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N. 97 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 11 settembre 2006. |
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Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria l'11 settembre 2006 (del Presidente del Consiglio dei
ministri)
(GU n. 42 del 18-10-2006)
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Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso per mandato ex lege dall'Avvocatura generale
dello Stato, presso i cui uffici ha il proprio domicilio in Roma, via
dei Portoghesi n. 12, ricorrente;
Contro la Regione Campania, in persona del Presidente della
giunta regionale attualmente in carica, resistente, per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 27, 35,
36, 37, 38, 39, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57 e
58 del titolo III della legge regionale 20 giugno 2006, n. 12,
recante «Disposizioni in materia di amministrazione e contabilita'
del Consiglio regionale della Campania» pubblicata sul B.U.R. n. 29
del 3 luglio 2006.
Nell'esercizio della propria competenza legislativa, la Regione
Campania ha emanato la legge regionale n. 12/2006 che ha ad oggetto
la disciplina generale dell'ordinamento contabile
dell'amministrazione regionale, la gestione delle risorse finanziarie
necessarie, e soprattutto la fissazione di norme in materia
contrattuale (titolo III), sia sotto il profilo organizzativo che
sotto il profilo della scelta del contraente e dell'esecuzione dei
contratti.
I contratti assoggettati alla disciplina legislativa regionale
sono essenzialmente gli appalti di forniture e servizi di importo
inferiore alla soglia di rilievo comunitario (e quelli di importo
superiore qualora diversi da quelli menzionati dalle direttive
europee), nonche' gli appalti di 1avori pubblici di qualunque
importo, e i contratti d'opera professionale.
Ora, e' noto che la questione del riparto di competenza
legislativa fra Stato e regioni in materia di affidamento ed
esecuzione di commesse pubbliche ha avuto di recente un notevole
contributo interpretativo ad opera delle sentenze n. 303 e 304 del
2003 e n. 345 del 2004 della Corte costituzionale, nonche' una
precisa regolamentazione ad opera del c.d. «codice degli appalti» di
cui al decreto legislativo n. 163/2006.
In base ai principi desumibili dalle pronunce e dalle norme ora
richiamate, e' possibile affermare che la materia degli appalti
pubblici - ancorche' non espressamente menzionata dall'art. 117 della
Costituzione - non appartiene per residualita' alla competenza
legislativa delle regioni.
Come affermato dalla Corte costituzionale a proposito dei lavori
pubblici, ma con espressioni e concetti idonei a ricomprendere tutti
gli appalti pubblici (e quindi anche servizi e forniture), «si tratta
di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria
materia, ma si qualificano a seconda dell'oggetto al quale
afferiscono, e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a
potesta' legislative dello Stato, ovvero a potesta' legislative
concorrenti».
Se dunque si procede a scomporre la disciplina degli appalti
pubblici in tutti i suoi momenti (dell'organizzazione, della
programmazione, del finanziamento, della scelta del contraente, della
sua qualificazione, dell'esecuzione del contratto, delle
controversie) si ha che ciascuno di essi puo' essere ricondotto
all'ambito di legislazione cui appartiene la relativa materia, e di
conseguenza puo' essere individuato il soggetto titolare della
connessa potesta' legislativa.
Per grandi linee, si puo' affermare dunque che tutto cio' che
attiene alla fase dell'affidamento dell'appalto - contenuto dei bandi
di gara, criteri di aggiudicazione, disciplina della gara,
qualificazione dei concorrenti - rientra nel generale concetto di
regolamentazione della concorrenza e di regolazione del mercato (ed
in questa prospettiva e' la genesi di tutta la normativa comunitaria
in materia, nonche' la ragione della predominanza di questa sulla
normativa interna), regolamentazione che, in quanto tale, appartiene
allo Stato in via esclusiva.
In tal senso e' espressamente l'orientamento della Corte
costituzionale, che ha affermato che l'acquisto di beni e servizi da
parte delle pubbliche amministrazioni secondo le procedure ad
evidenza pubbliche costituisce la concreta attuazione della pienezza
dei rapporti concorrenziali. «Le procedure ad evidenza pubblica,
anche alla luce delle direttive della Comunita' europea (cfr. da
ultimo, la direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, relativa al
coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di lavori, di forniture e servizi), hanno assunto un rilievo
fondamentale per la tutela della concorrenza tra i vari operatori
economici interessati alle commesse pubbliche. Viene in rilievo, a
questo proposito, la disposizione di cui all'art. 117, secondo comma,
della Costituzione, secondo la quale spetta allo Stato legiferare in
via esclusiva in tema di tutela della concorrenza» (Corte cost.
345/2004).
E la ragione e' piu' che evidente e risiede nella insopprimibile
esigenza che il mercato e le sue regole non soffrano della
frantumazione conseguente alla pluralita' di possibili discipline,
articolate secondo le differenziazioni del territorio regionale e
ciascuna rispondente a finalita' politiche diverse, ed abbiano
viceversa una disciplina omogenea ed unitana su tutto il territorio
nazionale.
La regione, dunque, non puo' emanare autonome norme di legge
destinate a disciplinare le procedure di affidamento di contratti
pubblici.
Analogamente va ritenuto con riguardo ad altri aspetti della
materie dei contratti pubblici, quali la sottoscrizione del contratto
e la sua esecuzione, il subappalto, la disciplina delle controversie.
E' infatti evidente che tutta la vicenda contrattuale appartiene
alla disciplina civilistica delle obbligazioni, delle loro fonti, del
loro adempimento, del loro inadempimento e delle relative conseguenze
giuridiche (non a caso il contratto di appalto trova compiuta
disciplina negli articoli del codice civile, e l'appalto pubblico e'
tradizionalmente ritenuto un contratto di diritto privato, ancorche'
speciale), e come tale rientra a pieno titolo nella potesta'
legislativa esclusiva dello Stato, cui spetta, sempre a norma
dell'art. 117 della Costituzione, legiferare in tema di ordinamento
civile e penale.
Per quanto poi riguarda il subappalto, oltre alla gia' rilevata
considerazione del suo appartenere all'ambito del diritto civile
(art. 1656 c.c.), vi e' l'ulteriore e non meno rilevante aspetto
dell'assoggettamento dell'istituto in questione a normativa speciale
(la legge 19 marzo 1990, n. 55) di chiara ispirazione di ordine
pubblico, e cio' costituisce ulteriore elemento per ricondurre la
disciplina del subappalto nell'esclusiva signoria dello Stato,
competente a legiferare sempre ai sensi dell'art. 117 della
Costituzione in materia di ordine pubblico e sicurezza.
Le regioni pertanto non possono emanare norme proprie volte a
regolare gli aspetti contrattuali degli appalti pubblici.
Possono invece emanare norme dirette a disciplinare argomenti ed
istituti che sono oggetto di competenza legislativa concorrente
(programmazione, esercizio ed effetti dei poteri approvativi
specialmente per quanto attiene all'ambito urbanistico ed
espropriativo, ecc.) ma cio' nel rispetto dei principi fondamentali
desumibili dalle norme statali.
Questo e' l'assetto delle competenze legislative nella materia
degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture quale risulta
dalla piu' corretta interpretazione dei principi costituzionali, e
quale attualmente accolta nella piu' recente normativa emanata dallo
Stato sul punto: l'articolo 4 del decreto legislativo 12 aprile 2006,
n. 163.
Sulla base di questi concetti e considerazioni preliminari e
generali, la legge regionale n. 12/2006 che qui si impugna si
presenta per molti versi esuberante rispetto alle linee di
demarcazione della potesta' legislativa tra Stato e regioni tracciata
dalla Costituzione, e sembra aver travalicato i limiti della
competenza legislativa regionale in materia.
Cio' e' avvenuto, secondo la Presidenza del Consiglio ricorrente,
in relazione a molteplici norme, che di seguito si elencano e si
censurano.
Articolo 27. Il comma 3 di questa norma prevede che l'attivita'
contrattuale relativa ai lavori e alle opere di competenza del
Consiglio regionale e' disciplinata dalla legge 11 febbraio 1994,
n. 109 - Legge quadro in materia di lavori pubblici - e dal relativo
regolamento di attuazione di cui al d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e
successive modificazioni. La stessa norma regionale prevede che si
applichino anche le disposizioni della legge regionale in quanto
«compatibili con la legge e il regolamento citati».
Sennonche', dietro a questa apparente dichiarazione di integrale
obbedienza alla legislazione statale in materia di lavori pubblici,
si cela una (probabilmente involontaria, in relazione ai tempi di
pubblicazione del provvedimento, ma non per questo meno palese)
rilevante violazione della competenza legislativa statale.
Infatti, come e' noto, la legge 109/1994 e' stata espressamente
abrogata per effetto dell'entrata in vigore del decreto legislativo
163/2006, che costituisce ora il testo unico statale che regola tutta
la materia degli affidamento degli appalti pubblici, di lavori
servizi e forniture.
Molte disposizioni del decreto legislativo 163/2006 riprendono
altrettante disposizioni della precedente legge 109/1994 e non se ne
sono discostate, dettando una disciplina non difforme da quella ora
abrogata. Ma moltissime altre disposizioni del nuovo testo si
discostano in modo radicale dalla precedente normativa, avendo
introdotto istituti nuovi (sotto la spinta delle direttive
comunitarie) ed avendo rivoluzionato quelle che erano state le scelte
adottate dalla abrogata legge quadro (basti pensare al capovolgimento
del principio della necessaria separazione tra progettazione ed
esecuzione dei lavori).
L'aver esplicitamente menzionato (e quindi «legificato» in ambito
regionale) una legge statale abrogata significa aver richiamato una
legge che non e' piu' la legge statale nella materia dei lavori
pubblici, in quanto superata da altra legge statale ora vigente;
significa in sostanza aver dato forza ad un complesso di norme che e'
diverso da quello statale vigente, e che invece dovrebbe essere
interamente ed inderogabilmente applicabile.
Ad esempio, in tema di qualificazione delle imprese esecutrici
dei lavori pubblici (materia riservata allo Stato perche', come
detto, connessa alla regolazione del mercato e alla tutela della
concorrenza) la legge n. 109/1994 non ammetteva l'istituto
dell'avvalimento, mentre il d.lgs. n. 163/2006 espressamente lo
prevede in attuazione delle direttive comunitarie. Ne deriva che,
applicando la legge n. 12/2006, la Regione Campania nelle sue gare
dovrebbe escludere le imprese che pretendono di qualificarsi
avvalendosi dei requisiti di altre imprese, diversamente da quanto
avverrebbe altrove.
Ad ulteriore esempio, in tema di regole della gara, applicando la
legge n. 109/1994 la Regione Campania non potrebbe porre a gara la
progettazione definitiva ed esecutiva di un'opera insieme alla
realizzazione dei lavori, mentre tale possibilita' e' ora ammessa dal
d.lgs. 163/2006.
In altri termini, per effetto della norma che qui si censura la
Regione Campania non verrebbe ad applicare nei lavori pubblici la
legge statale vigente, ma ne applicherebbe un'altra, profondamente
differente da quella; e quindi si ha un inammissibile discostamento
dalla regola sopra affermata, che vuole riservata allo Stato in via
esclusiva la disciplina dei lavori pubblici negli aspetti che
riguardano materie devolute alla competenza statale.
Ne' vale a superare la censura il riferimento che la norma
regionale fa alle successive modifiche della legge statale, in modo
da potersi dire che la Regione Campania presta ossequio non solo alla
legge n. 109/1994, ma anche a tutte le modificazioni successivamente
apportate dal legislatore nazionale: un conto infatti e' la semplice
modifica della legge (sono state modifiche della legge n. 109/1994 le
varie leggi «Merloni» bis, ter e quater - 216/1995, 488/1998,
166/2002 - adottate con la tecnica della novella), un altro conto e'
la sostituzione della legge con altra in virtu' del meccanismo
dell'abrogazione integrale.
L'articolo 27 della legge regionale n. 12/2006 viola dunque
l'art. 117 della Costituzione perche' in via generale si adegua ad
una legge (abrogata) diversa da quella statale vigente in materia di
lavori pubblici, e pertanto invade la sfera di competenza legislativa
dello Stato relativamente agli ambiti a questa devoluti in via
esclusiva.
Articolo 35. La norma della legge regionale elenca e definisce le
procedure di scelta del contraente. Di conseguenza, essa interviene
in ambito (la fase della scelta del contraente) strettamente connesso
alla disciplina della concorrenza, che ai sensi dell'art. 117 della
Costituzione spetta alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato.
Lo Stato ha esercitato la competenza in questione con gli
articoli da 54 a 62 del decreto legislativo n. 163/2006, rispetto
alle quali norme la disposizione di legge regionale presenta
significativi e pertanto costituzionalmente illegittimi -
scostamenti.
Innanzitutto, la legge regionale non contempla tra le procedure
di scelta del contraente - accanto a quelle, per cosi' dire,
tradizionali - il dialogo competitivo, ora introdotto
nell'ordinamento nazionale su impulso della normativa comunitaria, e
che pertanto stando alla legge qui censurata non potrebbe essere
utilizzato dalla regione stazione appaltante.
In secondo luogo, la stessa normativa regionale considera come
equivalenti tutte le procedure di aggiudicazione (ad eccezione,
ovviamente, della procedura negoziata che per sua natura e'
eccezionale), mentre la normativa statale effettua la scelta di
preferire le procedure ristrette quando il contratto non ha ad
oggetto la sola esecuzione oppure quando il criterio di
aggiudicazione e' quello dell'offerta economicamente piu'
vantaggiosa.
Ancora, la norma regionale adotta tra le procedure di
aggiudicazione le procedure telematiche, che identifica con asta
telematica e mercato telematico, le cui definizioni sono in parte
diverse ed in parte nuove rispetto alla corrispondente nomenclatura
statale (art. 3, comma 15 del d.lgs. n. 163/2006). Peraltro, nello
spirito della legge statale, l'asta elettronica - che non e' una
nuova e diversa procedura di aggiudicazione, ma un modo di
svolgimento delle procedure di aggiudicazione tradizionali - puo'
essere espletata solo quando ricorrano determinate condizioni
(art. 85, comma 3, del d.lgs. n. 163/2006) e non in via
generalizzata.
La norma regionale, pertanto, in quanto interviene a regolare
fattispecie di esclusiva competenza legislativa statale ed in modo
palesemente difforme da quello adottato dalla legge statale, viola
l'art. 117 della Costituzione e si manifesta illegittimo.
Articolo 36. La disposizione del testo legislativo regionale si
occupa dei criteri di aggiudicazione.
Anche qui, trattandosi di dettare le regole che presiedono alla
scelta della migliore offerta e quindi di disciplinare il modo di
svolgimento delle gare, si verte in ambito pertinente la tutela della
concorrenza e dunque sussiste competenza legislativa esclusiva dello
Stato.
La norma che qui si censura viene invece a dettare una disciplina
propria, diversa da quella statale, con riferimento alla
individuazione e alla portata del criterio dell'offerta
economicamente piu' vantaggiosa.
Sotto il primo profilo (quello della individuazione del
criterio), l'offerta economicamente piu' vantaggiosa regionale viene
ad essere costituita da un numero di elementi diversi e minori
rispetto a quelli elencati dalla corrispondente norma statale
(art. 83 del d. lgs. n. 163/2006) e neppure e' previsto il carattere
esemplificativo e non tassativo dell'elenco relativo. Sotto il
secondo profilo (quello della portata), la norma regionale prevede
che nella valutazione di ciascun elemento vi sia un principio di
prevalenza numerico dell'elemento prezzo in relazione al punteggio
complessivo, che non trova riscontro alcuno nella normativa statale
vigente.
In definitiva, nelle gare regionali da aggiudicarsi con il
criterio dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa potranno
prevalere solo le prestazioni per le quali la convenienza economica
superi comunque il requisito qualitativo.
Anche la norma in questione, pertanto, incide su aspetto
strettamente connesso ad una materia di esclusiva competenza
legislativa dello Stato discostandosi dalla disciplina statale, ed e'
dunque illegittima per violazione dell'art. 117 della Costituzione.
Articolo 37. La norma regionale si occupa della pubblicita' dei
bandi di gara dettando disposizioni diverse rispetto a quelle dettate
dalle corrispondenti norme statali (gli articoli 63, 65 e 66 del
d.lgs. n. 163/2006).
In particolare, mentre la norma regionale considera sufficiente
la pubblicazione del bando sul Bollettino ufficiale regionale e per
estratto su due quotidiani nazionali di cui uno a grande diffusione
locale, la norma statale esige la pubblicazione - oltre che nella
GUCE, come dovuto ai sensi della direttiva comunitaria - nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, sul sito della
committente, sul sito del Ministero delle infrastrutture e sul sito
dell'Osservatorio, e consente solo in via ulteriore ed aggiuntiva le
diverse forme di pubblicita' eventualmente adottate dalle singole
stazioni appaltanti.
Come e' evidente, la disciplina statale e' molto piu' trasparente
e garantista con riguardo alla esigenza della massima pubblicita' e
trasparenza, funzionali alla piena attuazione della concorrenza.
Pertanto, costituendo la pubblicita' uno dei presidi della
concorrenza, la sua disciplina non puo' che appartenete allo Stato in
via esclusiva; la norma regionale che abbia invaso questa competenza
dettando regole diverse non puo' che risultare illegittima per
violazione dell'art. 117 della Costituzione.
Articolo 38. La norma regionale in esame si occupa delle cause di
esclusione dalle gare, ossia delle situazioni soggettive dell'impresa
che si pongono come ostative alla partecipazione alle procedure di
affidamento di commesse pubbliche.
Si tratta di un aspetto della disciplina dei pubblici appalti di
rilevante delicatezza, perche' riguarda una delle condizioni di
accesso al mercato, ed anche con riferimento a questo aspetto -
ribadendosi qui le istanze di uniformita' di disciplina sul
territorio nazionale - non puo' che sussistere l'esclusiva competenza
legislativa dello Stato, competenza che e' stata pienamente
esercitata con l'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.
La Regione Campania, dopo aver elencato un certo numero di cause
di esclusione dalle gare che in qualche modo corrispondono ad alcune
di quelle previste anche dalla norma statale, ha previsto come norma
di chiusura la categoria residuale di tutte le altre condizioni
previste come causa di esclusione dalla legge dello Stato.
Sennonche', anche qui l'atto di ossequio alla competenza
legislativa centrale si rivela piu' apparente che reale, dal momento
che la norma regionale introduce due ulteriori cause di esclusione a
tempo: l'essersi macchiato di grave inadempienza contrattuale nei
confronti dell'amministrazione, e l'inadempimento a due obblighi -
mancata costituzione della costituzione provvisoria (definitiva?) e
mancata dimostrazione documentale del possesso dei requisiti in sede
di controllo successivo - derivanti da una precedente aggiudicazione
conseguita dall'amministrazione.
Questi due aspetti sono notevolmente difformi rispetto alla
normativa statale: la grave negligenza e malafede o il grave errore
professionale nell'esecuzione di precedente commessa e' considerata
pure dallo Stato come causa di esclusione dalle gare, ma non e'
subordinata a limite temporale alcuno; la mancata prestazione della
cauzione definitiva trova disciplina e sanzione ad opera
dell'art. 113 del d.lgs. n. 163/2006 che non commina la temporanea
esclusione dalle gare; la mancata dimostrazione dei requisiti in sede
di verifica successiva produce conseguenze diverse dalla temporanea
esclusione dalle gare per effetto dell'art. 48 del d.lgs.
n. 163/2006.
Ed e' quindi evidente che in materia di tutela della concorrenza
e di accesso al mercato una stessa situazione non puo' trovare
disciplina diversa a seconda del territorio regionale sul quale si
espleta la procedura di gara.
Pertanto, la norma della legge regionale in considerazione e'
indebitamente invasiva della competenza statale in materia ed e'
quindi illegittima per contrasto con l'art. 117 della Costituzione.
Articolo 39. La norma regionale, sotto la dizione «Disposizioni
generali» contiene la disciplina della qualificazione alle gare per
l'affidamento di servizi e forniture (per i lavori pubblici, come
s'e' visto, opera invece il richiamo alla legge 109/1994), del modo
di invitare i concorrenti, dei requisiti formali e giuridici
dell'offerta nonche' di talune operazioni di gara.
Anch'essa pertanto invade la sfera di competenza legislativa
esclusiva dello Stato, pretendendo di incidere su aspetti di
regolazione della concorrenza che sono riservati al potere
legislativo centrale e che tale potere ha regolato compiutamente e
differentemente.
Ad esempio, la norma regionale non prevede alcuna possibilita' di
restringere il numero dei soggetti da invitare alle gare, mentre
siffatta facolta' - la c.d. «forcella» - e' ora ammessa dall'art. 62
del d.lgs. n. 163/2006; nulla e' detto dalla norma regionale in
materia di avvalimento; l'attribuzione all'offerta della natura di
proposta irrevocabile crea una fattispecie di matrice civilistica
estranea alla competenza legislativa regionale e che la
corrispondente norma statale (art. 74 del d.lgs. n. 163/2006) non
menziona affatto; la disciplina regionale della gara in cui vi e' una
sola offerta valida e' profondamente diversa rispetto alla norma
statale (art. 55, comma 4, del d.lgs. n. 163/2006).
Dalle considerazioni che precedono deriva che anche la norma
regionale ora esaminata interviene a regolare un ambito di esclusiva
competenza statale, ed e' pertanto contrastante con i principi
dell'art. 117 della Costituzione.
Articolo 43. La norma in questione si occupa della gara espletata
con asta pubblica.
Come detto, le regole delle gare attengono alla materia della
concorrenza perche' disciplinano la competizione tra aspiranti alla
pubblica commessa, e come tali appartengono alla competenza esclusiva
dello Stato.
Peraltro, nel caso di specie, la norma regionale e' pure difforme
da quella statale dettando termini di ricezione delle offerte
decorrenti dal bando (non inferiori a trenta giorni) diversi da
quelli (non inferiori a cinquantadue giorni, salva l'ipotesi di
preventiva pubblicazione dell'avviso di preinformazione) fissati
dall'art. 70 del d.lgs. n. 163/2006 in adeguamento alla direttiva
comunitaria. Il che significa che nelle gare regionali i termini di
ricezione delle offerte sono piu' ristretti rispetto a quelli
previsti dalla norma statale, con evidente compressione della
concorrenza.
Ne deriva che, anche in questo caso, la norma regionale e'
indebitamente invasiva della sfera di competenza legislativa dello
Stato ed e' pertanto illegittima per contrasto con l'art. 117 della
Costituzione.
Articolo 44. La medesima situazione di sconfinamento e di
difformita' si evidenzia a proposito della norma regionale che si
occupa della licitazione privata.
Va ribadito pure a questo proposito che le regole delle gare
attengono alla materia della concorrenza perche' disciplinano la
competizione tra aspiranti alla pubblica commessa, e come tali
appartengono alla competenza esclusiva dello Stato.
Anche qui, i termini minimi fissati dalla disposizione censurata
(venti giorni per la ricezione delle domande di invito e venti giorni
per la ricezione delle offerte, entrambi riducibili a dieci per
motivi di urgenza) sono diversi e ridotti rispetto agli stessi
termini minimi fissati dalla corrispondente norma statale (l'art. 70
del d.lgs. n. 163/2006), che prevede invece trentasette giorni come
termine minimo di ricezione delle domande di invito e quaranta giorni
(riducibili a ventidue in casi di previa pubblicazione dell'avviso di
preinformazione) come termine minimo di ricezione delle offerte.
Per le stesse ragioni dedotte con riguardo alla norma
precedentemente censurata, pertanto, l'articolo in esame e'
illegittimo per contrasto con i principi fissati dall'art. 117 della
Costituzione.
Articolo 45. Non diverso e' il vizio che affligge il successivo
articolo, dedicato a dettare la disciplina regionale dell'appalto
concorso.
Anche in questo caso non puo' farsi a meno di eccepire che le
regole delle gare attengono alla materia della concorrenza perche'
disciplinano la competizione tra aspiranti alla pubblica commessa, e
come tali appartengono alla competenza esclusiva dello Stato.
Ed anche qui valgono le stesse osservazioni circa la
inammissibile difformita' di disciplina tra la regola regionale e
quella statale. La procedura di aggiudicazione dell'appalto concorso
regionale segue gli stessi termini minimi della licitazione privata
regionale, termini che - in quanto diversi e piu' ristretti rispetto
a quelli fissati dalla legge statale, peraltro recettiva delle
direttive comunitarie - si e gia' detto essere comunque illegittimi.
Articolo 46. La norma regionale in questione tratta dell'anomalia
dell'offerta nelle procedure di affidamento dei contratti di servizi
e forniture oggetto della legge regionale.
L'anomalia dell'offerta e' notoriamente questione pertinente
all'ambito del controllo del mercato e della tutela della
concorrenza, in quanto fenomeno prodotto dalla patologia dei ribassi
e dalla alterazione della competizione per effetto della
presentazione di offerte economicamente insostenibili.
Non a caso, le principali problematiche che hanno interessato
l'evolversi della normativa nazionale sul punto della dinamica
anomala dei ribassi, dei meccanismi di controllo e della reazione
dell'ordinamento, sono state oggetto della piu' ampia dialettica -
non immune da contrasti - con gli organismi comunitari che
frequentemente hanno reagito di fronte a norme nazionali non
rispettose della concorrenza.
E' quindi del tutto evidente che, come regola di controllo del
mercato e di tutela della concorrenza, la disciplina dell'anomalia
delle offerte debba spettare allo Stato in via assolutamente
esclusiva, non potendosi tollerare che il mercato si atteggi
differentemente - e che di conseguenza gli operatori commerciali si
comportino e si organizzino differentemente - a seconda del
territorio nel quale deve essere effettuata la prestazione.
Non possono dunque ammettersi norme regionali che disciplinino
l'anomalia delle offerte e che regolino gli effetti distorsivi di
queste sulle procedure di gara.
Peraltro, nel caso di specie, la norma regionale e' pure
notevolmente difforme dalle corrispondenti disposizioni nazionali
(articoli 86, 87 e 88 del d. lgs. n. 163/2006). Mentre infatti quella
non fissa la soglia di anomalia - ossia il valore sotto il quale le
offerte sono da considerare «sospette» a cagione del ribasso, e sono
dunque da assoggettare a verifica - ma lascia alla valutazione del
singolo organo dell'amministrazione regionale l'individuazione del
limite oltre il quale l'offerta va ritenuta anomala o comunque
connotata da «grave squilibrio», queste prevedono un criterio
oggettivo - basato sulle medie e riferibile sia al massimo ribasso
che all'offerta economicamente piu' vantaggiosa - per
l'individuazione della predetta soglia.
Inoltre la norma regionale - evidentemente modellata sulle
disposizioni nazionali preesistenti - non ammette a giustificazione
del ribasso i valori piu' bassi dei valori minimi stabiliti da
disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, ovvero
rilevabili da dati ufficiali, dove tale preclusione, sulla scorta
della giurisprudenza comunitaria sul punto (v. Corte di Giustizia CEE
27 novembre 2001 nelle cause 285/1999 e 286/1999, che ha affermato
l'incompatibilita' di norma nazionali che escludano esplicitamente
l'ammissibilita' di talune giustificazioni, come quelle relative al
superamento dei minimi da altre fonti stabiliti), non figura piu'
nella normativa nazionale vigente.
L'articolo 46 della legge regionale 12/2006 pertanto, in quanto
invasiva della competenza legislativa esclusiva dello Stato in
materia di tutela della concorrenza, ed in quanto contraria ai
principi comunitari, e' illegittima ai sensi dell'art. 117 della
Costituzione.
Articoli 47 e 48. Le disposizioni della legge regionale in
questione si occupano della trattativa privata, sia quella non
preceduta da bando, che dalla regione Campania viene distinta in
«plurima» e «diretta» che quella preceduta da bando.
Anche in questo caso, si sottolinea che le regole delle gare (e
anche quelle dell'esenzione dall'obbligo della gara, come quelle che
ammettono l'affidamento in via diretta) attengono alla materia della
concorrenza perche' disciplinano la competizione tra aspiranti alla
pubblica commessa, e come tali appartengono alla competenza esclusiva
dello Stato.
Le norme in questione sono dunque per cio' stesso indebitamente
invasive della competenza statale. Esse inoltre dettano in proposito
una disciplina diversa da quella dettata dallo Stato nelle
corrispondenti norme del «codice degli appalti».
Infatti, le ipotesi in cui e' ammessa la trattativa privata senza
bando (semplice o plurima) non coincidono con quelle previste
dall'art. 57 del d.lgs. n. 163/2006.
Neppure le ipotesi in cui e' ammessa la trattativa privata con
bando coincidono con quelle previste dall'art. 56 del d.lgs.
n. 163/2006 e neppure i termini di presentazione delle offerte
coincidono con quelli fissati dalla norma statale.
Entrambe le disposizioni della legge regionale, pertanto, in
quanto invasive della sfera di competenza della legislazione centrale
ed in quanto difformi dalle norme dello Stato, sono
costituzionalmente illegittime ai sensi dell'art. 117 della
Costituzione.
Articoli 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, e 58. Tutte le disposizioni
del Capo III del Titolo III della legge regionale in esame si
occupano dei diversi aspetti della disciplina dei contratti pubblici
affidati dalla regione Campania in esito alle proprie procedure.
Tuttavia, come osservato in precedenza, l'aspetto della
esecuzione del contratto in tutte le sue articolazioni (le garanzie,
le forme di stipula, i termini, il prezzo, le varianti, le spese, le
verifiche ed il collaudi) appartiene al diritto civile, ancorche'
speciale, e di competenza esclusiva dello Stato cui spetta emanare le
leggi in materia di ordinamento civile; quindi, la norma regionale
che intervenga a regolare questi aspetti invade la competenza
esclusiva dello Stato.
La norma regionale in materia di garanzie (art. 51) si occupa
tanto della garanzia prestata a corredo dell'offerta in gara (e
quindi, ancora una volta, interviene in ambito concorrenziale
sottratto alla competenza legislativa regionale) quanto della
cauzione definitiva, che ha connotazione piu' propriamente
contrattuale.
In entrambi i casi, essa detta una disciplina in modo
inammissibile diversa da quella dello Stato. Infatti, mentre ai sensi
dell'art. 75 del d.lgs. n. 163/2006 la cauzione provvisoria non puo'
essere superiore al due per cento dell'importo posto a base di gara,
salvo il suo dimezzamento nel caso di concorrente munito della
certificazione di qualita', ed e' richiesta a ciascun offerente (e
non potrebbe essere diversamente, essendo essa posta a garanzia della
serieta' dell'offerta), per la norma regionale la cauzione
provvisoria e' stabilita nel cinque per cento ed e' richiesta, con
previsione oltre al resto francamente incomprensibile, solo per
l'aggiudicatario. Nulla inoltre la norma regionale dice circa la
forma ed il contenuto della cauzione provvisoria, nonche' circa i
soggetti legittimati a rilasciare la fideiussione.
La cauzione definitiva e' vista dalla norma regionale come pura
conversione della cauzione provvisoria, ed e' dunque anch'essa pari
al cinque per cento dell'importo posto a base di gara, mentre per
l'art. 113 del d.lgs. n. 163/2006 essa e' pari al dieci per cento
dell'importo del contratto, con incremento percentuale proporzionale
all'entita' del ribasso praticato in gara ove quest'ultimo sia
particolarmente rilevante. Nulla inoltre la norma regionale dice in
merito alla forma e al contenuto della cauzione definitiva, ne' in
merito al suo progressivo ridursi in corrispondenza dell'avanzare del
contratto.
La disposizione in tema di stipulazione dei contratti (art. 52)
e' pure sostanzialmente diversa dalla corrispondente disposizione
statale (art. 11 del d.lgs. n. 163/2006), sia quanto ai termini entro
i quali la stipula stessa deve intervenire, sia quanto alle forme.
Per il diritto statale infatti i contratti possono essere stipulati
solo in forma pubblica amministrativa notarile o per scrittura
privata, residuando margine di autoregolazione in capo alle singole
stazioni appaltanti solo con riguardo all'eventuale forma
elettronica; per la norma regionale i contratti obbediscono alla
forma pubblica amministrativa solo se conseguenti a procedura aperta
o ristretta, e possono essere anche stipulati con l'apposizione da
parte del private della accettazione in calce al capitolato o alla
proposta, oppure per corrispondenza secondo gli usi del commercio
(come recita la vecchia norma di contabilita' dello Stato, tuttavia
non applicabile per il principio di specialita).
La diversita' delle disposizioni in materia di forma dei
contratti tra la norma statale e la norma regionale non e' priva di
rilievo sul piano degli effetti, ove si osservi che l'inosservanza
della forma prescritta da' luogo secondo la costante giurisprudenza
ad ipotesi di nullita'.
La norma regionale in tema di subappalto e cessione del contratto
(art. 55) opera, con riferimento al primo istituto un rinvio
integrale alla vigente normativa statale, e con riferimento al
secondo istituto prevede un divieto generalizzato di cessione totale
o parziale del contratto. Sotto quest'ultimo profilo, tuttavia, la
stessa norma regionale ignora la particolare situazione della
cessione del contratto che deriva quale effetto della cessione di
azienda, di trasformazione e fusione, che la legge statale prima
considerava specificamente soltanto nel campo dei lavori pubblici
ammette in via generale.
Inoltre, la norma regionale in materia di varianti (art. 56) e'
del tutto diversa dalla corrispondente disciplina statale. Questa,
con riferimento ai lavori pubblici, e' contenuta nell'art. 132 del
d.lgs. n. 163/2006, mentre per quanto riguarda servizi e forniture e'
demandata al successivo regolamento.
In definitiva, tutte le norme regionali che intervengono in
ambito contrattuale, incidono in materia attribuita alla inderogabile
signoria dello Stato, in quanto non si puo' ammettere che uno stesso
contratto riceva una regolamentazione significativamente diversa nei
suoi elementi essenziali, a seconda della regione nel cui territorio
viene stipulato.
Non possono esistere, in altri termini, un contratto campano, uno
toscano, uno laziale e cosi' via.
P. Q. M.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, come sopra
rappresentato e difeso, impugna ove occorra anche a norma
dell'art. 46 dello statuto della Regione Campania le norme in
epigrafe indicate e conclude affinche' gli articoli 27, 35, 36, 37,
38, 39, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57 e 58 del
titolo III della legge regionale 20 giugno 2006, n. 12, recante
«Disposizioni in materia di amministrazione e contabilita' del
Consiglio regionale della Campania» pubblicata sul B.U.R. n. 29 del
3 luglio 2006 siano dichiarati costituzionalmente illegittimi per
contrasto 117, primo comma, della Costituzione, nonche' ove occorra
perche' confliggenti con i principi comunitari in materia di libera
concorrenza, libera circolazione e liberta' di stabilimento (artt. 2,
3, 4, 39 e segg., 81 e segg. del Trattato CEE).
Roma, addi' 22 agosto 2006
L'Avvocato dello Stato: Marco Corsini
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