I dati raccolti mediante l’invio di questionari, da parte del Servizio studi della Camera dei deputati, alle regioni e alle province autonome evidenziano un forte interesse da parte di queste ultime rispetto alla materia comunitaria. Il periodo di riferimento dell’indagine ha contribuito sicuramente a rendere soddisfacenti i risultati. Nel 2000 e nel 2001, infatti, nell’ambito della politica di coesione economica e sociale, sono stati approvati dalla Commissione europea i programmi comunitari 2000-2006 (Programmi Operativi Regionali, Documenti unici di programmazione e i rispettivi Complementi di programmazione), i programmi settoriali, le iniziative comunitarie. E proprio in questa materia, le regioni si possono considerare partner attivi insieme allo Stato membro ed alla Commissione europea, partecipando alla predisposizione dei programmi comunitari finanziati con i fondi a finalità strutturale e avendo la responsabilità dell’attuazione degli stessi e, principalmente attraverso i Comitati di sorveglianza, della valutazione e del monitoraggio degli interventi.
Le informazioni fornite dalle regioni sono risultate non solo significative, quanto, in alcuni casi, più complete e dettagliate rispetto ai quesiti. Tuttavia, i contenuti delle risposte non sono stati quasi mai omogenei, creando difficoltà nell’individuazione di linee di tendenza generali rispetto ai singoli elementi esaminati. E’ stato possibile, invece, estrapolare informazioni simili tra gruppi di regioni. Questo può essere attribuito sia al fatto che le regioni non si trovano tutte nella stessa posizione rispetto alle decisioni assunte a livello comunitario, sia soprattutto alle differenti valutazioni in relazione alle varie forme di partecipazione (ad esempio l’ufficio di rappresentanza a Bruxelles è stato indicato sia come canale di informazione, sia come uno dei casi di maggiore integrazione tra politiche dell’Unione europea e politiche regionali). Le divergenze tra regioni non sembra si possano attribuire, se non in parte, a variazioni sulle scelte effettuate in quanto i margini di discrezionalità delle regioni stesse in questo ambito sono piuttosto limitati.
Le modalità di partecipazione delle regioni e delle province autonome alla fase ascendente ed a quella discendente del processo decisionale dell’Unione europea, seppure ancora piuttosto contenute, sono comunque aumentate nel corso degli anni. In Italia, alcune importanti innovazioni sono state introdotte con le leggi comunitarie. Con la legge comunitaria 1995-97 (L.n.128/98) è rimasta ferma la competenza delle regioni a statuto speciale di dare attuazione alle direttive comunitarie nelle materie di loro competenza esclusiva senza attendere l’approvazione della legge nazionale di recepimento. Il secondo comma dell’art.13 della stessa legge 128 ha, però, esteso questa competenza alle materie concorrenti, attribuendola anche alle regioni a statuto ordinario. Sempre ai sensi della legge 128 del 1998, le regioni devono indicare nelle leggi di recepimento il numero di ciascuna direttiva e comunicare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il numero e gli estremi di pubblicazione di ciascuna legge (comma 2 bis); mentre lo Stato, con legge comunitaria o altra legge, può fornire disposizioni di principio non derogabili, cui le leggi regionali di attuazione devono conformarsi (art.3). La legge comunitaria 1999 (L.n.526/99) ha previsto che il Governo, nell’ambito della relazione annuale da presentare al Parlamento sullo stato di attuazione della normativa comunitaria, dia anche conto della legislazione regionale attuativa di direttive comunitarie; mentre la legge comunitaria 2000 (L.n.422/00) ha reso obbligatorio per il governo la trasmissione alle regioni dei progetti di atti normativi e di indirizzo degli organi dell’Unione europea, con indicazione della data presunta della loro discussione e adozione, in modo che le regioni abbiano la possibilità di formulare osservazioni. Da precisare, tuttavia, che nelle materie in cui l’esercizio delle funzioni amministrative è trasferito alle regioni è, comunque, riservato allo Stato un potere sostitutivo nel caso in cui a causa dell’inattività degli organi regionali possa derivare un inadempimento delle disposizioni comunitarie. Si tratta, evidentemente, di atti di natura amministrativa in quanto l’inerzia delle regioni rispetto all’applicazione delle direttive (i regolamenti sono, invece, direttamente applicabili) non crea problemi perché in assenza di una legge regionale si fa riferimento alla legge statale di recepimento, anche per le disposizioni di dettaglio.
Relativamente alle altre forme di partecipazione, le regioni hanno evidenziato l’importante ruolo degli uffici di rappresentanza a Bruxelles, alcuni dei quali operano come semplici antenne d’informazione e di collegamento con le rispettive amministrazioni, mentre altri svolgono attività più complesse consistenti nel seguire le proposte e i programmi della Commissione, nel mantenere i contatti con i funzionari comunitari e i parlamentari europei, organizzando visite di responsabili politici e prestando servizi di consulenza al settore privato. Da sottolineare che, in Italia, solo intorno alla metà degli anni novanta (legge comunitaria n.52/96) è stata riconosciuta alle regioni e alle province autonome la facoltà di istituire “uffici di collegamento” a Bruxelles. Attualmente, l’Italia ha 17 uffici, oltre ad un’interessante Sede comune a Bruxelles costituita nel 1998 dalle regioni del centro Italia (Abruzzo, Lazio, Marche, Toscana e Umbria).
Dai risultati del questionario emerge, inoltre, che le regioni e gli enti locali sono presenti anche nell’ambito della Rappresentanza permanente presso l’Unione europea composta, principalmente, da personale diplomatico presso le istituzioni comunitarie degli Stati membri. Infatti, dal 1997, le regioni italiane e le due province autonome hanno la possibilità di inviare, a loro spese, 4 funzionari presso la Rappresentanza italiana permanente. La nomina spetta al Ministro degli esteri, ma la designazione è effettuata dalla Conferenza Stato-regioni (art.58 L. n. 52/96, modificata dalla L. n. 128/98), sede nella quale le regioni italiane hanno la possibilità di far valere i propri interessi per quanto riguarda l’attuazione di disposizioni comunitarie. Da evidenziare, a questo proposito, che in passato, le sessioni comunitarie della Conferenza sono state convocate poche volte (tre in sei anni), mentre a partire dal 1997 si sono succedute con una certa frequenza e, inoltre, le regioni sono state coinvolte, a livello nazionale, non solo per esprimere il parere sulle leggi comunitarie, ma anche per partecipare alla definizione della posizione negoziale italiana nei confronti di temi rilevanti da decidere in ambito comunitario. Ciò è avvenuto, ad esempio, per l’assunzione della posizione negoziale rispetto ad Agenda 2000. E’, inoltre, prevista una sessione speciale della Conferenza per la trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse regionale e provinciale. Anche il Comitato delle regioni (istituito con il Trattato di Maastricht del 1992), nonostante l’opzione italiana di una rappresentanza mista che contrasta con la richiesta dell’Unione europea (regioni-NUTS II), è ritenuto importante dalle regioni sia come canale informativo, sia come elemento di raccordo tra istituzioni comunitarie e quelle regionali. Tuttavia, la rappresentanza mista (24 rappresentanti dei tre livelli di decentramento) fa sì che solo 12 regioni abbiano un loro rappresentante nel Comitato. Da evidenziare che sono di nazionalità italiana, tra gli altri, uno dei vicepresidenti attualmente della regione Marche e il Segretario generale.
Per quanto riguarda i due organi regionali, la Giunta ha sicuramente un ruolo più rilevante rispetto al Consiglio per quel che concerne l’ambito comunitario per vari aspetti, tra cui la partecipazione agli organismi rappresentativi e il ruolo di referente della Commissione europea e dello Stato per quanto riguarda la predisposizione e l’attuazione dei programmi comunitari. Infatti, in genere, la Giunta regionale predispone una proposta relativa ad un programma comunitario ed è responsabile dell’attuazione dello stesso, mentre il Consiglio approva la proposta, anche con modificazioni. L’approvazione può essere effettuata anche attraverso una risoluzione in cui il Consiglio indica le linee direttive che la Giunta deve seguire nell’attività di partenariato con la Commissione europea e con lo Stato. Inoltre, il Consiglio regionale delibera le linee programmatiche e approva gli ordini del giorno in materia e si può riunire in specifiche sessioni per trattare le questioni comunitarie. In alcune regioni, presso il Consiglio sono state istituite delle Commissioni speciali per i rapporti comunitari con compiti di studio, di coordinamento, di proposta e di informazione relativamente alle iniziative comunitarie. Rispetto all’attività svolta in relazione alle questioni comunitarie, in genere, la Giunta presenta al Consiglio una relazione sullo stato di attuazione dei programmi cofinanziati e sugli interventi nelle sedi comunitarie e nazionali sia in forma periodica, sia in occasioni specifiche, come ad esempio la presentazione del bilancio di previsione. Il Presidente della Giunta o i singoli assessori, inoltre, informano il Consiglio in aula o nelle commissioni consiliari competenti. In alcuni casi, il Consiglio pone quesiti o presenta interrogazioni nell’ambito dell’attività di indirizzo politico.
D’altra parte, il ruolo della Giunta è rafforzato anche da alcune scelte, tra cui quella del governo centrale di inoltrare alla Giunta stessa e non al Consiglio, titolare del potere legislativo, i provvedimenti comunitari “in itinere” o quella delle regioni di affidare alle strutture interne alla Giunta competenze in merito all’applicazione della normativa comunitaria e alla verifica della compatibilità con quella regionale, nonché all’invio delle comunicazioni relative ai regimi di aiuto alla Commissione europea per la notifica.

Tratto da
Rapporto sulla legislazione 2001
2. FORMAZIONE E ATTUAZIONE DELLE POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA (Letizia R. Sciumbata)


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