AVVERTENZA: Il testo trae origine dalla relazione presentata dall’Autore – professore nell’Università autonoma di Madrid e già Presidente del Tribunale Costituzionale spagnolo – alla Conferenza Internazionale tenutasi a Ravenna nei giorni 13 e 14 Ottobre 2006 su “Sovranitá fiscale degli Stati tra integrazione e decentramento”, diretta dal Prof. Adriano Di Pietro della Universitá di Bologna. Traduzione a cura della dott.ssa Saturnina Moreno González, Universidad de Castilla-La Mancha, revisione del dr. Enrico Buglione, ISSiRFA-CNR.
 
SOMMARIO:
 
 
1.- Il decentramento fiscale in Spagna: una prospettiva costituzionale.
 
Negli oltre 25 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, la Spagna ha portato a termine un processo complesso e politicamente delicato di decentramento politico assai profondo e, soprattutto, assai celere, essendo stato realizzato in poco piú di una decina d`anni. In altre parole, uno degli Stati europei più fortemente centralizzati è stato trasformato in uno degli Stati più fortemente decentrati, in cui lo Stato gestisce il 51,2% della spesa pubblica complessiva, gli Enti locali il 12,8% e le Regioni (Comunità Autonome) il 36%. In tal modo, gran parte delle quote di autogoverno regionale fissate nel periodo costituente quale obiettivo ultimo dello sviluppo regionale, sono state portate a compimento.
A determinare la problematica del decentramento finanziario della Spagna sono state, in larga misura, le scelte attuate a suo tempo dai costituenti nell’ambito della Costituzione del 1978. Si tratta di accorgimenti costituzionali che privilegiano l’autonomia sul versante delle spese piuttosto che su quello delle entrate, frutto probabilmente delle condizioni politiche ed economiche del momento. In quel tempo, un sistema di finanziamento regionale basato sui tributi di ogni singola Regione (Comunidad Autónoma in lingua spagnola) avrebbe tendenzialmente provocato l’insorgenza di grandi disuguaglianze sul piano della prestazione di servizi pubblici oppure dei livelli di pressione fiscale significativamente diversi o addirittura una combinazione di entrambi tali effetti, altrettanto perversi. Il risultato finale sarebbe stato, probabilmente, un incremento dei compiti di ridistribuzione dell’Erario centrale e, di conseguenza, un aumento crescente del suo fabbisogno per poter così rettificare le disuguaglianze derivanti da un sistema di finanziamento che avesse privilegiato le entrate proprie delle Regioni (Prof. SUREDA CARRIÓN).
Pertanto, tale accorgimento costituzionale soggiace a ragioni di carattere storico. La Costituzione spagnola basa, quindi, la finanza regionale - l’altro cardine della costruzione di uno Stato decentrato che politici e accademici hanno convenuto di denominare “Stato delle Autonomie” – sull’autonomia di spesa, a sua volta poggiata su tre principi fondamentali: uguaglianza, solidarietà interregionale e coordinamento con la finanza dello Stato; uguaglianza, solidarietà interregionale e coordinamento, che attribuiscono allo Stato un ruolo necessariamente forte all’interno dell’equilibrio del sistema.
La Corte Costituzionale ha evidenziato il carattere strumentale dell’autonomia finanziaria delle Comunità Autonome [“piena disposizione di mezzi finanziari per poter esercitare, senza condizionamenti indebiti e in senso lato, le proprie competenze e, in modo particolare, quelle definite come esclusive” (STC [Sentenza] 201/1988,F.J.4º) ] quale garanzia della propria autonomia politica, cui è indissolubilmente unita, e quale limite, dato che, contrariamente allo Stato, è vincolata allo sviluppo e all’esercizio delle competenze assegnatele, conformemente alla Costituzione (art.148 e 149 CE), dai rispettivi Statuti e Leggi organiche delimitanti le competenze (SSTC 63/1986, 201/1988, 14/1986, 96/1990, 13/1992, 237/1992, 126/1999, 192/2000 e quella più recente STC 168/2004).
Inoltre, la Corte Costituzionale ha sottolineato l`importante contenuto finanziario del principio di solidarietá invocato spesso dalla Costituzione, che “in definitiva non é altro che un fattore di equilibrio fra l`autonomia delle nazionalitá e le regioni e la indissolubile unitá della Nazione spagnola”(STC 135/1992)
La Costituzione delinea un sistema di finanza regionale essenzialmente asimmetrico, anzi doppiamente asimmetrico.
Asimmetrico nel senso, appena segnalato, di poteri e potestà regionali diversi sul versante delle entrate e su quello delle uscite, il che ha fatto sì che, e di questo dirò più tardi, il funzionamento delle regioni dipenda, in termini finanziari, oltremisura dallo Stato che, quindi, è in grado di condizionarne l’autonomia non solo finanziaria ma anche politica; e un sistema asimmetrico, nel senso che in seno alla Costituzione coesistono modelli di finanziamento diversi, derivanti dalla presenza di un regime speciale di Convenzione o Accordo economico, copia di un diritto storico riconosciuto e tutelato dalla Costituzione alle Regioni a regime foral dei Paesi Baschi e della Navarra (1ª Disposizione aggiuntiva CE [Cost. spagnola]. Non un privilegio, bensì un diritto storico, donde la Convenzione. Più avanti vedremo dove si trova, a mio giudizio, il problema e in cosa consista il “privilegio” derivante dal regime della Convenzione, che non risiede tanto nell’esistenza del regime di per sé quanto piuttosto negli esiti cui conduce, vale a dire, come si applica il sistema di Convenzione o Accordo economico delle Regioni forales e come si procede al calcolo della “quota” (il loro apporto complessivo al finanziamento delle spese generali dello Stato).
I tratti distintivi del sistema di finanziamento desumibile dalla Costituzione, operativo da oltre un quarto di secolo, sono i seguenti:

1º. L’asimmetria, illustrata sopra;

2º. un sistema aperto, indeterminato, nel senso che la Costituzione spagnola è alquanto parca per quanto riguarda la configurazione del finanziamento delle Comunità Autonome e il ruolo che in esso devono svolgere le varie fonti di entrata loro assegnate dall’art. 157 della Costituzione (imposte cedute; maggiorazioni delle imposte statali; partecipazioni alle entrate dello Stato; trasferimenti del Fondo di compensazione Interterritoriale; altri stanziamenti a carico del Bilancio generale dello Stato; imposte proprie, tasse e contributi speciali e, infine, entrate patrimoniali e operazioni di credito).
La Costituzione non definisce il ruolo che dev’essere svolto, nell’ambito di tale finanziamento, da ciascuna fonte di entrata citata nella medesima, ma si limita semplicemente a tracciare un quadro, ampio e impreciso, nonché a enunciare i principi generali relativi all’autonomia finanziaria, al coordinamento con il bilancio statale e alla solidarietà tra tutti gli spagnoli, nel cui ambito dev’essere attuato il sistema di finanziamento regionale.
La Costituzione affida a una legge organica statale ad hoc integrata nel blocco della costituzionalità, la Legge organica sul finanziamento delle Comunità Autonome (LOFCA), e comunque in nessun caso agli Statuti di Autonomia – pertanto neppure lo Statuto di Autonomia, malgrado il rango e la natura di legge organica, è la norma in grado di stabilire la portata delle competenze fondamentali dello Stato nelle varie materie (art. 149.1 CE) oppure convenire la delega o il trasferimento delle competenze esclusive dello Stato ex art. 150.2 CE) – il compito di provvedere all’attuazione e all’articolazione concreta del sistema di finanziamento.
La Costituzione, quindi, non predetermina quale debba essere il sistema di finanziamento regionale ma, come si è detto, consente che il “finanziamento venga definito da una legge organica integrata nel blocco della costituzionalità”, che svolge, così, una funzione di delimitazione della portata concreta delle competenze regionali di cui agli artt. 156 e 157 della Costituzione e costituisce perció parametro di costituzionalitá (STC 68/1996; STC 192/2000); ecco perché nell’espressione “blocco della costituzionalità” rientrano gli Statuti di Autonomia delle varie regioni nonché alcune leggi organiche particolarmente significative, perché si richiamano ad aspetti dell’assetto statale [mi riferisco, in questo caso, alla legge sul finanziamento delle Regioni (Comunità Autonome); un altro esempio potrebbe essere la Legge organica del Potere Giudiziario atta a disciplinare l’Amministrazione della Giustizia], fondamentali in quanto a struttura e ad architettura istituzionale. La LOFCA rientra a pieno titolo in questo ambito dal momento che con la medesima “si è inteso attivare un intervento unilaterale dello Stato nell’ambito delle competenze per raggiungere un grado minimo di omogeneità all’interno del sistema di finanziamento regionale, evitando così le difficoltà che sarebbero sorte qualora tale sistema fosse dipeso esclusivamente dalle decisioni prese nell’iter di elaborazione di ciascuno Statuto di Autonomia” (STC 68/1996, F.J.9º).
Una questione importante, per quanto riguarda il sistema delle fonti normative del finanziamento regionale, é il rapporto fra Statuto di Autonomia e le leggi organiche varate dallo Stato per disciplinare l´esercizio delle competenze finanziarie delle Comunitá Autonome previste dall´art.157.3 CE, che delimitano e condizionano cosí il loro esercizio. Rapporto che non é di gerarchía ma di competenza.
Ci troviamo cosí con tre norme tutte facenti parte integrante del blocco della costituzionalitá: la Costituzione, norma abilitante che apre alle Comunitá Autonome, la possibilità di decidere liberamente, con i rispettivi Statuti, di assumere delle competenze finanziarie; gli Statuti di Autonomía, con i quali, in base alla previsione costituzionale [art.148.1.1ª CE], le Comunità hanno assunto delle competenze in materia finanziaria: organizzazione del proprio bilancio, finanziamento ...; ed in fine,la LOFCA,che stabilisce la cornice normativa in cui le Comunitá Autonome devono svolgere le competenze finanziarie assunte nei rispettivi Statuti, articolando il loro esercizio (illustrativa fra l`altro, la STC 56/1990,F.J.14º in proposito della LOPJ)
Tale forma singolare di strutturare l’autonomia nell’ambito costituzionale è un corollario della mancanza della definizione stessa nel Titolo VIII dell’assetto territoriale dello Stato, caratteristica questa nonché maggiore singolarità della nostra Costituzione (la sua virtù o il suo difetto più grande, a seconda dei punti di vista).
Infatti, nell’articolare, nel Titolo VIII, “l’indissolubile unità della nazione spagnola" con il "diritto all’autonomia delle nazionalità e delle regioni che la costituiscono" di cui all’art. 2, la Costituzione non nomina né definisce lo Stato che dà forma al nuovo assetto e alla distribuzione territoriale del potere politico; in un certo qual modo "de-constituzionalizza", utilizzando l’espressione coniata dal Prof. CRUZ VILLALÓN, l’assetto territoriale dello Stato, affidato, in forza del principio dispositivo che presiede al processo di decentramento politico (art.143 e 151 CE), a quanto risulti dagli Statuti di Autonomia e dalle altre leggi organiche costituenti il cosidetto "blocco della Costituzionalità” nonché alla successiva dinamica costituzionale (art. 150 CE).
La Costituzione nomina, ma non definisce, le "nazionalità" e non ne illustra i tratti distintivi né specifica gli elementi che possono fungere da base per una Comunità Autonoma affinché la stessa possa essere dichiarata nazionalità o regione né attribuisce a tale differenziazione alcuna conseguenza di natura giuridica esplicita oltre al modo diverso di accesso all’autonomia (art. 151 e art. 143 e disposizioni aggiuntive 1ª, 2ª e 4ª CE).
Tale indeterminatezza costituzionale relativamente all’assetto organizzativo dello Stato derivante dalla scelta effettuata nel Titolo VIII della Costituzione svolse, pur tuttavia, in quel momento storico delle Cortes costituenti, la funzione di formula di transazione (“patto apocrifo”, secondo l’espressione utilizzata da HERRERO DE MIÑÓN) tra le varie tendenze politiche – unitarie e plurinazionalistiche – e le loro diverse nonché contrapposte concezioni della Spagna quale nazione.
Di conseguenza, la nostra Costituzione non definisce né un “sistema” né un “modello” di finanziamento. Definisce soltanto la cornice in cui sviluppare o attuare il finanziamento regionale, la cui concretezza viene lasciata a un processo politico e legislativo successivo (STC 192/2000, F.J.4º). Evidenzio questo punto, su cui mi soffermerò più avanti, perché sta facendo sì che nel funzionamento pratico del sistema, i meccanismi di finanziamento regionale vengano definiti mediante processi di negoziazione politica, di contrattazione, piuttosto che in un modo ordinato secondo norme di natura legislativa.
La conseguenza di questa scelta costituzionale è un ambito aperto, dinamico, flessibile talmente difficile da chiudere al pari del medesimo ordine costituzionale di distribuzione delle competenze tra lo Stato e le Comunità Autonome di cui agli artt. 148 e 149 CE, che contraddistingue la Costituzione spagnola per quanto riguarda l’assetto territoriale dello Stato.

3º. Oltre a questo carattere aperto, indeterminato, il sistema di finanziamento regionale in Spagna è un sistema instabile dal momento che, avendone affidato la sua articolazione concreta a una legge organica posteriore (la LOFCA), che manca della rigidità propria delle norme costituzionali, ne consente la continua rimessa in discussione al riparo del dibattito politico, come evidenziato dal fatto che l’ultimo modello di finanziamento approvato nel 2001, entrato in vigore nel 2002, denominato allora “definitivo”, è stato riaperto e oggi è di nuovo al centro del dibattito sulla riforma territoriale a seguito del finanziamento della sanità e, soprattutto, del processo di riforma degli Statuti di Autonomia avviato con l’approvazione del nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna nel luglio del 2006. Ci si potrebbe chiedere se verrà rivisto nuovamente, in futuro, per far fronte, ad esempio, al finanziamento dei costi derivanti dall’immigrazione clandestina.
Ciò si deve al fatto che la definizione del modello di finanziamento avviene sulla base del risultato economico di una negoziazione politica che si traduce negli Accordi di finanziamento tra lo Stato e le Comunità Autonome, nell’ambito del Consiglio di Politica Fiscale e Finanziaria o nell’ambito delle Commissioni miste bilaterali Stato-Comunità Autonome.
Il finanziamento si definisce più in base al risultato e in virtù degli accordi politici che per l’applicazione di norme legislative dibattute e approvate dalle Cortes Generales, con il conseguente degrado del significato del Diritto, in questo caso del Diritto che emana dalla Costituzione e dal blocco della costituzionalità. Norme e principi giuridici della Costituzione finanziaria, aperti e naturalmente indeterminati, ma pur sempre norme giuridiche, relegate in un piano meramente strumentale ove la norma giuridica e i criteri di distribuzione delle entrate finanziarie e dei meccanismi di solidarietà previsti nelle stesse, vengono lasciati al libero arbitrio e alla libera disposizione delle forze politiche, subordinandoli a criteri che presiedono la negoziazione politica: la contrattazione sul risultato economico del finanziamento e il dibattito sull’efficacia o sull’efficienza del calcolo e l’applicazione delle variabili scelte. Quasi come dire che il Diritto deve cessare laddove incomincia la politica e la forza [normativa] dei fatti.
(RAMALLO MASSANET- ZORNOZA PÉREZ; ORTÍZ CALLE)
 
4º. Infine, si tratta di un sistema anche insufficiente. In termini finanziari al riguardo si potrebbero avanzare delle riserve, dal momento che il deficit derivante dall’accollo delle spese sanitarie [per porre un esempio significativo addotto quale ragione atta a giustificare l’esigenza di una riforma del sistema di finanziamento regionale] potrebbe essere ampiamente coperto mediante la soppressione di una delle varie emittenti televisive regionali in alcune Comunità Autonome. Puntualizzato quanto sopra, si può parlare, effettivamente, d’insufficienza nel senso e nella misura in cui il decentramento finanziario attuato tramite il sistema di finanziamento regionale secondo i vari Accordi sui “modelli” di finanziamento siglati nel tempo, non è andato di pari passo né è stato adattato al processo di decentramento politico dei trasferimenti e dell’accollo delle competenze da parte delle Regioni (Comunità Autonome).
 
Pertanto, l’apertura e l’instabilità del sistema di finanziamento delle Comunità Autonome è la conseguenza stessa del modello di Stato configurato nella nostra Costituzione territoriale; del carattere intrinsecamente aperto dell’ordine costituzionale di distribuzione delle competenze; e della coesistenza dei vari sistemi di finanziamento delle Comunità Autonome (sistema di Convenzione o di Accordo economico per le regioni forales dei Paesi Baschi e della Navarra; regime fiscale speciale delle Canarie; sistema di regime comune per il resto delle Comunità Autonome).
Di conseguenza, il risultato è un sistema generale di finanziamento che oscilla tra un finanziamento poggiante sulla partecipazione alle imposte statali o su tributi condivisi, che dotano le Comunità Autonome di una certa capacità normativa e gestionale e di maggiore autonomia tributaria, senza che il modello di finanziamento abbia privilegiato chiaramente, nel tempo, una delle due alternative: o tributi condivisi o finanziamento mediante partecipazioni statali, il che ha trasformato i bilanci regionali, sul piano delle entrate, in bilanci di trasferimenti mentre dal punto di vista funzionale, sono, prevalentemente, bilanci di spese. Si è venuta così a creare quell’immagine di bilancio regionale parassita che dipende oltremisura, in termini finanziari, dal bilancio dello Stato.
È opportuno segnalare – per quanto dirò successivamente – che decentrare i tributi allo scopo di creare o stabilire una corresponsabilità fiscale delle Comunità Autonome nel finanziamento del proprio volume di spesa, affinché i loro bilanci non siano soltanto di spesa ma anche di entrata, non equivale a territorializzare il prodotto delle esazioni come è stato fatto nell’ambito dei meccanismi di finanziamento degli ultimi modelli (IRPF, IVA., Imposte speciali) che non è “corresponsabilità fiscale” ma un’altra modalità di partecipazione alle entrate statali che non contribuisce a migliorare l’autonomia tributaria delle regioni e a renderle responsabili, finanziariamente e politicamente, del livello di spesa assunto nel mettere a punto o nel definire le proprie politiche pubbliche. Una valutazione lacunosa di tale differenza può spiegare la visione oltremodo ottimistica dell’evoluzione del finanziamento regionale nella STC 289/2000, F.J.3º.
 
2.- Evoluzione e sviluppo del decentramento fiscale in Spagna
 
Tradizionalmente, il sistema di finanziamento delle Comunità Autonome a regime comune si è basato sui trasferimenti dell’Erario statale, derivanti in sostanza, dalla partecipazione alle entrate dello Stato e, recentemente, sulle imposte statali cedute su cui esse dispongono di una limitata capacità normativa e di gestione.
L’evoluzione del finanziamento regionale nell’arco di questi 25 anni, può essere suddivisa in varie fasi (Virginia POU):
Prima fase: 1980-1996. La parte maggiore del finanziamento regionale deriva dai trasferimenti mediante partecipazione alle entrate dello Stato (un trasferimento incondizionato, calcolato in funzione di una serie di variabili, popolazione, superficie, insularità, impegno fiscale, ecc., che intendeva coprire le spese della prestazione dei servizi assunti dalle Comunità Autonome) cui si aggiunge l’esazione delle imposte statali cedute (Imposte sul patrimonio, sulle successioni e sulle donazioni, sulle trasmissioni patrimoniali e sugli atti giuridici documentati) nei cui confronti non venivano cedute né la gestione né la capacità normativa, e le tasse applicate ai servizi ceduti.
Seconda fase: 1997-2001. Il finanziamento s’incentra sulla cessione alle Comunità Autonome del 15% dell’IRPF, costituente la cosiddetta “quota regionale” dell’imposta, cui si aggiungeva una partecipazione territorializzata dell’IRPF, anch’essa pari al 15%. Si mise altresì a punto una garanzia che assicurava alle Comunità Autonome una crescita minima del gettito dell’IRPF regionale uguale all’incremento del Prodotto Interno Lordo (PIL) nominale. Tale finanziamento veniva poi completato dalle “partecipazioni alle entrate dello Stato”, con il prodotto delle “imposte cedute” e le tasse.
In tale modello del 1997, rimasto in vigore fino al 2001, la Sanità trasferita veniva finanziata al margine del modello generale di finanziamento delle competenze regionali. L’ammontare dei trasferimenti condizionati atti a finanziare le competenze sanitarie veniva determinato annualmente in funzione del bilancio dell’INSALUD [Instituto Nacional de Salud], su scala statale. Dal canto loro, gli stanziamenti di ogni Regione venivano calcolati mediante coefficienti indicativi della popolazione protetta. Il bilancio dell’INSALUD veniva incrementato annualmente, a sua volta, di una quota percentuale in base al PIL nominale nazionale, mentre la base applicata a ogni Regione veniva aumentata mediante aggiunta di fondi atti a coprire le spese di assistenza a sfollati, le docenze nonché per compensare le Comunità Autonome in cui si era verificato un calo della popolazione.
La terza e ultima fase, attualmente in corso dal 2002, ad approvazione avvenuta della legge 21/2001 del 27 dicembre, atta a disciplinare il cosiddetto “nuovo e definitivo sistema di finanziamento” delle Comunità Autonome a regime comune e delle città a Statuto di Autonomia [Ceuta e Melilla]. Il finanziamento delle Comunità Autonome - ivi incluse, in questo caso, le competenze in materia di istruzione e di sanità - avviene tramite le risorse di cui appresso:
Si cedono il 33% dell’IRPF relativo alla quota o alla aliquota regionale; il 35% dell’IVA.; il 40% delle Imposte speciali su determinati consumi, tabacchi, idrocarburi, alcool e bevande dissetanti [in sostanza, birra]; la totalità dell’esazione delle Imposte su determinati mezzi di trasporto [è possibile incrementare l’aliquota d’imposta fissata dallo Stato fino al 15%] e sull’elettricità [è possibile fissare un’aliquota d’imposta regionale fino al 2%]; l’insieme dell’esazione della nuova imposta, rientrante nell’IVA, sulle vendite al dettaglio di certi prodotti derivanti da idrocarburi [fino a 4,8 centesimi al litro] (denominato, in alcune Comunità Autonome, “il centesimo sanitario” sulla benzina e sul gasolio per autotrazione) e l’esazione delle imposte cedute. Tale finanziamento veniva integrato dal “Fondo di sufficienza”, ovvero un trasferimento dello Stato calcolato in base alla differenza tra il fabbisogno di finanziamento e le entrate ottenute nel paniere delle imposte, prendendo come punto di riferimento il 1999 e aggiornato secondo un indice di crescita dei tributi dello Stato. V’erano poi, naturalmente, i meccanismi di solidarietà interregionale quali il Fondo di compensazione interterritoriale e gli Stanziamenti di livellamento a carico del Bilancio Generale dello Stato.
Ben diversa è la Convenzione o l’Accordo economico con le Regioni forales dei Paesi Baschi e della Navarra che, come anzidetto, è una copia dei diritti storici riconosciuti e tutelati dalla Costituzione nella Prima disposizione aggiuntiva e in cui l’ente Provincia foral dei territori storici gestisce e riscuote gran parte dei tributi diretti e indiretti dello Stato, costituenti il sistema fiscale.
Di conseguenza le Regioni forales dispongono di un sistema tributario sostanzialmente proprio e differenziato per finanziare le spese con un’ampia autonomia tributaria, non fruibile dalle Comunità Autonome a regime comune, dal momento che potranno “mantenere, stabilire e regolare il regime tributario nell’ambito del loro territorio” entro i limiti derivanti dalla Costituzione, dall’osservanza dell’assetto impositivo generale dello Stato e delle norme sul coordinamento e sull’armonizzazione con il sistema tributario statale e dei Trattati e delle Convenzioni internazionali, in particolare le norme del Diritto comunitario. Le regioni forales versano allo Stato una quota (“cupo”) delle loro entrate tribuarie, quale contributo al sostegno dei suoi oneri generali, fissato sempre al di sotto di quanto avrebbero dovuto effettivamente versare in base al loro livello di reddito.
L’utilizzo della capacità normativa tributaria, diversa e superiore, attribuita dal regime della Convenzione o dell’Accordo economico alle Regioni forales da parte dell’ente Provincia foral, genera conflitti, tensioni e pregiudizi nelle Comunità Autonome limitrofe e persino nell’Unione europea. Tale capacità normativa propria, con un’autonomia per niente raffrontabile a quella delle Comunità Autonome a regime comune in relazione ai loro tributi, ha infatti consentito di servirsi della Convezione o dell’Accordo per stabilire agevolazioni fiscali nel proprio territorio, per richiamare investimenti e per lo stabilimento di nuove imprese oppure per ridurre la tassazione di chi usufruisce della vicinanza a tali Regioni, il che ha provocato un “effetto frontiera” che si scontra con i principi di uguaglianza nonché con quelli di libera circolazione, libertà di impresa (libertà di stabilimento) e libera concorrenza di cui sia alla Costituzione spagnola (artt. 31.1, 38, 138, 139.1 e 2 CE) sia ai Trattati costitutivi dell’Unione europea (art. 52 e art. 92, attualmente art.43 e art.87 TCE). Sta inoltre iniziando a dare luogo a decisioni giurisprudenziali di grande respiro che segneranno il futuro dello sviluppo e del modo di procedere del regime della Convenzione economica. Ad esempio, la sentenza della Corte Costituzionale, STC 96 /2002 F.J.7º a 10º, relativamente ad alcuni accorgimenti specifici del regime della Convenzione della Navarra; la recente ed importante sentenza della Corte Suprema di Cassazione (sezione del contenzioso-amministrativo) del 9 dicembre 2004 sulle norme forales dell’Ente Provincia della Vizcaya, di Guipúzcoa e di Álava atte a disciplinare l’IS (Impuesto sobre Sociedades) oppure le decisioni della Commissione Europea [Decisione 93/337/CEE del 10 maggio 1993; Decisione1999/718/CEE di 24 febbraio 1999; Decisione 2000/795/CEE del 22 dicembre 1999; Decisione2001/1762 y 1763/CEE ambedue di 11 luglio 2001; e Decisione 2003/192/CEE] e la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in materia di esenzioni, riduzioni o sgravi fiscali a favore di alcune imprese stabilite nel territorio della Comunitá Autonoma (ad esempio, il caso Ramondín o il caso Daewoo) adottati dall’Ente Provincia dei Paesi Baschi e che vengono considerate aiuti di Stato e per ciò incompatibili con il Trattato [Sentenza CGCE di 23 ottobre 2002; Sentenza CGCE di 11 novembre 2004, assunto Daewoo España S.A. ed Sentenza CGCE di 11 novembre 2004, asunto Ramondín S.A.; Sentenza della di Primera Istanza delle CE di 6 marzo 2002, asunto Daewoo España S.A.].
Tuttavia, e non è poco, oltre alle conseguenze derivanti da una capacità normativa così intensa del regime di Convenzione, il dato più vistoso e rilevante è il fatto di fornire maggiori risorse alle Regioni forales di quelle fornite dal sistema LOFCA alle Comunità Autonome a regime comune, per cui le Regioni forales possono e sono in grado di prestare non solo più servizi ma anche servizi di qualità superiore. Ad esempio, secondo i dati del 1997 esaminati dal Prof. José V. SEVILLA SEGURA, Madrid ha avuto a disposizione 240.493,6 pesetas per abitante, la Catalogna 269.298,1 per abitante e i Paesi Baschi 396.000 pesetas, vale a dire il 50% di finanziamento in più per abitante. La media nazionale è pari a 276.143 pesetas per abitante.
L’aspetto saliente di questa evoluzione del finanziamento regionale in Spagna, malgrado la persistente dipendenza iniziale delle Comunità Autonome a regime comune dai trasferimenti incondizionati dello Stato e dal modello che potremmo denominare, volendo, “parassita”, di partecipazione alle entrate dello Stato o in definitiva di meccanismi di “territorializzazione” dell’esazione delle grandi imposte generali dello Stato, è che si è verificato nei bilanci delle regioni un certo spostamento, pur se ancora insufficiente, verso una maggiore rilevanza delle entrate tributarie rispetto a quanto ottenuto dalle imposte statali cedute quali, le richiamo, l’imposta sul patrimonio, sulle successioni e sulle donazioni, sulle trasmissioni patrimoniali e l’imposta sugli atti giuridici documentati.
In base a dati elaborati da Virginia POU, nel periodo 1992-2003, l’incidenza delle entrate tributarie sul totale delle entrate delle Comunità Autonome – al netto di quelle acquisite sui mercati finanziari - è aumentata dal 17,8% al 54,5%, soprattutto dal 1998 in poi, anno in cui nel garantire alle Comunità Autonome una crescita minima del gettito dell’IRPF uguale all’incremento del PIL nominale, si è verificato un consolidamento delle imposte dirette quale elemento forte del finanziamento regionale.
Nel 2002, all’attivazione del “nuovo e definitivo” (sic) sistema di finanziamento regionale, il trend si è accentuato: le entrate tributarie sono raddoppiate o quadruplicate rispetto al 2001 grazie alle imposte cedute (IRPF, IVA, Imposte speciali). Dal canto loro, le entrate derivanti dalle tasse sui servizi prestati, sebbene abbiano fatto registrare un aumento medio annuo del 5% coerentemente al processo di assunzione delle competenze, continuano ad avere, ciò nonostante, un’importanza marginale nell’ambito del finanziamento regionale.
In conclusione, i vari sistemi o modelli di finanziamento applicati nell’arco dei venticinque anni di sviluppo dello Stato regionale hanno condotto a un incremento graduale dell’autonomia finanziaria delle Comunità Autonome in rapporto alla loro dipendenza dai trasferimenti ricevuti dall’Erario statale.
Malgrado questo rafforzamento apparente dell’autonomia tributaria, l’incidenza dei trasferimenti dallo Stato alle regioni quale elemento fondamentale del loro finanziamento è tuttora assai rilevante: il 48,4% nel 2002 e il 44,5% nel 2003, dal momento che alcune Comunità Autonome (quelle a minor reddito pro capite) presentano tuttora un’elevata dipendenza dai trasferimenti incondizionati del Fondo di sufficienza nonché dai trasferimenti condizionati del Fondo di compensazione interterritoriale assegnati dallo Stato.
Il ricorso all’indebitamento delle Comunità Autonome è cresciuto, nel periodo 1992-2001, a un ritmo medio annuo dell’11% malgrado i limiti quantitativi e qualitativi imposti dalla LOFCA e dalla legge sulla stabilità di bilancio del 2002 nonché dagli obiettivi di stabilità e di convergenza dell’Unione europea.
In merito alle spese, il tratto distintivo saliente è l’enorme incidenza, circa il 50%, delle partite relative alle competenze delle Comunità Autonome in fatto di istruzione, sanità e servizi sociali sulle spese complessive, cosa che condiziona fortemente il processo di costruzione dei loro bilanci, nonché la messa a punto delle politiche pubbliche.
Tale eccessiva dipendenza finanziaria (come avviene anche nel caso degli enti locali) da risorse di finanziamento derivanti da fonti statali desta preoccupazione e dovrebbe essere corretta per vari motivi.
          In primo luogo in quanto l’autonomia politica e finanziaria delle regioni può ritrovarsi, così, al centro di un processo di mediatizzazione se non addirittura compromessa (vid. STC13/1992, F.J.7º e STC 104/2000, F.J.4º), creando distorsioni ed effetti indesiderabili nel funzionamento globale della finanza pubblica e nella distribuzione equa delle entrate pubbliche. In secondo luogo in quanto ciò appare in contrasto con una allocazione razionale ed efficiente delle risorse pubbliche (consona ai principi costituzionali in materia, di cui all’art. 31.2 della Costituzione spagnola).
          Infatti, un’Amministrazione cui viene affidata la decisione di provvedere ad erogare la spesa pubblica ma non di provvedere al suo finanziamento, propende più facilmente verso un’espansione non controllata delle uscite e ad accollarsi impegni e richieste sociali di prestazione di beni e servizi pubblici che poi non è in grado di finanziare e di gestire. Tenderà, quindi, a trasferirli verso quel livello di governo (lo Stato), dotato di fonti di finanziamento. E una finanza derivata è propensa a divenire una finanza «parassita», caratterizzata da noncuranza per quanto concerne il controllo dei contribuenti, la gestione tributaria e la generalizzazione e personalizzazione nella distribuzione del carico fiscale; dall’irresponsabilità fiscale relativamente alle decisioni e alle richieste di spesa pubblica nonché da un cattivo stanziamento delle risorse pubbliche; dall’assenza di un rapporto tra la fiscalità regionale e i propri contribuenti, il che inciderà negativamente sull’educazione tributaria dei cittadini e non farà che rafforzare il sentimento di disapprovazione popolare e di rigetto nei riguardi delle imposte regionali e locali, già ora piuttosto forte.
          Una stretta correlazione entrata-spesa pubblica è la migliore garanzia dei cittadini, stante la tendenza della burocrazia politica alla crescita incontrollata delle spese, ad una loro scadente allocazione o al loro spreco. Quanto maggiore è il divario tra la decisione inerente la spesa pubblica e la decisione inerente il finanziamento, tanto più si rafforzerà la creazione, da parte dei governanti, di illusioni finanziarie e addirittura politiche (A. PUVIANI) nei contribuenti, nel renderli meno consapevoli del costo dei beni e dei servizi pubblici di cui usufruiscono. Si rafforza, così, la credenza, falsa ma profondamente radicata nell’ideologia dello Stato sociale cui è particolarmente propensa l’opinione pubblica delle nostre società industriali, a un forte spirito corporativo, secondo cui i beni pubblici forniti da una data Amministrazione sono gratuiti o privi di costo (una sorta di «diritti sociali acquisiti»). In verità, in seno alla finanza pubblica, sia sul piano delle entrate che su quello delle spese, si tratta sempre di giochi a somma zero. In altre parole, il beneficio o il vantaggio di uno, viene pagato da un altro.
          E dietro questo effetto di illusione finanziaria, che falsa l’analisi costi-benefici, è più facile per i politici e governanti delle Comunità Autonome nascondere i difetti di un’amministrazione e gestione scadente dei servizi pubblici e l’aumento della spesa pubblica che ne deriva, dal momento che i servizi sono finanziati, in gran parte, con risorse che i lorocontribuenti (ed elettori) né vedono né versano direttamente alla propria Comunità Autonoma.
          Così facendo, la funzione di controllo e di restrizione del potere fiscale e della spesa pubblica assegnata tradizionalmente, in seno a uno stato democratico, al sistema politico rappresentativo (qualsiasi Amministrazione, a prescindere dal proprio livello di governo, risponde politicamente delle proprie decisioni finanziarie di spesa e di entrata nei riguardi dei propri contribuenti elettori) dà anch’essa esito negativo. Analogamente a un consumatore che, male informato, effettuerà sempre acquisti scadenti, neppure la condotta dei contribuenti‑votanti, soggetti a illusioni finanziarie che modificano il calcolo razionale del costo‑beneficio delle decisioni finanziarie degli enti politici (sopravalutando o sottovalutando la quantità o la qualità dei beni e dei servizi pubblici o delle imposte), sarà ottimale. Ciò snaturerà il processo di rivelazione delle preferenze dei consumatori di beni pubblici che avviene mediante il processo politico democratico (mercato politico / voto), determinante le dimensioni e la composizione dei beni pubblici «acquistati» con le imposte nell’ambito di un sistema democratico di finanza pubblica.


3.- La prospettiva del federalismo fiscale: possibilità e limiti

 Un’ultima riflessione. Le possibilità delle Comunità Autonome a regime comune relativamente alla disponibilità di un sistema tributario proprio sono certamente limitate, ma non inesistenti; e sono limitate perché il costituente –a seguito della scelta di partenza, di cui dicevo all’inizio– ha dato prova di una diffidenza straordinaria nei riguardi dello sviluppo di un sistema tributario proprio delle Comunità Autonome quale modello di finanziamento. Si tratta di limiti alquanto rigorosi riportati nella Costituzione (artt. 138, 139, 156.1 e 157.2) e nella LOFCA (artt. 6, 9 e 12): principi di coordinamento e di solidarietà; divieto di attuare misure tributarie su beni posti al di fuori del proprio territorio; divieto di attuare misure tributarie comportanti un ostacolo alla libera circolazione delle merci e dei servizi; divieto della doppia tassazione e della duplicità impositiva [non si possono imporre tributi su fatti imponibili gravati dallo Stato; né su materie riservate agli Enti locali dalla legislazione locale]. Ciò ha determinato una preminenza dello Stato sulle fonti tributarie di finanziamento [lo Stato detiene il potere tributario originario (art.133.1 CE) e la competenza esclusiva sul sistema fiscale generale (art. 149.1.14ª) ], lasciando pochissimo spazio al potere tributario proprio delle Regioni (Comunità Autonome).
Ciò è stato altresì accentuato dall’interpretazione della Corte Costituzionale relativamente ai limiti costituzionali della doppia imposizione (art. 6.2 e 3 LOFCA) da parte di diversi livelli di governo; è assai significativa, ad esempio, la dottrina chiaramente restrittiva della sentenza 289/2000,F.J.5 sull’imposta delle Baleari su determinati impianti che incidono sull’ambiente (una posizione più indulgente al riguardo, nelle SSTC 37/1987, F.J.14º e 186/1993, F.J.4º sull’imposta regionale su terre sottoutilizzate rispettivamente dell’Andalusia e dell’Estremadura che, prendendo spunto dalla differenziazione tra fatto imponibile e materia imponibile od oggetto del tributo, edanche da una interpretazione letterale del termine “fatto imponibile”, ammette che “relativamente a una medesima materia impositiva, il legislatore può selezionare varie circostanze che diano luogo ad altrettanti fatti imponibili, determinanti, a loro volta, figure tributarie diverse”). Secondo il ragionamento della Corte “l´art.6.2 della LOFCA non ha come finalitá di vietare alle Comunità Autonome di stabilire tributi propri su oggetti materiali o fonti impositive giá gravate dallo Stato, poiché dato che la realtà economica nelle sue diverse manifestazioni é tutta coperta da tributi statali, ció porterebbe a negare praticamente la possibilitá di creare, almeno al momento, nuove imposte autonome. Ció che l`art.6.2 vieta effettivamente é soltanto la duplicitá di fatti imponibili”. La STC 289/2000, F.J.4º ritiene che il secondo limite dell’art. 6.3 LOFCA riconduce il divieto di duplicità impositiva alla “materia imponibile” su cui grava effettivamente il tributo, a prescindere dal modo in cui il legislatore articoli il fatto imponibile; conclude con il “divieto [per la Regione – Comunità Autonoma] di qualsivoglia sovrapposizione, non autorizzata legalmente in precedenza, tra la fonte di ricchezza su cui grava un tributo locale e un nuovo tributo regionale”. Si tratta di un’interpretazione piuttosto ampia del limite di duplicità impositiva, in cui s’identifica la materia imponibile o l’oggetto imponibile con il fatto imponibile [che impedisce l’imposizione, a cura delle Comunità Autonome, di tributi sostanzialmente uguali ad altri di natura statale, anche se non vi è piena coincidenza sul fatto imponibile] che ha ridotto ancor più l’ipotetico campo di cui dispongono o potrebbero disporre le Comunità Autonome ai fini della creazione dei loro tributi. Per quanto il Tribunale avesse già espresso in una sentenza un po’ datata, la STC 150/1990, F.J.3º, a proposito della soprattassa del 3% stabilita dalla Regione Madrid sull’IRPF statale, che “nessuno dei limiti costituzionali condizionanti il potere tributario proprio delle Comunità Autonome può essere interpretato in modo tale da rendere inattuabile l’esercizio di quella potestà tributaria”.
Da ciò discende che le possibilità per le Regioni (Comunità Autonome) di “inventare” nuove imposte sono straordinariamente limitate, pur se non inesistenti.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, l’esistenza di una vera e propria finalità extrafiscale del tributo regionale (di tutela ambientale o un’altra finalità) [e non fittizia, come avveniva nel caso della STC 289/2000, F.J.5º], non meramente di esazione, può fungere da base alla Corte Costituzionale per negare l’esistenza di una duplicità impositiva in relazione alle imposte statali o locali presenti, dal momento che il loro oggetto di gravame “non ha carattere contributivo bensì retributivo”, il che evita eventuali confusioni relativamente a imposte statali o locali finalizzate all’esazione o alla contribuzione. È questo il caso della STC 168/2004, a proposito del tributo sugli elementi patrimoniali delle attività di protezione civile, imposto dalla Comunità Autonoma di Catalogna. A giudizio della Corte Costituzionale, il tributo autonomo in questo caso aveva un carattere di scopo – il finanziamento per i soggetti passivi dei servizi di protezione civile – non incidendo più sui beni patrimoniali o sulle attivitá economiche come accade nei tributi locali in gioco nel caso, dal che nessuna incompatibilitá puó ravvisarsi dal punto di vista costituzionale.
Pertanto, un’interpretazione costituzionale ragionata che, nel chiarire la propria giurisprudenza, fissi la portata e i limiti del doppio divieto di sussistenza di cui alla Costituzione e alla LOFCA, si delinea quale punto di riferimento essenziale per ordinare, in futuro, i rispettivi spazi fiscali dei vari livelli di governo.
È altresì vero che le Comunità Autonome, pur avendo mantenuta aperta sin dall’inizio – a partire dalla STC 150/ 1990 della Corte Costituzionale – la possibilità di avvalersi del meccanismo delle soprattasse sulle imposte statali, hanno sempre dato prova di essere scarsamente o per niente interessate ad accollarsi il costo politico di tale modalità di copertura delle spese, preferendo, invece, una comoda negoziazione sui trasferimenti di entrate dallo Stato che consentiva loro anche di fare appello al vittimismo politico e di sostenere incessantemente il bisogno di nuovi e maggiori trasferimenti da parte dello Stato.
          È evidente che, nello sviluppo graduale delle Stato delle Autonomie, i limiti definiti nella LOFCA hanno dato luogo a una notevole asimmetria tra le competenze materiali assunte gradualmente dalle Comunità Autonome e lo scarso sviluppo del loro potere tributario, il che genera, in ultima istanza, una situazione di squilibrio finanziario verticale (Prof. RAMALLO MASSANET).
          Pare logico ritenere che ogni decentramento delle competenze materiali debba essere seguito dal relativo decentramento delle competenze finanziarie e che, nell’ambito di queste, i tributi debbano avere il ruolo più rilevante, sia per salvaguardare l’autonomia politica degli enti territoriali che per promuovere un uso razionale ed efficace delle risorse nella produzione di beni pubblici.
          E’ altresì chiaro, d’altra parte, che non tutte le distribuzioni delle materie imponibili tra i vari livelli di governo sono prudenti e convenienti e che non tutte le ridistribuzioni dello spazio fiscale sono coerenti con la Costituzione, dal momento che l’autonomia finanziaria deve svolgersi in ogni caso "conformemente ai principi di coordinamento della finanza pubblica e al principio di solidarietà tra tutti gli spagnoli" (art. 156.1 CE.), il che deve necessariamente riflettersi in qualsivoglia ristrutturazione del sistema tributario.
L’equilibrio della finanza regionale nei suoi due rami, quello delle entrate e quello delle spese, in modo tale che le Regioni si facciano carico della loro corresponsabilità fiscale, potrebbe essere affrontato in un prossimo futuro, a partire dalla trasformazione delle imposte statali cedute in imposte regionali (ribadisco un`idea giá esposta nel 1985). Bisognerà provvedervi, logicamente, con tutta la prudenza del caso e nel pieno rispetto dei principi di solidarietà, di coordinamento e di cooperazione interterritoriale tendendo, comunque, chiaramente verso formule di distribuzione dei tributi nella linea di un federalismo fiscale ove i tributi sono distribuiti tra i vari livelli di governo, cosicché ciascuno si accolli il potere e la responsabilità fiscale relativi al grado di sviluppo dei propri servizi e alle proprie politiche pubbliche di spesa.
 
Probabilmente ciò richiederebbe la riserva, mediante una legge organica di armonizzazione, o qualcosa di simile, a favore dello Stato, di competenze mirate derivanti dall’art. 138 CE che garantisce un equilibrio economico adeguato e giusto tra le varie parti del territorio spagnolo e dagli artt. 139, 157 e 149.1.1ª, 13ª e 14ª CE, per armonizzare e coordinare la gestione regionale di tali imposte. Ciò al fine di garantire la solidarietà interterritoriale, l’uguaglianza relativamente alle condizioni fondamentali dei cittadini nell’osservanza dei doveri di cui alla Costituzione, e, nei confronti dei singoli, del dovere di contribuire, e l’unità e la coerenza del sistema tributario, elemento indispensabile della politica economica del Governo. Ma anche per evitare eventuali o possibili conseguenze sia in termini di tassazione eccessiva o di sovratassazione, cosa che potrebbe conculcare l’interdizione della portata di confisca del sistema tributario (art. 31.1 CE), nonché - fatto oggi più frequente – per impedire la competitività fiscale al ribasso tra le Comunità Autonome, fenomeno chiaramente riscontrabile nelle imposte statali cedute, quali l’imposta sul patrimonio, l’imposta sulle successioni e sulle donazioni e, persino, nella quota regionale dell’imposta sul reddito delle persone fisiche fino all’estremo, della soppressione dell’imposta [caso dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni] in alcune Comunità Autonome.
Un esercizio simile del potere tributario regionale nel suo spazio fiscale proprio relativamente alle figure impositive [cedute dallo Stato] che hanno una posizione fondamentale nell’ambito del sistema tributario statale, desta gravi interrogativi sia sul piano della prospettiva del principio costituzionale di uguaglianza tributaria e dell’eguale posizione o condizione fondamentale dei cittadini, stante l’adempimento del dovere costituzionale relativo alla contribuzione (art. 31.1. CE e art. 149.1.1ª CE), che su quello dell’omogeneità fondamentale, necessaria a configurare il regime giuridico dell’assetto dei tributi quale vero sistema e a garantirne l’unità quale esigenza indeclinabile dell’uguaglianza degli spagnoli, fatto questo non incompatibile con le competenze tributarie delle Comunità Autonome, tanto per usare le parole della Corte costituzionale nella STC 19/1987, F.J.4º.
E sebbene una certa disuguaglianza fiscale dei cittadini a seguito del territorio di residenza o a seguito dei beni e servizi pubblici prestati nel medesimo, sia intrinseca in uno Stato politicamente e finanziariamente decentrato, come attestato dalla Corte Costituzionale, è ovvio che un’uniformità assoluta nel trattamento giuridico dei diritti e doveri dei cittadini in ogni tipo di materia e su tutto il territorio nazionale, sarebbe incompatibile con il principio di autonomia garantito dalla Costituzione (STC 37/1987,F.J 9º e 10º [sull’imposta sulle terre sottoutilizzate dell’Andalusia] e STC14/1998, F.J.11º D [sull’imposta relativa alle riserve cinegetiche della legge sulla caccia in Estremadura]). Tuttavia, l’autonomia, che non è sovranità, come attestato nella STC 4/1981, deve conformarsi al principio dell’unità della Nazione ove tale principio raggiunge il suo vero senso, cosicché da conservare una sostanziale unità di regime dei diritti e dei doveri fondamentali su tutto il territorio dello Stato. A tale riguardo, appare piuttosto significativa la dottrina della STC 25/1981, F.J.3º e della STC 76/1983,F.J.13º.
Ecco perché, il grande quesito è: “Quanta disuguaglianza personale e territoriale dei cittadini nell’adempimento del dovere costituzionale di contribuire è costituzionalmente tollerabile in seno a uno Stato decentrato qual è il nostro Stato delle Autonomie?”, soprattutto laddove ciò avviene nell’ambito di grandi imposte generali sul reddito o sul patrimonio costituenti l’ossatura del sistema tributario e mediante cui si persegue la personalizzazione del gravame e la giusta distribuzione del carico fiscale in base alla capacità economica (STC 182/1997, F.J.9º).
In secondo luogo, si potrebbe sviluppare anche un campo –che finora ha avuto un’incidenza minima sul finanziamento regionale di alcuni servizi o politiche pubbliche – qual è l’utilizzo delle altre figure tributarie diverse dall’imposta, quali i contributi speciali, le tasse e i prezzi pubblici basati sul principio del beneficio (costo-beneficio dell’utente o del consumatore di beni e servizi pubblici), dove si possono mettere a punto, altresì, meccanismi di stanziamento delle risorse pubbliche atte a rendere molto più chiaro e visibile agli occhi dei contribuenti e dei cittadini, il costo fiscale da loro assunto all’atto dell’espressione del loro voto a favore di una determinata politica pubblica. Si tratta di entrate tributarie che trovano nell’ambito regionale e in quello locale, ove l’Amministrazione è più vicina al cittadino e data la natura stessa dei servizi prestati, il luogo più adeguato per il loro sviluppo.
Infine, un’ultima riflessione sul finanziamento regionale della Spagna, trasformatosi oramai nella tela di Penelope, e, in particolare, sulla situazione di favore dal punto di vista finanziario assicurata alle Regioni forales dal sistema di Convenzione, situazione di favore che, come abbiamo visto, attribuisce – secondo uno studio condotto per conto della Fundación Alternativas dal Prof. del Valle – il 67% in più rispetto alle Isole Baleari, la regione più penalizzata dall’odierno sistema di finanziamento. Tale risultato privilegiato, unito alla tradizionale e ormai secolare tendenza all’immodificabilità o alla pietrificazione della quota (“cupo”) e, pertanto, al congelamento delle somme versate dalle Regioni forales a sostegno degli oneri generali dello Stato e alla solidarietà interregionale, somme naturalmente inferiori a quanto dovrebbero effettivamente versare dato il loro livello di reddito, contravviene apertamente a quanto stabilito dall’art. 138.2 della Costituzione secondo cui “le differenze tra gli Statuti di Autonomia non possono comportare, in nessun caso, privilegi economici o sociali”.
Pertanto, non è la Convenzione di per sé, quale derivato del diritto storico allo statuto (“fuero”), tutelato e riconosciuto dalla Costituzione, bensì il risultato dell’applicazione del regime di Convenzione, sia per quanto riguarda il calcolo e la fissazione della quota (“cupo”) (opacità e mancata trasparenza degli elementi tecnici utilizzati a tal fine) che per quanto concerne la modalità d’impiego della potestà normativa oppure la capacità normativa su alcune imposte nello stabilire “effetti frontiera” o agevolazioni fiscali in contrasto con la libera concorrenza, con la libertà d’impresa, con l’uguaglianza, ecc., a costituire un fattore d’ingiustizia comparativa che avvelena il dibattito sul finanziamento regionale e che genera pretese di accordo finanziario da parte delle altre Regioni come evidenziato, in larga misura, nell’ambito del falso confronto che ha interessato l’iter di elaborazione e di approvazione dello Statuto di Autonomia della Catalogna, relativamente al bilancio fiscale territoriale, volto a misurare i flussi fiscali rispondendo a due quesiti: “Come imputare regionalmente le entrate dell’Erario dello Stato?” e “Come imputarne regionalmente le spese?
Si tratta di un falso dibattito dal momento che il “bilancio fiscale”, risultato del rilevamento dei flussi fiscali mediante un sistema di entrate e uscite [proventi e spese] e l’elemento risultante – surplus o deficit fiscale – sono, come attestato dal Prof. SUREDA CARRIÓN “concetti economici vuoti che gli esperti iniziano a colmare di contenuto quando procedono al compito complesso di definire quali flussi fiscali registreranno nella partita delle entrate del bilancio e quali nella partita delle uscite” e “la pubblicazione di questi dati servirà soltanto a dar vita a un dibattito tra definizioni, di rilevanza accademica alquanto dubbiosa e dal nullo interesse pratico”. Infatti, le conclusioni cui si può giungere sono valide soltanto entro i limiti della singolare metodologia scelta da ogni gruppo di studio (i vari studi condotti in Spagna, partendo da quelli di Antoni Castells e di López Casanovas fino all’ultimo studio curato da Ezequiel Uriel Sánchez, evidenziano la disparità dei risultati e la mancata omogeneità risultante dalle metodologie proprie di ognuno).
Tuttavia, il fatto più negativo del dibattito sui bilanci fiscali territoriali è il suo utilizzo interessato al servizio di una concezione inconfessata [quella dei nazionalisti periferici] sulla Nazione spagnola e sullo Stato, apertamente incompatibile con la Costituzione spagnola e con i cardini stessi su cui essa poggia. Soprattutto perché travia completamente il senso della problematica centrale di ogni sistema democratico di finanza pubblica: la distribuzione, giusta e bilanciata, dei tributi e delle spese pubbliche tra i cittadini e la funzione ridistributiva del reddito e delle ricchezze affidata alla finanza pubblica in uno Stato sociale e democratico di Diritto come proclamato dall’art. 1 della Costituzione, allo scopo di rendere reale e possibile una società più egualitaria e più giusta. Inoltre, viene tralasciato il significato dei principi costituzionali di uguaglianza, di solidarietà economica, politica e sociale, sia personale che interterritoriale, sulla cui base viene imposto a tutti il dovere costituzionale e civico di contribuire al sostegno della spesa pubblica (art. 31.1 della Costituzione).
Le imposte non vengono versate dai territori delle Comunità Autonome bensì dalle persone, conformemente alla loro capacità economica, al loro reddito, al patrimonio e alle spese o ai consumi dichiarati. Il fatto che ciò determini un trasferimento di risorse o di reddito da una regione più ricca ad un’altra più povera è semplicemente la conseguenza logica di un sistema fiscale moderno e democratico come quello previsto dalla Costituzione.
D’altro canto, sia i criteri elementari di razionalità economica che il rispetto dei principi costituzionali fondamentali (unità dell’ordine economico, unità di mercato, unità fiscale e di solidarietà interregionale, coordinamento e cooperazione interterritoriale) rendono impossibile l’ipotesi di frammentazione del regime tributario in funzione del territorio, estendendo a tutte o a varie Comunità Autonome il regime di Convenzione economica attualmente in vigore, per ragioni storiche, nelle Regioni forales, in modo tale che ogni territorio provveda al gettito e gestisca tutte le imposte all’interno del medesimo e versi al bilancio dello Stato soltanto una somma o una quota globale [negoziata] per coprire la parte proporzionale spettante a ogni territorio sia per il sostegno dei servizi generali dello Stato che per l’osservanza del principio di solidarietà interterritoriale. Ciò comporterebbe, molto semplicemente, la bancarotta finanziaria del bilancio statale nonché la negazione dei principi e delle funzioni attribuite a tale bilancio dalla Costituzione. Sarebbe come ritornare, mutatis mutandis, al sistema fiscale dei “redditi provinciali” del vecchio regime, precedente all’unità fiscale della Spagna che prende avvio con la riforma fiscale di Alejandro Mon – Ramón de Santillán del 1845.
 

4.- Riflessione finale. Il finanziamento autonomico e lo Statuto della Catalogna.
 
Il sistema di finanziamento regionale, di cui abbiamo tracciato, per sommi capi, i tratti distintivi e l’evoluzione, è stato sostanzialmente modificato dal nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna varato il 19 luglio dalla Legge Organica 6/2006, in cui, prendendo spunto dal principio di bilateralità dei rapporti Stato–Comunità Autonoma della Catalogna, si introducono nuovi criteri di finanziamento regionale ai quali viene attribuita una funzione particolarmente rilevante, quasi determinante, nella definizione e nella concretezza del sistema generale di finanziamento regionale della Catalogna a tal punto che le norme della LOFCA e quelle riportate nello Statuto “verranno interpretate armonicamente” (14ª Disposizione aggiuntiva). Tale fatto può rivelarsi di una grande complessità, data la disparità esistente tra i due testi, nonché spezzare la necessaria omogeneità del sistema di finanziamento regionale non appena tali criteri verranno estesi e diffusi alle altre Comunità Autonome a regime comune.
Una questione previa che dev`essere chiaramente stabilita é appunto il rapporto fra le leggi organiche integranti del blocco della costituzionalitá, in quanto derivate direttamente dalla Costituzione (art.157.3), e gli Statuti di Autonomía.
Ovviamente si tratta di norme di diversa natura, contenuto e portata, come diversa é anche la procedura per la loro approvazione; tuttavía l`elemento della loro articolazione non é mai la gerarchía ma bensí la competenza.
Giá abbiamo detto che la funzione della LOFCA – parimenti a quanto accade con le altre leggi organiche previste nella Costituzione – é delimitare l`autonomía e l´esercizio delle competenze finanziarie nei confronti delle Comunità Autonome, disciplinando ed condizionando l`esercizio di queste competenze; le sue disposizioni, quindi, non possono essere contravvenute o semplicemente ignorate dalle Comunità Autonome, nemmeno attraverso il loro Statuto di Autonomía. E ciò in quanto la ragion d’essere e la funzione della LOFCA é proprio il disegno di un sistema di finanziamento regionale dotato di coerenza interna e di omogeneità, in modo che sia applicabile a tutte le Comunità Autonome a regime comune, “evitando che tale sistema fosse lasciato esclusivamente a quello che fosse deciso da ciascun Statuto di Autonomía”, per dirlo con le stesse parole della STC 68/1996,F.J.9º. Appunto per ció la LOFCA costituisce parametro di costituzionalità.
Lo Statuto di Autonomia di ogni Comunità puó, senz`altro, contenere norme e principi in materia di finanziamento che completino ed integrino la assai succinta regolazione costituzionale della finanza regionale (art. 156 a 158 CE), ma sempre che tale regolazionesia integrabile nell’insieme delsistema i cui elementi strutturali vengono definiti dalla LOFCA e che soltanto allo Stato compete fissare (art.156 CE e art.149.1.14ª CE). Vale a dire, sempre che siano riconducibili all’unità del sistema di finanziamento delle Comunità Autonome. Questa unità del sistema é un corollario dei principi di solidarietá e di coordinamento che reggono il decentramento politico e finanziario che la Costituzione spagnola stabilisce.
Ció significa che le norme dello Statuto e quelle della LOFCA devono essere suscettibili (e oggetto) di una interpretazione integrale, armonica (vedi la STC 85/1984,F.J.3º) senza che, in caso di conflitto, debbano necessariamente prevalere le norme statutarie. Anzi, a prevalere devono essere quelle della Legge organica statale che delimita e regolamenta le competenze delle Comunità in materia, il cui esercizio si conformerà a quanto stabilito in quest`ultima, come correttamente si affermava nello Statuto catalano del 1979 [D.A.7ª].
É partendo da tali premesse che si comprende come devono venire valutati gli elementi di bilateralitá nella regolazione del finanziamento regionale di cui al Titolo VI dello Statuto della Catalogna: la Commissione mista per gli Affari Economici e Fiscali Stato-Generalità; l’Agenzia Tributaria di Catalogna; la fissazione delle percentuali di partecipazione alle imposte statali cedute o i criteri per il finanziamento della Catalogna.
Bisogna avvertire, innanzitutto, che la bilateralitá e l`asimmetría non sono, in linea di massima e di per sé, contrari alla Costituzione od incompattibili con essa ed i suoi principii di organizzazione territoriale, in particolare quelli sulla finanza regionale. Anzi, fin dai primi momenti dell’avvio dello Stato regionale e della messa in atto del sistema di finanziamento hanno coesistito sempre, in tutte le Comunitá Autonome, nei loro rapporti finanziari con lo Stato, elementi di bilateralitá e di asimmetria (ad. es. accordi o patti sul finanziamento nelle Commissioni Miste paritarie di ogni Comunitá Autonoma sugli imposte statali cedute o sulla partecipazione alle entrate dello Stato come l`Accordo sul modello di finanziamento per il quinquennio 1997-2001 che é stato respinto dalla Andalusía, Castiglia- La Mancia ed Estremadura) insieme ad elementi di multilateralitá (Accordi nel seno del Consiglio di Política Fiscale e Finanziaria delle Comunitá Autonome). Senza che ciò significhi fare a meno delle competenze esclusive dello Stato ”sulla finanza pubblica” (art.149.1.14ª CE) per conformare, con la Legge Organica cui si riferisce l`art.157.3 CE, il sistema di finanziamento delle Regioni e per preservare l`unitá e la coerenza del sistema fiscale nel suo complesso (STC 192/2000,F.J.4º).
Gli elementi di bilateralitá e di asimmetria, anche in materia di finanziamento regionale, sono in gran parte il corollario o conseguenza del modello stesso di decentramento politico tracciato dal Titolo VIII della Costituzione basato sul cosidetto “principio dispositivo”, sommariamente descritto all’inizio di questa esposizione. E per ció, difficilmente evitabili; ancorché, dopo oltre 25 anni di funzionamento dello Stato regionale (sopratutto dopo i Patti del 1992) prevalgano, nei rapporti Stato-Comunità Autonome, accanto agli elementi di omogeneitá e di uglianza competenziale, i meccanismi di multilateralitá (il Consiglio di Politica Fiscale e Finanziaria delle Comunitá Autonome) a mezzo dei quali si è voluta cercare una omogeneitá negli accordi di finanziamento; meccanismi di multilateralitá, fra l`altro, sempre incompiuti per la mancanza della necessaria riforma del Senato, volta a ricondurlo, in maniera effettiva, alla funzione di Camera di Rappresentanza Territoriale che la Costituzione gli ha assegnato (art.69.2 CE).
Conviene anche avvertire, però, che questa bilateralitá nei rapporti finanziari Stato-Comunità Autonome, ammessa dalla Costituzione e dalla LOFCA, non ha nulla a che vedere con i sogni nazionalisti che vorrebero associarla ad una sorta di “sovranitá condivisa”, di rapporti finanziari fra uguali, senza sottordinazione gerarchica e “sotto un coordinamento fiscale (europeo) unico” (G.LÓPEZ CASASNOVAS); oppure che immaginano la fine dell’attuale “soggezione dello Statuto alla LOFCA” e che pongono entrambe le normative “sullo stesso piano” (Miquel ICETA), concezione che é radicalmente incompattibile con la Costituzione. Poiché, come ha dichiarato la Corte Costituzionale, “non si puó discutere la posizione di superioritá che costituzionalmente spetta allo Stato come conseguenza del principio di unitá e del supremo interesse della Nazione” (STC 76/1983,F.J. 13º).
Per tutto ciò, le norme della LOFCA e le norme contenute nello Statuto “devono essere interpretate armonicamente” (Disposizione Aggiuntiva 14ª dello Statuto di Catalogna e Disposizione finale della LOFCA), avendo sempre presente la rispettiva posizione di ambedue i testi normativi nell’ordine costituzionale di distribuzione delle competenze.
Armonica integrazione normativa che, al di là della logica, può rivelarsi un compito assai difficile e di grande complessitá, data la disparitá di filosofia dei due testi; così come per la disparità di criteri di finanziamento su cui si fondano, che puó spezzare l`equilibrio e la necessaria omogeneità del sistema di finanziamento regionale, non appena tali criteri verrano estesi alle altre Comunità Autonome a regime comune (ammesso che ciò sia possibile).
Nella prima riunione del Consiglio di Política Fiscale e Finanziaria – svoltasi nel mese di settembre, dopo la approvazione dello Statuto della Catalogna - si sono rivelate in modo palese le difficoltá di un simile sistema di finanziamento a libera richiesta di ogni Comunitá (a la carta), in particolare per quanto riguarda il criterio di investimenti statali in proporzione della percentuale del PIL regionale [il 18,8% nel 2006] varato per la Catalogna nel suo Statuto, essendo finanziariamente insostenibile e privo di criteri di solidarietà. Lo stesso Ministro delle Finanze, Pedro Solbes, in occasione della presentazione in Parlamento del disegno di Bilancio dello Stato per il 2007, é stato costretto ad avvertire che “il sudoku [del bilancio] puó complicarsi fino all’infinito” (sic), per la difficoltá di quadrare i conti pubblici, se tali criteri di investimento statale venissero generalizzati”.
Il nuovo Statuto della Catalogna prende spunto dal modello di finanziamento definito dalla LOFCA, nelle sue varie riforme e nelle Delibere del Consiglio di Politica Fiscale e Finanziaria che, come abbiamo visto, combinava, con intensità varia, le risorse finanziarie derivanti dalla partecipazione alle entrate dello Stato, dalle imposte statali cedute, in toto o in parte, e dagli stessi tributi. Tuttavia, fa un passo in più e configura un modello basato su una maggiore e più ampia cessione delle imposte statali, con il riconoscimento, inoltre, della capacità normativa sulle medesime affiancata dalla gestione tributaria da parte del Governo (Generalidad) catalano; non soltanto su tali imposte, ma anche sulle altre imposte statali riscosse in Catalogna per il tramite di un Consorzio con l’Agenzia tributaria dello Stato, cosicché l’Agenzia tributaria della Catalogna potrà trasformarsi in Amministrazione tributaria ordinaria (unica) in Catalogna; fino al punto che la Generalità di Catalogna assume le competenze in materia di revisione in via amministrativa degli atti di gestione tributaria della Agenzia Tributaria di Catalogna, riducendosi le competenze della Amministrazione generale dello Stato (Tribunali Economico-Amministrativo Regionale e quello Centrale) alla semplice “unificazione della dottrina” [amministrativa].
Secondo lo Statuto, spettano alla regione:
-        il 50% dell’IRPF, con un aumento delle competenze normative su tale scaglione dell’imposta (imposizione dell’aliquota impositiva, delle esenzioni, delle detrazioni e delle agevolazioni sull’imponibile o sulla quota);
-        il 50% del gettito dell’IVA, determinato in funzione dei consumi sul territorio regionale, con cessione delle competenze normative nelle operazioni al dettaglio;
-        il 58% della rendita delle imposte speciali: sugli idrocarburi, sulle attività del tabacco, sull’alcool e sulle bevande derivate, sulla birra, sul vino e sulle bevande fermentate e imposte sui prodotti intermedi, con la cessione delle competenze normative nel regime tributario al dettaglio dei prodotti su cui gravano imposte speciali di fabbricazione.
In merito alla portata e alle condizioni della cessione dei tributi statali la Corte Costituzionale ha ribadito che “gli Statuti di Autonomia, nonostante la forma di legge organica, non sono strumenti utili e neppure costituzionalmente adeguati, per la loro natura e modo di approvazione. Per questi aspetti lo Statuto prevede che vengano stabiliti dalla Commissione mista di Affari Economici e Fiscali Stato-Generalitá, organo bilaterale di composizione paritaria per i rapporti con lo Stato in questa materia. Il Governo trasformerà poi la delibera della Commissione in un disegno di legge (Disposizione Aggiuntiva 12ª). Siamo quindi di fronte ad una specie di “accordi normativi” con effetto vincolante per le parti.
Ma é alquanto dubbio che lo Statuto (come fa la sudetta D.A.) possa fissare la percentuale della cessione di imposte statali sulle quali non ha la competenza, predeterminando il contenuto di decisioni statali ed imponendo un mandato al potere legislativo dello Stato sul contenuto della Legge di Cessione dei Tributi. Nemmeno il carattere “pattizio o concordato” che di solito si attribuisce alla norma statutaria o l’ipotesi che quello che si predetermina é soltanto il contenuto di un futuro dissegno di legge la cui elaborazione spetta al Governo della Nazione, consentono, a mio avviso, di superare questa obbiezione. La ragione é ben chiara e ha a che vedere con il rapporto fra norme integranti del blocco della costituzionalitá su questa materia, rilevato prima. Come chiaramente afferma la Corte Costituzionale, per compiere i trasferimenti o deleghe di competenze di materie di titolaritá statale consentiti dall`art.150.2 della Costituzione”.... “loStatuto é ilparadigma degli strumenti giuridici di autorganizzazione, il trasferimento e la delega entrano invece nell`ambito della eterorganizzazione” (STC 56/1990,F.J.5º).
Inoltre, trattandosi di una questione che riguarda il sistema di finanziamento regionale nel suo insieme (multilateralitá) essa deve essere disciplinata dallo Stato con una apposita legge generale, sottoposta all’esame di tutte le Comunitá Autonome. A meno che si affermi (e non é mancato chi lo abbia fatto) che nella Costituzione spagnola non c`é [e non si impone] nessuna concezione della finanza come finanza di coordinamento, oppure che non fa parte sostanziale del contenuto costituzionale della LOFCA la determinazione dei percentuali della cessione dei tributi statali alle Comunitá Autonome.   
 
Nello Statuto della Catalogna vengono fissati alcuni criteri che determineranno e condizioneranno, inevitabilmente, il sistema di finanziamento delle Comunità Autonome. Infatti si stabilisce che:
-        gli investimenti dello Stato in infrastrutture nella Catalogna,escluso il Fondo di Compensazione Interterritoriale(!!), in un lasso di tempo di 7 anni, si equipareranno al PIL della Catalogna in relazione alla Spagna presa nel suo insieme (6ª Disposizione aggiuntiva). Un vero privilegio per la Catalogna, che urta in modo palese con i principi di coordinamento e di solidarietá interterritoriale della Costituzione e della LOFCA; criterio fra l`altro di molto difficile, e forse impossibile, generalizzazione alle restanti Comunitá Autonome, poiché favorisce particolarmente le regioni più ricche; appunto per ció la Andalusia si é affrettata a chiedere (nel suo Statuto attualmente in esame alle Camere) che il criterio applicabile nel suo caso sia quello dell’equivalente al peso della popolazione sul totale complessivo della Spagna. 
-        il livello delle risorse finanziarie disponibili per la Catalogna sarà fissato secondo criteri di “fabbisogno di spesa” [determinato in funzione della popolazione, rettificato in base ai costi differenziali e alla demografia; della densità di popolazione, della popolazione immigrante e della densità dei centri abitati], della “capacità fiscale” e dell’“impegno o sforzo fiscale”.
 
Il modello si chiude con una nuova formula di articolazione della solidarietà e della compensazione finanziaria interterritoriale, che tiene conto dell’apporto finanziario della Catalogna ai servizi generali prestati dallo Stato nel territorio. Tale modello, pur non equiparato al regime di Convenzione economica, intende avvicinarsi ad esso in quanto ai risultati. È significativa l’istituzione di un aggiornamento quinquennale del sistema di finanziamento a cura di una Commissione mista per gli Affari economici e fiscali Stato-Governo catalano (Generalitat) (art. 212).
Infatti, nell’ambito dello Statuto della Catalogna vengono messi a punto nuovi criteri inerenti l’applicazione dei meccanismi di conguaglio finanziario o di livellamento con cui s’intende dare attuazione – come non poteva essere altrimenti - al mandato costituzionale di solidarietà interregionale di cui agli artt. 138 e 139 CE. Tuttavia, successivamente, s’introducono limiti alquanto chiari e precisi alla funzione di ridistribuzione territoriale del reddito e della ricchezza derivante dall’applicazione del sistema tributario e dell’odierno sistema di finanziamento regionale dato che:
-        il contributo ai meccanismi di livellamento e di solidarietà avverrà conformemente al principio di trasparenza e verrà valutato a cadenza quinquennale;
-        il finanziamento non deve comportare effetti discriminatori per la Catalogna nei riguardi delle altre Comunità Autonome;
-        il livello delle risorse finanziarie della Catalogna (determinato in base ai criteri suddetti) potrà essere “regolato” affinché il sistema generale di finanziamento disponga di risorse sufficienti a garantire il livellamento e la solidarietà con le altre Comunità Autonome, vale a dire che i servizi relativi all’istruzione, alla sanità e altri servizi sociali essenziali dello Welfare State (Stato assistenziale) prestati dai vari governi regionali dovranno poter raggiungere livelli analoghi nell’insieme dello Stato, pur tuttavia con una restrizione importante: “purché [i vari governi regionali] effettuino uno sforzo fiscale anch’esso analogo” a quello della Catalogna. Ma cos’é uno sforzo fiscale analogo, come si definisce e come si fa a calcolarlo, date le ben note differenze esistenti, sia in reddito che in richezza, fra le Comunitá Autonome?.
-        Lo Stato garantirà che l’applicazione dei meccanismi di livellamento non alteri in alcun caso la posizione della Catalogna nell’ambito dell’ordinamento dei redditi pro capite tra le Comunità Autonome prima del livellamento (art. 208.5). É il cosidetto “principio di ordinalitá”, come limite generico alla solidarietá interterritoriale, preso dal Diritto tedesco e, in particolare, dalla Sentenza della Corte Costituzionale Federale (Bundesverfassungsgericht) dell’11 novembre 1999 a proposito della Legge di Compensazione Finanziaria [Finanzausgleichgesetz] fra la Federazione ed i Länder. Principio assolutamente innovativo ed estraneo ai criteri e principi del sistema disegnato dalla LOFCA, ma che in ogni modo non compete stabilire unilateralmente allo Statuto di una Comunitá Autonoma ma sul quale spetta esclusivamente allo Stato decidere mediante una apposita modifica della LOFCA, applicandosi a tutte le Comunitá a regime comune.
Si tratta di limitazioni con cui s’intende “equilibrare” il bilancio fiscale della regione: cioé, quanto apportato dalla Catalogna alle entrate fiscali dello Stato e le risorse finanziarie corrispondentemente ricevute. Un’idea che, come segnalato in precedenza, è profondamente regressiva e per niente solidale e che sovverte i principi e la configurazione dell’Erario pubblico di cui alla nostra Costituzione.
I criteri di finanziamento stabiliti dal nuovo Statuto della Catalogna privilegiano chiaramente questa Comunità e le altre regioni ricche, dotate di maggior reddito e con economie più dinamiche, contrariamente a quanto avviene per le regioni meno abbienti e meno sviluppate. Ciò, unito ai massimali previsti per la ridistribuzione interterritoriale del reddito via il sistema fiscale e per la solidarietà, è destinato a provocare un aumento delle disuguaglianze e fortissime tensioni politiche con altre Comunità Autonome, nonché gravi problemi di legittimità costituzionale data la implicita mancanza di solidarietà.
L’effetto ridistributivo derivante dall’odierno sistema di finanziamento regionale – che fa sì che le risorse apportate dalle Comunità Autonome alle entrate fiscali dello Stato sia direttamente proporzionale al loro livello di reddito e di ricchezza mentre quanto ricevuto dalle entrate generate dallo Stato nel suo insieme sia inversamente proporzionale al loro livello di reddito o di ricchezza – illustra chiaramente la gravità e la portata delle conseguenze.
Naturalmente la LOFCA prevede eventualmente un canale legale di correzione delle disuguaglianze finanziarie tra le Comunità Autonome, sia mediante il Fondo di compensazione interterritoriale che mediante il Fondo di sufficienza finanziaria, oppure mediante gli appositi stanziamenti nel Bilancio generale dello Stato. Tuttavia, i problemi derivanti da un sistema di finanziamento regionale basato sui principi e sui criteri di cui allo Statuto della Catalogna, non appena interesseranno tutte le Comunità Autonome a regime comune, riguarderanno non soltanto la legitimitá costituzionale e la solidarietá interterritoriale ma anche la sostenibilità e l’equilibrio del modello.
Infatti, lo Statuto della Catalogna suppone un forte assottigliamento della leva finanziaria dello Stato sulle sue fonti di entrata che, se nel momento attuale di prosperità e di crescita economica non sembra pregiudicare l’attuabilità del sistema, nelle fasi di depressione del ciclo, caratterizzate da una sensibile contrazione dell’attività economica, da disoccupazione e da disavanzo del bilancio, potrebbe intaccare seriamente la capacità fiscale dello Stato e l’equilibrio dei conti pubblici, con il rischio di compromettere la funzione che allo Stato spetta di correzione degli squilibri economici regionali e di rendere effettivo il principio costituzionale della solidarietá.
D’altro canto, è motivo di preoccupazione il fatto che l’ormai tradizionale tendenza degli enti territoriali a cercare in fonti esogene di finanziamento la copertura della rispettiva spesa pubblica – già più volte denunciata dalla dottrina accademica – non soltanto non viene corretta nel modello dello Statuto della Catalogna ma viene rafforzata fino all’estremo di svuotare le fonti di entrata dello Stato.
L’assottigliamento finanziario dello Stato può pregiudicare in futuro – con congiunture economiche meno favorevoli e la prevedibile riduzione dei trasferimenti dei fondi strutturali dell’Unione europea, man mano che la Spagna converge verso la media del reddito dell’Unione – la capacità di finanziamento dei programmi statali di spesa destinati a politiche nazionali o infrastrutturali d’interesse comune per tutti gli spagnoli, qualunque sia il loro territorio di residenza.
Per quanto riguarda la spesa pubblica, lo Statuto di Autonomia della Catalogna introduce una norma di valenza e di portata tutt’altro che trascurabili.
Lo Stato ha usufruito sempre di un potere di spesa (spending power) da imputare al Bilancio generale e il cui esercizio ha suscitato numerosi conflitti con le Comunità Autonome quando veniva esercitato su materie o nell’ambito di competenze assunte dalle Regioni nei loro Statuti. La giurisprudenza costituzionale è stata copiosa e ha espresso chiaramente tale conflittualità finché la STC 13/1992 [relativa alla Legge di Bilancio dello Stato] e la STC 79/1992 [relativa ai Fondi strutturali FEOGA dell’Unione europea] ha cercato di risolverla con una dottrina equilibrata, conciliando il principio di sovranità finanziaria (di spesa) dello Stato nella sua azione di sovvenzione [che le consente di porre il suo potere di spesa al servizio di una politica di equilibrio sociale in settori che ne abbiano bisogno, quale attuazione dei mandati o delle clausole costituzionali generiche, come quelle del Capitolo III del Titolo I, il cui espletamento spetta, in via prioritaria, a chi dispone di una maggiore capacità di spesa (STC 13/1992,F.J.7º)] e l’ordine statutario di distribuzione delle competenze, evitando lo spiazzamento di quelle competenze decentrate a favore delle Comunità Autonome.
Non si verifica, dunque, una perdita assoluta di potere da parte dello Stato per eventuali interventi in tali materie –ad esempio, l’Assistenza sociale– attribuite esclusivamente dagli Statuti di Autonomia alle Comunità Autonome, dal momento che lo Stato può detenere competenze concorrenti in forza di titoli riconosciuti dalla Costituzione, finalizzati all’attuazione di politiche sociali atte a garantire:
a) le condizioni fondamentali dell’uguaglianza nell’esercizio o nel godimento dei diritti costituzionali (singolarmente, per quanto interessa in questo momento, i diritti sociali del Capitolo III del Titolo I) (art. 149.1.1ª CE);
b) l’attuazione dei mandati costituzionali relativi all’uguaglianza degli spagnoli ovunque sul territorio dello Stato (art. 139.1 CE);
c) la solidarietà interterritoriale e la coesione sociale su tutto il territorio nazionale (artt. 2 e 138.1; artt. 156.1 e 158.2 CE).
 
Funzioni spettanti allo Stato, intrinseche alla sua natura di Stato sociale e democratico di Diritto propugnato dall’art. 1.1 CE.
Di conseguenza, in molti casi (sebbene non in tutti), la Corte Costituzionale ha dichiarato la territorializzazione dei fondi statali di modo che possano essere gestiti, in forma decentrata, dalle Comunità Autonome competenti in materia (STC 13/1992, F,J. 9º).
Or bene, il nuovo Statuto della Catalogna fa un passo in più per riuscire a ottenere (benché parzialmente) quanto non ottenuto in precedenza dalla Corte Costituzionale, vale a dire la totale territorializzazione dei fondi iscritti nel bilancio dello Stato per azioni d’incentivazione settoriale espletate nel territorio della Catalogna; “il Parlamento catalano (Generalitat) partecipa alla determinazione del carattere non territorializzabile delle sovvenzioni statali e comunitarie. Partecipa, altresì, nei termini fissati dallo Stato, alla loro gestione e conformazione” (art. 114.5 Statuto della Catalogna). In altre parole, precisamente quelle che la STC 13/1992 (v.gr. le partite budgetarie del Bilancio Generale dello Stato dello 0,52% del gettito dell’IRPF destinati ad altri fini d’interesse sociale) e la STC 79/1992 (fondi del FEOGA) avevano dichiarato che non potevano essere oggetto di territorializzazione e che spettavano allo Stato, mediante la gestione centralizzata dei fondi da parte di organismi dell’Amministrazione generale, quando ciò fosse imprescindibile per garantire la piena effettività delle misure nell’ambito dell’ordinamento di base del settore; le medesime possibilità di acquisizione e di godimento da parte degli eventuali destinatari su tutto il territorio nazionale o per evitare il superamento della somma complessiva dei fondi statali destinati al settore.
Ciò che era in precedenza competenza esclusiva dello Stato diviene ora competenza condivisa, non perché così disponga la Costituzione ma perché lo prevede lo Statuto di Autonomia.
 
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