RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 Dicembre 2005 - 19 Dicembre 2005 , n. 97

Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 19 dicembre 2005 (del Presidente del Consiglio dei
ministri)

(GU n. 2 dell'11-1-2006)

Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri, difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale ha il proprio
domicilio in via dei Portoghesi n. 12 - Roma, contro la Provincia
autonoma di Bolzano, in persona del suo Presidente per la
dichiarazione della illegittimita' costituzionale della legge
provinciale 30 settembre 2005, n. 7 (B.U.R. n. 41 dell'11 ottobre
2005) - Norme in materia di utilizzazione di acque pubbliche e di
impianti elettrici negli articoli 13 e 19.

L'art. 8 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
ricomprende tra le materie rientranti nella potesta' legislativa
delle province le acque minerali e termali (n. 14).
L'art. 9 attribuisce alle province potesta' legislativa sulla
utilizzazione delle acque pubbliche (n. 9) e l'igiene e la sanita'
(n. 10), richiamando i limiti «indicati nell'art. 5», vale a dire i
«principi stabiliti dalle leggi dello Stato» e quelli dell'art. 4,
richiamato anche dall'art. 8, che sono «la Costituzione e i principi
dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli
obblighi internazionali e degli interessi nazionali».
L'art. 13 della legge impugnata, al secondo comma, prevede che la
concessione delle acque minerali esistenti nel territorio della
provincia e' rilasciata «previo riconoscimento del carattere minerale
delle acque medesime da parte dell'Agenzia provinciale per l'ambiente
e previa iscrizione nell'apposito elenco delle acque minerali tenuto
presso l'amministrazione provinciale».
Nel terzo comma e' attribuita all'Agenzia provinciale per
l'ambiente, di concerto con l'Azienda sanitaria di Bolzano, la
competenza al riconoscimento del carattere minerale ai fini
dell'imbottigliamento e dell'uso termale o terapeutico.
Nella legge provinciale si trova, pertanto, la disciplina
integrale della materia per il territorio della provincia senza
nessun coinvolgimento dello Stato.
Le acque minerali hanno trovato la loro disciplina nel d.lgs.
n. 105/1992 che all'art. 4 attribuisce al Ministro della sanita'
(oggi Ministro della salute) la competenza a verificare «le
caratteristiche igieniche particolari, nonche' le proprieta'
favorevoli alla salute dell'acqua minerale naturale, le indicazioni e
le eventuali controindicazioni, che possono essere riportate sulle
etichette e ogni altra indicazione ritenuta opportuna, caso per
caso».
Il riconoscimento delle proprieta' terapeutiche delle acque
minerali e termali e la pubblicita' relativa alla loro utilizzazione
a scopo sanitario era gia' stata riservata allo Stato dall'art. 6,
lett. t) della legge n. 833/1978.
L'acqua minerale, oltre a far parte del patrimonio idrico, in
quanto potabile con funzione anche terapeutica, incide sulla salute.
Che la salute debba avere una tutela di base unitaria su tutto il
territorio nazionale non dovrebbe dar luogo a dubbi; di conseguenza
non dovrebbe essere messa in dubbio nemmeno la competenza dello Stato
a prevederla in via legislativa.
Le norme nazionali che la predispongono vengono cosi' a
costituire «i principi stabiliti dalle leggi dello Stato», «con il
rispetto... degli interessi nazionali», la cui osservanza la norma
statutaria impone alla legislazione provinciale.
Le acque minerali, una volta verificatane la potabilita' ed
autorizzato il loro imbottigliamento, entrano nel mercato nazionale e
possono, pertanto, essere vendute in tutte le regioni.
Se le verifiche non fossero effettuate in sede centrale, nel
circuito commerciale si troverebbero acque con caratteristiche
igieniche diverse e sotto il profilo igienico si avrebbero livelli
minimi di tutela diversi.
Una tale eventualita' risulterebbe non solo contraria ai principi
desumibili dalla legge dello Stato, ma anche pregiudizievole degli
interessi unitari nazionali.
Ne verrebbe anche pregiudicata la concorrenzialita' del mercato
nazionale nel quale l'acqua minerale, in quanto merce, e' destinata a
circolare.
Il rapporto concorrenziale non sarebbe piu' fondato sulle
caratteristiche igieniche, sulle proprieta' terapeutiche e sulle
eventuali controindicazioni, accertate da uno stesso organo ed in
base agli stessi criteri, ma si sposterebbe sui criteri adottati
dagli organi locali.
Tali criteri, se anche fosse possibile darne informazione
sull'etichetta, non consentirebbero una informazione sufficiente al
consumatore medio, non provvisto delle necessarie conoscenze tecniche
necessarie.
Di conseguenza sarebbe alterata anche la posizione competitiva
degli operatori economici del settore, alcuni dei quali potrebbero
essere autorizzati ad immettere nel mercato acque che non potrebbero
esserlo in altre regioni.
Come noto, la materia e' disciplinata dalla direttiva del
Consiglio 80/777/CEE del 15 luglio 1980, alla quale ha fatto seguito
la direttiva della Commissione 2003/40/CE del 16 maggio 2003.
Nel secondo considerando della direttiva del 1980 e' posto in
evidenza che le differenze esistenti tra le legislazioni ostacolano
la libera circolazione delle acque minerali naturali, dando luogo a
distorsioni della concorrenza, ed hanno, conseguentemente, una
diretta incidenza sull'attuazione e sul funzionamento del mercato
comune».
Per evitare questi inconvenienti si e' ritenuto necessaria la
«emanazione di norme comuni specie per quanto concerne i requisiti
necessari sotto il profilo batteriologico ed i requisiti per
l'utilizzazione di denominazioni particolari per determinate acque
minerali».
Il venir meno dell'unita' di disciplina nazionale, realizzata
dalle norme statali di attuazione della direttiva del 1980,
pregiudica l'attuazione ed il funzionamento del mercato comune alla
cui salvaguardia la direttiva stessa era rivolta.
La provincia e', pertanto, andata al di la' dei limiti della
propria potesta' legislativa sconfinando anche in materia di
concorrenza, riservata allo Stato dall'art. 117, secondo comma, lett.
e), con violazione della normativa comunitaria.
La disciplina di principio statale ha tenuto conto degli
interessi regionali in materia, prevedendo (art. 5, d.lgs.
n. 105/1992) che una sorgente di acqua minerale naturale,
riconosciuta ai sensi dell'art. 4, puo' essere utilizzata solo su
autorizzazione regionale, rilasciata a seguito dell'accertamento che
gli impianti destinati all'utilizzazione siano realizzati in modo da
escludere ogni pericolo di inquinamento e da conservare all'acqua le
proprieta', corrispondenti alla sua qualificazione, esistenti alla
sorgente.
La valutazione degli interessi locali, che non richiedono una
visione unitaria su tutto il territorio nazionale, e' stata, dunque,
lasciata alle regioni ed alle province.
Viene cosi' ad essere evidente un ulteriore profilo di
illegittimita' della norma impugnata che non ha previsto nessuna
forma di collaborazione con lo Stato che consentisse la tutela da
parte di quest'ultimo degli interessi unitari di cui e' portatore.
L'art. 13 impugnato, pertanto, viola gli artt. 8 e 9 dello
statuto regionale, il principio di leale collaborazione e art. 117,
primo comma, Cost., in quanto in contrasto con la normativa
comunitaria.
L'art. 19 ha esteso le procedure previste nel comma 3 dell'art. 1
della legge provinciale 11 aprile 2005, n. 2, alla valutazione dei
programmi presentati ai sensi del comma 5 dell'articolo 1-bis del
d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235 e dei programmi presentati ai fini del
rinnovo delle concessioni.
La norma provinciale richiamata e' stata gia' impugnata davanti a
codesta Corte e per la discussione del ricorso e' fissata l'udienza
pubblica del 7 febbraio 2005.
L'art. 9 dello Statuto regionale al n. 9) esclude dalla sfera
legislativa provinciale le grandi derivazioni a scopo idroelettrico.
La norma impugnata, insieme a quella di cui costituisce la
modifica, ha pertanto sconfinato dai limiti della potesta'
legislativa della provincia.
Come e' stato ricordato nel ricorso precedente, in materia sono
in corso due procedure per infrazione comunitaria per le quali la
Commissione ha emesso un parere motivato il 7 gennaio 2004.
Per questo e' in elaborazione un decreto legislativo che,
attenendosi alle indicazioni desumibili dal parere motivato,
introduce la nuova disciplina del rilascio, rinnovo e proroga delle
concessioni idroelettriche, disciplina che dovra' assicurare anche la
concorrenzialita' del settore, da realizzare secondo i principi
comunitari.
Il 16 dicembre 2004 la Commissione, di cui all'art. 107, primo
comma, d.P.R. n. 670/1972, ha approvato un testo in sostituzione dei
commi 1, 2 e 3 dell'art. 1-bis del d.P.R. n. 237/1977, con
abrogazione dei commi da 6 a 12.
Il nuovo testo normativo prevede che per le grandi derivazioni di
acque pubbliche a scopo idroelettrico la provincia provveda con una
legge che, insieme ad altri aspetti, dovra' disciplinare «la tutela,
la valorizzazione e l'utilizzo del demanio idrico in conformita' alle
previsioni del piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche
di cui all'art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 22
marzo 1974, n. 381» (comma 2, lett. a) e dovra' stabilire «le
procedure di evidenza pubblica nel caso di rilascio delle
concessioni, regolando anche la durata» (comma 2, lett. b).
Introducendo unilateralmente una disciplina differenziata da
applicare nel suo territorio quando il procedimento di adeguamento
delle norme di attuazione era nella sua fase finale, la provincia
anche in questo caso ha sconfinato dalla sua sfera legislativa, come
definita dallo statuto, ha interferito in materia di concorrenza,
sulla quale lo statuto non conferisce alcun potere, ed e' andata
contro ai principi comunitari, esponendo lo Stato a responsabilita'
nei confronti della comunita' europea, cosi' violando l'art. 117,
primo comma, Cost.



P. Q. M.
Si conclude perche' le norme impugnate siano dichiarate
costituzionalmente illegittime.
Si produce l'estratto della deliberazione del Consiglio dei
ministri in data 2 dicembre 2005 con allegato.
Roma, addi' 6 dicembre 2005
Il Vice Avvocato Generale dello Stato: Glauco Nori



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