Tutti e nove i nuovi Statuti regionali attualmente in vigore disciplinano appositi organismi di consultazione tra Regione e forze sociali. Va tuttavia precisato che la Calabria, la Liguria, la Puglia e la Toscana istituiscono tale soggetto ex novo, mentre le altre Regioni risultavano già dotate di un organismo analogo, oggetto di disciplina legislativa regionale. Caso particolare quello del Lazio, in cui è presente un organo di concertazione tra la Regione e le forze produttive e sociali, ma operante non presso il Consiglio (secondo l’orientamento nettamente prevalente) ma presso la Giunta.
Volendo appuntare preliminarmente l’attenzione sul nomen iuris adottato, si rileva che la maggioranza dei nuovi Statuti (Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte) adotta la denominazione “Consiglio regionale dell’economia e del lavoro” sulla falsariga dell’analogo organo ausiliario nazionale; lo Statuto dell’Umbria la denomina “Conferenza regionale dell’economia e del lavoro”. Propongono invece una definizione differente gli Statuti toscano (Conferenza permanente delle autonomie sociali) e pugliese (Conferenza regionale permanente per la programmazione economica, territoriale e sociale). La diversa denominazione – al di là dei dettagli formali - vale a sottolineare la necessità di assicurare un dialogo costante (di qui la qualificazione di organo “permanente” che accomuna le due definizioni) tra la Regione e la Conferenza; necessità ribadita dalle norme – presenti in entrambi gli Statuti – che prevedono un numero di sessioni annuali obbligatorie (almeno tre in Toscana, di norma due in Puglia).
Per il resto, tutti e nove gli organismi presentano caratteri sostanzialmente comuni: la (già cennata) istituzione presso il Consiglio regionale (espressamente prevista negli Statuti di Calabria, Emilia-Romagna, Marche, Puglia e Toscana, mentre lo Statuto piemontese tace sul punto e gli Statuti del Lazio e della Liguria si limitano a definirlo – rispettivamente – come “organo di consulenza del Consiglio e della Giunta regionali” e “organismo di consultazione della Regione in materia economica e sociale); il rinvio alla legge regionale per la definizione delle regole di organizzazione e funzionamento e la composizione (offrono qualche indicazione ulteriore gli Statuti: dell’Emilia-Romagna, che impone alla legge di definire la composizione riferendosi in particolare alle “organizzazioni ed associazioni economiche, sociali ed ambientali”; del Lazio, che prevede la presenza di esperti e rappresentanti “delle categorie produttive, delle formazioni sociali e delle organizzazioni sindacali rappresentative dei lavoratori”; della Liguria, che ne definisce la composizione in termini assai ampi, richiamando – oltre agli “esperti” – i rappresentanti “delle categorie produttive, delle autonomie funzionali, delle organizzazioni sindacali, del terzo settore, della cooperazione, delle organizzazioni economiche no profit, delle associazioni dei consumatori e degli utenti”; della Puglia, che individua i componenti della Conferenza nei delegati delle autonomie funzionali, delle formazioni sociali e del terzo settore; delle Marche, che fa riferimento alle “organizzazioni più rappresentative del mondo economico e del lavoro”); l’attribuzione, infine, di una competenza consultiva su temi economico-sociali quale funzione essenziale e qualificante, che viene richiamata in tutti gli Statuti in esame. In particolare, gli Statuti calabrese ed emiliano mettono in rilievo anche compiti di studio e ricerca, mentre gli Statuti di Lazio, Liguria, Piemonte e Toscana pongono l’accento sul contributo attivo alla elaborazione normativa, alla programmazione ed alla definizione (e verifica) delle politiche di sviluppo economico, sociale e del lavoro.
Le Regioni che rimangono a tutt’oggi prive di un organismo di raccordo e concertazione tra Consiglio e forze sociali sono quindi la Lombardia, l’Abruzzo, la Liguria, il Molise, il Friuli Venezia Giulia, e le Province autonome di Trento e Bolzano.
Naturalmente continuano a svolgersi – sia nelle Regioni prive di un apposito organismo di raccordo, sia in quelle che ne sono dotate - forme di consultazione non istituzionalizzate. In particolare, il Piemonte dà conto di un coinvolgimento, nel corso della settima legislatura, degli organismi economici e sociali rappresentativi in 235 consultazioni per procedimenti legislativi in ambito consiliare, mentre la Lombardia – ricordando nelle schede inviate che i raccordi con le forze sociali si tengono di norma attraverso incontri, audizioni e consultazioni sui progetti di legge e sui temi di più rilevante interesse regionale – ribadisce il rilievo attribuito dalla Giunta alla definizione del Patto per lo sviluppo, dell’economia, del lavoro, della qualità e della coesione sociale in Lombardia per la settima legislatura, consistente in un accordo con il quale la Giunta regionale e gli altri soggetti del parternariato economico-sociale si confrontano sulle scelte strategiche e sulle priorità degli interventi da realizzare. Le procedure di consultazione non istituzionalizzata rivestono un ruolo di particolare rilievo anche nella Provincia autonoma di Bolzano, dove assumono in prevalenza la forma di audizioni organizzate dalle competenti commissioni legislative consiliari su temi e disegni di legge di grande portata politica e sociale.
Da ultimo, vale ricordare il caso dell’Abruzzo, nel quale, pur non esistendo un organo rappresentativo delle forze sociali che possa essere consultato nei procedimenti legislativi e amministrativi, tuttavia - oltre alle audizioni in commissione consiliare, in fase di istruttoria dei progetti di legge di competenza, delle parti interessate alla materia oggetto del progetto di legge esaminato - una funzione di raccordo tra le forze sociali è svolta dalla Conferenza permanente Regione - enti locali.

TRATTO DA

Rapporto sulla legislazione regionale 2004-2005

4. ORGANI E PROCEDURE DI CONSULTAZIONE DI ENTI LOCALI E FORZE SOCIALI  (Paolo Zuddas)


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