REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania
- Terza Sezione -
composto dai Magistrati
dr. GIOVANNI de LEO Presidente
dr. ANGELO SCAFURI Consigliere
dr. VINCENZO CERNESE Primo Referendario Estensore

ha pronunciato
SENTENZA
sul ricorso n. 158/1996 R.G. proposto dalla:
“FINA ITALIANA S.p.a.”, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Claudio Fresca ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Napoli, alla Via M. Piscicelli, n. 84;

contro
il COMUNE DI NAPOLI, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli Avv. ti Bruno Ricci, Anna Pulcini, Giuseppe Tarallo, Bruno Crimaldi, Giacomo Pizza, Annalisa Cuomo, Barbara Accattatis Chalons d’Oranges, Antonio Andreottola, Anna Ivana Furnari, Eleonora Carpentieri, ed elettivamente domiciliato in Napoli, alla P. zza Municipio - Palazzo S. Giacomo;
e nei confronti della
REGIONE CAMPANIA, in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituita in giudizio;
per l’annullamento
- del provvedimento tacito di rigetto formatosi ai sensi dell’art. 37, n. 4 L.R. Campania 29.6.1994, n. 27, per effetto del decorso di un anno dall’istanza di rinnovo della concessione diciottennale per l’esercizio dell’impianto di distribuzione carburanti, sito in Napoli, alla Via Foria, istanza inviata il 25.10.1979;
- di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.
VISTO il ricorso con i relativi allegati;
VISTO l’atto di costituzione in giudizio dell’intimata Amministrazione comunale;
VISTE le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese:
VISTI gli atti tutti della causa;
UDITI - relatore alla pubblica udienza del 12 maggio 2005 il dr. Vincenzo Cernese - i difensori delle parti come da verbale di udienza;
RITENUTO in fatto e considerato in diritto:
FATTO
Premette la “Fina Italiana S.p.a.”, in persona del legale rappresentante, di essere proprietaria dell’impianto per la distribuzione automatica di carburanti per autotrazione, sito nel Comune di Napoli, alla Via Foria, originariamente assistito dall’autorizzazione prefettizia rilasciata
l’8.11.1962 ed, in vista della sua scadenza, di averne chiesto - con lettera raccomandata r.r. del 18.10.1994, recapitata al Comune di Napoli in data 24.10.1994 - il rinnovo diciottennale.
Assume che, non facendo seguito a siffatta richiesta l’emissione di alcun formale, espresso provvedimento di accoglimento da parte dell’Amministrazione comunale, stante il decorso del termine di 150 giorni, era indotta a ritenere la sussistenza - ai sensi dell’art. 20 della legge n. 24 del 1990 e del D.P.R. n. 407 del 1994 - di un evidente silenzio-assenso, alla stregua del punto 51, tabella C di tale ultimo decreto (per il quale l’installazione e l’esercizio di impianti di distribuzione carburanti sarebbero incluse nelle fattispecie regolate dalla legge n. 241 del 1990, fissando il termine di cui sopra in giorni 150), con la formazione di un provvedimento di tacito rinnovo della concessione.
Aggiunge che sulla base di tale certezza, ha ritenuto di farne formale comunicazione di presa d’atto con propria lettera raccomandata, nella convinzione che dell’avvenuto rinnovo non vi sarebbero dubbi di sorta, essendosi esso determinato in forza di ben precise norme dello Stato, mai abrogate e nonostante la presenza nell’ordinamento di altra norma - la legge della Regione Campania n. 27 del 29.6.1994 - che, in modo antitetico rispetto al citato D.P.R. n. 407, ricollega al decorso di una anno dalla presentazione dell’istanza il significato di rigetto di quest’ultima.
Tanto premesso ed assunto, nell’eventualità che l’intimata Amministrazione comunale intendesse privilegiare l’interpretazione del silenzio in esame, alla stregua della legislazione regionale, piuttosto che di quella auspicata antitetica statale (nel senso di considerare l’istanza per il rinnovo della concessione rigettata piuttosto che accolta, con grave pregiudizio per gli interessi economici e patrimoniali della esponente oltre che della collettività, per la essenziale funzione di pubblico servizio assolta dagli impianti di questo tipo), la “FINA ITALIANA S.p.a.”, con ricorso notificato il 20.12.1995 e depositato il 9.1.1996, ha impugnato, innanzi a questo Tribunale, gli atti in epigrafe deducendo le seguenti censure:
1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 20 L. 7.8.1990, n. 241, in relazione al D.P.R. 26.4.1992, n. 300, come modificato dal D.P.R. 9.5.1994, n., 407 (la censura è da considerare introduttiva anche dei successivi motivi ai quali si ricollega); assumendo che la normativa rubricata, innovando profondamente i criteri di funzionamento della P.A. avrebbe sancito un diritto del cittadino a conseguire un provvedimento favorevole, qualora ne sussistano presupposti e condizioni, per modo che l’inerzia della P.A. non potrebbe ricadere, come nel passato, sull’incolpevole cittadino. Sottolinea come, per a tanto ovviare, nel caso di specie, il Comune, nel conferire al silenzio uno specifico significato, giammai dovrebbe privilegiare l’applicazione della legge regionale che ricollegherebbe al silenzio il significato del rigetto, piuttosto che uniformarsi ai principi di cui alla legge n. 241 del 1990 e, conseguentemente, applicare quanto disposto in materia dal relativo D.P.R. n. 407/94 di attuazione.
2) Eccesso di potere per carenza di motivazione; stante l’assoluta mancanza della motivazione dell’ipotetico rigetto, atteso che, in sede di esame dell’istanza di rinnovo di una concessione, l’Autorità amministrativa non disporrebbe della stessa discrezionalità di cui avrebbe goduto all’atto del primo rilascio, essendosi creata nel l’interessato una situazione di aspettativa al rinnovo con la conseguenza che ove intenda determinarsi negativamente, dovrebbe esternare, anche eventualmente nell’esercizio del potere di autotutela successivo alla formazione del silenzio-assenso i motivi che ritenga contrastanti con le ragioni che a suo tempo l’indussero, invece, a considerare favorevolmente l’istanza, offrendo una sufficiente e congrua motivazione, con particolare riguardo ai vari profili sotto cui può manifestarsi l’eccesso di potere.
3) Eccesso di potere per illogicità manifesta e contraddittorietà con i precedenti atti dell’Amministrazione comunale; sottolineando questi ultimi, in quanto riferiti all’impianto in argomento, non avrebbero mai evidenziato irregolarità o impedimenti di qualsiasi natura all’esercizio dell’attività di distribuzione di carburanti, ma, anzi, avrebbero confermato la buona gestione dell’impianto da parte della ricorrente, ed il possesso da parte di quest’ultima di tutti i requisiti per esercitare la relativa attività, arrivando persino ad autorizzare quest’ultima ad effettuare modifiche al fine di meglio rispondere alle esigenze della pubblica utenza. E la pacifica ed indisturbata prosecuzione dell’attività anche successivamente alla formazione del silenzio rigetto comproverebbe (anche per l’assenza di una formale diffida dal continuare l’attività) il tacito rinnovo, al punto che il citato silenzio integrerebbe una vera e propria revoca.
4) Eccesso di potere per incompatibilità con provvedimento sindacale successivo all’istanza di rinnovo della concessione, confermativo dello stesso “per facta concludentia”; evincendo la sussistenza del tacito rinnovo della concessione dalla circostanza che, dopo la presentazione della richiesta del rinnovo - datata 18.10.1994 - le sarebbe stata notificata l’ordinanza sindacale dell’8.3.1995, intimante la rimozione dell’impianto entro il termine di 2 anni dalla medesima notifica (13.3.1995), pena l’irrogazione della revoca, prevista dall’art. 31, comma 1, lettera “g” e dall’art. 38 della Legge Regionale, per tal guisa ritenendosi implicitamente legittimata a protrarre l’attività dell’impianto anche dopo la scadenza della concessione.
5) Eccesso di potere per violazione di legge art. 16 L. n. 1034/1970 e artt. 5 e 6 D.P.R. n. 1269/71; atteso che, alla stregua della rubricata normativa, il rilascio ed ancor più il rinnovo della concessione si configurerebbero quali atti dovuti, nel primo caso (rilascio) dovendosi verificare esclusivamente il possesso dei requisiti richiesti dalle citate disposizioni, nel secondo (rinnovo) la permanenza degli stessi.
6) Violazione dell’art. 7 L. n. 241/90; stante l’omessa comunicazione dell’avviso dell’avvio del procedimento, nella specie tanto più necessaria per chiarire il significato attribuito al silenzio.
7) Violazione dell’art. 6 D.P.C.M. 1989; non riscontrandosi, nel caso di specie, i limiti stabiliti da siffatto Decreto al rilascio della concessione per l’esercizio degli impianti di distribuzione automatica di carburante per autotrazione (d’altronde neppure fatti valere dalla competente Amministrazione).
8) Violazione dell’art. 18 D.P.R. n. 1269/71 e dell’art. 3 L. n. 241/90; considerato che, una volta formatosi il silenzio assenso, l’ipotetico successivo silenzio rigetto (considerandone l’insanabile contrasto con i principi di cui alla rubricata legge n. 241) non potrebbe che atteggiarsi quale revoca della concessione, in assenza di tutti i prescritti requisiti, ad iniziare dalla motivazione;
9) Violazione dell’allegato “lettera B” L.R. Campania; denunciando come, in contrasto con la normativa regionale che prevederebbe, relativamente al Comune di Napoli, la presenza sul territorio di n. 349 distributori automatici di carburante per autotrazione, distribuiti nelle varie zone, l’eventuale revoca, privando uno dei quartieri del predetto Comune di uno dei distributori, finirebbe con l’alterare l’assetto della rete previsto dalla rubricata disposizione, con notevole pregiudizio, oltre che, sotto il profilo patrimoniale, per la Società ricorrente, anche per l’intera collettività servita.
10) Illegittimità costituzionale dell’art. 37 n. 4 e, se del caso, dell’art. 80, n. 8 della L.R. Campania n. 27/1994 per violazione degli artt. 117, 118, 41, 39, 97 Cost. Al riguardo, nell’ipotesi che l’Amministrazione comunale avesse ritenuto la formazione del silenzio-rigetto, solleva la questione di legittimità costituzionale degli articoli. 37 n. 4 ed 80, n. 8 rubricati per contrasto con gli articoli della Costituzione pure in rubrica indicati. Sul punto la ricorrente evidenzia come, prevedendo l’art. 37 della L.R. Campania n. 27/84 una fattispecie di silenzio-rigetto non si sarebbe attenuta ai limiti che l’art. 117 Cost. fissa al Legislatore regionale e che, vertendosi in materia di legislazione concorrente, si sostanziano nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento a cominciare da quelli enucleabili dalla legge n. 241 del 1990.
Inoltre la previsione di una fattispecie di silenzio-rigetto contenuta in una legge-provvedimento regionale si porrebbe anche in insanabile contrasto con l’art. 118 Cost. concretandosi in una usurpazione della funzioni amministrative che, per il principio di sussidiarietà, introdotto con le recenti riforme di legge, ordinaria e costituzionale, sarebbero originariamente tutte di competenza degli Enti Locali ed, in particolare, dei Comuni.
L’intimata Amministrazione si costituiva in giudizio preliminarmente eccependo l’inammissibilità del ricorso per avere escluso di avere attribuito un significato negativo al silenzio da lei serbato sull’istanza di rinnovo della concessione; nel merito sostenendo l’infondatezza del ricorso.
Alla pubblica udienza del 12 maggio 2005 la causa passava in decisione.
DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe è stato impugnato, chiedendone l’annullamento, un provvedimento di rigetto tacitamente supposto - ai sensi dell’art. 37 L.R. Campania - dal silenzio serbato per un anno dall’Amministrazione comunale su un’istanza intesa a conseguire il rinnovo di una concessione relativamente ad un impianto per la distribuzione automatica di carburanti per autotrazione.
Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del proposto gravame a motivo di quanto prospettato dal Comune nella memoria depositata in giudizio in data 29.4.2005 secondo cui la ricorrente difetterebbe di un interesse attuale e concreto all’accoglimento del ricorso, atteso che, nel caso di specie, mancherebbe il provvedimento lesivo in quanto (contrariamente a quanto temuto dalla Società istante) e come pure comunicato a quest’ultima con nota n. 110124 del 15.12.1995, il Comune di Napoli << nelle more della definizione delle c.d. “zone territoriali comunali”, non ritiene applicabile alla fattispecie l’art. 80, comma 8, L:R. 29.6.1994 che prevede la formazione del silenzio-rigetto dopo la formazione del silenzio-rigetto dopo il decorso del termine di un anno dalla data di presentazione dell’istanza di rinnovo……..e pertanto considera non avvenuta la reiezione delle domande allo scadere del termine annuale >>.
Orbene, a prescindere che la medesima Amministrazione (anziché ritenere accolta per silentium l’istanza, come sarebbe stato logico attendersi) afferma contraddittoriamente che l’istanza si troverebbe nella situazione di << non essere né accolta, né respinta >>, resta il dato inconfutabile che, nella ricostruzione della volontà della P.A. l’interprete deve tener conto del potere effettivamente esercitato, quale risulta dalla volontà obiettivata nell’atto, anche, eventualmente, andando al di là di quanto dichiarato dalla Amministrazione stessa, alla quale, in buona sostanza, resta preclusa un’interpretazione autentica dei propri provvedimenti. Applicando un siffatto criterio ermeneutico, deve ritenersi che, nel caso di specie, il Comune è pervenuto a rigettare la predetta istanza per il tramite di un silenzio-significativo formatosi ai sensi dell’art. 37 della L.R. Campania n. 27/94, contro il quale la Società ricorrente risulta indubbiamente vantare un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame, onde ovviare ai danni altrimenti prodotti alla propria sfera giuridica.
Nel merito il ricorso è infondato.
Invero non può addivenirsi alla tesi prospettata ed auspicata nella prima censura dalla Società ricorrente secondo cui al silenzio serbato dalla resistente Amministrazione comunale dovrebbe attribuirsi il significato di accoglimento della sua istanza del 18.10.1994, intesa al rinnovo della concessione in precedenza a lei rilasciata.
In punto di diritto rileva senz’altro l’art. 37 della L.R. Campania 29.6.1994, n. 27 che - sotto la rubrica “contenuto del provvedimento di concessione” - recita:
<< 1. La concessione ha durata di 18 anni.
2. Nel provvedimento di concessione sono inserite le prescrizioni di cui alle lettere a), b), c), d), e), f), g) del comma 2 dell’art. 30.
3. Il concessionario ha l’obbligo del pagamento della tassa relativa al rilascio della concessione nei modi e nei termini previsti dalla normativa in vigore.
4. Il concessionario, almeno 6 mesi prima della scadenza della concessione, può chiedere il rinnovo della concessione, osservando le prescrizioni di cui al capo III ed all’art. 19 del Capo I; l’Ente competente decide sulla domanda entro 1 anno dalla data di ricezione di essa e, decorso tale termine, la domanda si intende respinta >>. Il successivo art. 80, al numero 8, dispone che: << L’Ente competente decide sulle istanze di rinnovo presentate, prima o dopo l’entrata in vigore della presente legge, di cui al comma precedente, entro un anno dalla ricezione di esse; decorso tale termine, le domande si intendono respinte >>; mentre al comma 2: << Se vi è incompatibilità tra impianto e territorio, di cui all’art. 19, il Comune competente per territorio, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ordina al concessionario interessato di eliminare l’impianto entro e non oltre due anni, decorrenti dalla ricezione del relativo provvedimento, per evitare che sia irrogata la revoca di cui agli artt. 31, comma 1), lett. “g”; 38; 45; 51, comma 1) >>.
La tesi sostenuta dalla ricorrente del tacito rinnovo trova ulteriore e coerente sviluppo nelle argomentazioni contenute nella seconda e quinta censura, in cui si deduce l’assoluta carenza di motivazione dell’avversato, tacito provvedimento di rigetto dell’istanza di rinnovo della concessione, in correlazione alla situazione di legittima aspettativa maturatasi in capo alla Società, prima istante, poi, ricorrente. Siffatto rinnovo, esaurita ogni discrezionalità esistente originariamente, all’atto del rilascio della concessione, si caratterizzerebbe quale atto dovuto, quantomeno subordinato unicamente all’accertamento della permanenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi ritenuti sussistenti all’atto del rilascio.
Tutte e tre le censure inducono ad affrontare la questione relativa al silenzio significativo nelle materie oggetto di liberalizzazione in senso lato nelle quali, in precedenza, si riteneva necessario un provvedimento espresso di autorizzazione, a fronte della prospettazione di parte ricorrente che si sforza di dimostrare la legittimità per quella opzione per la quale al silenzio in esame dovrebbe darsi il significato di accoglimento piuttosto che quello di rigetto dell’istanza del privato, sul presupposto di un’applicazione generalizzata dell’art. 20 della legge 7.8.1990, n. 241.
Ebbene siffatto art. 20, disciplinando in senso ampliativo un istituto già conosciuto dell’ordinamento, giuridico, concerne ipotesi nelle quali la richiesta di un dato provvedimento si considera accolta qualora entro un dato termine la P.A. non comunichi all’interessato il provvedimento di diniego. L’art. 20 (a differenza del precedente art. 19 che liberalizza del tutto l’attività privata prima soggetta ad autorizzazione) non incide in senso abrogativo sull’esistenza del regime autorizzatorio, che rimane inalterato, ma introduce una modalità semplificata di conseguimento dell’autorizzazione, attraverso un vero e proprio provvedimento tacito. Tuttavia ciò è possibile solo nei settori caratterizzati dall’intervento di autorizzazioni a contenuto discrezionale; conseguentemente, comportando un’opera di organica disamina degli interessi in considerazione, impedisce al privato l’intrapresa dell’attività autorizzata antecedentemente al decorso dell’arco temporale funzionale alla maturazione del provvedimento tacito di accoglimento. L’istituto del silenzio-assenso così delineato ha un ambito applicativo di notevole estensione configurandosi come istituto di carattere generale, ma ciò vale solo nell’ambito delle autorizzazioni, mentre, nel caso di specie, si è di fronte ad un provvedimento di natura concessoria, per il quale occorre sempre un provvedimento espresso (in alternativa al quale non fuor di luogo sarebbe la previsione di un silenzio-rigetto). E che tale sia la natura concessoria del provvedimento di cui era originariamente destinataria la Società ricorrente è pacificamente ammesso anche dalla stessa nel momento in cui –
nella memoria integrativa depositata in data 12.5.2005 - rappresenta che: <<…dopo la presentazione del ricorso, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. vo n. 32/98 (che ha convertito il regime di concessione previsto dall’art. 16, comma 1, del D.L. 26.10.1970, n. 745 in quello di autorizzazione ad esercitare gli impianti per la distribuzione di carburanti), la “Fina Italiana S.p.a.”, già concessionaria dell’impianto in parola, con lettera raccomandata del 7.4.1998, recapitata al Comune, alla Regione ed all’Ufficio Tecnico di Finanza di Napoli, aveva cura di trasmettere alla P.A. la “comunicazione di prosecuzione di attività ai sensi dell’art. 1 del D.L. vo n. 32 dell’11.2.1998”, con l’allegata documentazione, di talché, in virtù dell’anzidetta comunicazione trasmessa dalla ricorrente alla P.A., si determinava l’automatica conversione della concessione in diritto di autorizzazione, proprio ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 2 della citata norma >>.
Inoltre la tesi dalla Società ricorrente sostenuta del silenzio-assenso necessariamente deve basarsi sull’antica ed abusata teorica del c.d. diritto di insistenza riferito proprio al rinnovo delle concessioni.
Senonchè la giurisprudenza ha fatto da tempo giustizia della tesi secondo la quale il concessionario avrebbe diritto ad essere preferito nel rinnovo della concessione rispetto ad altri aspiranti ritenendo, per la discrezionalità, anche amministrativa che indubbiamente compete all’Amministrazione competente, essersi in presenza di una situazione di mero interesse legittimo. E, così: << In tema di concessioni amministrative il c.d. diritto di insistenza, ossia l’interesse del concessionario, qualificato e tutelato dall’ordinamento, ad essere preferito ad altri aspiranti alla concessione, non consiste in una pretesa incondizionatamente tutelata, bensì in un limite alla discrezionalità della p.a. che, nello scegliere il concessionario deve appunto tenere conto della posizione di colui che già si trova in detta posizione e che, quindi, potrebbe risentire un danno dalla cessazione dell’attività >> (C. di S., Sez. V, 27.9.2004, n. 6277 e T.A.R. Toscana, Sez. III, 10.2.1994, n. 32). Ed, ancora: << Il c.d. “diritto d’insistenza”, cioè l’interesse del precedente concessionario ad essere preferito rispetto ad altri aspiranti alla concessione, in quanto si configura come un limite alla discrezionalità dell’amministrazione, deve essere espressamente riconosciuto dalla legge o dall’autonomia delle parti >> (C. di S., Sez. V, 9.12.2002, n. 6764).
Ed, invero, la tesi della inesistenza dei presupposti per ritenere applicabile, nel caso di specie, il regime di semplificazione procedurale di cui all’art. 20 citato, se già in astratto si presenta non condivisibile, lo è ancor di più in concreto, qualora si addivenga ad una rigorosa e puntuale ricostruzione dei “fatti” che, al fine di conoscere le sorti delle istanze di rinnovo inoltrate dagli interessati, tenga conto non solo di quanto riferito in gravame, ma anche di quanto ex adverso aggiunto dalla resistente Amministrazione comunale.
In particolare, nella nota n. 10124 del 15.12.1995, il Dirigente del Servizio Polizia Amministrativa di quest’ultima Amministrazione puntualizza nel senso che: << Tuttavia il Comune, ritenuta la complessità dell’istruttoria, non considera avvenuta la reiezione con il decorso dell’anno solare dalla ricezione delle domande.
Che, pertanto, le concessionarie, con apposite istanze, hanno ottemperato a quanto prescritto dalla L.R. n. 27/94, reiterando le richieste di rinnovo delle concessioni rilasciate ai sensi del D.L. 26.10.1970, n. 1034, nonché delle autorizzazioni emesse prima dell’entrata in vigore del precitato D.L. n. 745/1970, non sono tenute a considerare respinte le loro istanze.
In particolare, l’iter istruttorio relativo alle stesse, iniziato per quelle posizioni per le quali è stata completata la presentazione della prevista documentazione, potrà essere definito allorquando saranno stabilite le “zone territoriali comunali” di cui all’art. 22 della su indicata legge regionale, con il provvedimento che è stato di recente sottoposto al Consiglio Comunale.
Si precisa, peraltro, che non vengono considerate ad alcun effetto di legge e di procedimento le opposte dichiarazioni di parte, che tendono a ritenere accolte con il silenzio-assenso - non previsto dalle norme - le loro istanze >>.
In buona sostanza la tesi sostenuta dalla Società ricorrente trascura di considerare che l’insediamento di impianti del tipo considerato deve trovarsi sempre in piena sintonia con gli strumenti, generali e speciali, di pianificazione del territorio. Nel caso di specie l’Amministrazione comunale non potette addivenire al rinnovo espresso della concessione in precedenza rilasciata alla predetta Società in quanto - come su rilevato - era ormai imminente la delimitazione della “zone territoriali comunali”, onde era necessario, quantomeno, la previsione di adeguate misure di salvaguardia per non vanificare la destinazione delle varie zone, non solo sotto il profilo urbanistico, ma anche sotto quello di un razionale ed equilibrato sviluppo della rete commerciale e della sicurezza degli impianti.
Ed è proprio la considerazione di siffatte esigenze che portarono la predetta Amministrazione (prima ancora che si compisse il periodo annuale, al quale, poi, la L.R. citata avrebbe ricollegato il significato di rigetto dell’istanza datata 18.10.1994), facendo rigorosa applicazione del citato art. 80, comma 2, della Legge Regionale n. 27 del 29.6.1994, ad emanare l’Ordinanza sindacale n. 00158 Dir P.A. del 6.3.1995 con cui si ordinava alla concessionaria interessata di << eliminare l’impianto di cui trattasi entro e non oltre due anni, decorrenti dalla ricezione della presente ordinanza, per evitare che sia irrogata la revoca di cui all’art. 31 comma 1), lett. “g” ed all’art. 38 della Legge Regionale su indicata, perché, allo stato, in rapporto alla sua ubicazione nonché alla sua posizione planimetrica e/o ambientale come sopra indicato, risulta incompatibile con il territorio >>.
Pertanto, una volta preso atto per il tramite della citata ordinanza, che, allo stato, l’adozione di un provvedimento di rigetto dell’istanza di rinnovo della concessione era indispensabile al fine di adeguare la localizzazione degli impianti preesistenti all’imminente entrata in vigore dei nuovi piani (onde non vanificare la compatibilità dell’intervento con la normativa di attuale riferimento), perde ogni pratico rilievo quanto argomentato nella terza censura secondo cui il predetto provvedimento contrasterebbe con precedenti provvedimenti della medesima Amministrazione che, invece - a detta della ricorrente - comproverebbero la buona gestione, il possesso dei requisiti da parte del concessionario, addirittura in presenza di modifiche autorizzate per rendere i servizi in parola più funzionali alla collettività ed in assenza di qualsivoglia atto di diffida da parte dell’Autorità.
A tal punto il Collegio ritiene opportuno affrontare la questione di costituzionalità degli artt. 37, n. 4 ed 80 n. 8 della L.R. Campania n. 27 del 1994 per contrasto con gli artt. 117, 119, 41, 39 e 97 Cost.
La questione è manifestamente infondata e ciò nonostante i dubbi ed i sospetti che da sempre aleggiano intorno alle cc.dd. leggi-provvedimento, ma che restano agevolmente fugati sol che si rifletta sulla constatazione che non è seriamente sostenibile la sussistenza di una “riserva di amministrazione”, e nonostante non sia un mistero che (a differenza di quanto avviene per il diverso e, per certi versi, opposto istituto del silenzio-assenso), legittimi dubbi di costituzionalità potrebbero porsi, per il contrasto con i principi del “giusto procedimento” cui si ispira la legge 7.8.1990, n. 241 (che, a detta di autorevole dottrina, avrebbe una sostanza costituzionale), rispetto a qualsivoglia ipotesi legislativamente introdotta di silenzio-rigetto (è questa la medesima ratio alla base del generale rifiuto anche da parte del Legislatore della c.d. “edilizia silenziosa”).
Tuttavia i riferiti dubbia restanto fugati qualora la scelta del Legislatore si ispiri a criteri di ragionevolezza nel senso che non crei ingiuste discriminazioni tra classi di soggetti e non faccia rimpiangere l’elevato tasso di generalità e l’astrattezza che, in genere, la legge assicura.
Nella fattispecie un pericolo del genere, indubbiamente non sussiste in quanto il silenzio-rigetto è stato configurato dal Legislatore regionale proprio in attesa di consentire la piena ed incondizionata esplicazione, specie sul piano temporale, dei piani generali e speciali, destinati a privilegiare determinati interessi pubblici (rispetto ad altri interessi, pubblici o privati), senza giungere a pregiudicare irreversibilmente le situazioni dei privati tutelate sul piano sostanziale.
Ed invero, un siffatto regime normativo, lungi dal presentarsi in contrasto con l’art. 117 Cost. per mancata osservanza dei principi sanciti nelle leggi fondamentali dello Stato (prima fra tutte la legge 7.8.1990, n. 241 come vorrebbe la ricorrente), nonostante la semplificazione procedimentale (del resto prevista anche dalla citata legge n. 241), si inquadra pursempre nel quadro della legislazione concorrente ed appare indubbiamente ispirato (piuttosto che ad un definitivo diniego del bene richiesto dall’istante), a criteri di ragionevolezza e bilanciamento degli interessi, volto com’è a predisporre, in buona sostanza, nient’altro che una misura di salvaguardia, dettata da motivi contingenti e cautelari, attesa la complessità dell’istruttoria da espletarsi nell’ambito di tempi amministrativi obbligati, per evitare che, nelle more dell’entrata in vigore di strumenti pianificatori in itinere, si verifichi una generale ed irreversibile compromissione del territorio.
Ed indiretta conferma di una tale ratio assolta dall’art. 37 n. 4 e dell’art. 80 n. 8 della L.R. Campania n. 27/994 può trarsi dall’affermazione comunale che considera le istanze di rinnovo delle concessioni << né accolte né respinte >>.
Quanto al contrasto della normativa sospetta di incostituzionalità con l’art. 118 Cost. che, in forza del principio di sussidiarietà, ormai costituzionalizzato nel n.s. ordinamento, prevede la concentrazione dell’intero universo delle funzioni amministrative in capo all’Ente locale, v’è da rilevare che, a prescindere dall’argomento per il quale la Corte Costituzionale a più riprese ha ritenuto legittimo il ricorso a leggi-provvedimento (esprimendo forti dubbi sull’esistenza di una riserva di amministrazione), v’è il dato decisivo che il principio di sussidiarietà, introdotto dalle recenti riforme ordinarie e costituzionali e dalla ricorrente invocato va contemperato o, se si vuole, corretto con gli altrettanti principi di adeguatezza e proporzionalità. In forza di siffatti principi è legittima la sostituzione dell’Ente di livello superiore per assicurare che lo svolgimento di funzioni amministrativi si svincoli dal particolarismo locale e venga elevato al livello istituzionale più adeguato alla cura degli interessi pubblici implicati.
Nel caso di specie è indubbio che la Regione, quale Ente sovraordinato, in forza del potere di controllo e di vigilanza che indubbiamente le compete sul territorio, meglio sembra in grado di garantire in maniera omogenea in tutto l’ambito regionale gli obiettivi di corretta pianificazione di tutte le attività che insistono sul suo territorio.
Da quanto si è andato esponendo ne deriva che il rinnovo delle concessioni può disporsi soltanto con provvedimento espresso, emanato all’esito di un procedimento nel cui ambito si sia avuta un’approfondita istruttoria da cui sia emerso inequivocabilmente l’assenza di qualsivoglia ragione ostativa al rinnovo delle concessioni.
Nella quarta censura la ricorrente, allo scopo di dimostrare l’esistenza di un tacito assenso all’istanza di rinnovo, si richiama alle ipotesi di revoca della concessione previste dall’art. 80, comma 2, L.R. 29.6.1994, n. 27 alla stregua del quale: << Il Comune competente per territorio, entro 6 mesi dall’entrata in vigore della presente legge, ordina al concessionario interessato di eliminare l’impianto entro e non oltre due anni, decorrenti dall’adozione del relativo provvedimento, per evitare che sia irrogata la revoca di cui all’art. 31, comma 1, lettera “g” (<< Se vi è incompatibilità fra ambiente e territorio di cui all’art. 19, qualora il concessionario non effettui il trasferimento dell’impianto nel termine di cui al comma 2 dell’art. 80 >>) >>.
A sua volta l’art. 19 citato, nel fornire la definizione di “incompatibilità fra impianto e territorio”, prevede le seguenti ipotesi:
<< a) l’arresto e la deviazione della linea di flusso del traffico veicolare in conseguenza dell’effettuazione del rifornimento di carburanti;
b) la presenza nel tratto di strada prospiciente l’impianto di un semaforo, di un incrocio, di una curva o di un dosso;
c) L’impedimento totale o parziale di visuale riguardo ai beni di interesse storico, architettonico ed ambientale, a causa delle strutture dell’impianto >>.
Senonchè il termine biennale entro il quale deve procedersi allo smantellamento dell’impianto deve considerarsi previsto dal citato art. 80 esclusivamente per tale ultimo, specifico ed esplicito effetto e non anche per ogni altro effetto, essendo quanto mai evidente come da esso non possa desumersi il generico effetto di una implicita e tacita rinnovazione della concessione per la quale si è visto necessitare - giusta l’art. 27, punto 4 della L.R. n. 27/94, letto a contrario - un espresso provvedimento di accoglimento dell’istanza.
Senz’altro inammissibile si presenta la settima censura con la quale la ricorrente deduce la violazione dell’art. 6 del D.P.C.M. del 1989, atteso il rispetto dei limiti previsti da siffatto Decreto per l’insediamento di impianti di distribuzione automatica di carburanti per autotrazione. E ciò in quanto il richiamo a siffatti limiti si presenta ultroneo ed inconferente in quanto il loro superamento non è posto dall’Amministrazione comunale a fondamento dell’avversato provvedimento di diniego.
Infondata si rivela anche l’ottava censura nella quale il silenzio-rigetto viene interpretato quale revoca della concessione, in precedenza assentita per silentium. La tesi prospettata si rivela doppiamente erronea; primo perché parte dall’erroneo presupposto della previa formazione di un silenzio-assenso e, secondo, perché qualifica, con evidente stravolgimento della voluntas legis, il decorso del periodo annuale dalla presentazione dell’istanza (non correttamente quale legittimo atto di primo grado, ma) quale provvedimento di revoca tacita della concessione previamente assentita.
La ritenuta manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente relativamente al provvedimento di tacito rigetto dell’istanza di rinnovo delle concessioni in parola trae seco anche l’infondatezza della sesta censura nella quale la ricorrente lamenta l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, comunicazione evidentemente incompatibile con il regime di semplificazione procedimentale a ragione introdotto dal Legislatore regionale.
Con la nona censura di violazione dell’allegato “lettera B” alla Legge Regionale la ricorrente si duole per l’inopportunità di privare un quartiere della città di Napoli di un ulteriore impianto di distribuzione automatica di carburante per autotrazione, per tal guisa alterando il razionale ed equilibrato sviluppo della rete di distribuzione che prevederebbe 349 impianti del tipo su indicato dislocati sull’intero territorio comunale.
La censura è inammissibile in quanto appare quanto mai evidente come per il suo tramite la ricorrente finisca con il sostituirsi arbitrariamente all’Amministrazione competente in valutazioni che sono di esclusiva spettanza di quest’ultima, sindacandone nel merito le scelte discrezionali.
Conclusivamente, preso atto che la resistente Amministrazione comunale legittimamente ritenendo l’insussistenza dei presupposti, di fatto e di diritto, per farsi luogo al rinnovo esplicito della concessione, in precedenza rilasciata all’istante altrettanto legittimamente si era astenuta per un anno dalla presentazione dell’istanza, da qualsiasi decisione, la pretesa della ricorrente si presenta infondata e, pertanto, il proposto gravame va respinto.
Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti le spese giudiziali.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe (n. 158/96 R.G.) proposto dalla “Fina Italiana S.p.a.”, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio del 12 maggio 2005.

GIOVANNI de LEO Presidente
VINCENZO CERNESE Primo Referendario Estensore

Menu

Contenuti