Nel corso della legislatura regionale appena conclusa si sono realizzate alcune importanti innovazioni in materia di finanza regionale, tra le quali vanno almeno ricordate le seguenti:
- l’avvio dell’applicazione delle innovazioni previste dal con il d.lgs. 18 febbraio 2000 n. 56 che, dopo i precedenti provvedimenti volti a rafforzare l’autonomia tributaria delle Regioni, ha profondamente riformato il sistema dei trasferimenti, in particolare nel campo della sanità, con l’obiettivo, da un lato, di responsabilizzare maggiormente le Regioni per la copertura dei costi effettivi e, dall’altro, di calmierare la dinamica delle spese, agganciandola a quella del gettito Iva, a prescindere dall’evoluzione del fabbisogno oggettivamente necessario a garantire i Livelli essenziali di prestazioni, cosa dimostratasi quasi subito impossibile da realizzare;
- l’introduzione – con il d. lgs. 76 del 2000 - del principio, per la finanza regionale, che essa debba concorrere, insieme con la finanza statale e quella locale, al perseguimento degli obiettivi e al rispetto dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea e, in particolare, del Patto di stabilità e crescita;
- l’assegnazione alle Regioni di ulteriori risorse per far fronte ai nuovi compiti conseguenti all’attuazione della legge 59 del 1997, risorse che, pur dovendo essere attribuite solo inizialmente con trasferimenti specifici, ancora adesso non sono state integrate nel sistema delle entrate ordinarie libere da vincoli di destinazione (tributi propri, compartecipazioni a tributi erariali, fondo perequativo);
- lo sviluppo di un intenso processo di partnership tra lo stato e le Regioni in vari settori, ma soprattutto nel campo sanitario, dove, con gli accordi del 3 agosto 2000 e dell’8 agosto 2001, è stata concordata l’entità delle risorse da destinare alla sanità e la quota a carico dello Stato, a fronte dell’impegno delle Regioni a farsi carico di eventuali superamenti dei tetti previsti attraverso il contenimento delle spese e la manovra delle entrate proprie;
- il rafforzamento del patto di stabilità interno e dei sistemi di monitoraggio della finanza territoriale – in particolare con la sperimentazione della tessera sanitaria elettronica (che, dal 2006, dovrebbe essere pienamente operante) e con l’avvio del Siope (Sistema informativo delle operazioni degli enti pubblici) - quest’ultimo reso possibile dalla piena collaborazione delle Regioni e degli enti locali.
Accanto agli aspetti sostanzialmente positivi sopra richiamati, nella legislatura appena chiusa si sono manifestati anche una serie di punti critici nei rapporti tra Stato e Regioni. In base alle indicazioni fornite da queste ultime, tali punti critici riguardano soprattutto:
- la carenza di consultazioni tra Stato e Regioni su atti fondamentali quali la legge finanziaria o gli specifici provvedimenti di contenimento della finanza pubblica. Oggetto di particolari critiche - e di ricorsi alla Corte costituzionale (per altro da questa quasi totalmente respinti con la sentenza n. 425 del 2004) - sono stati, ad esempio, i commi da 16 a 21 dell’articolo 3 della finanziaria 2004, concernenti la definizione di spesa di investimento e, quindi, delle operazioni ammissibili ai sensi del comma 6 dell’articolo 119 della Costituzione;
- l’imposizione di eccessivi vincoli alla gestione del bilancio conseguente al tetto generalizzato alla crescita delle spese di cui al decreto legge n. 168 del 2004 (1), nonché alla inclusione delle spese di investimento tra quelle rilevanti ai fini del rispetto del patto di stabilità, di cui alla legge finanziaria per il 2005;
- il mancato adeguamento del sistema di finanziamento delle Regioni alle indicazioni del vigente articolo 119 della Costituzione e il blocco dell’applicazione del d.lgs. 56 del 2000 per la parte che prevedeva il progressivo passaggio, per il riparto tra le Regioni del fondo perequativo, dal criterio della spesa storica a criteri oggettivi di fabbisogno e di capacità fiscale, blocco dovuto all’opposizione di alcune Regioni meridionali alle proposte di riparto avanzate dal governo sia sui criteri utilizzati che sulle modalità con cui sono stati applicati;
- le incertezze del governo in materia di autonomia tributaria delle Regioni, prima potenziata con la finanziaria del 2001, limitatamente alle esigenze di copertura della spesa sanitaria, poi congelata con le finanziarie per il 2002, 2003 e 2004, e ora di nuovo liberalizzata con la finanziaria per il 2005 sempre per consentire di fare fronte alle spese sanitarie.
L’ultimo dei punti indicati mette in evidenza che margini significativi di manovrabilità dei tributi propri sono essenziali per permettere alle Regioni di assumersi la responsabilità del rispetto dei vincoli di bilancio previsti nel quadro delle politiche di risanamento della finanza pubblica.
D’altra parte, la non avvenuta definizione, da parte dello Stato, di principi generali di coordinamento del sistema tributario, rende allo stato attuale pericolosa – dal punto di vista dell’efficienza del sistema tributario e della tutela dei diritti del contribuente – sia l’introduzione di nuovi tributi istituiti e gestiti dalle Regioni ai sensi del comma 2 dell’art. 119 Cost., sia la manovra degli attuali tributi regionali introdotti da leggi dello stato, al di fuori dei limiti consentiti nelle stesse leggi istitutive. E’ stato quindi accolto con favore l’intervento della Corte costituzionale – con varie sentenze a cui si è fatto riferimento nei precedenti rapporti – volto a bloccare i tentativi posti in essere da alcune Regioni di forzare i limiti di manovrabilità dei tributi propri devoluti dallo Stato, ma anche a stabilire che, se lo Stato può modificare o addirittura sopprimere tributi regionali previsti da proprie leggi, deve però anche garantire alle Regioni nuove entrate tributarie che assicurino lo stesso gettito e la stessa manovrabilità.
Proprio per la delicatezza e l’importanza della materia “politiche tributarie regionali” ad essa è stata dedicata una particolare attenzione nei precedenti Rapporti. Anche nel periodo qui preso in esame gli interventi delle Regioni sono diversi e significativi. Piuttosto che farne subito l’elenco – per il quale si rimanda al punto successivo – qui si è ritenuto più opportuno tentare una sintesi dei principali obiettivi che le Regioni hanno inteso raggiungere nel corso della legislatura. Essi possono essere individuati come segue:
- utilizzare lo strumento fiscale per incentivare lo sviluppo delle attività produttive sul territorio, cosa che si è manifestata soprattutto attraverso riduzioni dell’aliquota di base dell’Irap, a favore di specifiche categorie di imprese (ad esempio, nuove imprese, imprese condotte da giovani, imprese cooperative, imprese localizzate in aree del territorio regionale particolarmente svantaggiate), ma anche nell’abolizione (da parte della Lombardia) dell’addizionale regionale sul consumo di gas metano (pagata dalle utenze civili ma anche da quelle industriali) o nel rimborso dell’importo pagato da particolari categorie di imprese in situazione di crisi (previsto nel Lazio);
- razionalizzare il sistema impositivo eliminando tributi inefficienti (dato il costo di gestione rispetto al gettito prodotto), come alcune tasse di concessione regionale o tributi minori come l’imposta regionale sulla raccolta dei tartufi;
- far fronte alle spese regionali per la sanità, soprattutto con manovre sull’addizionale Irpef (spesso differenziando le aliquote per scaglioni di reddito), ma anche con l’introduzione nell’ordinamento regionale di imposte che la legislazione statale prevede come facoltative. Ciò vale, in particolare, per l’imposta regionale sul consumo di benzina per autotrazione, disposta dalla Campania nel 2003 e dal Molise nel 2004;
- intervenire a tutela dei consumatori di prodotti agricoli, anche in ottemperanza a direttive comunitaria, attraverso l’istituzione della “tassa fitosanitaria” (come è avvenuto in Emilia-Romagna e in Veneto);
- venire incontro alle esigenze del contribuente, cosa che è stata fatta, ad esempio: adottando leggi di razionalizzazione del prelievo tributario (come in Lombardia); adottando ogni anno una “legge tributaria” contenente le aliquote in vigore per il principali tributi regionali (come in Veneto); rinunciando ai crediti tributari di modesta entità e fissando il termine massimo per la riscossione di somme dovute, in particolare per la tassa automobilistica, relative a passati esercizi; applicando lo Statuto del contribuente, come è avvenuto di recente in Toscana con la l.r. 31/2005; istituendo l’anagrafe tributaria regionale (come è stato fatto in Basilicata con l.f. per il 2004 con l’obiettivo di creare uno snodo informativo per l’erogazione di servizi tributari tra le istituzioni che operano nell’ambito della fiscalità).
Il notevole interesse dimostrato dalle Regioni ad intervenire in materia tributaria può ragionevolmente generare delle perplessità, sia per gli effetti che da ciò possono derivare sull’efficienza del sistema fiscale nel suo complesso, sia per il fatto che contribuenti con la stessa capacità fiscale possono sopportare (e di fatto già sopportano) oneri tributari diversi a seconda del luogo di residenza. Una legge dello Stato che fissi i principi generali in materia è, quindi, sicuramente opportuna. Ma va anche sottolineato che, entro certi limiti, differenze territoriali per quanto riguarda il come e il quanto versare alle amministrazioni regionali e locali per i servizi ottenuti, possono e devono essere considerati una conseguenza naturale, auspicabile e positiva della modifica della forma di Stato in senso federale.

(1) Sull’applicazione del decreto alcune Regioni hanno ritenuto opportuno intervenire con una propria normativa. Ad esempio la Toscana con la l.r 28.09.04 n.48 “norme per l’applicazione nell’ordinamento regionale toscano del d.l. 12.07.04 n.168 (interventi urgenti per la spesa pubblica) convertito nella L. 30.07.04 n. 191, definisce l’ambito di applicazione del decreto (escludendo alcuni settori, come sanità, istruzione, protezione civile), individua spese che non costituiscono acquisto di beni e servizi, esclude dal vincolo le spese per programmi comunitari, nonché le spese per consulenze e incarichi dati dall’Irpet in quanto ente di ricerca. Stabilisce inoltre che la riduzione del 10% di cui ad art. 1 del 168 va applicata alle somme stanziate in bilancio e non a quelle impegnate alla data del 12 luglio 2004.

TRATTO DA

Rapporto sulla legislazione regionale 2004-2005

8. ALCUNI ASPETTI DELLA LEGISLAZIONE REGIONALE IN MATERIA DI FINANZA E CONTABILITA' (Enrico Buglione)

Menu

Contenuti