Ricorso per conflitto tra enti depositato in cancelleria il 19 agosto
2011 (della Regione autonoma della Sardegna). 
 
 
(GU n. 42 del 5.10.2011)
 
    Ricorso della Regione autonoma della Sardegna (C.F....)
in persona del suo Presidente Dott. Ugo Cappellacci, rappresentata  e
difesa, in virtu' di mandato  a  margine  del  presente  atto,  e  di
decreto del Presidente della Regione n. 88 del 3 agosto  2011  (prot.
17920), dagli Avv.ti Tiziana Ledda (C.F.....)  e  Prof.
Massimo Luciani (C.F....), ed elettivamente domiciliata
presso lo studio del secondo in Roma, Via Bocca di Leone, n. 78; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente del Consiglio pro tempore, a seguito e per  l'annullamento
della Nota del Ministero dell'economia e delle finanze,  Dipartimento
della Ragioneria Generale dello Stato, Ispettorato  Generale  per  la
Finanza delle Pubbliche Amministrazioni, Ufficio VIII, 7 giugno 2011,
prot. n. 0050971, avente ad oggetto «Patto di stabilita' interno  per
l'anno 2011. Proposta di accordo per la Regione  Sardegna»,  a  firma
del Ragioniere Generale dello  Stato,  con  la  quale,  «al  fine  di
addivenire al perfezionamento dell'accordo per il patto di stabilita'
interno 2011», la Regione autonoma della Sardegna e'  stata  invitata
«a voler rivedere la propria proposta  di  accordo,  corredata  della
tabella riepilogativa indicante i limiti di spesa sia in  termini  di
competenza  che  di  cassa,  sulla  base  delle  osservazioni   sopra
esposte»; 
 
                                Fatto 
 
    1. - Il presente conflitto trae origine dalla Nota con  la  quale
la Ragioneria Generale dello Stato  ha  respinto  la  proposta  della
Regione Sardegna che la stessa aveva  inoltrato,  sin  dal  30  marzo
2011, ai fini del raggiungimento  dell'accordo  di  cui  all'art.  1,
comma 132, legge 23 dicembre 2010, n. 220, «invitando» la  Regione  a
rivedere detta proposta. 
    2. - Il menzionato  art.  1,  comma  132  prevede  che  «Per  gli
esercizi 2011, 2012 e 2013, le regioni a statuto speciale, escluse la
regione Trentino Alto Adige e le province autonome  di  Trento  e  di
Bolzano, concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente,
con il Ministro dell'economia e delle finanze il livello  complessivo
delle spese correnti  e  in  conto  capitale,  nonche'  dei  relativi
pagamenti, in considerazione del rispettivo  concorso  alla  manovra,
determinato ai sensi del comma 131. A tale fine, entro il 30 novembre
di ciascun anno precedente,  il  presidente  dell'ente  trasmette  la
proposta di accordo al Ministro dell'economia e  delle  finanze.  Con
riferimento all'esercizio 2011, il presidente dell'ente trasmette  la
proposta di accordo entro il  31  marzo  2011.  In  caso  di  mancato
accordo, si applicano le disposizioni  stabilite  per  le  regioni  a
statuto ordinario». 
    3. - La Regione autonoma della Sardegna  ha  inviato  la  propria
proposta di accordo con Nota in data 30 marzo 2011, prot. n. 2489,  a
firma del Presidente, indirizzata al Ministro dell'economia  e  delle
finanze e al Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato. 
    Tale  Nota  recava  i  seguenti  rilievi,  che,   per   comodita'
dell'Ecc.mo Collegio, si riportano: 
        «Come noto, l'articolo 1, comma 132, della legge 13  dicembre
2010, n. 220, stabilisce che, al fine di conseguire gli obiettivi  di
finanza pubblica stabiliti per il biennio 2011 - 2013, le  Regioni  a
Statuto speciale possano concordare con il Ministero dell'economia  e
delle finanze il livello degli impegni e dei pagamenti  rilevanti  ai
fini del rispetto del Patto di stabilita interno 2011. Al riguardo si
rappresenta quanto segue. 
    Preliminarmente  va  segnalato  che,  dopo  accurate  e  rigorose
indagini validate dalla Ragioneria Generale dello Stato, con le quali
si constato' che la Sardegna nel  passato  era  stata  rilevantemente
penalizzata da restrittive interpretazioni delle norme  statutarie  e
dall'adozione di svantaggiose modalita' di  calcolo  delle  quote  di
compartecipazione, Stato e Regione pervennero finalmente a concordare
la revisione del regime finanziario regionale (art. 1 comma 834 della
legge 27 dicembre 2006, n. 296). 
    Non si puo' pero'  credere  che  il  dettato  statutario  -  come
unitariamente novellato  dalle  due  autorita'  di  governo  -  possa
considerarsi pienamente attuato, se l'innalzamento del livello  delle
entrate derivante dal nuovo sistema finanziano non viene accompagnato
da un equo adeguamento del livello di spesa. Senza l'adeguamento  del
livello di spesa, riconoscimenti ottenuti dalla Regione sul  versante
entrate risulterebbero sviliti e mortificati. 
    Gia' in passato la Regione aveva proposto un aumento graduale del
livello degli impegni e dei pagamenti rilevanti ai fini del  rispetto
del Patto, sebbene  poi  questa  Amministrazione,  nello  spirito  di
fattiva e leale collaborazione e in considerazione della grave  crisi
economica che stava attraversando  il  Paese  abbia  responsabilmente
deciso di concordare, anche per il 2010,  un  livello  di  spesa  non
corrispondente all'accresciuto livello delle proprie risorse. 
    Da tempo,  la  giurisprudenza  costituzionale  sostiene  che  nel
nostro  ordinamento  vige  l'obbligo  di  interpretare   il   dettato
legislativo  in  senso  «conforme  a  Costituzione»:  e  cio'   vale,
evidentemente,  anche  per  quelle   disposizioni   legislative   che
disciplinano l'intreccio di competenze tra Stato e Regioni. 
    In  particolare,  il  caso  in   esame   verte   sulla   corretta
interpretazione dell'art. 1 comma 132 della legge 13 dicembre 2010 n.
220 che dispone: «Per gli esercizi 2011, 2012 e 2013,  le  regioni  a
statuto  speciale,  escluse  la  regione  Trentino-Alto  Adige  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano,  concordano,  entro  il  31
dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell'economia  e
delle finanze il livello complessivo delle spese correnti e in  conto
capitale  nonche'  dei  relativi  pagamenti  in  considerazione   del
rispettivo concorso alla manovra determinato ai sensi del comma  131.
A tale fine, entro il 30 novembre  di  ciascun  anno  precedente,  il
presidente dell'ente trasmette la proposta  di  accordo  al  Ministro
dell'economia e delle finanze. Con riferimento all'esercizio 2011, il
presidente dell'ente trasmette la proposta di  accordo  entro  il  31
marzo 2011. In caso di mancato accordo, si applicano le  disposizioni
stabilite per le regioni a statuto ordinario». 
    Come  si  vede,  tale  disposizione,  in   considerazione   delle
peculiarita' degli ordinamenti  finanziari  delle  regioni  speciali,
sancisce il metodo dell'accordo  bilaterale  tra  Governo  e  singola
regione speciale, i quali «concordano (...)  il  livello  complessivo
delle spese correnti  e  in  conto  capitale».  La  ratio  di  questa
disciplina e' chiaramente quella di bilanciare  in  modo  ragionevole
due diverse istanze di rango costituzionale:  il  potere  statale  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  (anche  e  soprattutto   per
assicurare il rispetto dei vincoli comunitari scaturenti dal patto di
stabilita'  «esterno»)  e  l'autonomia  finanziaria   delle   regioni
speciali. 
    A tale scopo, ossia  per  contemperare  due  principi  di  eguale
livello costituzionale  e  quindi  per  regolare  l'interferenza  tra
competenze statali e competenze regionali speciali,  la  disposizione
in esame individua una peculiare modalita' collaborativa,  imperniata
primariamente sull'istituto  dell'«intesa»  e,  come  second  best  e
ultima ratio, sulla possibilita' che si applichi il regime  stabilito
per le regioni ordinarie, qualora non si riuscisse a  raggiungere  la
detta intesa. 
    Il meccanismo cooperativo stabilito dalla legge prevede,  dunque,
due possibilita',  tra  le  quali  sussiste  un  ben  preciso  ordine
cronologico  e  gerarchico:  c'e'  un  favor  affinche'  «il  livello
complessivo delle spese correnti e in conto capitale» sia determinato
di comune intesa tra Stato e Regione speciale, e quindi, solo in  via
eccezionale e'  possibile  sfuggire  a  questo  metodo  collaborativo
intenso e affidare sostanzialmente la determinazione di tale  livello
alla decisione unilaterale del  Governo.  Insomma,  non  ci  troviamo
dinanzi a due  opzioni  alternative  tra  le  quali  poter  scegliere
liberamente, perche' invero  la  seconda  via  e'  percorribile  solo
qualora fosse obiettivamente accertato che e' impossibile seguire  la
prima. Cio' significa che nessuna delle parti in causa -  il  Governo
nazionale  e  la  singola  regione  speciale   interessata   -   puo'
determinare unilateralmente e arbitrariamente la scelta tra il metodo
dell'accordo e l'applicazione del  regime  previsto  per  le  regioni
ordinarie». 
    Tanto premesso, la Regione Sardegna concludeva come segue: 
        «si propone che nel 2011 il livello complessivo degli impegni
e dei pagamenti del Titolo I e del Titolo II del bilancio  regionale,
sia pari all'obiettivo programmatico 2010 ricalcolato e ridotto dello
0,9 per  cento  e  ulteriormente  diminuito  del  contributo  di  cui
all'articolo 1, comma 131, della legge di stabilita'  2011  a  carico
della Regione Sardegna pari a Euro 76.689.835, al netto 
        della spesa sanitaria, 
        della spesa per concessione di crediti, 
        delle  spese  sostenute   per   l'attuazione   di   programmi
comunitari, relativamente alla parte finanziata dall'Unione Europea, 
        dei pagamenti regionali di parte corrente in conto residui in
favore degli Enti Locali soggetti al  Patto  di  stabilita',  per  un
ammontare non superiore all'importo complessivo  dei  residui  attivi
(derivanti dalle mancate  erogazioni  regionali  di  parte  corrente)
iscritte nei bilanci dei medesimi Enti Locali, 
        delle spese finanziate con le risorse di cui all'articolo  1,
commi 6, 7 e 38 della legge 220/2010, 
        delle spese derivanti dai censimenti, previsti  dall'articolo
50, comma 3, del decreto-legge 78/2010,  convertito  dalla  legge  n.
122/2010, nei limiti delle risorse trasferite dall'ISTAT. 
    Conseguentemente, come  si  evince  dalle  tabelle  allegate,  si
propone che: 
        1. il livello degli  impegni  2011  venga  fissato  in  3.796
milioni di Euro; 
        2. il livello dei pagamenti 2011 risultante dalle  operazioni
sopra illustrate, sia  incrementato,  a  parziale  adeguamento  dello
strutturale innalzamento del livello delle entrate, di 400 milioni  e
che pertanto lo  stesso  sia  conclusivamente  determinato  in  3.510
milioni». 
    4. - La Ragioneria Generale dello Stato ha  dato  riscontro  alla
proposta di accordo in data 7 giugno 2011, con la  Nota  indicata  in
epigrafe. 
    In essa si avanzano i seguenti rilievi. 
    «Ai fini della quantificazione [dei livelli di spesa ai fini  del
patto di stabilita' 2011] codesta Regione ha  proposto  di  escludere
dal totale delle spese soggette al patto di stabilita' interno, oltre
a  quelle  previste  dall'articolo  1,  comma  129,  della  legge  n.
220/2010, le seguenti tipologie di spese. 
    Le spese finanziate con le risorse di cui all'articolo  1,  commi
6, 7 e 38  della  legge  n.  220/2010  (risorse  disponibili  per  la
previsione, nei contratti di servizio, di misure di efficientamento e
di razionalizzazione e  contributi  per  il  sostenimento  dei  costi
relativi al materiale rotabile). 
    Le spese derivanti  dai  censimenti,  previsti  dall'articolo  50
comma 3 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con legge
n. 122/2010, nei limiti delle risorse trasferite dall'ISTAT. 
    Al riguardo, si rappresenta quanto segue: 
    L'esclusione prevista di cui all'articolo 1, commi 6  e  7  della
legge n. 220/2010 citata, non puo'  essere  assentita  in  quanto  le
risorse ivi previste, costituite da complessivi 425 milioni di curo e
dalle eventuali risorse aggiuntive di cui al  citato  comma  7,  sono
destinate alle sole Regioni a statuto ordinario. 
    Diversamente, l'esclusione  di  cui  all'articolo  1,  comma  38,
riguardando anche le  autonomie  speciali,  puo'  essere  portata  in
detrazione. L'ammontare di tale esclusione potra' essere  determinata
solo a consuntivo, sulla base del decreto di ripartizione  del  Fondo
nazionale per le  politiche  sociali,  applicando  l'incidenza  della
quota del fondo spettante alla Regione all'ammontare dei 200  milioni
che costituisce l'ammontare complessivo dell'esclusione  spettante  a
tutte le Regioni. 
    Allo stesso modo, anche l'esclusione delle spese relative al  15°
Censimento generale della  popolazione  e  delle  abitazioni,  al  
censimento generale dell'industria e dei  servizi  ed  al  Censimento
delle istituzioni no-profit, prevista dall'articolo  50  del  D.L.  n
78/2010, potra' essere determinata solamente a consuntivo, nei limiti
delle risorse trasferite dall'ISTAT dopo che saranno state rese  note
le quote spettanti a tutte le regioni. 
    Per i motivi sopra esposti e'  necessario  che  il  totale  delle
spese indicate  nel  prospetto  riepilogativo  trasmesso  da  codesta
Regione, sia nella parte di competenza  che  di  cassa,  non  includa
preventivamente la stima di tali esclusioni. 
    Infine, codesta Regione ha chiesto che il  limite  dell'obiettivo
programmatico per i pagamenti per l'anno 2011, determinato  ai  sensi
del comma 132 del citato articolo 1 della legge 13 dicembre 2010,  n.
220, sia aumentato di 400 milioni di euro  al  fine  di  adeguare  le
spese alle maggiori entrate regionali derivanti dal nuovo ordinamento
finanziario previsto dall'articolo  1,  comma  834,  della  legge  27
dicembre 2006, n. 296. 
    Circa la problematica sopra rappresentata,  si  prende  atto  che
codesta Regione, in considerazione  dell'aumento  del  livello  delle
entrate,  conseguente   alla   modifica   statutaria,   ha   ritenuto
indispensabile un parallelo innalzamento dei tetti di spesa stabiliti
dal Patto di stabilita'  interno  che  farmo  ancora  riferimento  ai
livelli di spesa del 2005. 
    Al riguardo, pur non sottovalutando le aspettative che  la  piena
entrata a regime del nuovo ordinamento finanziario puo' aver  indotto
sulle maggiori potenzialita' di spesa regionale si fa presente che il
quadro macroeconomico di  finanza  pubblica  non  ha  scontato  alcun
effetto in termini di maggior  spesa  per  cui  l'accoglimento  della
richiesta regionale necessita di un intervento legislativo  volto  ad
individuare la corrispondente compensazione finanziaria in termini di
fabbisogno e di indebitamento netto. 
    Pertanto, in assenza di una disposizione legislativa che  preveda
misure compensative a favore della Regione Sardegna,  si  rappresenta
che, in sede tecnica, non sussistono margini per un  ampliamento  del
livello dei pagamenti». 
    La Ragioneria  Generale  dello  Stato  ha  pertanto  invitato  la
Regione  Sardegna,  «al  fine  di   addivenire   al   perfezionamento
dell'accordo per il  patto  di  stabilita  interno  2011»,  a  «voler
rivedere la propria proposta  di  accordo,  corredata  della  tabella
riepilogativa  indicante  i  limiti  di  spesa  sia  in  termini   di
competenza  che  di  cassa,  sulla  base  delle  osservazioni   sopra
esposte». Cosi' facendo, lo Stato ha gravemente leso le  attribuzioni
costituzionali della  ricorrente  Regione  autonoma  della  Sardegna,
sicche' la Nota impugnata merita l'annullamento per i seguenti motivi
di 
 
                               Diritto 
 
    1. - Violazione del principio  di  leale  collaborazione  fra  lo
Stato e le Regioni, di cui agli artt. 5 e 117 sgg.  Cost.,  anche  in
combinato disposto con gli artt. 3, 7, 8 e 54 della  legge  cost.  26
febbraio 1948, n. 3, recante «Statuto speciale per la Sardegna» e  in
riferimento all'art. 1, comma 132, della legge 23 dicembre  2010,  n.
220. Violazione dell'autonomia  finanziaria  della  Regione  autonoma
della Sardegna in riferimento ai medesimi parametri.  Come  riportato
in narrativa, l'art. 1, comma 132, della legge 23 dicembre  2010,  n.
220, stabilisce che «Per gli esercizi 2011, 2012 e 2013, le regioni a
statuto  speciale,  escluse  la  regione  Trentino-Alto  Adige  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano,  concordano,  entro  il  31
dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell'economia  e
delle finanze il livello complessivo delle spese correnti e in  conto
capitale, nonche'  dei  relativi  pagamenti,  in  considerazione  del
rispettivo concorso alla manovra, determinato ai sensi del comma 131.
A tale fine, entro il 30 novembre  di  ciascun  anno  precedente,  il
presidente dell'ente trasmette la proposta  di  accordo  al  Ministro
dell'economia e delle finanze. Con riferimento all'esercizio 2011, il
presidente dell'ente trasmette la proposta di  accordo  entro  il  31
marzo 2011. In caso di mancato accordo, si applicano le  disposizioni
stabilite per le regioni a  statuto  ordinario».  Tale  disposizione,
dando doverosa applicazione al principio costituzionale  della  leale
collaborazione (desumibile, fra l'altro, dagli artt.  5  e  117  sgg.
Cost.) e a quello dell'autonomia finanziaria delle  Regioni  speciali
(sancito, per la  Regione  Sardegna,  dall'art.  7  dello  Statuto  e
dall'art. 119 Cost.), fissa  il  fondamentale  criterio  dell'accordo
nella determinazione della misura del concorso rispettivo dello Stato
e   delle   Regioni    ad    autonomia    speciale    alla    manovra
economico-finanziaria, con particolare riferimento alla misura  delle
spese e dei pagamenti. Che si tratti  della  doverosa  attuazione  di
fondamentali e inderogabili principi costituzionali e' stato chiarito
dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, sia pure in riferimento
ad altra (ma analoga) previsione legislativa statale. 
    Si legge, infatti, nella sent.  n.  82  del  2007,  che  «non  e'
contestabile "il potere del legislatore statale di imporre agli  enti
autonomi,  per  ragioni  di  coordinamento  finanziario  connesse  ad
obiettivi nazionali, condizionati anche  dagli  obblighi  comunitari,
vincoli alle politiche di bilancio, anche  se  questi  si  traducono,
inevitabilmente, in  limitazioni  indirette  all'autonomia  di  spesa
degli enti", e che, "in via transitoria e in  vista  degli  specifici
obiettivi di  riequilibrio  della  finanza  pubblica  perseguiti  dal
legislatore statale", possono anche imporsi limiti  complessivi  alla
crescita della spesa corrente degli enti autonomi (sentenza n. 36 del
2004). Tali vincoli, come questa Corte da  tempo  ha  avuto  modo  di
chiarire, devono ritenersi applicabili anche alle autonomie speciali,
in considerazione dell'obbligo generale di partecipazione di tutte le
Regioni, ivi  comprese  quelle  a  statuto  speciale,  all'azione  di
risanamento della finanza  pubblica  (sentenza  n.  416  del  1995  e
successivamente, anche se non con specifico riferimento alle  Regioni
a statuto speciale, le sentenze n. 417 del 2005 e nn. 353, 345  e  36
del 2004).  Un  tale  obbligo,  pero',  deve  essere  contemperato  e
coordinato con la speciale autonomia in materia  finanziaria  di  cui
godono le predette Regioni,  in  forza  dei  loro  statuti.  In  tale
prospettiva, come questa Corte ha avuto occasione  di  affermare,  la
previsione normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto
speciale e  il  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  per  la
determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonche'  dei
relativi pagamenti, deve considerarsi un'espressione della  descritta
autonomia finanziaria e del contemperamento  di  tale  principio  con
quello del rispetto dei limiti  alla  spesa  imposti  dal  cosiddetto
"patto di stabilita'" (sentenza n. 353 del 2004). 
    Nella predetta decisione questa Corte ha affermato che il  metodo
dell'accordo, introdotto per la prima volta dalla legge  27  dicembre
1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza  pubblica),
seguito dall'art. 28, comma 15, della legge 23 dicembre 1998, n.  448
(Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo),  e
riprodotto in tutte le leggi  finanziarie  successivamente  adottate,
dalla legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  legge  finanziaria
2000), fino alla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2007), deve essere tendenzialmente  preferito  ad  altri,
dato che «la necessita' di un accordo tra lo  Stato  e  gli  enti  ad
autonomia speciale  nasce  dall'esigenza  di  rispettare  l'autonomia
finanziaria di questi ultimi». Dalla sentenza citata si  desume  che,
tuttavia, in materia di controlli di spesa delle Regioni ad autonomia
speciale, il metodo dell'accordo deve risultare  compatibile  con  il
rispetto  degli  obiettivi  del  patto  di  stabilita',   della   cui
salvaguardia anche le Regioni speciali devono farsi carico». 
    Ora se questo e' - come e' - vero,  non  e'  chi  non  veda  come
l'atto impugnato, rigettando la proposta  della  Regione  Sardegna  e
«invitando» quest'ultima a ritirarla e a formularne un'altra, risulti
violativo  dei  coordinati  principi  della  leale  collaborazione  e
dell'autonomia finanziaria delle Regioni speciali. Valga il vero. 
    Si deve premettere che l'«invito» formulato dalla Nota  impugnata
e', in realta', una vera e propria imposizione, non superabile  dalla
Regione Sardegna. Trattandosi di una procedura (che dovrebbe  essere)
collaborativa,  infatti,  il  dialogante  che  nega  in   radice   la
possibilita' di  accogliere  la  proposta  dell'altro  e  «invita»  a
formularne una diversa non  fa  altro  che  sottrarsi  al  confronto,
assumendo  la  propria  posizione  come  la  sola  plausibile  e  non
decampando dalla medesima. Evidente, pertanto,  l'autonoma  lesivita'
dell'atto impugnato e l'interesse della ricorrente a gravarlo con  il
presente ricorso. 
    Nel merito, si deve ricordare, anzitutto, che la sent. n. 169 del
2007, sebbene in riferimento alla legge n. 266 del 2005, ha  chiarito
la portata generale del principio dell'accordo  nella  determinazione
delle misure di contenimento della spesa, laddove  ha  affermato  che
«"le disposizioni stabilite per le regioni a statuto ordinario»  [che
anche ai sensi dell'art. 1, comma 132, della legge n.  220  del  2010
trovano applicazione in caso di mancato accordo fra Stato  e  Regioni
speciali] si applicano solo nel caso di  mancato  raggiungimento  dei
suddetti  accordi»,  con   la   conseguenza   che   «l'obiettivo   di
contenimento delle spese [in quel caso: per il personale] deve essere
realizzato dagli  enti  ad  autonomia  speciale  in  via  prioritaria
mediante lo strumento degli accordi  da  esso  stesso  previsto».  Ne
consegue che nello specifico procedimento previsto dall'art. 1, comma
132, della legge n. 220 del 2010 il dovere di leale collaborazione  e
di rispetto dell'autonomia finanziaria delle Regioni (in particolare:
speciali) deve essere osservato con assoluto scrupolo. Tanto  non  e'
accaduto nella specie, perche' lo Stato, con la Nota  qui  impugnata,
si e' sottratto aprioristicamente (lo si vedra' meglio  appresso)  al
dialogo con la Regione, imponendo la propria  posizione  e  impedendo
alla Regione Sardegna di far valere le sue ragioni. 
    Va poi osservato che il processo - negoziato! - di determinazione
dei contenuti del patto di stabilita' interno comporta l'adozione sia
di atti amministrativi che di atti legislativi, sicche'  il  richiamo
della Ragioneria Generale - descritto in narrativa -  all'inesistenza
di previe leggi satisfattive degli interessi della Regione non ha  il
minimo significato, essendo l'attivita' legislativa statale una delle
componenti del complesso procedimento di  determinazione  del  patto.
Che sia cosi' lo dimostra - a tacer d'altro - il d.1. 6 luglio  2011,
n.  98,  recante  «Disposizioni  urgenti   per   la   stabilizzazione
finanziaria», conv. in legge 15 luglio 2011, n.  111,  che  (peraltro
illegittimamente,  non  avendo  esso  pure  tenuto  conto  di  quanto
previsto dall'art. 8 dello Statuto della Regione Sardegna, sul  quale
appresso si tornera'), all'art.  20,  ha  definito  le  procedure  di
determinazione del nuovo patto di stabilita' interno  e  il  concorso
delle Regioni al patto, in termini di fabbisogno e  di  indebitamento
netto. Come si vede, la natura (amministrativa o  legislativa)  degli
atti determinativi del contenuto del  patto  non  ha  alcun  rilievo,
poiche' il principio dell'accordo (attuativo - si ripete - di  quelli
di leale collaborazione e  di  autonomia  finanziaria  delle  Regioni
speciali)  deve  essere  comunque   rispettato.   La   pregiudiziale,
aprioristica, sottrazione dello Stato al  confronto,  strumentalmente
motivata con l'esigenza di un  intervento  legislativo,  e'  di  tale
principio palesemente violativa. 
    Si deve considerare, poi, che, al di la' di quanto ora  osservato
in generale sul procedimento di definizione dei contenuti  del  patto
di stabilita', nel caso specifico della definizione dei livelli delle
spese e dei pagamenti delle Regioni speciali lo stesso presupposto da
cui ha preso le mosse la Ragioneria Generale e' errato.  Infatti,  ai
sensi dell'art. l, comma 132, della legge n. 220 del 2010, esso  pure
violato dalla Nota impugnata, l'intermediazione legislativa  al  fine
della determinazione del tetto di spesa delle  Regioni  ad  autonomia
speciale non  e'  necessaria,  poiche',  come  risulta  dalla  stessa
lettera della norma di legge, cio' che e' necessario e sufficiente e'
il semplice accordo tra  la  Regione  e  il  Ministro  dell'economia.
Proprio quell'accordo, dunque, al  quale  la  Nota  impugnata  si  e'
illegittimamente sottratta. 
    Nel  caso  che  specificamente  ne  occupa,  inoltre,   si   deve
aggiungere quanto segue. 
    L'art. 8 dello Statuto della Regione Sardegna, come novellato (ai
sensi dell'art. 54 dello Statuto) dall'art. 1, comma 834, della legge
n. 296 del  2006,  stabilisce  che  le  entrate  della  Regione  sono
costituite «a) dai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito
delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscosse
nel territorio della regione; b) dai nove decimi  del  gettito  delle
imposte sul bollo, di registro, ipotecarie, sul consumo  dell'energia
elettrica e delle tasse sulle concessioni  governative  percette  nel
territorio della regione; c) dai cinque decimi  delle  imposte  sulle
successioni e donazioni riscosse nel territorio della regione; d) dai
nove decimi dell'imposta di fabbricazione su tutti i prodotti che  ne
siano gravati, percetta nel territorio della  regione;  e)  dai  nove
decimi della quota fiscale dell'imposta erariale di consumo  relativa
ai prodotti dei monopoli dei tabacchi consumati nella regione; f) dai
nove decimi del gettito dell'imposta sul valore aggiunto generata sul
territorio regionale da determinare sulla base dei consumi  regionali
delle famiglie rilevati annualmente dall'ISTAT; g) dai canoni per  le
concessioni idroelettriche; h) da imposte e tasse sul  turismo  e  da
altri tributi propri che la regione  ha  facolta'  di  istituire  con
legge in armonia con i principi del sistema tributario  dello  Stato;
i) dai  redditi  derivanti  dal  proprio  patrimonio  e  dal  proprio
demanio; l) da contributi straordinari dello  Stato  per  particolari
piani di opere pubbliche e di trasformazione fondiaria; m) dai  sette
decimi di tutte le entrate erariali, dirette  o  indirette,  comunque
denominate, ad  eccezione  di  quelle  di  spettanza  di  altri  enti
pubblici». Come  meglio  si  vedra'  appresso,  questo  nuovo  regime
finanziario delle entrate regionali, ben piu'  favorevole  di  quello
precedente (introdotto dall'art. 1 della legge  13  aprile  1983,  n.
122), ha determinato un doveroso  aumento  delle  entrate  regionali.
Tali  entrate,  peraltro,   non   sono   state   ancora   formalmente
quantificate ne' conferite alla Regione. Cio' non toglie, pero',  che
esse siano statutariamente previste e che, nel procedimento di  leale
costruzione dell'accordo previsto dall'art. 1, comma 132, della legge
n. 220 del 2010, di tali entrate si sarebbe dovuto tenere conto.  Non
avendolo fatto, oltre ad incorrere negli ulteriori  vizi  dettagliati
nei successivi  motivi  di  ricorso,  lo  Stato  ha  determinato  una
violazione specificamente  qualificata  degli  invocati  principi  di
leale  collaborazione  e  di  autonomia  finanziaria  delle   Regioni
speciali, avendo del tutto trascurato l'art.  8  dello  Statuto,  con
incidenza anche sull'assolvimento dei compiti spettanti alla  Regione
Sardegna (ivi compresi quelli di sua esclusiva  competenza  ai  sensi
dell'art. 3 dello stesso Statuto), assolvimento al quale l'incremento
delle entrate disposto dalla novella statutaria era - lo si vedra'  -
funzionale. Violato, altresi', e'  anche  l'art.  54  dello  Statuto.
Esso, infatti, non  consente  deroghe  (men  che  meno  in  sede  non
legislativa) all'art. 8 dello Statuto medesimo (e comunque alle norme
di cui al Titolo  III)  neppure  al  legislatore  statale,  che  puo'
soltanto modificarlo, ma sempre e solo sentita la Regione. Con il che
lo Statuto  rafforza  ulteriormente  e  specificamente  il  principio
dell'accordo, ora violato dallo  Stato  in  ragione  della  Nota  qui
impugnata. 
    2. - Ulteriore violazione dei principi di leale collaborazione  e
di autonomia finanziaria della Regione Sardegna. Violazione dell'art.
8 della legge cost. 26 febbraio 1948, n. 3, recante «Statuto speciale
per la Sardegna», come da ultimo modificato (ai  sensi  dell'art.  54
dello Statuto medesimo) dall'art. 1, comma 834, della  legge  n.  296
del 2006, anche in riferimento agli artt. 3 e 7 del medesimo  Statuto
e al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e agli artt.
81, comma 4, 114, 117, comma 3, 118 e 119 della Costituzione.  Si  e'
gia'  riportato,  al  precedente  motivo  di  ricorso,  il  contenuto
dell'art. 8  dello  Statuto  della  Regione  Sardegna.  Ora,  occorre
rilevare che detta previsione statutaria risulta violata  dalla  Nota
impugnata anche in riferimento agli artt. 3 e 7 del medesimo Statuto,
nonche' agli artt. 3 (pel profilo dell'irragionevolezza),  81,  comma
4, 114, 117, comma 3, 118 e 119 della Costituzione. 
    La Nota in questione, come si e' visto, ha respinto  la  proposta
di  patto   di   stabilita'   formulata   dalla   Regione   Sardegna,
«invitandola» a mantenere le spese regionali rilevanti  ai  fini  del
patto di stabilita' al livello precedente  la  modifica  dell'art.  8
dello Statuto. Cio' significa che  alla  Regione  si  e'  imposto  di
proporre un'ipotesi di accordo che mantenesse fermo il livello  delle
entrate relativo all'esercizio di  bilancio  2005  (a  tale  livello,
infatti, e' tuttora parametrato il tetto di spesa stabilito dal patto
di stabilita', come ricorda la medesima Nota  impugnata).  In  questo
modo   e'   stata   gravemente   lesa   la    sfera    dell'autonomia
costituzionalmente attribuita alla Regione Sardegna. 
    2.1. - Al fine di meglio inquadrare il presente motivo di ricorso
e' opportuno ripercorrere brevemente le vicende che hanno interessato
la riforma del sistema di finanziamento della Regione Sardegna. 
    L'art.  8  dello  Statuto,  nella  sua  formulazione  originaria,
disponeva che le entrate della Regione fossero costituite: «dai  nove
decimi  del  gettito  delle  imposte  erariali  sui  terreni  e   sui
fabbricati situati nel territorio della Regione  e  dell'imposta  sui
redditi agrari dei terreni situati nello stesso territorio; dai  nove
decimi dell'imposta di ricchezza mobile riscossa nel territorio della
Regione; dai nove decimi del gettito  delle  tasse  di  bollo,  sulla
manomorta,  in  surrogazione  del  registro  e   del   bollo,   sulle
concessioni governative,  dell'imposta  ipotecaria,  dell'imposta  di
fabbricazione  del  gas  e  dell'energia  elettrica,   percette   nel
territorio  della  Regione;  dai  nove  decimi  della  quota  fiscale
dell'imposta erariale di consumo relativa ai  prodotti  dei  monopoli
del tabacchi consumati  nella  Regione;  da  una  quota  dell'imposta
generale sull'entrata  di  competenza  dello  Stato,  riscossa  nella
Regione, da determinarsi preventivamente per ciascun anno finanziario
d'accordo fra  lo  Stato  e  la  Regione,  in  relazione  alle  spese
necessarie ad adempiere le funzioni normali della Regione; dai canoni
per le concessioni idroelettriche; dai contributi di miglioria  ed  a
spese per opere determinate, da imposte e  tasse  sul  turismo  e  da
altri tributi propri, che la Regione ha  facolta'  di  istituire  con
legge, in armonia coi principi del sistema tributario dello Stato; da
redditi patrimoniali; da  contributi  straordinari  dello  Stato  per
particolari piani di opere pubbliche e di trasformazioni fondiarie». 
    Come ha ricordato codesta ecc.ma Corte costituzionale nella sent.
n. 80 del 1987, «dopo l'attuazione della riforma tributaria del  1972
(che soppresse gran parte delle imposte indicate  dall'art.  8  dello
Statuto sardo), l'art. 12 della legge 9  ottobre  1971,  n.  825  (in
previsione del rinnovamento normativo della  materia  tributaria  non
statale) conferi' al Governo apposita delega, diretta ad emanare, nel
rispetto dei principi  e  delle  procedure  stabiliti  dagli  Statuti
speciali d'intesa con le regioni ad autonomia differenziata  -  norme
ordinarie per assicurare a ciascuna regione entrate  complessivamente
non inferiori al gettito o  alla  compartecipazione  al  gettito  dei
tributi soppressi, con incrementi cronologicamente graduati». 
    Tale ordinamento transitorio si  e'  mantenuto,  per  la  Regione
Sardegna, fino all'approvazione della legge n. 122 del 1983,  il  cui
art. 1 riformulo' proprio l'art. 8 dello Statuto al fine di  adeguare
le entrate regionali al nuovo sistema  tributario.  In  virtu'  della
citata novella, le risorse della Sardegna risultarono costituite  «a)
dai sette decimi del gettito delle imposte sul reddito delle  persone
fisiche  e  sul  reddito  delle  persone  giuridiche   riscosse   nel
territorio della regione;  b)  dai  nove  decimi  del  gettito  delle
imposte sul bollo, di registro, ipotecarie, sul consumo  dell'energia
elettrica e delle tasse sulle concessioni  governative  percette  nel
territorio della regione; c) dai cinque decimi  delle  imposte  sulle
successioni e donazioni riscosse nel territorio della regione; d) dai
sette decimi del gettito delle ritenute alla fonte di cui all'art. 23
del decreto del Presidente della Repubblica  29  settembre  1973,  n.
600, operate da imprese industriali e commerciali che hanno  la  sede
centrale nella regione [...]; e)  dai  nove  decimi  dell'imposta  di
fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta  nel
territorio della regione; f) dai  nove  decimi  della  quota  fiscale
dell'imposta erariale di consumo relativa ai  prodotti  dei  monopoli
dei tabacchi consumati nella regione; g) da  una  quota  dell'imposta
sul valore aggiunto riscossa nel territorio della  regione  [...]  da
determinarsi preventivamente per ciascun  anno  finanziario  d'intesa
fra lo Stato e la regione, in  relazione  alle  spese  necessarie  ad
adempiere le funzioni normali della regione; h)  dai  canoni  per  le
concessioni idroelettriche; i) da imposte e tasse sul  turismo  e  da
altri tributi propri che la regione  ha  facolta'  di  istituire  con
legge in armonia con i principi del sistema tributario  dello  Stato;
l) dai  redditi  derivanti  dal  proprio  patrimonio  e  dal  proprio
demanio; m) da contributi straordinari dello  Stato  per  particolari
piani di opere pubbliche e di trasformazione fondiaria». 
    Orbene, se tale  riforma  era  funzionale  all'adeguamento  dello
Statuto al mutato quadro generale della fiscalita', essa,  nondimeno,
ben presto si rivelava non risolutiva, in  quanto  insufficiente  per
rapporto      all'evoluzione      complessiva      della      realta'
economico-finanziaria  del  Paese.  Di  questo  e'  testimonianza  il
carteggio intervenuto proprio tra il Ragioniere Generale dello  Stato
e  la  medesima  Regione  tra  l'agosto  e  il  settembre  del  2005,
relativamente alla misura delle entrate di maggiore rilevanza per  le
finanze regionali: la compartecipazione all'imposta sul reddito e  la
compartecipazione all'I.V.A. 
    Con nota del 3 agosto  2005,  prot.  n.  0102482,  il  Ragioniere
Generale  rappresentava  di   aver   presentato   una   proposta   di
quantificazione delle quote di compartecipazione I.V.A.  «nell'attesa
che  si  proceda  alla  revisione  dell'ordinamento  finanziario  che
consenta di trasformare la compartecipazione IVA da quota variabile a
quota fissa», e che tale proposta era stata predisposta «abbandonando
[...]  il  criterio  incrementale  del  tasso  di   inflazione   che,
comportando nel tempo la progressiva svalutazione  in  termini  reali
del cespite regionale, ha di fatto svilito lo strumento  di  garanzia
previsto  dallo  Statuto,  che  mirava  a  consentire  il  tempestivo
adeguamento delle entrate regionali alle mutevoli necessita' di spesa
derivanti dall'espletamento delle funzioni  normali  della  Regione».
Con nota del 2 settembre 2005, prot. n. 0112371, ancora il Ragioniere
Generale rappresentava che «il gettito IRPEF regionale [...] registra
una  crescita,  nell'arco  temporale  considerato  [1991-2003],  pari
all'1,9%, avallando, pertanto, la tesi della Regione circa  l'anomalo
trend dell'IRPEF regionale rispetto a quello nazionale». 
    E'  proprio  in   considerazione   della   palese   insufficienza
(riconosciuta dallo Stato!)  del  quadro  finanziario  delle  entrate
regionali che si e' addivenuti  alla  seconda  modifica  dell'art.  8
dello Statuto, intervenuta, come si e' gia'  detto  piu'  volte,  nel
2006, con la quale - fra l'altro  -  si  e'  aggiunto  il  canale  di
finanziamento relativo ai «sette decimi di tutte le entrate erariali,
dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di  quelle  di
spettanza di altri enti pubblici» e - per l'appunto in coerenza con i
rilievi sopra  riportati  -  si  e'  introdotta  la  quota  fissa  di
compartecipazione all'I.V.A. maturata  nella  Regione  Sardegna  (v.,
rispettivamente,  lett.  m)  e  j)  dell'art.  8,  comma   1,   nella
formulazione vigente). 
    Non  basta.  La  stessa  Nota  oggi  impugnata  ha   riconosciuto
l'incoerenza del quadro attuale delle entrate e delle spese regionali
con la previsione statutaria, laddove ha dato atto «dell'aumento  del
livello delle entrate, conseguente alla  modifica  statutaria»  e  ha
considerato le «aspettative che la piena entrata a regime  del  nuovo
ordinamento   finanziario   puo'   aver   indotto   sulle    maggiori
potenzialita' di spesa regionale». La stessa Nota impugnata, insomma,
ha (doverosamente) preso atto del nuovo quadro statutario, ne'  certo
- provenendo dalla medesima Amministrazione  che  aveva  formulato  i
rilievi  sopra  riportati  -  poteva  dimenticare  le  ragioni  della
novella. 
    2.2. - Tale essendo il quadro entro il  quale  si  e'  svolta  la
vicenda che ne occupa, e' evidente che la Nota impugnata  e'  viziata
anche per ulteriori, tra loro connessi, profili. 
    Sottraendosi al leale confronto con la Regione (imposto - come si
e' visto - anche dalle  esigenze  di  garanzia  della  sua  autonomia
finanziaria),  invero,  lo  Stato  ha   anche   violato,   anzitutto,
direttamente l'art. 8 dello Statuto regionale.  Questo,  infatti,  ha
determinato un aumento delle entrate regionali  del  quale  lo  Stato
doveva tenere conto nel corso del procedimento  di  cui  all'art.  1,
comma 132, della legge n. 220 del 2010. La  proposta  della  Regione,
infatti, non intendeva far altro che  ottenere  l'applicazione  della
ricordata  previsione  statutaria,  oltretutto  a  diversi  anni   di
distanza dalla  sua  entrata  in  vigore  e  in  un  momento  in  cui
l'ulteriore differimento dell'applicazione dello Statuto non era piu'
sopportabile, tenuto conto del fatto che  il  meccanismo  stesso  del
patto di stabilita' determina, anno dopo anno,  un  aggravamento  del
sacrificio in capo alle autonomie. Non solo.  La  proposta  regionale
dava esplicitamente conto del fatto che  detta  applicazione  sarebbe
stata solo parziale, perche' la stessa Regione si  era  fatta  carico
delle  esigenze  di  contenimento  della  spesa  pubblica  (in  piena
osservanza  -  dunque  -  dei  principi  di  codesta   ecc.ma   Corte
costituzionale nella gia' cit. sent. n. 82 del 2007). Tali  esigenze,
tuttavia, non  possono  certo  reclamare  l'integrale  sacrificio  di
prerogative tutelate  da  specifiche  disposizioni  statutarie,  che,
sebbene sottoposte a quello che e'  stato  definito  un  processo  di
«decostituzionalizzazione» (sent. n. 70 del 1987), costituiscono  pur
sempre  parametri  che  il  legislatore  e  -  a  maggior  ragione  -
l'amministrazione statale debbono rispettare (perche' il procedimento
di modificazione della norma statutaria e' comunque «assistito da una
garanzia del tutto peculiare a favore della Regione  sarda»,  sicche'
la legge statale non puo' derogare la norma  in  questione,  ma  puo'
solo modificarla con lo speciale  procedimento  di  cui  all'art.  54
dello Statuto: cosi' ancora la cit. sent. n. 70 del 1987, cui adde le
pur meno dirette affermazioni della sent. n. 215 del 1996). 
    E'  bene  ribadire:  l'aumento  delle  entrate  conseguente  alla
riforma del 2006 non e' stato il cervellotico soddisfacimento  di  un
capriccioso desiderio della Regione di avere a  disposizione  risorse
maggiori, ma e' stato  la  logica  conseguenza  della  necessita'  di
adeguare    il    quadro    statutario    alla     mutata     realta'
economico-finanziaria  di  riferimento.   Cio'   rende   ancor   piu'
evidentemente illegittimo l'aprioristico rifiuto di un confronto, sul
punto, da parte dell'Amministrazione statale, che, cosi' facendo,  ha
gravemente invaso e compromesso la sfera dell'autonomia regionale. 
    2.3. - Non solo. Come si e' visto, la stessa  Nota  impugnata  ha
riconosciuto incoerente con il novellato  art.  8  dello  Statuto  il
mantenimento del precedente  livello  delle  entrate  e  delle  spese
regionali, con la conseguenza che essa risulta censurabile  anche  in
riferimento al principio di ragionevolezza di cui all'art.  3  Cost.,
per l'intima contraddittorieta'  che  l'affligge.  Contraddittorieta'
che anche in questo caso ridonda in lesione della sfera di  autonomia
regionale, in ragione del pregiudizio che la Regione Sardegna subisce
a causa  della  mancata  considerazione  delle  novellate  previsioni
statutarie entro il confronto dialettico imposto dalla legge  n.  220
del 2010. 
    2.4. - La natura logicamente necessitata della novella statutaria
del  2006  ha  rilevanti   conseguenze   ai   fini   della   presente
controversia. L'incremento delle  entrate  allora  disposto,  invero,
aveva la funzione di rimediare ad una  conclamata  insufficienza  del
quadro finanziario previgente, inadeguato  al  soddisfacimento  delle
esigenze regionali sul versante della spesa. Nel  corso  degli  anni,
infatti, come e' naturale, l'onere economico derivante dalle funzioni
conferite  alla  Regione,  a  partire  da  quelle  conferite  in  via
esclusiva dall'art. 3 dello Statuto, si e'  fatto  piu'  consistente,
anche a causa dell'esigenza di garantire standard sempre piu' elevati
di qualita' dei servizi pubblici e del generale  aumento  dei  costi,
come la gia' ricordata  Nota  del  3  agosto  2005  della  Ragioneria
Generale dello Stato ha constatato, prendendo  atto  delle  «mutevoli
necessita'  di  spesa  derivanti  dall'espletamento  delle   funzioni
normali  della  Regione»  (si  badi:  normali,  sicche'  non  e'  qui
questione del rapporto tra funzioni  «nuove»  e  loro  copertura  con
risorse altrettanto «nuove»!). Quando la legge n.  296  del  2006  ha
modificato il quadro finanziario aumentando  le  entrate  disponibili
per la Regione Sardegna, pertanto, non ha fatto  altro  che  adeguare
tale quadro delle entrate alle necessita' delle spese. E quando, ora,
la Regione ha proposto un  (parziale  e  limitato!)  adeguamento  dei
livelli di spesa  non  ha  fatto  altro  che  reclamare  la  semplice
applicazione  del  nuovo  quadro   statutario,   senza   mettere   in
discussione (ma, anzi, facendo valere) il  principio  generale  della
corrispondenza fra le spese e le entrate. 
    In verita', la corrispondenza tra le risorse e le spese di  tutti
i  soggetti  pubblici  che  contribuiscono  a  comporre  il  bilancio
consolidato dello Stato e' fissata in primo luogo dall'art. 81, comma
4, della Costituzione, laddove si dispone che ogni legge che  importi
nuovi o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte. 
    Dalla specifica disposizione destinata a regolare le attribuzioni
delle  Camere  nell'approvazione  del  bilancio   la   giurisprudenza
costituzionale ha tratto un principio  generalissimo,  la  cui  forza
espansiva informa di se', come si  e'  accennato,  l'intero  comparto
della pubblica amministrazione sia centrale che  periferica.  Proprio
relativamente alle Regioni a statuto speciale, codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale ha avuto modo di affermare, nella  sent.  n.  213  del
2008, che  «l'art.  81,  quarto  comma,  della  Costituzione  prevede
l'obbligo di copertura finanziaria delle spese. Il principio, che  e'
vincolante anche per  le  Regioni  a  statuto  speciale  (da  ultimo,
sentenza n. 359 del 2007), e' stato specificato da  questa  Corte  in
varie pronunce, nelle quali si  e'  chiarito,  tra  l'altro  che:  la
copertura  deve  essere  credibile,  sufficientemente   sicura,   non
arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si
intende effettuare in esercizi futuri (sentenza n. 1 del 1966)». 
    Il principio di corrispondenza tra spese e risorse  del  bilancio
regionale vive in una serie di  corollari,  esplicitati  in  numerose
fonti legislative sia statali sia  regionali  (nel  caso  di  specie,
della Sardegna). 
    Tra di essi v'e' la regola per cui, nell'esercizio delle  proprie
funzioni in materia di coordinamento della  finanza  pubblica  e  del
sistema tributario, lo Stato non puo' determinare  livelli  di  spesa
regionale che siano  incoerenti  con  l'ammontare  delle  entrate.  A
questo proposito, puo' essere  citata  la  disposizione  dell'art.  8
della legge  n.  42  del  2009,  c.d.  legge  delega  in  materia  di
federalismo fiscale, in  cui  tra  i  principi  e  criteri  direttivi
fissati per  l'emanazione  dei  decreti  delegati  e'  menzionata  la
definizione delle modalita' per cui le spese  devono  essere  coperte
con canali di finanziamento ad esse specificamente  destinati  e  per
esse opportunamente calibrati (art. 8, comma 1, lett. d),  e)  e  f),
della legge n. 42 del 2009). Per quanto  specificamente  riguarda  la
Regione Sardegna, sia sufficiente qui richiamare le  disposizioni  di
cui agli artt. 6, comma 2, e 8 della legge reg. n. 11  del  2006,  le
quali, rispettivamente, prevedono che «Il bilancio pluriennale [della
Regione Sardegna]  indica  le  risorse  finanziarie  che  la  Regione
prevede di acquisire e  di  impiegare  in  attuazione  della  vigente
legislazione regionale e statale, della normativa comunitaria e sulla
base della legge finanziaria regionale [...]» e che «Il totale  delle
spese di cui si autorizza l'impegno puo' essere superiore  al  totale
delle entrate che si prevede di  accertare  nel  medesimo  esercizio,
purche' il relativo disavanzo sia coperto da mutui e/o altre forme di
indebitamento». 
    La regola della concordanza specifica fra entrate e  uscite  deve
integrarsi con quelle disposizioni - specie di rango statutario -  le
quali  riservano  all'ente   autonomo   uno   specifico   canale   di
finanziamento  della  spesa  oppure  una  quota   di   partecipazione
algebricamente determinata  (lo  si  ribadisce,  da  norme  di  rango
statutario) di una entrata tributaria. Tale e' il caso  che  riguarda
la Regione Sardegna,  le  cui  entrate,  in  base  all'art.  8  dello
Statuto, novellato dall'art. 1, comma 834, della  legge  n.  296  del
2006, sono costituite - come gia'  si  e'  detto  -  dalle  quote  di
compartecipazione ai  tributi  statali,  dai  tributi  propri,  dalla
valorizzazione  del  suo  patrimonio   e   del   suo   demanio,   dai
finanziamenti speciali dello Stato per particolari opere pubbliche. 
    Ebbene: con il rigetto  alla  proposta  formulata  dalla  Regione
Sardegna quanto  all'obiettivo  programmatico  per  i  pagamenti  per
l'anno 2011, la Ragioneria generale, sostanzialmente, impedisce  alla
Regione Sardegna (ben al di la' delle esigenze connesse al  patto  di
stabilita', delle quali ulteriormente si dira' al  successivo  motivo
di  ricorso)  l'utilizzo  delle  risorse  che  lo  Statuto  regionale
garantisce  all'ente  autonomo,  determinando   una   ingiustificata,
irragionevole e illegittima violazione dell'autonomia  finanziaria  e
legislativa garantita alla Regione, oltre che dall'art. 7 St.,  dagli
artt. 117, comma 3, e 119, comma 2, della Costituzione,  nella  parte
in  cui,  rispettivamente,  attribuiscono  alle  Regioni   competenza
legislativa concorrente nella materia dell'armonizzazione dei bilanci
pubblici e del coordinamento della finanza  pubblica  e  del  sistema
tributario  e  riconoscono  alle  Regioni  risorse  autonome   e   la
compartecipazione  al  gettito  di  tributi  erariali  riferibili  al
proprio territorio. 
    Per quanto concerne l'art. 117, comma 3, della Costituzione, esso
risulta violato per due distinti profili. 
    In primo luogo, il  fatto  che  la  Regione  Sardegna  non  possa
addivenire all'accordo di cui all'art. 1, comma 132, della  legge  n.
220 del 2010  determinera'  la  sottoposizione  dell'Ente  alla  piu'
rigida disciplina dettata per le Regioni a  Statuto  ordinario.  Gia'
questa  semplice  circostanza  si  trasforma  in  una  ingiustificata
compressione della competenza legislativa nelle materie sopra citate. 
    In secondo luogo, risulta ovvio  che  la  mancata  considerazione
delle entrate previste  dall'art.  8  dello  Statuto  impedisce  alla
Regione di legiferare tenendone - invece - conto. 
    Per quanto concerne gli artt. 3 e 7 dello Statuto  e  118  e  119
della Costituzione, va ribadito che la  Nota  impugnata  rigetta  una
proposta di accordo formulata dalla Regione Sardegna in maniera  tale
da tenere conto dell'entrata a regime del nuovo sistema  finanziario,
peraltro in termini assolutamente compatibili  con  le  esigenze  del
patto di stabilita'  (l'adeguamento  delle  spese,  infatti,  occorre
ripetere, era proposto in misura parziale). Poiche', pero',  come  si
e'  detto,  il  nuovo  regime  finanziario  era  ed   e'   funzionale
all'assolvimento delle funzioni (non nuove ma) gia' in  essere  della
Regione,  la  Nota  in  questione  viola  le  ricordate  disposizioni
statutarie e costituzionali, che, affidando alla  Regione  specifiche
competenze,  anche  in  via  esclusiva  (art.  3  St.),  garantiscono
l'esercizio di tali funzioni (artt. 114, comma 2, e 118, commi l e 2,
Cost.), assicurando (v. gia' quanto affermato dalla sent. n. 370  del
2003) l'adeguatezza della copertura delle spese necessarie (art. 119,
comma  4,  Cost.),  nel  rispetto  dell'autonomia  finanziaria  della
Regione (artt. 7 St. e 119, comma 1, Cost.). 
    3. - Violazione degli artt. 7 e 8  dello  Statuto  della  Regione
Sardegna,  anche  in  combinato  disposto   con   il   principio   di
ragionevolezza di cui all'art.  3  della  Costituzione.  Come  si  e'
visto,  dall'art.  8  dello  Statuto  della  Regione  autonoma  della
Sardegna, come da ultimo modificato  (ai  sensi  dell'art.  54  dello
Statuto medesimo) dall'art. 1, comma 834,  della  legge  n.  296  del
2006, risulta il principio della  necessaria  corrispondenza  tra  le
entrate e le  spese  della  Regione.  Tale  principio,  naturalmente,
implica non solo (letto dal versante delle entrate) la necessita'  di
copertura  finanziaria  delle  funzioni  conferite,  ma  anche   (dal
versante della spesa) la piena autonomia nella disposizione, da parte
della Regione, delle risorse statutariamente spettantile. 
    La necessita' di tale conclusione e' confermata, peraltro,  dalla
lettura combinata del  disposto  dell'art.  8  con  il  disposto  del
precedente art. 7  (giusta  il  quale  «la  Regione  ha  una  propria
finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi
della solidarieta'  nazionale,  nei  modi  stabiliti  dagli  articoli
seguenti»). 
    E' evidente, invero, che (in ossequio al  generale  principio  di
ragionevolezza, di cui all'art. 3 Cost.) la garanzia per  la  Regione
di una finanza «propria», da «coordinare» con quella dello  Stato  (e
non derivata dalle rispettive determinazioni), non avrebbe senso,  se
non fosse al contempo garantita alla Regione una capacita'  di  spesa
corrispondente all'ammontare delle risorse in entrata. 
    Il principio del finanziamento integrale delle funzioni (definito
non a caso  «principio-cardine  del  nuovo  sistema  finanziario»  in
dottrina) comporta infatti, da un lato, che le risorse garantite alle
Regioni debbano essere tali da «finanziare integralmente le  funzioni
pubbliche loro attribuite» (come stabilito  all'art.  119,  somma  3,
Cost.); dall'altro, e necessariamente, che l'esercizio delle funzioni
attribuite alle Regioni non  possa  essere  condizionato  da  vincoli
eterodeterminati alla capacita' di spesa. 
    Se non e' garantita la piena ed effettiva autonomia di spesa, per
concludere  sul  punto,  resta  priva   di   significato   l'astratta
attribuzione delle corrispondenti risorse. 
    La necessita' di una tale conclusione alla luce del principio  di
ragionevolezza, del resto, e' stata riconosciuta  da  codesta  ecc.ma
Corte costituzionale, ad esempio, gia' nella sent. n. 245  del  1984,
nella quale e' stata dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  di
alcune  disposizioni  della  Legge  finanziaria  per  il   1984   che
imponevano alle Regioni oneri di vario  genere  senza  corrispondente
attribuzione di risorse. 
    Le   Regioni   ricorrenti   lamentavano   in   particolare,    in
quell'occasione, che l'art. 7, comma  13,  della  Legge  finanziaria,
«comporterebbe oneri a carico dei loro bilanci, senza assegnare  alle
Regioni le somme occorrenti per farvi fronte». Codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale ha  ritenuto  necessario  «rileggere  la  motivazione»
svolta dalla sentenza n.  307  del  1983,  ricordando  che  «gia'  in
quell'occasione, la Corte ha  ritenuto  che  l'imporre  alle  Regioni
obblighi del genere contrasti anzitutto con cio' che la  Costituzione
prescrive nel secondo comma  dell'art.  119,  ossia  che  le  Regioni
dispongano di "tributi  propri"  (oltre  che  di  "quote  di  tributi
erariali"), per fronteggiare autonomamente «le  spese  necessarie  ad
adempiere le loro funzioni normali"»  e  che  le  Regioni  posseggono
«autonomia finanziaria considerata sul versante delle uscite». 
    Si badi. La ricorrente non afferma che le risorse e le  spese  di
cui all'art. 8 dello Statuto si sottraggano alla considerazione delle
esigenze connesse al patto di stabilita'. Insiste, pero', su cio' che
l'accordo connesso al patto deve necessariamente tenere  conto  anche
di quelle risorse e di quelle spese,  la  cui  eventuale  limitazione
deve essere determinata nel contesto  del  procedimento  dialogico  e
collaborativo di cui all'art. 1, comma 132, della legge  n.  220  del
2010. La Nota impugnata, invece,  ha  impedito  in  radice  che  cio'
accadesse, sottraendo lo Stato al dialogo  e  cancellando  del  tutto
dall'orizzonte dell'accordo le prerogative regionali di cui al citato
art. 8 dello Statuto. 
    Peraltro, a riprova del fatto che la Regione  aveva  gia'  tenuto
conto, nell'interlocuzione con lo Stato, delle esigenze di equilibrio
economico-finanziario generale, sta  il  fatto  che  la  proposta  di
accordo predisposta dalla Regione Sardegna e inoltrata  con  la  cit.
Nota prot. n. 0002489  del  30  marzo  2011  considerava  l'obiettivo
programmatico fissato nella tabella n. 1 allegata alla 1. n. 220  del
2010 e riferita all'art. 1, comma 131, della  medesima  legge.  Nella
citata tabella 1 allegata alla legge sono  rendicontati  gli  importi
richiesti alle Regioni a Statuto speciale e alle  Province  autonome.
Per l'anno 2011 il contributo tendenziale imposto  dallo  Stato  alla
Regione Sardegna ammonta a ? 76.689.835,00.  In  ragione  di  questa
previsione normativa, la «tabella impegni» e la  «tabella  pagamenti»
allegate alla citata proposta di patto formulata dalla Regione recano
l'indicazione  dell'obiettivo  programmatico   per   il   2011   come
risultante dall'obiettivo del 2010 ridotto  dello  0,9%  e  diminuito
ancora della menzionata somma di cui alla tabella  1.  Inoltre,  come
gia' detto, il livello dei pagamenti proposto e' stato  innalzato  di
un ammontare determinato in via prudenziale, e cioe' solo «a parziale
adeguamento dello strutturale innalzamento del livello delle entrate»
che si e' venuto a determinare in ragione del novellato art. 8  dello
Statuto  regionale  (cosi'  esplica  la  cit.  Nota   della   Regione
Sardegna). 
    Nonostante la proposta della Regione Sardegna tenesse conto degli
obiettivi di finanza pubblica previsti dalla legge n. 220 del 2010  e
contemplasse un rilevante contenimento degli  impegni,  la  Nota  del
Ragioniere Generale dello Stato ha  comunque  negato  l'assenso  alla
conclusione dell'accordo  previsto  dall'art.  1,  comma  132,  della
medesima legge n.  220  del  2010.  Invece,  come  si  e'  visto  nei
precedenti motivi di ricorso, il  bilanciamento  tra  l'autonomia  di
spesa della Regione e le esigenze di  partecipazione  al  risanamento
della finanza nazionale avrebbe dovuto essere  definito  nel  dialogo
tra la Regione e  lo  Stato  attraverso  gli  strumenti  della  leale
collaborazione, mentre, negando  in  radice  la  possibilita'  di  un
accordo a condizioni diverse da quelle  rappresentate,  lo  Stato  ha
imposto la propria volonta', con cio' negando ogni  possibile  spazio
all'autonomia della Regione nella determinazione delle sue  politiche
di spesa. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia: 
        dichiarare che non spettava  allo  Stato,  e  per  esso  alla
Ragioneria  Generale  dello  Stato,  adottare,  in   violazione   del
principio  di  leale  collaborazione  fra  lo  Stato  e  le  Regioni,
dell'autonomia finanziaria della  Regione  autonoma  della  Sardegna,
degli artt. 3, 7, 8 e 54 della legge cost. 26 febbraio  1948,  n.  3,
recante «Statuto speciale per la Sardegna», nonche' degli artt. 3, 5,
81, 114, 117, 118 e 119  della  Costituzione,  anche  in  riferimento
all'art. 1, comma 132, della legge 23 dicembre 2010, n. 220, la  Nota
del Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  Dipartimento  della
Ragioneria Generale dello Stato, Ispettorato Generale per la  Finanza
delle Pubbliche Amministrazioni, Ufficio VIII, 7 giugno  2011,  prot.
n. 0050971, avente ad oggetto «Patto di stabilita' interno per l'anno
2011. Proposta di accordo per  la  Regione  Sardegna»,  a  firma  del
Ragioniere Generale dello Stato, con la quale, «al fine di addivenire
al perfezionamento dell'accordo per il patto  di  stabilita'  interno
2011», la Regione autonoma della Sardegna e' stata invitata «a  voler
rivedere la propria proposta  di  accordo,  corredata  della  tabella
riepilogativa  indicante  i  limiti  di  spesa  sia  in  termini   di
competenza  che  di  cassa,  sulla  base  delle  osservazioni   sopra
esposte»; 
        conseguentemente e per  l'effetto,  annullare  la  menzionata
Nota del Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento  della
Ragioneria Generale dello Stato, Ispettorato Generale per la  Finanza
delle Pubbliche Amministrazioni, Ufficio VIII, 7 giugno  2011,  prot.
n. 0050971. 
          Roma - Cagliari, addi' 5 agosto 2011 
 
                   Avv. Ledda - Avv. Prof. Luciani 
 

 

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