Mai come in questi ultimi anni le Regioni sono state al centro di importanti riforme. Il primo pensiero va alla legge n. 59 del 1997 e ad una serie di decreti attuativi che segnano l’avvio di quel processo conosciuto come federalismo amministrativo a Costituzione invariata. Più in particolare, è a seguito dell’emanazione del d.lgs. n. 112 del 1998 che le Regioni, per la prima volta, sono considerate al centro della fase di un processo di riordino delle funzioni amministrative che - contrariamente a quanto avvenuto nelle prime due precedenti fasi del decentramento (1972 e 1977) - le ha coinvolte pienamente, almeno per le materie dell’art. 117 Cost. (nel testo prima della riforma costituzionale) e, forse, in modo più “impegnativo” che in passato, nella definizione organica delle competenze locali. Il secondo pensiero va alla legge costituzionale n. 1 del 1999, che interviene a modificare parzialmente la Costituzione ridisegnando profondamente la figura del Presidente della Regione, i ruoli della Giunta e del Consiglio regionale e l’assetto dei loro rapporti. Il terzo pensiero, infine, va alla legge costituzionale n. 3 del 2001 che riscrive il Titolo V della Costituzione ampliando i margini di manovra dei legislatori regionali, titolari, dopo la riforma, non solo di potestà legislativa concorrente ma, per tutto ciò che non è enumerato nell’art. 117 novellato, di potestà legislativa a carattere residuale, dunque, generale.
La produzione normativa regionale della VII legislatura regionale è, dunque, determinata dalle riforme costituzionali richiamate.
Per quanto riguarda la legislazione, a ridosso della riforma del Titolo V della Costituzione, alcuni primi commentatori ne avevano ipotizzato un incremento: sia di quella concorrente, perché soggetta solo ai principi fondamentali, sia di quella cd. residuale, perché esclusiva e generale. In termini assoluti, invece, è si registrata una costante diminuzione della fonte legislativa, con un “abbattimento” di 164 leggi dal 2000 al 2004. Il fenomeno, però, era iniziato già dal 1998 (tabella 1). Infatti, se si parte da quella data, si registra la diminuzione di 222 unità (tabella 1). Soprattutto in alcune Regioni la diminuzione è costante. In Abruzzo, ad esempio, fino al 2003 la produzione legislativa si riduce di 93 unità, per segnare un nuovo incremento nel 2004 (51 leggi totali contro le 28 del 2003). Il fenomeno della diminuzione della produzione legislativa non si spiega con l’incremento della produzione regolamentare, almeno nella Regione richiamata. Al decremento legislativo, infatti, non corrisponde un sostanziale aumento della fonte regolamentare (infra nel testo). Forse, la diminuzione del ricorso alla legge deve essere ricercata soprattutto nella difficoltà delle Regioni ad attuare una riforma costituzionale piena di contraddizioni, con materie concorrenti “condivise” con lo Stato - non solo per i principi fondamentali, ma spesso per “grandi pezzi” - e materie “residuali”, in massima parte “limitate” dalle competenze statali di tipo trasversale (ad esempio, tutela della concorrenza, libertà di impresa, determinazione dei livelli essenziali, tutela dell’ambiente). Ma la riduzione della produzione legislativa potrebbe essere ricercata anche nel ricorso sempre più costante a leggi di riordino settoriale o intersettoriale, in luogo di una molteplicità di leggine che, da sempre, sono state emanate in alcuni ordinamenti regionali, per disciplinare una sola materia. Queste conclusioni non valgono, però, in termini assoluti, visto che il fenomeno del ricorso a normative esaustive di settore si ritrova in modo marcato in alcune Regioni e per alcune materie. Potrebbero valere, ad esempio, per la Toscana che dal 1998 al 2003 ha ridotto di circa un terzo il numero delle leggi prodotte ed ha aumentato l’emanazione di leggi organiche. Ma non potrebbero valere, ad esempio, per l’Abruzzo che, rispetto alla drastica riduzione del numero delle leggi registra un numero limitato di leggi di riordino organico e un ricorso, come già evidenziato, ancor più limitato alle fonti secondarie. Esempi di leggi organiche si ritrovano anche in altri ordinamenti regionali dove, comunque, non si è verificato né un sostanziale abbattimento della produzione legislativa che, comunque, è da sempre stata molto contenuta, né un aumento di quella regolamentare. Il riferimento è, ad esempio, alle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Veneto.
I dati della produzione legislativa vanno, inoltre, rapportati alla legislazione cd. di manutenzione, vale a dire a tutti quegli interventi di modifica e di integrazione della legislazione vigente che permettono, appunto, un adeguamento della stessa alle riforme. Basti pensare che, su 2214 leggi totali (anni 2001-2004), 662 (il 29,9%) sono leggi di manutenzione (tabella 2 e grafico 1). Naturalmente alcune Regioni presentano valori più marcati (Toscana, Abruzzo, Liguria, Basilicata e Molise) ma il dato non è trascurabile nemmeno in quelle che presentano una percentuale inferiore. Si pensi, ad esempio, al Molise (29,3%), alle Marche (28,7%) e al Piemonte (25,7%). Naturalmente le leggi di manutenzione entrano nel computo della produzione legislativa, ma sostanzialmente, sono la “prosecuzione” della legge originaria. Le leggi di manutenzione possono essere, pertanto, soggette ad una doppia lettura. Nelle Regioni che intervengono con leggi di riordino a carattere generale sono “giustificate” per la necessità di adeguamento della legge alle riforme. Così ad esempio potrebbe giustificarsi il dato del 49% di leggi di manutenzione sul totale delle leggi della Toscana nei quattro anni di riferimento. Nelle Regioni, come l’Abruzzo, invece, che non è intervenuta in modo massiccio con provvedimenti organici, la percentuale del 40% (con addirittura il 47% del 2002) pesa di più rispetto ad altre Regioni in quanto sicuramente testimonia un modo di legiferare frazionato in tanti piccoli interventi, con il proliferare di leggi provvedimento, a danno della chiarezza del complesso normativo.
Inoltre, il dato complessivo può essere valutato anche rispetto al settore che maggiormente è stato disciplinato. Negli anni 2001 e 2003 ha fatto la parte del leone il settore dello sviluppo economico, negli anni 2002 e 2004 il settore dei servizi alla persona e alla comunità. Tuttavia, se si considerano congiuntamente le leggi di manutenzione e di finanza regionale, si nota che ammontano circa al 51% della legislazione nel suo complesso; restando, quindi, la legislazione di “aggiustamento” di leggi precedenti e la legislazione finanziaria, comunque superiore alla legislazione “nuova” dedicata alle discipline settoriali (tabella 3 e grafico 2).
La VII legislatura regionale è, inoltre, caratterizzata dalla riscoperta della fonte regolamentare, dovuta, in particolare, al concorso delle leggi costituzionali n. 1 del 1999 e n. 3 del 2001. Con la prima viene sottratto al Consiglio il privilegio del potere regolamentare, senza peraltro attribuirlo espressamente alla Giunta, e viene qualificata come “emanazione” e non più come “promulgazione” la potestà del presidente della Giunta su tali atti. Con la seconda viene ridotta la sfera di competenza materiale dello Stato e ampliata notevolmente l’azione regionale. In particolare, in base all’art. 117, sesto comma, Cost., il governo può adottare fonti secondarie solo nelle materie di propria competenza esclusiva, mentre alle Regioni è riconosciuta, oltre alla competenza sulle materie cd. residuali anche quella sulle materie concorrenti. Inoltre, è prevista anche l’ipotesi di regolamenti delegati dallo Stato su materie di esclusiva competenza legislativa di quest’ultimo.
La tesi dell’immediata titolarità del potere regolamentare alla Giunta era stata accolta, a ridosso della riforma costituzionale, da una parte della dottrina e da parte della giurisprudenza amministrativa, nonché dal Dipartimento per gli affari regionali e da alcune commissioni statali di controllo sugli atti amministrativi delle Regioni. In un primo momento anche dalla Corte costituzionale che, con ordinanza n. 87 del 2001, lasciava spazio a differenti valutazioni circa l’attribuzione del potere regolamentare, compreso il sostegno dell’immediata competenza giuntale. A superare dubbi e incertezze arriva, però, la sentenza n. 313 del 2003 del medesimo organo, che rimette definitivamente al legislatore statutario la scelta organizzativa circa la titolarità del potere regolamentare. Pertanto, in attesa dei “nuovi” Statuti, la Corte ritiene ancora vigente la distribuzione delle competenze normative stabilita nei testi ancora vigenti i quali, riproducendo il testo originario dell’art. 121 Cost., attribuivano la competenza regolamentare al Consiglio. Gli effetti della sentenza sono a tutti noti. Nel 2004 l’esercizio del potere regolamentare da parte delle Giunte, almeno in alcune Regioni, si è arrestato e i regolamenti emanati nell’anno, ad esclusione di quelli della Basilicata, Campania e Piemonte sono tutti del Consiglio regionale. Le Regioni Calabria, Lazio e Puglia hanno ripreso ad emanare regolamenti di Giunta dopo l’entrata in vigore dei nuovi Statuti.
Fino alla sentenza n. 313 del 2003 però anche le Regioni hanno interpretato l’art. 121 Cost. a favore dell’immediata attribuzione alle giunte della potestà regolamentare. In conseguenza di ciò è avvenuta rispetto al passato una rivalutazione della fonte in esame. I regolamenti dell’esecutivo, infatti, incominciano ad aumentare come dato complessivo, in modo più marcato, negli anni 2001, 2002 e 2003. Ammontano, rispettivamente, a 101, 107 e 152, con Regioni che registrano un aumento costante (tabella 4). Ad esempio in Lombardia si passa dai 9 del 2001 ai 14 del 2002, fino ad arrivare ai 23 del 2003. Il cambiamento di rotta è notevole se si pensa che in 15 anni (1971-1986) la stessa Regione aveva fatto ricorso alle fonti secondarie solo 39 volte. Accanto alla Lombardia, comunque, anche altre Regioni ordinarie hanno rivalutato la fonte in esame che, nel 2003, in alcuni casi è stata utilizzata dalle 11 alle 19 volte (in ordine crescente Basilicata, Umbria, Liguria, Piemonte, Toscana, Puglia e Campania).
I dati relativi al numero dei regolamenti adottati nei tre anni indicati mettono in evidenza che il 14% (2001), il 16% (2002) e circa il 23% (2003) della produzione normativa (leggi e regolamenti) delle Regioni ordinarie è avvenuta ad opera di regolamenti: a fronte di 615 leggi, nel 2001 sono stati emanati 101 regolamenti, così nel 2002 (563 leggi e 107 regolamenti) e nel 2003 (514 leggi e 152 regolamenti).
La situazione cambia nel 2004, anno che vede il Consiglio riappropriarsi del potere regolamentare. Sono tre le Regioni che in modo più marcato hanno fatto ricorso ai regolamenti (di Consiglio) nell’anno in esame e precisamente la Toscana con 16 regolamenti, la Regione Marche con 13 regolamenti e la Lombardia con 10 regolamenti. Nelle altre Regioni l’esercizio del potere si è pressoché bloccato e le restanti Regioni ordinarie ricorrono a tale fonte in modo limitato come in passato (dalle due alle quattro volte). Solo in Basilicata e in Piemonte la funzione non è ritornata al Consiglio e nel 2004 sono stati emanati, rispettivamente, 3 e 16 regolamenti di Giunta.
Il 2004 è anche l’anno dell’adeguamento degli ordinamenti regionali alla decisione della Corte costituzionale. Il problema, infatti, era quello di “sanare” i regolamenti di Giunta emanati dal 2000 al 2003, a rigore tutti illegittimi.
Parte della dottrina aveva in proposito ipotizzato la necessità dell’elaborazione di una norma statutaria per sanare gli atti di Giunta emanati nel periodo di vigenza dell’equivoco se non addirittura di anticiparla rispetto all’approvazione degli Statuti. Una soluzione tempestiva arriva, comunque, dalla Regione Liguria che, nel gennaio 2004, emana un regolamento (n. 1) di adeguamento dell’ordinamento regionale agli effetti della sentenza n. 313 della Corte costituzionale. Il Consiglio regionale con l’atto in oggetto convalida, infatti, i 20 regolamenti emanati dalla Giunta dal 2001 al 2003. All’iniziativa della Regione richiamata seguono quella dell’Emilia-Romagna che, con l’art. 55 della l.r. n. 6 del 2004, provvede alla sanatoria dei regolamenti emanati dalla Giunta; del Lazio che, con due regolamenti del Consiglio (n. 1 del 2004 e 1 del 2005), provvede a ratificare i regolamenti di Giunta; della Regione Lombardia che, con l.r. n. 12 del 2004, nell’articolo 1 opera la sostituzione delle disposizioni di legge che avevano attribuito la potestà regolamentare alla Giunta e, nella norma finale, salvaguarda l’efficacia dei regolamenti precedentemente approvati dalla Giunta medesima; della Regione Marche che, con l.r. n.1 del 2004, ha previsto che i regolamenti restino in vigore fino a che “non siano fatti propri dal Consiglio regionale con propria delibera”; della Puglia che preliminarmente approva una mozione (19 dicembre 2003) intesa ad impedire alla Giunta l’approvazione di regolamenti in contrasto con lo Statuto e successivamente, con l’art. 35 della finanziaria (l.r. n.1 del 2004), provvede a sanare (approvandole) solo due deliberazioni di Giunta, rispettivamente, concernenti il piano sanitario regionale e il piano di riordino della rete ospedaliera; infine, della Regione Veneto che è intervenuta con l.r. n. 23 del 2004 a modificare 9 leggi regionali - eliminando il riferimento all’esercizio della potestà regolamentare da parte della Giunta - e a convalidare 10 regolamenti. Il Piemonte, invece, ha affrontato il problema della convalida dei regolamenti nella II norma transitoria del nuovo Statuto, dove espressamente si fanno salvi gli effetti dei regolamenti emanati dalla Giunta dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1 del 1999.
Comunque, è lo Statuto la fonte che ha definitivamente legittimato il futuro esercizio del potere regolamentare, alcune volte confermando il Consiglio, altre “riabilitando” la Giunta. Dei nove Statuti entrati in vigore (1) solo quello della Regione Marche si è mosso verso la prima direzione, anche se ha previsto la possibilità di delega alla Giunta. Gli altri Statuti attribuiscono il potere all’organo esecutivo, sia pure con qualche “temperamento”. In Liguria, Puglia e Toscana i regolamenti sono approvati previo parere obbligatorio della commissione consiliare di settore. Nel Lazio il parere è affidato all’organo di garanzia statutaria. In Emilia-Romagna è previsto sia il parere dell’Assemblea legislativa sia, nei casi previsti dalla legge, dell’organo di garanzia statutaria. Lo Statuto del Lazio sembra vietare l’emanazione di regolamenti di Giunta che non siano espressamente previsti da leggi regionali, e così si legge negli Statuti della Calabria, dell’Emilia-Romagna e del Piemonte. Inoltre, in Calabria, Lazio, Puglia, Piemonte e Umbria, la Giunta può essere autorizzata con legge, che determina le norme generali della materia, all’adozione di regolamenti di delegificazione. In tutti gli Statuti che attribuiscono la competenza alla Giunta è previsto, infine, l’esercizio del potere del Consiglio nei casi di regolamenti “delegati” dallo Stato nelle materie di propria competenza legislativa esclusiva.
Certamente l’attribuzione alla Giunta è la soluzione più aderente alle modifiche istituzionali già avvenute. Nei quattro anni di esercizio “viziato” si è sicuramente registrata una rivalutazione della fonte regolamentare, mentre il ritorno al Consiglio sembra aver riportato all’”indifferenza” sulla scelta dello strumento legislativo o regolamentare data la competenza per entrambi del medesimo organo, ad eccezione come già detto di Toscana, Marche e Lombardia.
Infine, il ricorso a tale tipo di fonte può essere opportuno soprattutto per arginare due fenomeni che da sempre caratterizzano gli ordinamenti regionali. Il primo è quello dell’utilizzo della legge in luogo del regolamento che, soprattutto fino alla riforma dell’art. 121 della Costituzione, era molto diffuso in alcune Regioni, ma che, anche dopo, ha continuato a manifestarsi. Il secondo fenomeno è quello della proliferazione di atti formalmente amministrativi ma a contenuto generale, i cd. “regolamenti travestiti” che, nel precedente regime costituzionale, proprio per arginare il monopolio consiliare, ha caratterizzato in modo marcato alcuni ordinamenti regionali, e ha continuato paradossalmente ad essere evidente anche dopo. La progressiva estensione del ricorso ad atti a contenuto generale con valore normativo esterno adottati da organi afferenti all’esecutivo (regolamenti in senso sostanziale, piani, regolamenti assessorili) ha di conseguenza favorito il “restringimento” della regolazione legislativa. Questi atti, definiti anche come “criptonormazione”, non disciplinati sotto il profilo procedurale e dei limiti – e nemmeno pubblicati - producono effetti rilevanti dal punto di vista delle garanzie istituzionali e delle posizioni soggettive e, pertanto, bisognerebbe evitarne la proliferazione. Sicuramente i nuovi Statuti, con l’attribuzione alla Giunta del potere regolamentare, sia pure con qualche temperamento, hanno intrapreso la strada giusta per arginare tali fenomeni.

(1) Cfr. l.r. Calabria n. 25 del 2004; l.r. Emilia-Romagna n. 13 del 2005; l. statutaria Lazio n. 1 del 2004; l. statutaria Liguria n. 1 del 2005; l. statutaria Marche n. 1 del 2005; l.r. statutaria Piemonte n. 1 del 2005; l.r. Puglia n. 7 del 2004; Statuto Toscana del 2005; l.r. Umbria n. 21 del 2005.

Tabella 1 - Regioni ordinarie: numero delle leggi (1998 - 2005)
Tabella 2 - Raffronto tra legislazione complessiva e legislazione di manutenzione (2001-2004)
Tabella 3 - Numero delle leggi regionali per tipologia e tencnica redazionale 2001 - 2004
Grafico 1 - Percentuale leggi di manutenzione su totale leggi 2001 - 2004
Grafico 2 - Leggi regionali per tipologia e tecnica redazionale
Tabella 4 - Regolamenti emanati nelle regioni ordinarie (2001 - 2004)

TRATTO DA

Rapporto sulla legislazione 2004-2005

FOCUS SULLA PRODUZIONE NORMATIVA DELLA VII LEGISLATURA REGIONALE (Aida Giulia Arabia)

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