto interno, la nozione di concorrenza
non puo' non riflettere quella operante in ambito comunitario, che
comprende interventi regolativi, la disciplina antitrust e misure
destinate a promuovere un mercato aperto e in libera concorrenza».
Esulano dunque da tale «materia trasversale» gli interventi
legislativi che incidono - come l'art. 49-bis del d.l. n. 78/2010 -
sulla disciplina delle modalita' attraverso le quali le pubbliche
amministrazioni sono chiamate a controllare l'attivita' dei privati
in campo economico per la salvaguardia degli interessi pubblici di
volta in volta coinvolti.
Nemmeno puo' condividersi l'autoqualificazione contenuta
nell'art. 49, comma 4-bis, del d.1. n. 78/2010, che definisce la
disciplina sulla segnalazione certificata di inizio attivita' come
«livello essenziale delle prestazioni», riconducibile alla competenza
trasversale annoverata nell'art. 117, comma 2, lett. m), Cost., tra
le voci di legislazione esclusiva dello Stato. Come piu' volte
osservato da questa ecc.ma Corte, infatti, la determinazione dei
livelli essenziali non costituisce una «materia» in senso stretto, ma
una «competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le
materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre
le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio
nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto
essenziale di tali diritti» (sent. n. 282 del 2002). Tale competenza
presuppone dunque l'individuazione di prestazioni garantite come
contenuto essenziale di diritti e non puo' essere invocata in
relazione a norme statali volte ad altri fini, quali, ad esempio,
«l'individuazione del fondamento costituzionale della disciplina, da
parte dello Stato, di interi settori materiali o la regolamentazione
dell'assetto organizzativo e gestorio di enti preposti all'erogazione
delle prestazioni» (ex plurimis, sentt. nn. 371/2008 e 207/2010).
Appare di immediata evidenza come la disciplina introdotta dall'art.
49-bis del d.1. n. 78/2010 non abbia nulla a che vedere con la
determinazione dei livelli essenziali di prestazioni, non
configurando ne' prestazioni che costituiscano contenuto essenziale
di diritti e nemmeno livelli essenziali riferiti a tali prestazioni.
Del tutto erronea deve pertanto considerarsi l'autoqualificazione
contenuta, per questo secondo profilo, nel censurato art. 49, comma
4-ter, del d.l. n. 78/2010.
Alle considerazioni fin qui svolte deve aggiungersi che la
disciplina introdotta dall'art. 49, comma 4-bis, non puo' ricondursi
ad un'unica materia o voce contenuta negli elenchi del novellato art.
117 Cost., ma coinvolge una pluralita' di materie, in relazione al
settore sul quale incidono i relativi procedimenti amministrativi ed
in considerazione dei diversi interessi che possono risultarne
coinvolti. Deve tuttavia ritenersi che la disciplina della SCIA sia
ascrivibile, in modo prevalente, all'ambito dell'industria, del
commercio e dell'artigianato, cioe' a materie spettanti alla
competenza residuale delle regioni ai sensi del quarto comma
dell'art. 117 Cost. e dunque anche alla competenza legislativa della
Regione Valle d'Aosta in virtu' della clausola di cui all'art. 10
della legge cost. n. 3/2001. Inoltre, la disciplina sulla
segnalazione certificata di inizio attivita' coinvolge ambiti
materiali che ricadono nella competenza legislativa primaria
attribuita alla Regione Valle d'Aosta dall'art. 2, comma 1, lettere
p) e q) dello Statuto speciale, e che consistono, rispettivamente,
nelle materie «artigianato» ed «industria alberghiera, turismo e
tutela del paesaggio», nonche' nella competenza della Regione ad
emanare norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi
della Repubblica nella materia «industria e commercio», ai sensi
dell'art. 3, comma 1, lett. a), del medesimo Statuto.
Qualora si ritenesse, poi, che la disciplina recata dalla norma
impugnata si estenda, altresi', ad aspetti riconducibili alla
pianificazione territoriale, essa finirebbe per incidere anche in
materia «urbanistica, piani regolatori per zone di particolare
importanza turistica», di competenza legislativa primaria della Valle
ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. g) dello Statuto speciale.
La disciplina dei profili procedimentali connessi alle richieste
per l'esercizio di attivita' imprenditoriale, commerciale o
artigianale non puo' dunque ascriversi, nella sua totalita', ad una
competenza esclusiva dello Stato, dal momento che essa insiste in
modo prevalente su ambiti di legislazione regionale, di natura
esclusiva o concorrente.
Cio' premesso, la previsione contenuta nella seconda parte
dell'art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78/2010, in base alla quale
«le espressioni "segnalazione certificata di inizio attivita'" e
"Scia" sostituiscono, rispettivamente, quelle di "dichiarazione di
inizio attivita'" e "Dia", ovunque ricorrano, anche come parte di una
espressione piu' ampia, e la disciplina di cui al comma 4-bis
sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge
di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di
inizio attivita' recata da ogni normativa statale e regionale», deve
ritenersi lesiva delle competenze legislative attribuite dalle
succitate norme costituzionali alla Regione Valle d'Aosta.
La norma impugnata, infatti, stabilisce l'abrogazione immediata,
diretta ed indiscriminata di ogni normativa di settore adottata dalla
Regione Valle d'Aosta nella quale sia stata prevista la Denuncia di
inizio attivita' (DIA), indipendentemente dall'ambito materiale
coinvolto, disponendo la contestuale sostituzione di tale normativa
con quella dettata dal legislatore statale in tema di SCIA. La norma
statale censurata si pone cosi' in contrasto insanabile con le
garanzie costituzionali concernenti il riparto delle competenze
legislative tra lo Stato e le regioni ed in particolare con
l'autonomia legislativa della Regione ricorrente. Anzi, puo'
affermarsi che la previsione del legislatore statale sembra
disconoscere le piu' elementari regole che presiedono al riparto
delle competenze legislative accolto nel nostro ordinamento
costituzionale, e segnatamente quella che impedisce di risolvere i
rapporti tra le fonti statali e quelle regionali in termini di mera
gerarchia, riconoscendo al legislatore statale la possibilita' di
abrogare la disciplina regionale senza alcuna considerazione delle
sfere di competenza coinvolte. Tale illegittima deviazione dal
modello costituzionale, censurabile gia' in base all'originaria
formulazione dell'art. 117 Cost., si pone in palese contrasto con
l'assetto delle competenze legislative attribuite alla Regione Valle
d'Aosta dal nuovo art. 117 Cost., ai sensi dell'art. 10, della legge
cost. n. 3/2001, nonche' dallo Statuto speciale.
Peraltro puo' osservarsi che, anche laddove il legislatore
statale intendesse disciplinare e regolare l'esercizio delle funzioni
amministrative che attengono alla conformazione dell'attivita' dei
privati in ambito imprenditoriale, commerciale o artigianale, al fine
di assicurare esigenze di uniformita', non potrebbe comunque disporre
legittimamente l'abrogazione delle vigenti discipline settoriali
della Regione Valle d'Aosta, procedendo alla sostituzione di esse con
la nuova disciplina statale, ma semmai prevedere un obbligo di
adeguamento da parte della Regione, che sarebbe chiamata ad
intervenire comunque con fonti regionali, attraverso un rinnovato
esercizio della potesta' legislativa ad essa attribuita negli ambiti
materiali coinvolti. In tale ultima ipotesi, peraltro, stante la
significativa incidenza della disciplina statale su ambiti materiali
spettanti alla competenza esclusiva o concorrente regionale, dovrebbe
essere assicurato il coinvolgimento della Regione stessa nella
decisione del legislatore statale, attraverso meccanismi di raccordo
o concertazione reputati idonei al sostanziale rispetto del principio
di leale collaborazione.
Alla luce delle considerazioni svolte, si chiede a questa ecc.ma
Corte di dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 49,
comma 4-ter, del d.1. n. 78/2010, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 122/2010, per violazione dell'art. 2, comma 1, lettere
g), p), q), e 3, comma 1, lett. a), della legge cost. n. 4/1948 e
delle relative norme di attuazione, nonche' del combinato disposto
dell'art. 117, comma 4, Cost. e dell'art. 10 della legge cost. n.
3/2001.
In via subordinata, ove si ritenesse che la disciplina statale
censurata sia riconducibile alla competenza trasversale dello Stato
in materia di «concorrenza» e di «livelli essenziali delle
prestazioni», la stessa risulterebbe ugualmente incostituzionale per
violazione del principio di leale collaborazione di cui agli articoli
5 e 120 Cost.
Tale disciplina, infatti, incide in maniera significativa sulle
competenze regionali, con la conseguenza che lo Stato avrebbe dovuto
- diversamente da quanto fatto nel caso di specie - prevedere
meccanismi di reciproco coinvolgimento e di coordinamento del livello
di governo statale e regionale, come in piu' occasioni affermato
dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (cfr., tra le altre,
Corte cost., sentt. nn. 213/2006; 240/2007; 78/2010).
V.1) Violazione ad opera dell'art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies,
del d.l. n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 30
luglio 2010, n. 122, dell'art. 117 Cost., commi 4 e 6, in combinato
disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3/2001, nonche' degli
artt. 2, comma 1, lettere g), p) e q), e 3, comma 1, lett. a), dello
Statuto speciale per la Valle d'Aosta (legge cost. n. 4 del 1948) e
delle relative norme di attuazione, nonche', in subordine, del
principio di leale collaborazione.
L'art. 49 del d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 122/2010, introduce, ai commi 4-quater e 4-quinquies,
una disciplina volta alla semplificazione e riduzione degli
adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese, al
fine di promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la
competitivita' delle imprese. L'art. 49, comma 4-quater, del d.l. n.
78/2010, dispone, a tale riguardo, il ricorso allo strumento della
delegificazione. Si autorizza infatti il Governo ad adottare uno o
piu' regolamenti ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23
agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la pubblica
amministrazione e l'innovazione, per la semplificazione normativa e
dello sviluppo economico, sentiti i Ministri interessati e le
associazioni imprenditoriali, «volti a semplificare e ridurre gli
adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese».
Il medesimo comma individua i principi e criteri direttivi, nel
rispetto di quanto previsto dagli articoli 20, 20-bis e 20-ter della
legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, che devono
essere seguiti nell'adozione dei relativi regolamenti. Tali principi
e criteri direttivi consistono, tra l'altro, nella proporzionalita'
degli adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione
dell'impresa e al settore di attivita', nonche' alle esigenza di
tutela degli interessi pubblici coinvolti (lett. a), nella
eliminazione di autorizzazioni, licenze, permessi, ovvero di
dichiarazioni, attestazioni, certificazioni, comunque denominati,
nonche' degli adempimenti amministrativi e delle procedure non
necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici in relazione
alla dimensione dell'impresa ovvero alle attivita' esercitate (lett.
b), nella estensione dell'utilizzo dell'autocertificazione, delle
attestazioni e delle asseverazioni dei tecnici abilitati nonche'
delle dichiarazioni di conformita' da parte dell'Agenzia delle
imprese (lett. c), nella informatizzazione degli adempimenti e delle
procedure amministrative, secondo la disciplina dettata dal Codice
dell'amministrazione digitale (lett. d), nella soppressione delle
autorizzazioni e dei controlli per le imprese in possesso di
certificazione ISO o equivalente, per le attivita' oggetto di tale
certificazione (lett. e), e nel coordinamento delle attivita' di
controllo al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni,
assicurando la proporzionalita' degli stessi in relazione alla tutela
degli interessi pubblici coinvolti (lett. f).
L'art. 49, comma 4-quinquies, prevede poi che i regolamenti di
cui al succitato comma 4-quater sono emanati entro dodici mesi dalla
data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n.
78/2010 ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla
data della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Con effetto
dalla data di entrata in vigore dei predetti regolamenti sono
abrogate le norme, anche di legge, regolatrici dei relativi
procedimenti. Si precisa infine che tali interventi confluiscono nel
processo di riassetto di cui all'art. 20 della legge n. 59 del 1997.
La disciplina contenuta nell'art. 49, commi 4-quater e
4-quinquies, laddove ritenuta applicabile alla Regione Valle d'
Aosta, deve ritenersi costituzionalmente illegittima, per violazione
di una pluralita' di parametri costituzionali che assistono
l'autonomia legislativa e regolamentare della Regione.
Anzitutto deve osservarsi che i commi 4-quater e 4-quinquies, nel
disciplinare la semplificazione e la riduzione degli adempimenti
amministrativi a carico delle piccole e medie imprese al fine di
promuovere la loro competitivita' e lo sviluppo del sistema
produttivo, incidono prevalentemente in ambiti materiali spettanti
alla competenza esclusiva o concorrente della Regione Valle d'Aosta.
In particolare, la disciplina censurata investe l'ambito delle
attivita' industriali, commerciali e artigianali spettanti alla
competenza residuale delle regioni ai sensi del quarto comma
dell'art. 117 Cost. e dunque anche alla competenza legislativa della
Regione Valle d'Aosta in virtu' della clausola di cui all'art. 10
della legge cost. n. 3/2001. Inoltre, non v'e' dubbio che la
disciplina delle attivita' amministrative relative all'attivita'
delle piccole e medie imprese coinvolge le materie «artigianato» ed
«industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio» attribuite
alla competenza piena della Regione Valle d'Aosta dall'art. 2, comma
1, lettere p) e q) dello Statuto speciale, nonche' la materia
«industria e commercio», attribuita dall'art. 3, comma 1, lett. a)
del medesimo statuto alla competenza della Regione di emanare norme
legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della
Repubblica.
Parimenti coinvolto sarebbe l'ambito materiale tutelato dall'art.
2, comma 1, lett. g) dello Statuto speciale, relativo a «urbanistica,
piani regolatori per zone di particolare importanza turistica» -
nell'ipotesi in cui si ritenesse che rientrano nell'ambito di
applicazione delle norme impugnate anche aspetti relativi alla
pianificazione territoriale.
Dunque, la disciplina introdotta dall'art. 49, commi 4-quater e
4-quinquies, non puo' certo ascriversi, nella sua totalita', ad una
competenza esclusiva dello Stato, dal momento che essa insiste in
modo prevalente su ambiti di legislazione regionale, di natura
esclusiva o concorrente.
Se dunque si esclude che le previsioni contenute nei commi
4-quater e 4-quinquies rientrino in ambiti materiali spettanti alla
competenza esclusiva dello Stato, ne consegue che il rinvio,
contemplato nei medesimi commi, ad un regolamento governativo per la
disciplina degli adempimenti amministrativi cui sono tenute le
piccole e medie imprese si pone in immediato contrasto con l'art.
117, comma 6, Cost., in base al quale la potesta' regolamentare
spetta allo Stato soltanto nelle materie di legislazione esclusiva,
fatta salva la possibilita' di delega alle Regioni. L'art. 117, comma
6, attribuisce infatti alle regioni la potesta' regolamentare in ogni
altra materia.
Deve pertanto ritenersi che la previsione contenuta nell'art. 49,
comma 4-quinquies, in base alla quale, con effetto dalla data di
entrata in vigore dei regolamenti di cui al comma 4-quater, «sono
abrogate le norme, anche di legge, regolatrici dei relativi
procedimenti», laddove ritenuta applicabile anche alla Regione Valle
d'Aosta, determini una lesione delle competenze legislative e
regolamentari attribuite alla medesima Regione. I regolamenti
governativi di delegificazione, infatti, non posso intervenire in
materie spettanti alla competenza esclusiva o concorrente della
Regione Valle d'Aosta, tra le quali devono annoverarsi anche quelle
concernenti, in generale, le attivita' produttive sopra richiamate.
D'altra parte, l'effetto abrogativo connesso all'entrata in vigore
dei regolamenti adottati dal Governo ai sensi dell'art. 49, commi
4-quater e 4-quinquies, genericamente riferito alle «norme, anche di
legge, regolatrici dei relativi procedimenti», determina un'indebita
intromissione della legge statale nell'ordinamento della Regione
Valle d'Aosta, ponendosi ancora una volta in palese contrasto con il
principio di competenza che regola i rapporti tra le fonti statali e
le fonti regionali nel nostro ordinamento.
Conseguentemente, le norme censurate devono ritenersi
costituzionalmente illegittime anzitutto per violazione dell'art.
117, commi 4 e 6, Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della
legge cost. n. 3/201, nonche' dell'art. 2, comma l, lettere g), p),
q), e 3, comma 1, lett. a), dello Statuto della Regione Valle
d'Aosta.
In subordine, qualora si volesse rintracciare il fondamento
dell'intervento legislativo statale censurato, concernente la
semplificazione dei procedimenti amministravi relativi alle piccole e
medie imprese, nell'esigenza di soddisfare esigenze unitarie che
devono, necessariamente essere sottoposte ad una regolazione
uniforme, sebbene invasiva delle attribuzioni regionali, nondimeno
l'art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies, determinerebbero una
violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5
e 120 Cost., giacche' le disposizioni censurate non prevedono alcun
meccanismo di raccordo e di concertazione con il sistema delle
autonomie territoriali, e segnatamente con la Regione Valle d'Aosta.
In assenza di tali meccanismi di concertazione e raccordo, infatti,
la previsione statale relativa al citato istituto della
delegificazione, in grado di determinare l'abrogazione delle norme
regolatrici della materia adottate dalla Regione Valle d'Aosta
nell'esercizio delle proprie competenze normative, costituzionalmente
garantite, nel settore dello sviluppo economico e competitivita'
delle piccole e medie imprese, appare del tutto sproporzionata
rispetto alla finalita' perseguita per violazione del principio di
leale collaborazione e dunque costituzionalmente illegittima.
P.Q.M.
Chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento
del presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita'
costituzionale del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante
«Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitivita' economica», convertito, con modificazioni, dalla legge
30 luglio 2010, n. 122, limitatamente all'art. 5, comma 5, per
violazione dell'art. 3, comma 1, lett. f), dello Statuto speciale per
la Valle d'Aosta (legge cost. n. 4/1948), nonche' degli articoli 117,
comma 3, Cost. e 119, comma 2, Cost., in combinato disposto con
l'art. 10, legge cost. n. 3/2001; all'art. 6, commi 2, 3, 5, 6, 7, 8,
9, 12, 13, 14, 19, e 20, primo periodo, per violazione degli artt. 2,
comma 1, lett. a); 2, comma 1, lett. b); 3, comma 1, lett. f); 3,
comma 1, lett. l) e 4 dello Statuto della Valle d'Aosta (legge cost.
n. 4/1948), nonche' dell'art. 10, legge cost. n. 3/2001 e per vizio
di irragionevolezza; all'art. 9, comma 2-bis, nonche' al combinato
disposto degli articoli 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, per
violazione degli artt. 2, comma 1, lett. a), comma 1, lett. f), 3,
comma 1, lett. l), 4, comma 1, e 12, dello Statuto della Valle
d'Aosta (legge cost. n. 4/1948) e delle relative norme di attuazione,
nonche' dell'art. 10, legge cost. n. 3/2001 e degli articoli 117,
commi 3 e 4, Cost., 119, comma 2, Cost., letti in combinato disposto
con l'art. 10, legge cost. n. 3/2001; all'art. 9, comma 4, per
violazione degli artt. 117, commi 3 e 4, e 119, Cost., in combinato
disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3/2001, nonche' degli
artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lett. f), e 4 dello
Statuto speciale per la Valle d'Aosta (legge cost. n. 4 del 1948) e
delle relative norme di. attuazione; all'art. 14, comma 32, per
violazione degli articoli 2, comma 1, lett. b) e 3, comma 1, lett. f)
dello Statuto speciale della Valle d'Aosta (legge cost. n. 4/1948),
nonche' del combinato .disposto degli articoli 117, comma 2, lett. g)
Cost. e 117, comma 4 Cost. e. dell'art. 117, comma 6, Cost. in
combinato disposto con l'art. 10, legge cost. n. 3/2001, nonche' per
violazione del principio costituzionale di leale collaborazione;
all'art. 49, comma 4-ter, per. violazione dell'art. 117 Cost., in.
combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3/2001, nonche'
degli artt. 2, comma 1, lettere g), p) e q), e 3, comma 1, lett. a),
dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta (legge cost. n. 4 del
1948) e delle relative norme di attuazione, nonche', in subordine,
per violazione del principio costituzionale di leale collaborazione;
all'art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies, per violazione dell'art.
117 Cost., commi 4 e 6, in combinato disposto con l'art. 10 della
legge cost. n. 3/2001, nonche' degli artt. 2, comma 1, lettere g), p)
e q), e 3, comma 1, lett. a), dello Statuto speciale per la Valle
d'Aosta (legge cost. n. 4 del 1948) e delle relative norme di
attuazione, nonche', in subordine, del principio di leale
collaborazione - nella parte in cui risultano applicabili alla
Regione Valle d'Aosta e ne ledono le relative competenze
costituzionalmente garantite, sotto profili e per le ragioni dinanzi
esposte.
Si depositera', unitamente al presente ricorso debitamente
notificato, la seguente documentazione:
1) Delibera della Giunta regionale della Valle d'Aosta n.
2519 del 22 settembre 2010.
Roma, addi' 23 settembre 2010
Prof. avv. Francesco Saverio Marini
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