Combattere l’inflazione normativa è, come sottolineato in precedenza, un obiettivo perseguito e realizzato in molte Regioni. In molti casi, l’eliminazione delle numerose leggi inutili si accompagna anche all’utilizzazione di ulteriori strumenti diretti a bloccare il ricorso all’emanazione di altrettanti atti difficili da applicare. Molto spesso, infatti, l’adozione di un atto legislativo può “rimanere orfano di ricadute applicative”: a volte, perché sono insufficienti strutture, mezzi e personale che dovrebbero materialmente dare esecuzione alla legge; a volte perché il provvedimento è privo di consenso dei destinatari; altre volte perché è privo di copertura finanziaria; altre, infine, perché a causa della sua formulazione, l’atto legislativo si risolve in una mera enunciazione di principi che richiedono ulteriori precisazioni normative che arrivano tardi o, in alcuni casi, non saranno mai emanate. Nasce da ciò l’importanza di far precedere il varo di ogni nuovo atto normativo dalla sua “analisi di fattibilità”, strumento idoneo a valutare preventivamente la possibilità di realizzazione concreta degli obiettivi ad esso connessi. A tal fine chi redige un testo normativo dovrebbe simulare preventivamente gli effetti che da esso deriveranno, accettando anche di modificare indirizzi e soluzioni se, in ipotesi, venisse fuori la “non fattibilità” degli stessi. Questa tecnica non è, però, particolarmente amata dai politici, spesso pronti a sbandierare efficienza e facile soluzione ai problemi. In altri termini sarebbe come riconoscere – così si legge testualmente in una Nota elaborata nell’ambito del progetto CAPIRE - “l’esistenza dell’incertezza rispetto alla concreta attuazione della politica e delle sua efficacia” (1). Come sottolineato in premessa, in un primo momento, nonostante al tema della fattibilità delle leggi venisse data grande rilevanza a livello teorico sia nel Rapporto Giannini che nella Relazione Barettoni Arleri da esso originata, il problema delle ricadute applicative delle leggi è stato in pratica poco affrontato e solo di recente, almeno in alcune Regioni, si manifestano timidi tentativi non solo verso l’analisi preventiva di fattibilità di una legge ma anche verso la previsione di strumenti che, successivamente, permettono di indagare sull’attuazione degli interventi al fine di correggere distorsioni e carenze.
Quanto più in particolare alle esperienze di valutazione ex ante - in alcuni casi risalenti già agli anni novanta (esempio Toscana) – queste si risolvono nella predisposizione di schede preliminari di fattibilità, elaborate dagli uffici, a volte istituiti ad hoc e variamente denominati, di assistenza ai lavori delle commissioni consiliari. In alcuni casi le schede sono integrate, ad opera degli stessi servizi, dall’elaborazione di dossier e quaderni di documentazione completi di dati e di altri materiali utili ai fini dell’istruttoria in commissione. Inoltre, possono riguardare non solo progetti di legge ma anche atti amministrativi di grande rilevanza (esempio Lombardia). In quasi tutte le leggi regionali di contabilità (esempio l.r. Marche n. 31 del 2001 e l.r. Veneto n. 39 dello stesso anno) è previsto che tutti i progetti di legge siano corredati da una scheda di analisi economico-finanziaria, alla quale di norma è allegata l’analisi di compatibilità del progetto di legge sia con il quadro del decentramento, sia con il quadro costituzionale.
La scelta su cui effettuare l’analisi di fattibilità si manifesta in modo marcato per quei progetti di legge che disegnano politiche complesse e che presuppongono azioni difficili da gestire, ad esempio perché prevedono il coinvolgimento di più soggetti istituzionali. L’analisi di fattibilità non è, dunque, generalizzata come sarebbe auspicabile; in parte, per la scarsa collaborazione degli uffici della Giunta che spesso non forniscono i dati necessari; in parte, per problemi di organizzazione degli uffici preposti alla fattibilità, spesso dotati di funzionari con preparazione esclusivamente giuridica, mentre la fattibilità presuppone per definizione anche ulteriori conoscenze (ad esempio, economiche, statistiche e sociologiche); in parte, infine, perchè i tempi di elaborazione dell’analisi in esame non sono in stretta relazione con i tempi della politica, considerando che spesso i testi legislativi approvati sono frutto di emendamenti che possono stravolgere completamente il testo iniziale sottoposto ad analisi di fattibilità.
Nelle Regioni, infine, stentano a decollare analisi strutturate in modo analogo all’analisi di impatto della regolamentazione (AIR), che dovrebbe privilegiare la produzione normativa concernente politiche regolative. Al di là di alcune esperienze (esempio Basilicata, Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Toscana), le grandi enfasi manifestate a livello nazionale per questo tipo di analisi - a partire dalla sua introduzione ad opera della legge n.50 del 1999 - non sono riscontrabili a livello regionale. Anche per questo tipo di analisi, l’incremento di tale attività è connesso a problemi organizzativi. Si tratta, infatti, di organizzare le strutture in modo da essere preparati non solo al miglior utilizzo delle relazioni AIR provenienti dalla Giunta, ma anche di elaborare quelle relativi a disegni di legge del Consiglio che in alcune Regioni, in modo più marcato, hanno incominciato a subire un notevole incremento. Per agevolare questi nuovi bisogni, in molte Regioni, l’attività di formazione del personale degli ultimi anni è dedicata a questi temi.
Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, accanto allo strumento di valutazione ex ante sembra prendere vigore un tipo di valutazione successiva all’emanazione degli atti legislativi. Si tratta, in particolare, di prevedere meccanismi che possano far valutare gli effetti prodotti sui destinatari delle disposizioni introdotte. In altre parole, si tratta di individuare strumenti, tempi e modalità di controllo dell’attività e della valutazione dell’efficacia di un intervento normativo. Sicuramente questa esigenza nasce dal voler “rafforzare” il ruolo di controllo del Consiglio sull’azione di governo della Giunta che ha visto potenziare i suoi poteri anche a seguito dell’elezione diretta del suo presidente. Una risposta a tale esigenza è la nascita, nel 2002, del progetto CAPIRE (Controllo delle assemblee sulle Politiche e gli Interventi regionali) per iniziativa di quattro Consigli regionali (Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Toscana), con appunto l’obiettivo di far crescere la funzione di controllo delle Assemblee regionali e di dotarle di strumenti statutari, legislativi e organizzativi idonei a realizzarla. La funzione in esame, che non deve essere ispettiva e sanzionatoria, vuole innescare meccanismi di collaborazione con i governi regionali al fine di un efficace funzionamento della Regione nel suo complesso e di una migliore soddisfazione dei cittadini beneficiari degli interventi legislativi.
Le Regioni, già da tempo, prevedono, soprattutto nelle leggi che attuano politiche complesse, “formule” per consentire il controllo e il monitoraggio degli effetti da esse prodotti. Molto spesso si tratta di relazioni che la Giunta deve presentare al Consiglio, contenenti informazioni sullo stato di attuazione degli interventi. In modo marcato in alcune Regioni, nel corso della legislatura appena passata, ne sono state presentate un numero elevato. Rispettivamente 96 e 43 in Veneto e in Lombardia. Spesso, molte di queste leggi istituiscono organismi (comitati, conferenze, nonché osservatori) con finalità di monitoraggio e, a volte, anche di vigilanza sull’applicazione degli interventi. Ma una relazione al Consiglio non basta, spesso le formule in essa usate sono molto generiche e vaghe, poco utili, dunque, ai fini dell’instaurazione di un serio processo conoscitivo e, dunque, come evidenziato da alcune Regioni (esempio Friuli Venezia Giulia) poco utilizzabili ai fini di una effettiva e successiva verifica. Questo ruolo potrebbe, invece, essere sicuramente giocato dall’inserimento di vere e proprie clausole valutative - meccanismo legislativo innovativo “importato” dal sistema americano ma ancora poco diffuso in Italia - almeno nei casi in cui il controllo dei legislatori risulti necessario. Sicuramente dovrebbero essere previste nei casi in cui l’intervento legislativo comporti l’impegno di ingenti risorse finanziarie e che, pertanto, implichino un futuro controllo sul loro utilizzo da parte dei soggetti attuatori. Come si legge in un’altra Nota del progetto CAPIRE, “la condizione necessaria (anche se non sufficiente) affinché le clausole valutative siano prese sul serio è che siano scritte con la chiara volontà di innescare un reale processo informativo. E non soltanto l’ennesima produzione di documenti che nessuno legge” (2). E’ chiaro che per realizzare tale obiettivo la clausola dovrebbe, pertanto: definire gli obiettivi conoscitivi prefissati dal Consiglio; individuare i soggetti che dovranno fornire le informazioni; definire tempi e modalità previsti per l’elaborazione e la trasmissione dei dati e delle informazioni richieste; prevedere impegni finanziari “dedicati” allo svolgimento delle attività di controllo.
Solo di recente si registrano alcuni timidi tentativi nel senso di prevedere, in alcune leggi regionali più rilevanti (in particolare, Emilia-Romagna e Piemonte), norme specifiche contenenti una clausola valutativa. Per indicare solo un esempio recente, nella legge della Regione Basilicata sull’agriturismo (l.r. n.17 del 2005) è stata introdotta una clausola valutativa (art. 30) che si sostanzia nella determinazione di una costante vigilanza sul buon andamento del provvedimento e, dunque, sulla valutazione del conseguimento delle finalità che lo hanno originato.
In alcune Regioni (esempio Piemonte) per le relazioni sullo stato di attuazione delle leggi vengono elaborate apposite griglie di lettura dalle quali si rileva: l’oggetto della relazione, la normativa di riferimento, il periodo considerato, le previsioni normative a confronto con i contenuti della relazione, la lettura finanziaria e i dati analitici. Anche in Lombardia, dove ormai è a regime la sperimentazione di una pluralità di metodologie per la costruzione di rapporti di analisi ex post delle politiche, si realizzano numerose e diversificate pubblicazioni quali Report di analisi ex post, Rapporti di monitoraggio, Schede per la redazione di rapporti sull’attuazione di leggi vigenti e clausole valutative con i relativi documenti accompagnatori. In Toscana, infine, vengono elaborate due raccolte e pubblicate separatamente concernenti, rispettivamente, le clausole e le ricerche valutative, entrambe tendenti a evidenziare le modalità di attuazione della normativa di riferimento e gli effetti prodotti dalla stessa sui destinatari.
Non mancano, infine, casi in cui il Consiglio non ha ancora realizzato analisi dell’attuazione della legislazione e dei suoi effetti (esempio Valle d’Aosta), in quanto le limitate dimensioni e il numero esiguo di abitanti della Regione, permettono, comunque, di mantenere un rapporto più immediato cittadini-istituzioni. L’analisi delle politiche è, pertanto, determinata direttamente dalle “reazioni” originate, di volta in volta, dai provvedimenti. Dunque, sono gli stessi destinatari delle leggi regionali a rappresentare agli amministratori regionali - a volte anche tramite i rispettivi amministratori locali, a volte tramite gruppi di pressione - le modificazioni da apportare alla legislazione laddove l’attuazione o gli effetti di questa si siano rivelati carenti o insoddisfacenti.

(1) Cfr. Nota per CAPIRe n. 7, Valutazione (delle politiche) e (valutazione) politica: possono coesistere in un’assemblea elettiva), novembre 2004, in www.capire.org

(2) Cfr. Nota per CAPIRe n. 3, Le clausole valutative. Ovvero come “seminare” il controllo durante la redazione di una legge e “raccogliere i frutti” dopo la sua approvazione, aprile 2003, in www.capire.org

TRATTO DA

Rapporto sulla legislazione regionale 2004-2005

1. RIORDINO NORMATIVO E QUALITA' DELLA LEGISLAZIONE: ESPERIENZE REGIONALI A CONFRONTO (Aida Giulia Arabia)

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