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N. 97 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 settembre 2010. |
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Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 30 settembre 2010 (della Regione Toscana).
(GU n. 45 del 10-11-2010) |
Ricorso della Regione Toscana, in persona del Presidente pro
tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 840
del 27 settembre 2010, rappresentato e difeso, per mandato in calce
al presente atto, dall'Avv. Lucia Bora, domiciliato in Roma, presso
lo studio dell'avv. Pasquale Mosca, Corso d'Italia n.102;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma
6-bis, dell'art. 15, commi 1 e 2, dell'art. 49, comma 3, dell'art. 49
commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge n. 78 del 2010 convertito con
modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n. 122, per violazione
degli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo comma, 119, primo e
secondo comma, 120 e 121, secondo comma Cost. anche sotto il profilo
di violazione del principio della leale cooperazione.
Sul supplemento ordinario n. 174 alla Gazzetta Ufficiale - serie
generale n. 176 del 30 luglio 2010 e' stata pubblicata la legge 30
luglio 2010, n. 122 di conversione, con modificazioni, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica.
Le impugnate disposizioni sono lesive delle competenze regionali
per i seguenti motivi di
Diritto
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 6-bis per
violazione dell'art. 117, terzo comma, dell'art. 118, primo comma e
dell'art. 119, primo e secondo comma Cost. Violazione del principio
della leale cooperazione.
L'art. 11, comma 6-bis dispone che «entro sessanta giorni dalla
data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto, e' avviato un apposito confronto tecnico tra il Ministero
della salute, il Ministero dell'economia e delle finanze, l'AIFA e le
associazioni di categoria maggiormente rappresentative, per la
revisione dei criteri di remunerazione della spesa farmaceutica
secondo i seguenti criteri: estensione delle modalita' di
tracciabilita' e controllo a tutte le forme di distribuzione dei
farmaci, possibilita' di introduzione di una remunerazione della
farmacia basata su una prestazione fissa in aggiunta ad una ridotta
percentuale sul prezzo di riferimento del farmaco che, stante la
prospettata evoluzione del mercato farmaceutico, garantisca una
riduzione della spesa per il Servizio sanitario nazionale».
L'organizzazione del servizio farmaceutico e l'assistenza
farmaceutica sono state ascritte alla materia concorrente della
«tutela della salute» (sentenza Corte costituzionale n. 87 del 2006);
lo Stato dunque puo' dettare soltanto i principi fondamentali,
lasciando al legislatore regionale lo sviluppo e l'articolazione
normativa.
La previsione impugnata, invece, affida la revisione dei criteri
di remunerazione della spesa farmaceutica ad un accordo tra i
Ministeri, l'Aifa e le associazioni di categoria, che sara', in
applicazione della norma in esame, puntuale, di dettaglio ed
autoapplicativo, senza che siano lasciati margini di intervento
regionale.
Cio' determina dunque la violazione dell'art. 117, terzo comma
Cost.
Ove poi si dovesse, ritenere che in materia sussista un'esigenza
di carattere unitario tale da attrarre in capo allo Stato l'esercizio
della funzione amministrativa, e quindi anche di regolazione
normativa, concernente le modalita' di remunerazione della spesa
farmaceutica, si ravvisa la violazione dell'art. 118, primo comma
Cost., perche' le regioni dovrebbero essere coinvolte con l'intesa,
in quanto titolari di competenze in materia di tutela della salute,
nel cui ambito rientra la spesa farmaceutica (si pensi alle
competenze regionali relative al rimborso del prezzo alle farmacie).
Invece la norma non prevede alcuna forma di intesa, ne' di
coinvolgimento effettivo delle regioni al tavolo di confronto tecnico
tra il Ministero della salute, il Ministero dell'economia e delle
finanze, l'Aifa e le associazioni di categoria, finalizzato alla
revisione dei criteri di remunerazione della spesa farmaceutica.
Cio' determina anche la violazione del principio della leale
cooperazione.
Infine la norma viola l'art. 119, primo e secondo comma Cost.
perche' determina in via unilaterale una modifica della remunerazione
della spesa farmaceutica che potra' incidere sul bilancio regionale,
in violazione dell'autonomia finanziaria regionale.
Vero infatti e' che il comma impugnato prevede che il confronto
tra i Ministeri e l'Aifa deve portare ad una riduzione della spesa
per il Servizio sanitario nazionale, ma cio' non elimina il vizio
prospettato perche' quella riduzione pattuita a livello statale-Aifa
e associazioni di categoria sara' vincolante per le Regioni che,
invece, avrebbero potuto individuare e proporre misure per
fronteggiare la spesa farmaceutica capaci di produrre un maggiore
risparmio (ad esempio mediante un incremento della distribuzione
diretta dei farmaci generici da acquistare dalle ASL con gare
direttamente dalle industrie produttrici).
Quindi le regioni si troveranno vincolate al «quantum» di
risparmio predefinito a livello statale, senza poter neanche
intervenire nel confronto tecnico e private della possibilita' di
individuare interventi capaci di determinare un maggiore contenimento
della spesa farmaceutica e, quindi, un maggiore vantaggio per il
bilancio regionale.
Di qui i vizi eccepiti.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 15, commi 1 e 2, per
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. anche sotto il profilo
della violazione del principio della leale collaborazione.
L'art. 15, commi 1 e 2 prevede quanto segue:
«1. Entro quarantacinque giorni dall'entrata in vigore del
presente decreto-legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,
sono stabiliti criteri e modalita' per l'applicazione del pedaggio
sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di
ANAS S.p.a., in relazione ai costi di investimento e di manutenzione
straordinaria oltre che quelli relativi alla gestione, nonche'
l'elenco delle tratte da sottoporre a pedaggio.
2. In fase transitoria, a decorrere dal primo giorno del secondo
mese successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto e
fino alla data di applicazione dei pedaggi di cui al comma 1,
comunque non oltre il 31 dicembre 2011, ANAS S.p.a. e' autorizzata ad
applicare una maggiorazione tariffaria forfettaria di un euro per le
classi di pedaggio A e B e di due euro per le classi di pedaggio 3, 4
e 5, presso le stazioni di esazione delle autostrade a pedaggio
assentite in concessione che si interconnettono con le autostrade e
raccordi autostradali in gestione diretta ANAS. Le stazioni di cui al
precedente periodo sono individuate con il medesimo d.P.C.M di cui al
comma 1. Gli importi delle maggiorazioni sono da intendersi IVA
esclusa. Le maggiorazioni tariffarie di cui al presente comma non
potranno comunque comportare un incremento superiore al 25 del
pedaggio altrimenti dovuto».
Il primo comma, a distanza di pochi giorni dalla conversione, e'
stato parzialmente modificato dall'art. 1, comma 4 del decreto-legge
n. 125 del 5 agosto 2010 (pubblicato in G.U. n. 182 del 6 agosto
2010), che ha aggiunto, dopo le parole «modalita' per
l'applicazione», la seguente frase «entro il 30 aprile 2011».
Si tratta di disposizioni che sicuramente incidono sulle materie
di competenza concorrente «governo del territorio» e «grandi reti di
trasporto e navigazione».
2.a) Per quanto riguarda la prima parte del primo comma dell'art.
15, relativa alla determinazione dei criteri e modalita' per
l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi
autostradali in gestione diretta di ANAS S.p.a., si rileva che una
variazione in aumento dei pedaggi attualmente previsti comporta
necessariamente effetti riflessi sulla viabilita' alternativa a
quella autostradale, perche' determina un aumento del traffico sui
percorsi alternativi a quelli autostradali.
Cio' comporta, chiaramente, un aggravio dei costi di manutenzione
delle strade regionali (nonche' provinciali e comunali), e dei
fenomeni di inquinamento (atmosferico ed acustico) nei territori
interessati dalla stessa viabilita' alternativa a quella
autostradale.
In altri termini, un aumento dei pedaggi attualmente previsti
comporta conseguenze anche di notevole impatto sul territorio
circostante in termini ambientali e, piu' in generale, di
vivibilita'.
Tali effetti sono stati riconosciuti anche dalla giurisprudenza
amministrativa, la quale ha affermato che gli aumenti tariffari «non
possono non incidere sull'andamento della viabilita', della
circolazione e dei trasporti in ambito regionale» (T.A.R. Lazio, Sez.
III, sentenza del 5 ottobre 2006, n. 9917).
Tali considerazioni avrebbero dovuto indurre il legislatore a
prevedere il coinvolgimento almeno della Conferenza Stato-Regioni in
relazione alla determinazione dei criteri e modalita' di applicazione
dei pedaggi, stante la sicura incidenza di tale variabile sulle
legittime determinazioni legislative e regolamentari regionali
attuative della competenza (concorrente) in materia di «governo del
territorio» ed in materia di «grandi reti di trasporto e
navigazione».
Un siffatto coinvolgimento, pero', non e' stato previsto dalle
disposizioni impugnate, che prevedono esclusivamente un decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze.
Da cio' deriva la violazione dell'art. 117, terzo comma della
Costituzione, anche sotto il profilo della lesione del principio di
leale cooperazione.
2.b) Per cio' che attiene, poi, la seconda parte del primo comma
dell'art. 15, relativa all'individuazione delle tratte da sottoporre
a pedaggio, gli appena illustrati profili di illegittimita'
costituzionale si rivelano ancora piu' gravi ed evidenti.
In tale ipotesi, infatti, non si tratta «semplicemente» di
modificare il quantum di un corrispettivo gia' richiesto, bensi', e
piu' significativamente, di introdurre ex novo un siffatto
corrispettivo.
Cio', evidentemente, produce conseguente significative sulla
viabilita' nel suo complesso considerata (e, pertanto, anche e piu'
in generale sulla vivibilita' delle zone interessate), e, quindi,
sulle disposizioni legislative e regolamentari regionali adottate in
materia di «governo del territorio» e «grandi reti di trasporto e
navigazione».
Stante tale impatto sul legittimo esercizio di competenze che la
Costituzione attribuisce alle regioni, la norma contestata avrebbe
dovuto prevedere, in relazione alle nuove tratte da sottoporre a
pedaggio, un coinvolgimento della regione interessata.
Da quanto esposto, emerge l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 15, comma 1, per violazione dell'art. 117, terzo comma
della Costituzione.
2.c) Infine, per quanto riguarda il secondo comma dell'art. 15
l'illegittimita' costituzionale del medesimo deriva
dall'illegittimita' costituzionale del primo comma, nella misura in
cui esso consente all'ANAS s.p.a., sia pure soltanto in via
transitoria e comunque non oltre il 31 dicembre 2011, di «applicare
una maggiorazione tariffaria forfettaria di un euro per le classi di
pedaggio A e B e di due euro per le classi di pedaggio 3, 4 e 5,
presso le stazioni di esazione delle autostrade a pedaggio assentite
in concessione che si interconnettono con le autostrade e i raccordi
autostradali in gestione diretta ANAS», individuate con il medesimo
d.P.C.M. di cui al primo comma.
Anche con riguardo a detta disposizione si ripropone quanto sopra
esposto in ordine all'incidenza negativa (sostanzialmente
vanificatoria) sulle materie «governo del territorio» e «grandi reti
di trasporto e navigazione», di competenza legislativa concorrente.
Da cio' deriva l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15,
comma 2, nella misura in cui non prevede alcun coinvolgimento delle
regioni, neppure nella forma dell'intervento nella Conferenza
Stato-regioni.
Tale illegittimita' emerge anche dalla circostanza che la
disposizione de qua non limita testualmente l'applicazione della
maggiorazione di cui trattasi alle stazioni di esazione delle
autostrade a pedaggio assentiti in concessione che si interconnettano
esclusivamente e direttamente con le autostrade ed i raccordi
autostradali in gestione diretta ANAS.
Nella misura in cui la maggiorazione in oggetto si applica anche
a stazione di esazione che si interconnettono non in modo diretto e
necessario alle autostrade e raccordi autostradali in gestione
diretta ANAS - e, quindi, «servano» strade anche regionali - si
verifica un'indebita intromissione statale nelle competenze ed
attribuzioni regionali in materia di «governo del territorio»,
«grandi reti di trasporto e di navigazione», viabilita'.
E' anche evidente, poi, che ove una siffatta applicazione si
verifichi, le piu' volte menzionate e descritte conseguenze negative
sulla viabilita' alternativa e, piu' in generale, sul territorio
circostante, si rivelano ancora piu' pesanti e significative.
La conferma dell'appena prospettata illegittimita' del secondo
comma dell'art. 15 impugnato emerge dal decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri del 25 giugno 2010 con il quale il Governo ha
individuato una serie di stazioni di esazione alle quali applicare la
maggiorazione prevista dalla disposizione censurata.
Con tale provvedimento, in alcuni casi (per la Toscana rilevano:
Firenze-Certosa e Valdichiana) sono state individuate stazioni di
esazione non collegate in via diretta ed immediata alle autostrade e
raccordi autostradali in gestione diretta ANAS.
Risulta confermata, anche per tale via, l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 15, comma 2, nella misura in cui non prevede
alcun coinvolgimento delle regioni, neppure nella forma
dell'intervento nella Conferenza Stato-regioni.
3) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 49, comma 3 che
sostituisce i commi 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater dell'art. 14-quater
della legge n. 241/1990, per violazione dell'articolo 117, terzo e
quarto comma, Cost. anche sotto il profilo della violazione del
principio della leale cooperazione e per violazione dell'art. 120
Cost.
3.a) Il nuovo comma 3 dell'art. 14-quater disciplina il
superamento del dissenso espresso da Amministrazioni preposte alla
tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio
storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica
incolumita' in sede di Conferenza di servizi, prevedendo che a fronte
di tale dissenso, «la questione, in attuazione e nel rispetto del
principio di leale collaborazione e dell'art. 120 della Costituzione,
e' rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del
Consiglio dei ministri, che si pronuncia entro sessanta giorni,
previa intesa con la regione...in caso di dissenso tra
un'amministrazione statale ed una regionale o tra piu'
amministrazioni regionali ovvero previa intesa con la regione e gli
enti locali interessati, in caso di dissenso tra
un'amministrazione...regionale e un ente locale o tra piu' enti
locali. Se l'intesa non e' raggiunta nei successivi trenta giorni, la
deliberazione del. Consiglio dei ministri puo' essere comunque
adottata. Se il motivato dissenso e' espresso da una regione ...in
una delle materia di propria competenza, il Consiglio dei Ministri
delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la
partecipazione dei Presidenti delle regioni».
La disposizione e' atta ad incidere su molteplici competenze
regionali, quali il governo del territorio, la valorizzazione dei
beni culturali ed ambientali e la tutela della salute, il turismo, il
commercio.
Proprio in considerazione di una siffatta (e fortemente)
possibile interferenza fra competenze e funzioni statali e regionali,
allorquando si debbano individuare meccanismi volti a superare il
suddetto dissenso, la scelta non puo' mai essere quella di
«espropriare» della propria potesta' decisionale un soggetto
istituzionale, rimettendo la decisione ad un unico Ente.
Si deve, in altri termini, raggiungere un'intesa, che, alla
stregua della giurisprudenza formatasi con riguardo alle fattispecie
di «chiamata in sussidiarieta'», deve avere natura «forte», nel senso
che il suo mancato raggiungimento impedisce la decisione finale.
Ed infatti, la disciplina previgente rispetto a quella impugnata
con il presente ricorso dettava procedimenti complessi di superamento
del dissenso fra Amministrazioni diverse in sede di Conferenza, a
tutela dei livelli di competenza delle regioni e degli enti locali
coinvolti.
Il nuovo terzo comma dell'art. 14-quater della legge n. 241/1990,
invece - consentendo la decisione unilaterale governativa, decorso un
certo periodo, in caso di mancato raggiungimento dell'intesa -
svilisce il carattere «forte» dell'intesa stessa fra Governo, regione
ed enti locali, rendendola soltanto eventuale e, comunque, sminuendo
il potere decisionale della regione, in violazione del dettato
costituzionale.
Nella sentenza n. 6/2004, la Corte costituzionale (con
riferimento alla materia dell'energia) ha chiarito che l'intesa con
le regioni deve essere considerata di natura «forte» «nel senso che
il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla
conclusione del procedimento», stante l'impatto indubbio che
determinate opere (nella fattispecie esaminata nella citata sentenza
si trattava di impianti energetici) provocano su molteplici materie
rimesse alla competenza, concorrente o residuale, delle regioni, fra
le quali la tutela della salute, il governo del territorio, il
turismo e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali.
Ancora, nella successiva sentenza n. 383/2005, la Corte
costituzionale ha rilevato che «Nell'attuale situazione [...] come
questa Corte ha piu' volte ribadito a partire dalla sentenza n. 303
del 2003 (cfr., da ultimo, le sentenze n. 242 e n. 285 del 2005),
tali intese costituiscono condizione minima e imprescindibile per la
legittimita' costituzionale della disciplina legislativa statale che
effettui la "chiamata in sussidiarieta'" di una funzione
amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, con
la conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese "in senso
forte", ossia di atti a struttura necessariamente bilaterale, come
tali non superabili con decisione unilaterale di una delle parti. In
questi casi, pertanto, deve escludersi che, ai fini del
perfezionamento dell'intesa, la volonta' della regione interessata
possa essere sostituita da una determinazione dello Stato, il quale
diverrebbe in tal modo l'unico attore di una fattispecie che,
viceversa, non puo' strutturalmente ridursi all'esercizio di un
potere unilaterale.
L'esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo
ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale
collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo,
potra' certamente ispirare l'opportuna individuazione sul piano
legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorire
l'adozione dell'atto finale nei casi in cui siano insorte difficolta'
a conseguire l'intesa, ma tali procedure non potranno in ogni caso
prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle
parti coinvolte. E nei casi limite di mancato raggiungimento
dell'intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del
ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato
e Regioni».
Sul punto, anche la sentenza n. 303/2003 aveva riconosciuto una
ben precisa valenza procedimentale ai principi di sussidiarieta' ed
adeguatezza, con conseguente necessita' che l'ampliamento delle
funzioni dello Stato costituisca «oggetto di accordo con la regione
interessata».
La disposizione censurata, invece, consentendo, come visto, la
determinazione unilaterale governativa in caso di mancato
raggiungimento di un'intesa nel termine di trenta giorni dalla
rimessione della questione al Consiglio dei ministri, sostanzialmente
pone la Regione medesima in una posizione subordinata rispetto a
quella statale.
In altri termini, le Regioni, in tutti i casi in cui vi sia un
motivato dissenso fra Amministrazioni diverse preposte alla tutela
ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio
storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica
incolumita', perdono sostanzialmente ogni capacita' deliberativa,
essendo la questione rimessa al Consiglio dei ministri (alle riunioni
del quale e' semplicemente convocato il presidente della regione
interessata).
Com'e' intuitivo, pero', l'autonomia regionale e la posizione
paritaria fra il livello centrale e quello regionale di governo
possono essere garantite soltanto se l'intesa viene interpretata come
vero e proprio strumento destinato a recepire la codeterminazione
(appunto, paritaria) dell'an e del quomodo degli interventi da
realizzare.
Emerge, pertanto, l'illegittimita' costituzionale della
disposizione censurata, per violazione degli artt. 117 e 118 della
Costituzione, anche sotto il profilo della violazione del principio
di leale collaborazione.
3.b) Lo stesso comma 3 dell'art. 14-quater della legge n.
241/1990 si rivela in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., anche
sotto il profilo della violazione del principio di leale
collaborazione, per un aspetto ulteriore.
Come si evince dal dato letterale della disposizione censurata,
infatti, questa equipara il caso di contrasto fra un'Amministrazione
statale e gli enti locali a quello di constrato fra questi ultimi ed
un'Amministrazione regionale. In tale seconda ipotesi, pero', davvero
non si comprende quali esigenze di esercizio unitario possano
giustificare la remissione della decisione al Consiglio dei ministri,
atteso che, cosi' facendo, in sostanza la regione interessata viene
ad essere «espropriata» di proprie competenze, in palese violazione
dei parametri di legittimita' costituzionale affinche' cio' possa
avvenire. Manca, infatti, ogni elemento utile a predeterminare
l'ambito di operativita' di una siffatta avocazione di compiti, al di
fuori della» mera circostanza dell'intervenuto dissenso, nonche'
qualsiasi indicazione utile a giustificare la stessa necessita' di
tale avocazione decisionale.
Da cio' deriva un ulteriore profilo di illegittimita'
costituzionale della disposizione censurata, per violazione degli
artt. 117 e 118 della Costituzione, anche sotto il profilo della
violazione del principio di leale collaborazione.
Tutti gli eccepiti profili di illegittimita' sono confermati dal
fatto che la norma impugnata vanifica l'articolata e diversa
procedura di superamento del dissenso che la Regione Toscana,
nell'ambito dell'esercizio della propria potesta' legislativa volta a
disciplinare i procedimenti amministrativi di sua competenza, ha
introdotto nell'art. 29 della legge regionale 23 luglio 2009, n. 40
(Legge di semplificazione e riordino normativo 2009).
3.c) Come appena illustrato, il nuovo terzo comma rimette al
Governo la decisione finale - in caso di motivato dissenso da parte
di un'Amministrazione preposta alla tutela ambientale,
paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla
tutela della salute e della pubblica incolumita' - in tutti i casi in
cui, decorsi trenta giorni, l'intesa con la regione interessata non
sia raggiunta.
Cosi' facendo, pero', la medesima disposizione prevede un'ipotesi
di potere sostitutivo straordinario del Governo al fuori dei limiti
costituzionali indicati dall'art. 120 Cost., per il quale e'
necessario il previo verificarsi di un inadempimento dell'Ente
sostituito rispetto ad un'attivita' ad esso imposta come
obbligatoria.
Tale, pero', non puo' essere considerato il raggiungimento
dell'intesa prevista per l'esercizio di una funzione amministrativa
da parte dello Stato, a seguito di «chiamata in sussidiarieta'».
Cio' e' stato riconosciuto dalla Corte costituzionale anche nella
recente sentenza n. 278/2010, nella quale la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 2, lett. f), della
legge n. 99/2009, e' stata ritenuta non fondata «poiche' si basa
sull'erroneo presupposto interpretativo, per il quale la disposizione
impugnata si applicherebbe alle intese con le regioni: infatti, nel
vigente assetto istituzionale della Repubblica, la regione gode di
una particolare posizione di autonomia costituzionalmente protetta,
che la distingue dagli enti locali (art. 114 Cost.), sicche' si deve
escludere che il legislatore delegato abbia potuto includere le
regioni nella espressione censurata (sentenza n. 20 del 2010)» (punto
14 del considerato in diritto).
Il nuovo comma 3 dell'art. 14-quater della legge n. 241/1990,
invece, introduce proprio (e lo conferma il dato letterale dell'art.
49, comma 3, del decreto-legge in questa sede impugnato) una siffatta
applicazione, in violazione palese del dettato costituzionale e della
giurisprudenza della Corte costituzionale.
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 49, commi 4-bis e 4-ter,
per violazione dell'art. 117, terzo comma e 121, secondo comma Cost.
L'art. 49, comma 4-bis, della legge n. 122 del 2010 riformula
interamente l'art. 19 della legge n. 241/1990, sostituendo la
Dichiarazione di inizio attivita' (DIA) con la Segnalazione
certificata di inizio attivita' (SCIA); e' previsto che ogni atto di
autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o
nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni
in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attivita'
imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda
esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti
dalla legge o di atti amministrativi a contenuto generale se non sia
previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti
di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, e'
sostituito da una segnalazione dell'interessato (SCIA).
Sono esclusi dalla disciplina sulla SCIA i casi in cui sussistano
vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e gli atti rilasciati
dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica
sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza,
all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle
finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione
del gettito anche derivante dal gioco, nonche' quelli imposti dalla
normativa comunitaria.
La SCIA deve essere corredata dalle dichiarazioni sostitutive di
certificazioni e dell'atto di notorieta' (ai sensi degli artt. 46 e
47 del d.P.R. n. 445/2000), nonche' dalle attestazioni di tecnici
abilitati o dalle dichiarazioni di conformita' rese dalle Agenzie per
le imprese, relative alla sussistenza dei requisiti .e dei
presupposti per l'avvio dell'attivita'. Tali attestazioni e
asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per
consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione.
L'attivita' puo' essere iniziata immediatamente dalla data di
presentazione della segnalazione all'amministrazione competente.
In caso di accertata carenza dei requisiti necessari ed entro il
termine di sessanta giorni dal ricevimento della SCIA,
l'amministrazione competente adotta motivati provvedimenti con cui
dispone il divieto di proseguire l'attivita' e la rimozione degli
eventuali effetti dannosi. L'interessato puo' evitare tali
provvedimenti conformando alla normativa vigente l'attivita' ed i
suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni
caso non inferiore a trenta giorni. Inoltre, ferma restando
l'applicazione delle sanzioni penali, in caso di dichiarazioni
sostitutive false o mendaci, l'amministrazione puo' sempre adottare i
suddetti provvedimenti. E' fatto salvo il potere dell'amministrazione
competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi
degli artt. 21-quinquies e 21-nonies, legge n. 241/1990.
Decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti inibitori e
conformativi, la pubblica amministrazione puo' adottare i
provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attivita' e di
rimozione degli effetti, soltanto in presenza di un danno per il
patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per
la sicurezza pubblica o la difesa nazionale, e previo motivato
accertamento dell'impossibilita' di tutelare comunque tali interessi
mediante conformazione dell'attivita' dei privati alla normativa
vigente.
Il comma 4-ter prevede che le espressioni «segnalazione
certificata di inizio di attivita'» e «Scia» sostituiscono,
rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio di attivita'» e
«Dia», ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione piu'
ampia, e la disciplina della SCIA sostituisce direttamente quella
della dichiarazione di inizio di attivita' recata da ogni normativa
statale ed anche regionale.
La sopra richiamata disciplina pone vari problemi interpretativi
e applicativi, con particolare riferimento all'ambito di
applicazione.
E' chiarito che:
sono esclusi dalla disciplina sulla SCIA le autorizzazioni
previste dal d.lgs. n. 152/2006 (norme in materia ambientale) in
quanto generalmente imposte dalla normativa comunitaria e comunque
richiedenti valutazioni tecniche specifiche non riconducibili al mero
accertamento di requisiti generali imposti dalla norma;
e' esclusa la Scia per i procedimenti per cui siano previsti
specifici strumenti di programmazione settoriale finalizzati al
rilascio di atti di assenso dell'amministrazione, come, ad esempio,
l'esercizio dell'attivita' di commercio nelle medie e grandi
strutture di vendita e dell'attivita' di somministrazione di alimenti
e bevande per le quali la legislazione prevede di norma un regime
autorizzatorio, che risponde alle regole di una programmazione
settoriale basata su criteri individuati dalle regioni e dai comuni.
La disciplina della SCIA si applica invece, per espressa
disposizione della recente legge statale, all'esercizio di attivita'
imprenditoriale, commerciale o artigianale e pertanto sono da
verificare i procedimenti e le autorizzazioni/abilitazioni rilasciate
per tali attivita', sia in ambito statale sia in ambito regionale.
La Regione ricorrente contesta le disposizioni impugnate ove
ritenute applicabili anche al settore dell'edilizia, secondo le
indicazioni in tale senso pervenute dalle autorita' ministeriali.
La «DIA» edilizia e quella commerciale hanno sempre avuto diverse
discipline (da ultimo, quella dell'art. 22 del d.P.R. n. 380 del
2001, per l'edilizia e quella dell'art. 19 della legge n. 241 del
1990) per la diversita' degli interessi tutelati rispettivamente dai
due titoli.
Ora, invece, viene tutto unificato e il privato puo' iniziare
subito l'attivita' edilizia senza attendere alcun termine, restando
alla P.A. solo il potere di intervenire successivamente quando i
lavori sono gia' iniziati (e magari anche gia' finiti) con un
potenziale danno urbanistico ormai prodotto.
Tale conseguenza e' ancor piu' grave se si pensa che con la DIA
possono essere realizzati interventi edilizi significativi, come
interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino
aumento di unita' immobiliari, modifiche del volume, della sagoma,
dei prospetti o delle superfici; gli interventi di nuova costruzione
o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani
attuativi comunque denominati alle condizioni indicate dall'art. 22,
comma 3, lett. b); gli interventi di nuova costruzione qualora siano
in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti
precise disposizioni planovolumetriche.
Queste attivita' potevano essere iniziate dopo 30 giorni dalla
presentazione della DIA e tale termine ha rappresentato un
equilibrato compromesso tra le esigenze di controllo «preventivo»
della p.a. e le esigenze del proprietario costruttore ad iniziare
rapidamente i lavori, con la dovuta tranquillita' di evitare rischi
di ordinanze successive di demolizione.
La normativa in esame viola le competenze regionali in materia di
governo del territorio che, ai sensi dell'art. 117, terzo comma Cost.
sono attribuite alla potesta' legislativa concorrente e in cui,
dunque, lo Stato deve porre i principi fondamentali, lasciando poi
alle regioni lo sviluppo e la specificazione della disciplina.
Le impugnate disposizioni richiamano, per giustificare
l'intervento legislativo statale, la tutela della concorrenza, di cui
all'art. 117, secondo comma, lettera e) e la determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. m).
Tuttavia non e' sufficiente la mera autoqualificazione formale
operata dal legislatore statale per ricondurre una disciplina
nell'ambito della competenza esclusiva dello Stato, ma e' necessario
esaminarne il contenuto sostanziale e verificare se lo scopo cui la
norma tende permette di ricondurre la stessa in tale ambito.
Precisamente, infatti, la giurisprudenza costituzionale ha rilevato
che «l'identificazione della materia nella quale si colloca la norma
impugnata richiede di fare riferimento all'oggetto ed alla disciplina
stabilita dalla medesima, tenendo conto della sua ratio, tralasciando
gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, cosi' da identificare
correttamente e compiutamente anche l'interesse tutelato (ex
plurimis, sentenze n. 165 del 2007; n. 450 del 2006; n. 319 del 2005;
n. 285 del 2005). (sentenza n. 430 del 2007 e, nello stesso senso n.
1 del 2008).
Applicando tale principio, appare evidente che la SCIA «edilizia»
non e' uno strumento per tutelare la concorrenza.
La «tutela della concorrenza» di cui alla lettera e) dell'art.
117 Cost. comprende le misure legislative di tutela in senso proprio
che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che
incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati e
quelle di promozione che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne
l'apertura eliminando barriere all'entrata (sentenze n. 63 del 2008;
n. 430 del 2007).
Con la SCIA la P.A. abilita il privato a realizzare un
determinato intervento edilizio, ricorrendone i presupposti in base
alla pianificazione territoriale; viene quindi in questione il
rapporto tra l'Amministrazione ed il privato e non invece la
concorrenza tra gli imprenditori che hanno diritto alla parita' di
trattamento e ad agire in un mercato libero senza barriere.
Ne consegue che cio' che assume rilievo in questa materia e' la
relazione che si instaura tra il privato che decide di realizzare un
intervento e l'amministrazione che deve verificare se esso sia
conforme o meno alla disciplina vigente.
Altresi' non pertinente e' il riferimento alla lettera m)
dell'art. 117 Cost., perche' la disciplina della SCIA «edilizia» non
fissa un livello essenziale delle prestazioni da garantire su tutto
il territorio nazionale.
Siffatto titolo di legittimazione dell'intervento statale e'
invocabile «in relazione a specifiche prestazioni delle quali la
normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione»
(sentenze n. 328 del 2006, n. 285 e n. 120 del 2005; n. 423 del
2004).
Nel caso in esame non e' predeterminato tale livello e il momento
in cui l'attivita' puo' essere iniziata (subito o dopo trenta giorni)
non costituisce una prestazione concernente un diritto.
Escludendo i due titoli di competenza statale, perche'
illegittimamente invocati, la disciplina in esame ricade nella
materia del «governo del territorio», soggetto alla potesta'
legislativa concorrente.
La riconducibilita' delle disposizioni in esame a detta materia
trova conferma nella giurisprudenza costituzionale, la quale ha
rilevato che nei settori dell'urbanistica e dell'edilizia i poteri
legislativi regionali sono senz'altro ascrivibili alla nuova
competenza di tipo concorrente in tema di governo del territorio
ritenuta comprensiva di tutto cio' che attiene all'uso del territorio
e alla localizzazione di impianti o attivita', ossia l'insieme delle
norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base
ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio
(sentenze nn. 303 e 362 del 2003; n. 196 del 2004).
Le disposizioni impugnate sono norme di dettaglio; le regioni
dovrebbero infatti poter decidere, in base alla realta' del proprio
territorio, se consentire al privato di iniziare l'attivita'
immediatamente, o di attendere un termine da esse stabilito.
In merito la giurisprudenza costituzionale ha rilevato che
«l'intervento del legislatore statale presenta carattere di norma di
dettaglio, in quanto ha ad oggetto una disciplina limitata a
specifiche tipologie di interventi edilizi realizzati in contesti ben
definiti e circoscritti.
Se, come piu' volte chiarito da questa Corte, alla normativa di
principio spetta di prescrivere criteri e obiettivi, mentre alla
normativa di dettaglio e' riservata l'individuazione degli strumenti
concreti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi (ex plurimis:
sentenze n. 16 del 2010, n. 340 del 2009 e n. 401 del 2007), l'art.
3, comma 9, introduce una disciplina che si risolve in una normativa
dettagliata e specifica che non lascia alcuno spazio al legislatore
regionale.
Essa, pertanto, oltrepassa i confini delle competenze che, ai
sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. spettano al legislatore
statale in materia di governo del territorio.». (sentenza n. 278 del
2010).
Inoltre particolarmente lesiva delle competenze regionali e' la
norma contenuta nel citato comma 4-ter ai sensi del quale le
espressioni «segnalazione certificata di inizio di attivita'» e
«Scia» sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di
inizio di attivita'» e «Dia», ovunque ricorrano, anche come parte di
una espressione piu' ampia, e la disciplina della SCIA sostituisce
direttamente quella della dichiarazione di inizio di attivita' recata
da ogni normativa statale e regionale.
La nuova Scia travolge pertanto tutte le norme regionali in
materia.
La Regione Toscana ha disciplinato con un'organica legge in
materia di governo del territorio (legge n. 1 del 2005) le ipotesi di
interventi per cui si richiede la DIA. Non solo, ma in applicazione
dell'art. 22, comma 4 del d.P.R. n. 380/2001, alla Regione e' stato
consentito anche di ampliare autonomamente le categorie di opere per
cui e' prevista la DIA: ebbene tutte queste norme vengono abrogate
con effetto immediato dal legislatore statale e sostituite
unilateralmente con una disciplina che non permette piu' un controllo
preventivo dell'Amministrazione.
Questo non rispetta l'autonomia legislativa regionale perche' il
legislatore statale non puo' intervenire direttamente ad abrogare e
sostituire norme approvate dal Consiglio regionale; spetta invece a
quest'ultimo adeguarsi ai nuovi principi posti dal legislatore
statale, senza che possa dunque prescindersi da un termine per
l'adeguamento da parte del legislatore regionale.
Per tutti questi motivi le norme impugnate contrastano con l'art.
117, terzo comma, Cost., violando le attribuzioni regionali in
materia di governo del territorio, nonche' con l'art. 121, secondo
comma, Cost., violando l'autonomia legislativa del Consiglio
regionale con la previsione dell'automatica sostituzione immediata
della normativa statale a quella regionale.
P.Q.M.
Si confida che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 11, comma 6-bis, dell'art. 15, commi 1 e 2,
dell'articolo 49, comma 3, dell'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del
decreto-legge n. 78 del 2010 convertito con modificazioni nella legge
30 luglio 2010, n. 122, per violazione degli artt. 117, terzo e
quarto comma, 118, primo comma, 119, primo e secondo comma, 120 e
121, secondo comma, Cost. anche sotto il profilo di violazione del
principio della leale cooperazione.
Firenze - Roma, addi' 28 settembre 2010
Avv. Lucia Bora
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