INDAGINE CONOSCITIVA SUI PROVVEDIMENTI IN ITINERE DI ATTUAZIONE E DI REVISIONE DELLA PARTE SECONDA DELLA COSTITUZIONE

AUDIZIONE

I Commissione Affari costituzionali
Senato della Repubblica


Roma, 6 novembre 2003

LE AUTONOMIE FUNZIONALI
E LA RIFORMA COSTITUZIONALE

1. Premessa
Il disegno di legge di modifica della Costituzione segna passaggi di grande importanza e innovazione, sui quali le Camere di commercio esprimono una valutazione positiva, condividendone obiettivi e finalità; il testo risponde infatti alle esigenze di riforma che da più parti si manifestano e intende fare chiarezza su molti e rilevanti aspetti.
Questo passaggio riformatore è molto importante anche per le imprese, un sistema di 5.880.000 realtà che nel percorso di riforme costituzionali ripongono molte aspettative.
Si tratta in particolare di aspettative legate ad esigenze di:
- certezza e stabilità del quadro normativo;
- funzionalità e rapidità nelle decisioni pubbliche;
- una più chiara responsabilizzazione sulle spese, attraverso il federalismo fiscale, dei centri decisionali;
- un sistema amministrativo – dal punto di vista delle istituzioni e delle procedure – non frammentario ma uniforme su tutto il territorio nazionale. A questo proposito, si consideri che lo studio dei processi di localizzazione e delocalizzazione delle imprese, ed in particolare l’osservazione della distribuzione territoriale delle unità locali, consente di evidenziare sempre di più quanto le articolazioni operative delle imprese si trovino al di fuori delle province e delle regioni, dove sono allocati i loro centri decisionali;
- una riduzione dei costi di funzionamento della pubblica amministrazione per le imprese. Su questo piano, infatti, nonostante una contrazione di circa 2 milioni di euro che si sarebbe registrata tra il 1996 ed il 2000, nel 2000 gli oneri amministrativi sono costati alle imprese oltre 9,6 milioni di euro (dati Istat/Unioncamere).

In questa sede, intendiamo soffermarci in particolare sulle questioni che più ci riguardano, in particolare quelle inerenti le autonomie funzionali.


2. Le autonomie funzionali
Le Camere di commercio sono autonomie funzionali (al pari, tra l’altro, delle Università), cioè istituzioni autonome, rappresentative non della generalità dei soggetti di un territorio, ma di settori particolari e di specifiche popolazioni (quale la comunità delle imprese).
Tali enti sono chiamati ad esercitare, in regime di autonomia, funzioni importanti per le comunità parziali che ne costituiscono il substrato sociale. Essi, inoltre, per tali comunità, costituiscono le istituzioni “più vicine”. Le competenze loro attribuite rappresentano, quindi, piena attuazione del principio di sussidiarietà, nella sua declinazione orizzontale.
E’ con il decentramento amministrativo che le autonomie funzionali (Camere di Commercio, Università e autonomie scolastiche) ricevono un chiaro riconoscimento sul piano normativo, attraverso la legge “Bassanini”, che avvia il progetto di federalismo amministrativo a Costituzione invariata. E’ soprattutto con la recente legge La Loggia che si è segnato un importante riconoscimento per le autonomie funzionali.


3. La vicenda “storica” delle Camere di commercio
Per collocare adeguatamente le Camere di commercio all’interno del processo di riforma, nel quale si intendono rivalutare in chiave moderna le potenzialità del principio di sussidiarietà, è opportuno ripercorrerne in estrema sintesi la vicenda storica, nella quale si riflettono le grandi linee di tendenza che hanno caratterizzato l’evoluzione del nostro ordinamento.
E’ significativo ritornare alla legge n. 620 del 1862 che ricondusse le Camere di commercio nell’amministrazione statale segnando una frattura rispetto al periodo precedente, in cui erano espressione della libertà di associazione mercantile e quindi qualificabili come “confraternite dirette prevalentemente, anche se non esclusivamente, a tutelare gli interessi dei rispettivi aderenti”.
Ad una situazione caratterizzata da un’ampia autonomia di esercizio dell’attività, fondata su Statuti e consuetudini, la legge del 1862 sostituì un sistema diretto ad attribuire alle Camere un ruolo essenzialmente consultivo del governo.
Sul versante organizzativo, alla precedente autonomia fece seguito un regime sostanzialmente statalistico, caratterizzato dalla massima discrezionalità dell’amministrazione nella possibilità di fissare la sede, la circoscrizione di operatività, il finanziamento e lo scioglimento delle Camere. D’altro canto si mantenne la caratteristica di rappresentanza delle categorie produttive, così che iniziarono a convivere due elementi per diversi aspetti antitetici: quello originario per cui esse costituivano una realtà associativa e quello imposto dalle legge del 1862 che le configurava come una sorta di amministrazione collegata allo Stato.
In questa tensione si verificò, nello sviluppo successivo, da un lato il riaccendersi dello spirito associazionistico che portò alla costituzione, nel 1901 dell’Unione nazionale delle Camere di commercio, e dall’altro la decisa accentuazione del carattere di amministrazione collegata allo Stato. Nel periodo giolittiano, infatti, le Camere vennero qualificate come enti di diritto pubblico e nel periodo successivo tale tendenza si intensificò ulteriormente: la legge del 1926 le trasformò in Consigli provinciali dell’economia, soppresse i meccanismi elettorali e prepose i Prefetti ai consigli.
In seguito, le Camere di commercio vennero ricostituite reintroducendo il principio elettivo, ma la disciplina complessiva rimase bene descritta nel termine, coniato dalla dottrina, di “prefetture economiche”. Il presidente della Giunta, il principale organo di amministrazione delle Camere, era designato dal Ministro dell’industria e i membri della Giunta nominati dal Prefetto: le Camere rimasero quindi una sorta di “articolazione ministeriale sul territorio”.
Con il II decentramento, quello attuato con il d.P.R. n. 616/77, si incise fortemente sulle funzioni assolte dalle Camere e si segnò il momento di “massima decurtazione e di minima fortuna” del loro ruolo nel sistema. L’art.64 attribuì espressamente alle Regioni “le funzioni amministrative attualmente esercitate dalle Camere di Commercio nelle materie trasferite o delegate dal decreto”. Alle Camere rimasero quindi solo le cd. funzioni istituzionali e restanti funzioni amministrative. Esse finirono per trovarsi strette in una doppia morsa di dipendenze e controlli: quella ministeriale per un verso e quella regionale e degli enti locali per un altro. In conseguenza di tale congestione, in questo periodo si arrivò addirittura a ventilare la loro definitiva soppressione.
In realtà, proprio per effetto dello snellimento del 1977 si verificò invece un paradosso: in fondo il venir meno delle funzioni amministrative facilitò la possibilità di rivalutare il loro carattere associativo e privatistico; le funzioni rappresentative e promozionali che erano state alla base della loro nascita e sviluppo, rimasero immutate e costituirono così il presupposto di una nutrita serie di deleghe statali.
All’inizio degli anni ‘90, in un clima in cui si iniziano a respirare i primi cenni di una inversione di tendenza rispetto al periodo precedente, la legge di riforma n. 580 del 1993 ha ridato finalmente autonomia organizzativa alle Camere di commercio, ripristinando i Consigli camerali e rifondando sul carattere di autonomia funzionale la dimensione dell’autoamministrazione e quella dell’esercizio di importanti compiti di rilevo pubblico. La centralità del carattere dell’autoamministrazione si documenta anche nell’istituzione di un diritto annuale di prelievo che garantisce una fonte di autofinanziamento che ha fortificato i legami di mutualità fra le imprese e cementato il nesso con gli organi camerali.
La nuova clausola di attribuzione di funzioni prevista dalla legge del 1993, inoltre, ha comportato il conferimento alle Camere di commercio della generalità dei compiti di promozione e di supporto al sistema delle imprese, fatte salve quelle attribuite dalla Costituzione e dalle leggi dello stato alle amministrazioni statali e alle Regioni. La generalità di questa formula ha quindi fatto assumere alle Camere di commercio un ruolo centrale nell’amministrazione degli interessi delle imprese, sia rispetto all’amministrazione statale che a quella regionale.
Con la l. n. 59 del 1997 questo nuovo ruolo delle Camere di commercio è stato stabilizzato. L’art.1, comma 4, ha escluso infatti dal conferimento “i compiti esercitati localmente in regime di autonomia funzionale dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e dalle università degli studi”.
La stabilità di questo ruolo delle Camere di commercio deriva non solo dalla previsione di una riserva volta direttamente a salvaguardare le loro funzioni, ma anche e soprattutto dall’attuazione di una forma di decentramento che non è più (com’era invece nel d.lgs. 616/77, secondo la formula “una funzione, un solo livello di governo”) solo verso gli enti territoriali, ma che, in conformità del principio di sussidiarietà, è sia verso gli enti territoriali sia verso gli enti funzionali.
La sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2000, nel frattempo, è intervenuta a chiarire ulteriormente la natura delle Camere di commercio (come ente pubblico locale dotato di autonomia funzionale, di natura non strumentale, non riconducibile né all’amministrazione statale né a quella territoriale), affermando anche che le Camere di commercio entrano a pieno titolo, formandone parte integrante, “nel sistema dei poteri locali secondo lo schema dell’art.118 della Costituzione”.
Nel processo di attuazione del III decentramento, è poi importante ricordare che l’art. 6 ha ribadito il principio di “univocità dei trasferimenti” teso ad impedire allo Stato, alle sue amministrazioni od a enti pubblici nazionali, la ri-attribuzione di “funzioni e compiti trasferiti, delegati o comunque attribuiti alle Regioni, agli enti locali e alle autonomie funzionali”. Si è così fornito un criterio interpretativo che assicura l’unidirezionalità dei processi di trasferimento: dall’amministrazione statale verso l’ordinamento regionale e le autonomie funzionali, ma non viceversa.
Questo processo si è ulteriormente rafforzato con l’attribuzione del potere regolamentare per la disciplina delle funzioni attribuite, con la soppressione del potere di vigilanza del Ministro dell’industria sull’attività delle Camere di commercio e del potere di approvazione degli Statuti ad opera del Ministro dell’industria, e con la previsione che l’avvalimento delle Camere da parte del Ministero per l’attività produttive debba avvenire tramite convenzione. Inoltre alcune disposizioni dello stesso d.lgs. n. 112/98 hanno attribuito alle Camere un ruolo significativo nello sviluppo del territorio, per quanto riguarda lo sportello unico, le funzioni regionali di internazionalizzazione delle imprese. Infine la l. n. 140 del 1999 sui distretti industriali ha chiamato le Camere ad una precisa corresponsabilità con le amministrazioni territoriali, in primo luogo le Regioni.
Nel suo insieme questa evoluzione può essere valutata come frutto di un disegno diretto a potenziare il sistema locale anche attraverso una sua ridefinizione in chiave poli-autonomistica.
In questa novità risiede la grande differenza tra l’impianto del II decentramento, che mirava alla centralità degli enti territoriali quale dimensione politico istituzionale di governo degli interessi, e quello del III decentramento, diretto invece ad articolare il sistema attraverso una maggiore qualificazione “soggettiva” della formula dell’autonomia.

Le Camere di commercio rappresentano dunque un fenomeno di frontiera fra sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale e possono concorrere sia all’assegnazione di funzioni e compiti propri delle amministrazioni territoriali secondo il principio di sussidiarietà verticale, sia all’assegnazione di compiti e funzioni da sottrarre al sistema della amministrazioni centrali e periferiche, in applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale.


4. Il riconoscimento costituzionale delle autonomie funzionali
Sotto l'aspetto legislativo, dunque, la valorizzazione delle Camere di commercio ed il riconoscimento delle autonomie funzionali è stato avviato con la legge di riforma n.580/1993 sotto l’impulso del Governo Ciampi. Nelle sue dichiarazione programmatiche già si riconosceva “il ruolo delle Camere di commercio quale sistema di istituzioni autonome al servizio delle imprese proponendo per la composizione dei loro organi il criterio rappresentativo dei sistemi delle imprese locali.”
La legge n.59 sul decentramento amministrativo è stata importante, come detto sopra, per aver tenuto a battesimo - per la prima volta a livello di legislazione positiva - la categoria delle autonomie funzionali, individuate nelle Università e nelle Camere di commercio e anche per avere segnato il superamento di una visione dell'ordinamento centrata esclusivamente sugli enti territoriali, omogenei in quanto tutti legati al circuito della rappresentanza politico-partitica. La legge ha infatti precisato che il criterio della prossimità, in base al quale scegliere l’ente da preferire, sia da intendere non soltanto in senso territoriale, ma anche in senso funzionale: questo significa che, ad esempio, per gli imprenditori l’istituzione più "vicina" è la Camera di commercio, quale ente esponenziale della comunità parziale degli imprenditori.
Il rilievo attribuito alle autonomie funzionali è stato successivamente confermato anche nei lavori della Commissione Bicamerale chiamata a predisporre il progetto di riforma della parte seconda della Costituzione.
Difatti tanto il progetto iniziale della Commissione (relatore il Senatore D’Onofrio), che quello definitivo approvato nel novembre del 1997, con scelta fortemente innovativa rispetto alla disciplina costituzionale originaria, avevano previsto un espresso riconoscimento delle autonomie funzionali: «La legge garantisce le autonomie funzionali» fu la formula che avrebbe sancito l'ingresso delle autonomie funzionali nella nuova Carta costituzionale.
Invece, la riforma del titolo V definitivamente approvata (l.cost. n.3/2001) ha arrestato questo processo di progressivo riconoscimento delle autonomie funzionali, ed anzi ha perfino fatto un passo indietro.
Da un lato ha visto venire meno ogni riferimento alle autonomie funzionali, dall’altro ha anche segnato la scomparsa dall’articolo 118 della categoria degli “altri enti locali” in cui le Camere di commercio erano decisamente ricomprese. E ciò è accaduto nonostante che il testo unificato della Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati riprendesse il tema - poi ingiustamente “caduto” - della garanzia delle autonomie funzionali, prevedendo all’art. 114 che «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province o Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. La legge garantisce le autonomie funzionali».
Oltretutto, la posizione delle istituzioni camerali nel quadro costituzionale è stata chiaramente delineata, come già detto, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2000: tale intervento è stato particolarmente importante perché in un certo senso ha “scolpito” il ruolo delle Camere di commercio al suo livello più alto, sia pure con riferimento al precedente testo del titolo V.
Il nuovo titolo V ha segnato dunque un ripensamento in un percorso di arricchimento del pluralismo istituzionale del nostro ordinamento:
- le istituzioni territoriali sono state viste come l’unica possibile modalità di governo, grazie ad una ricollocazione dei poteri che ha coinvolto soltanto le istituzioni espressione di comunità generali territoriali, ed ha tralasciato le altre realtà;
- vi è stata anche un’inversione di tendenza rispetto ai principali paesi europei, anche ad ordinamento federale e regionale (come Germania, Spagna, Austria), in cui vi è un chiaro ruolo delle Camere di commercio in una logica di sussidiarietà con le istituzioni nazionali e locali. In questa prospettiva, il Presidente della Commissione europea Prodi ha sottolineato in alcune occasioni l’importanza della rete delle Camere di commercio nella costruzione europea. “In Europa, stiamo unificando i popoli, mantenendo le loro radici. E per mantenere la nazione, la regione, la città c’è bisogno delle Camere di commercio”, “una nuova ed importante dimensione di autonomia locale direttamente rappresentativa della realtà economica imprenditoriale operante sul territorio”.

Oggi, dopo che dalla definitiva approvazione della legge costituzionale sono passati due anni, il quadro non è ancora compiutamente definito: con una “riforma della riforma”, quale quella varata dal Consiglio dei Ministri dell’aprile scorso e oggi accantonata e sostituita dall’attuale proposta di riforma in discussione (AS 2544), i problemi interpretativi sono tuttora aperti ma potrebbero trovare qui soluzione.
D’altro canto, si è anche constatato che l’esigenza di un recupero delle autonomie funzionali appare sempre più condivisa: a livello politico e nel mondo imprenditoriale. In questo modo si è espresso anche il Presidente del Consiglio Berlusconi, nel dicembre 2001, augurando che il testo del disegno di legge costituzionale sulla devolution “possa tenere conto anche delle autonomie funzionali cui le Camere di commercio appartengono”.
Anche il Presidente del Senato, Marcello Pera, nel maggio 2003 ha sottolineato l’importanza dell’inserimento del ruolo delle Camere di commercio nella Costituzione. Il loro ruolo è già implicito ma sarebbe auspicabile che “venga reso e mantenuto esplicito nella nuova integrazione della Carta costituzionale. Tale ruolo deriva dalla combinazione del principio della sussidiarietà da un lato, e di quello del decentramento dall’altro”.
Anche il Presidente della Camera dei Deputati Pierferdinando Casini condivide che “sancire il ruolo delle autonomie funzionali a livello costituzionale sarà un modo concreto di porre le premesse per un loro coerente e solido sviluppo”.

La recente legge 5 giugno 2003, n. 131, infine, proprio sulla base di queste impostazioni, e correttamente applicando il testo costituzionale, riconosce espressamente “le attribuzioni degli enti di autonomia funzionale” come quelle che devono essere garantite nell’ambito della nuova disciplina degli enti locali alla cui definizione è delegato il Governo per renderla adeguata ai nuovi principi costituzionali; nonché ai fini del conferimento di nuove funzioni e compiti, nell’ambito della politica di decentramento.


5. Le nostre proposte
In questo scenario di riforme è fondamentale che ci siano specifiche norme di riconoscimento costituzionale per le autonomie funzionali per ripristinare la continuità interrotta, dare alla democrazia economica uno specifico ancoraggio in Costituzione e valorizzare il principio del pluralismo delle istituzioni.
Alcune soluzioni che condividiamo sono già emerse nel corso del dibattito di questi mesi.

a) Innanzitutto, la prima proposta è quella esplicitamente sancita nel disegno di legge costituzionale, varato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 11 aprile e trasmesso poi alla Conferenza Stato – Regioni. In questo provvedimento si prevedeva una nuova ripartizione delle materie di cui all’art. 117 ed un inserimento tra quelle di competenza dello Stato “dell’ordinamento generale degli enti di autonomia funzionale”. Sarebbe dunque opportuno, in occasione dell’attuale percorso di riforma costituzionale, recepire tale orientamento.

La proposta:
Al comma 2 dell’articolo 117 della Costituzione dopo la lettera p) è aggiuntala seguente:
“lett p bis) l’ordinamento generale degli enti di autonomia funzionale”.

b) Una seconda proposta, è tracciata sulla base di quella già emersa nel corso dei lavori della Commissione bicamerale, e confermata nel corso dell’esame del disegno di legge presentato successivamente, che dotava di espresso riconoscimento le autonomie funzionali.

La proposta:
Al comma 4 dell’art. 118, sono aggiunte, alla fine, le seguenti parole:
“Sulla base dello stesso principio, lo Stato, le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni riconoscono e garantiscono le autonomie funzionali”.
Ovvero:
“La legge riconosce le autonomie funzionali”

c) Infine, una ulteriore terza proposta riguarda il tema del Senato federale della Repubblica. Se si ritenesse opportuno che il Senato debba essere un organo rappresentativo del sistema complesso delle autonomie del nostro Paese, sarebbe essenziale in questo caso ricomprendere le autonomie funzionali, espressione in modo diretto di realtà della società economica e civile.

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