AVVERTENZA:  Lo studio che segue è tratto dal Sesto Rapporto annuale sullo stato del regionalismo in italia, Milano, Giuffrè Editore, 2011.


Sommario:

  
 
 
 
1. Considerazioni introduttive: un passo avanti e due indietro
 
I dati complessivi sulla giurisprudenza costituzionale Stato-Regioni per il 2009 non appaiono particolarmente incoraggianti (1).
Le decisioni rese nel giudizio in via diretta, infatti, sono maggiori rispetto al 2008 (19 in più), nonostante un dato complessivo (342 tra sentenze e ordinanze) che è stato il più basso dal periodo dello smaltimento dell’arretrato (1987-89); e l’aumento è ancora maggiore se si guarda ai dispositivi (417 rispetto ai 183 del 2008, con una crescita del 127,87%). Particolarmente alto permane anche il numero di nuovi ricorsi pervenuti alla Corte (110) e negativi sono i dati sul rapporto tra decisioni e atti di promuovimento, essendo state definite meno questioni rispetto alle nuove poste all’attenzione della Corte. Conclusioni poco consolanti, infine, possono trarsi riguardo ai tempi medi di decisione, che sono quasi raddoppiati rispetto al 2008 (671,26 giorni contro 384,29), riassestandosi sulla cifra del 2005 (il che, tuttavia, può almeno in parte spiegarsi in virtù dello “smaltimento” di pendenze risalenti anche al 2006).
Del tutto residuale la cifra delle decisioni sui conflitti d’attribuzione tra Stato e Regioni (appena 10, a cui devono aggiungersi i 2 casi in cui la Corte ha deciso congiuntamente ricorsi in via principale e conflitti fra enti). Per tale tipo di giudizi, se non altro, si riscontra una positiva tendenza riguardo ai tempi di decisione, che risultano più che dimezzati (218,92 giorni, contro i 457,07 del 2008).
Rispetto al biennio 2007-2008, dunque, il numero delle decisioni (e dei dispositivi) sui ricorsi in via diretta torna a salire, a conferma di una conflittualità tra Stato e Regioni che ha raggiunto una “ipertrofia” ormai patologica. La qual cosa rafforza il ruolo “arbitrale” della Corte costituzionale, comportandone una sorta di “mutazione genetica”, da giudice delle leggi a giudice dei conflitti, come posto in evidenza dal Presidente Amirante nel corso della Conferenza annuale sulla giustizia costituzionale. Inoltre, deve sottolinearsi anche la frequente tendenza alla “negoziazione” tra enti riguardo ai ricorsi, in virtù dell’alto numero di modifiche ai provvedimenti statali e regionali in pendenza di giudizio, che comporta un sempre crescente numero di casi di estinzione del giudizio e soprattutto di cessazione della materia del contendere. Tuttavia, non può non sottolinearsi l’alto profilo qualitativo del modus decidendi della Corte costituzionale, provvedendo sempre più spesso alla riunione dei giudizi per la risoluzione di questioni assai complesse (come nel caso delle pronunce sul Codice dell’ambiente); il che ha consentito di contenere entro un numero comunque accettabile le pronunce in via principale, nonostante l’altissimo incremento delle questioni decise.
In conclusione, se nel complesso sembra possa riscontrarsi un passo avanti sul complessivo andamento del contenzioso costituzionale, nell’ambito dei rapporti tra Stato e Regioni i dati non sono confortanti e i passi indietro sono più di uno.
 
 
2. Profili processuali
 
La dialettica fra i diversi livelli legislativi propria dell’ordinamento autonomistico italiano prevede anche l’eventualità di parziali sovrapposizioni fra le leggi statali e regionali, che possono appunto trovare soluzione mediante il promovimento della questione di legittimità costituzionale dinanzi a questa Corte, secondo le scelte affidate alla discrezionalità degli organi politici statali e regionali (2). Da ciò deriva, pertanto, che né lo Stato né le Regioni possono pretendere, al di fuori delle procedure previste da disposizioni costituzionali, di risolvere direttamente gli eventuali conflitti tra i rispettivi atti legislativi per il tramite di proprie disposizioni di legge, rendendo inapplicabili quelle in conflitto (sent. n. 237).
 
 
2.1.  Ricorso ex art. 127 e conflitti intersoggettivi. Atti introduttivi
 
Natura non particolarmente innovativa presentano le pronunce in materia di atti introduttivi del giudizio principale, ribadendosi la perentorietà del termine di dieci giorni dalla notificazione del ricorso per il deposito dello stesso, pena l’improcedibilità della questione promossa (3), nonché la non applicazione ai giudizi davanti alla Corte costituzionale della normativa in materia di sospensione feriale dei termini processuali (4) (sent. n. 318). Perentorio e non eludibile è anche il termine per l’intervento nel giudizio principale (sent. n. 215).
Maggior interesse presentano le conclusioni, pure ormai consolidate (5), riguardo al principio della scissione fra il momento in cui la notificazione deve intendersi perfezionata nei confronti del notificante rispetto a quello in cui essa lo è per il destinatario, essendo sufficiente per il primo la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario (sentt. nn. 225, 250, 318). La ratio di tale effetto anticipato a favore del notificante, tuttavia, è correlata all’esigenza di tutelare il diritto di difesa del medesimo, anche sotto il profilo del principio di ragionevolezza, nonché l’interesse dello stesso a non subire l’esito intempestivo di un procedimento notificatorio parzialmente sottratto ai suoi poteri d’impulso; l’anticipazione, pertanto, non ha ragione di operare per stabilire il dies a quo inerente alla decorrenza di un termine successivo del processo, qual è nella specie il deposito del ricorso notificato, che, pertanto, decorre dal momento in cui l’atto perviene al destinatario (sent. n. 318).
Si conferma, inoltre, l’inammissibilità delle censure di costituzionalità contenute nel ricorso che non trovino previsione o adeguata specificazione nella delibera d’autorizzazione all’impugnazione adottata dalla Giunta regionale o dal Consiglio dei ministri (sentt. nn. 232, 246, 247, 249) (6), salva al più l'autonomia tecnica dell'Avvocatura dello Stato nell'individuazione dei motivi di censura (sent. n. 290) (7). Ancor più inammissibili, da ultimo, sono le censure che non siano dedotte con il ricorso, bensì con la successiva memoria illustrativa (sent. n. 298) (8).
 
 
2.2.   Profili soggettivi
 
Nessuna novità si registra riguardo all’individuazione dei soggetti legittimati a intervenire nel giudizio principale. Il giudizio di costituzionalità sulle leggi in via di azione, infatti, si svolge esclusivamente tra titolari di potestà legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche alla Corte in via incidentale (sentt. nn. 225, 232, 233, 234, 235, 246, 247, 249, 250, 251, 254, 295) (9).
Pure nei conflitti d’attribuzione si conferma l’impossibilità di superare la chiara limitazione soggettiva che si ricava dagli artt. 134 Cost. e 39, comma 3, l. n. 87 del 1953, dovendosi escludere che, in seguito alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, ai Comuni possa riconoscersi, ai fini del conflitto tra enti, la stessa posizione delle Regioni (10) (sent. n. 130).
 
 
2.3.   Interesse a ricorrere e vizi deducibili
 
Numerose le decisioni che per il 2009 hanno avuto a oggetto l’interesse a ricorrere, nonché i vizi di costituzionalità deducibili dalle Regioni. Sotto quest’ultimo profilo trova piena conferma la costante giurisprudenza che considera inammissibili le censure prospettate dalle Regioni rispetto a parametri di costituzionalità diversi dalle norme che operano il riparto di competenze con lo Stato (11), salvo che queste non si risolvano nella deduzione di lesioni delle competenze regionali stabilite dalla Costituzione o dallo statuto di autonomia (nel caso di Regioni ad autonomia speciale) (sentt. nn. 12, 99, 107, 196, 225, 235, 237, 246, 249, 250, 254, 341). Il che non esclude che le Regioni possano denunciare una legge statale anche per violazione delle attribuzioni degli enti locali, quando, in virtù della stretta connessione tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali, la lesione di queste ultime sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle prime (12) (sent. n. 298).
Ciò precisato, è evidente la centralità che l’interesse al ricorso presenta nel giudizio in via principale, determinando la sua carenza l’inammissibilità della questione di legittimità (sentt. nn. 251, 296, 298, 341, 342). Proprio poiché l'unico interesse che le Regioni sono legittimate a far valere è quello alla salvaguardia del riparto delle competenze delineato dalla Costituzione, l'interesse ad agire deve presentare le caratteristiche della concretezza e dell'attualità, risolvendosi in quella utilità diretta e immediata che il soggetto che agisce può ottenere con il provvedimento richiesto al giudice (sent. n. 107); con la conseguente inammissibilità di quelle questioni in cui venga lamentata una lesione meramente eventuale delle proprie attribuzioni (sent. n. 225) o in cui s’impugnino norme inidonee ad avere effetti lesivi sul territorio regionale (sent. n. 251), essendo tuttavia sufficiente l’esistenza della norma che si afferma lesiva del riparto di competenze (sent. n. 334) (13).
Non si dimentichi, infine, che l’interesse a ricorrere non viene meno qualora le norme impugnate siano oggetto di abrogazione o modifica, qualora risulti che le stesse abbiano avuto applicazione, determinandosi solo in caso contrario la cessazione della materia del contendere (sent. nn. 164, 252, 307, 215).
 
 
2.4.   Questioni di legittimità e motivazione
 
La Corte è esplicita nell'affermare che “il giudizio in via principale può concernere questioni sollevate sulla base di interpretazioni prospettate dal ricorrente come possibili, a condizione che queste ultime non siano implausibili o irragionevolmente scollegate dalle disposizioni impugnate così da far ritenere le questioni del tutto astratte o pretestuose” (sentt. nn. 196, 342) (14). Ciò, tuttavia, non può comportare che l’oggetto del giudizio medesimo si esaurisca in una questione di esatta interpretazione della disposizione impugnata, dovendo questa necessariamente risultare connessa, in via strumentale, a quella relativa alla salvaguardia del sistema costituzionale di riparto delle competenze, una volta che se ne lamentino violazioni dirette e immediate (sent. n. 342) (15).
Il ricorso principale, a pena di inammissibilità, non solo deve identificare esattamente la questione nei suoi termini specifici, ma anche contenere un’adeguata, ancorché sintetica, motivazione delle ragioni poste a base della richiesta declaratoria d'incostituzionalità (sent. n. 297) (16), poiché “la mancata esplicitazione delle argomentazioni, anche minime, atte a suffragare la censura proposta è causa di inammissibilità della questione di costituzionalità sollevata” (17) (sent. n. 251). Proprio riguardo all’onere motivazionale, la Corte è esplicita nel confermarne la specificità (18), essendo il ricorrente tenuto a illustrare adeguatamente le ragioni per le quali le disposizioni impugnate violano i parametri costituzionali (sentt. n. 54, 225, 232, 235, 249, 250, 251, 252, 254; ord. n. 175). L'esigenza di un'adeguata motivazione a sostegno dell'impugnativa, anzi, si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti che non in quelli incidentali (sent.n. 251, 340); il che vale anche per le questioni concernenti disposizioni il cui annullamento deriva in via consequenziale dalla dichiarazione d’illegittimità di altre disposizioni legislative, benché in questo caso possa essere sufficiente anche un sintetico richiamo a quanto già affermato con riguardo a queste ultime (sent. n. 138) .
Sono, dunque, inammissibili le questioni formulate in modo generico (sentt. nn. 148, 225, 232, 233, 234, 235, 237, 246, 247, 249, 250, 251, 315, 341) oscuro (sent. n. 246, 247) o contraddittorio (sent. n. 297), carenti di qualsiasi motivazione (sentt. nn. 99, 165, 232, 249, 250, 251, 254), meramente ipotetiche (sent. n. 233), vertenti su un insieme eterogeneo di norme, senza argomentare in che modo le competenze siano lese (sent. n. 249), o comunque prive degli elementi argomentativi idonei a dimostrare l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate (sentt. nn. 54, 200, 234, 235).
A quanto detto deve aggiungersi anche l’inammissibilità di quelle censure che attengono alla denuncia di meri inconvenienti di fatto derivanti dall'applicazione delle norme impugnate, poiché inidonei a configurare un contrasto della disposizione impugnata con il parametro costituzionale invocato (sentt. nn. 249, 298) (19).
Spostandoci sul piano dei conflitti di attribuzione va precisato come le censure non possano essere formulate in modo da esaurirsi nella prospettazione di un dubbio d'incostituzionalità su una legge che, a suo tempo, non fu oggetto di alcuna impugnazione in via principale, pena l’inammissibilità del ricorso. In caso contrario, altrimenti, si avrebbe un’elusione dei termini perentori previsti dall'art. 127 Cost. per il ricorso in via principale, nonché la sottrazione al giudice a quo del potere-dovere di sollevare in via incidentale la questione di legittimità costituzionale dell'atto avente forza di legge sul quale si fonda il provvedimento impugnato (sent. n. 149) (20).
Anche per tale tipo di giudizio, inoltre, si ribadisce l’onere motivazionale, comportando la palese carenza di motivazione del ricorso la sua inammissibilità (sent. n. 105).
 
 
2.5.   Parametro
 
Prescindendo dalle questioni concernenti le autonomie speciali (per cui si rinvia al par. 11.1) alcuni spunti si riscontrano riguardo alle norme interposte di diritto comunitario. In tali casi, infatti, al ricorrente non è sufficiente dedurre la violazione della disciplina comunitaria, ma è fatto onere di spiegare in che misura tale violazione ridonderebbe sulle proprie attribuzioni costituzionali. (sentt. nn. 225, 234, 249, 251).
 
 
2.6.   Oggetto
 
Riguardo all’oggetto del giudizio principale la Corte ha avuto modo di pronunciarsi sui profili inerenti la “veste formale” delle norme impugnate, la cui modifica non comporta di per sé il venir meno della materia del contendere; infatti, qualora si ravvisi una sostanziale identità del contenuto precettivo della nuova disposizione rispetto a quella oggetto di modifica, lo scrutinio di costituzionalità deve essere trasferito sulla prima, sebbene non impugnata; in caso contrario, l'uso distorto della potestà legislativa potrebbe pregiudicare il principio di effettività della tutela costituzionale delle parti (sentt. n. 139, 237, 272) (21). Un esempio è dato dal trasferimento della questione da un decreto-legge alla relativa legge di conversione (sent. n. 298) (22).
Nell’ambito dei conflitti, invece, si ribadisce che “gli atti giurisdizionali sono suscettibili di essere posti a base di un conflitto di attribuzione tra enti (oltre che tra poteri dello Stato) solo quando sia radicalmente contestata la riconducibilità dell’atto che determina il conflitto alla funzione giurisdizionale, ovvero sia messa in questione l’esistenza stessa del potere giurisdizionale nei confronti del soggetto ricorrente” (23) (sent. n. 130).
 
 
2.7.   Riunione dei giudizi e separazione delle decisioni con riserva di ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale
 
Pochi nel 2009 i casi di riunione pura e semplice dei giudizi, motivati dalla connessione oggettiva e soggettiva dei ricorsi (sent. n. 61), dalla identità di censure (sent. n. 88), contenuto (sent. n. 295) o motivi (sent. n. 298). La stretta connessione oggettiva (sent. n. 330), e anche soggettiva (sent. n. 196), è invece alla base della peculiare riunione di giudizi principali e conflitto di attribuzione.
L’assenza di omogeneità delle questioni sollevate da più ricorsi e all’interno di ogni singolo, invece, porta la Corte a optare per una trattazione separata delle questioni prive di collegamento (sentt. nn. 76, 99, 107, 114, 124, 148, 168, 297, 308, 322; ordd. nn. 175, 305, 342), sovente per i ricorsi aventi a oggetto i c.d. provvedimenti statali omnibus e in particolare la legge finanziaria (sentt. nn. 76, 99, 107, 114, 124, 148, 168, ord. n. 175).
Piuttosto frequenti sono i casi in cui la Corte ha deciso con unica pronuncia le questioni omogenee, riservandosi di decidere separatamente sulle altre questioni, secondo i canoni sopra ricordati (sentt. nn. 88, 139, 200, 225, 232, 233, 234, 235, 237, 246, 247, 249, 250, 251, 254, 284, 334, 339, 340, 341; ord. n. 324). Casi i quali, come già in passato, si verificano ancora una volta riguardo ai provvedimenti omnibus, come la legge finanziaria (sentt. nn. 88, 139, 200, 219, 237, 284, 334, 339, 340, 341; ord. n. 324), o i c.d. “codici di settore”, quale il Codice dell’ambiente (sentt. nn. 225, 232, 233, 234, 235, 246 247, 249, 250, 251).  
 
 
2.8.   Tipi di decisioni
 
La maggioranza delle questioni di legittimità proposte non ha trovato accoglimento nella giurisprudenza del 2009 (43 pronunce per 167 dispositivi) Le decisioni di accoglimento (77 dispositivi in tutto), invece, contengono in gran parte declaratorie d’illegittimità costituzionale pura e semplice. Abbastanza numerose, comunque, le pronunce contenenti dispositivi di carattere ablativo (sentt. nn. 213, 236, 246, 249, 250, 271, 290, 297, 314, 334, 340, 341) o additivo (sentt. nn. 124, 232, 247, 339); solo in un caso (sent. n.76) si ha una sentenza di tipo sostitutivo, nonché una sentenza interpretativa di accoglimento (sent. n. 314). Cinque sono, invece, le pronunce d’illegittimità consequenziale di disposizioni inscindibilmente connesse a quelle annullate (sentt. nn. 10, 74, 138, 160, 252).
Tra le decisioni processuali, oltre alle 29 contenenti dispositivi d’inammissibilità (137 in tutto), a cui devono aggiungersi le due di manifesta inammissibilità (ordd. nn. 175, 342), si registrano 39 dichiarazioni di cessazione della materia del contendere (sentt. nn. 74, 139, 200, 225, 232, 233, 234, 246, 247, 249, 272, 284, 299, 341; ordd. nn. 53, 153, 305). Questa è generalmente motivata dall’abrogazione, soppressione o modifica della normativa da cui il ricorso traeva origine, in assenza di applicazione medio tempore della stessa (sentt. nn. 74, 139, 225, 232, 234, 246, 247, 249, 284, 298, 299, 341), non essendo sufficiente che sia stata transitoriamente in vigore (sentt. nn. 234, 249) (24); peculiari i casi in cui tale tipo di decisione viene adottata per la mancata conversione di un decreto-legge (sentt. nn. 200, 298). Inoltre, la cessazione della materia del contendere può determinarsi anche per rinuncia al ricorso, in assenza di regolare accettazione della rinuncia, quando si sia comunque verificata la modifica o abrogazione della normativa impugnata (ordd. nn. 53, 153; sent. n 233) (25). Ad analoga decisione si arriva pure quando non via sia una formale rinuncia, qualora il ricorrente evidenzi il sopraggiunto venir meno delle ragioni della controversia e la parte resistente non sia costituita o non si opponga (246) (26). In una sola pronuncia, invece, la cessazione della materia del contendere è consequenziale alla promulgazione parziale di una legge regionale siciliana, con omissione delle parti impugnate (ord. n. 186).
Tredici volte, invece, è stata dichiarata l’estinzione del processo per rinuncia al ricorso (ordd. nn. 48, 136, 154, 189, 199, 292, 304, 312, 330; sentt. nn. 200, 247, 254), sovente motivata dall’abrogazione, sostituzione o modifica del provvedimento impugnato (ordd. nn. 48, 189). In otto casi la rinuncia non ha richiesto l’accettazione della controparte poiché il resistente non si era costituito in giudizio (ordd. nn. 48, 136, 199, 292, 304, 312; sentt. nn. 247, 254) (27).
Nei giudizi per conflitto d’attribuzione le pronunce di rigetto sono la maggioranza (sentt. n. 104, 129, 196, 337); due, invece, le decisioni di accoglimento (sentt. nn. 149, 209). Due, infine, le declaratorie di estinzione del processo per rinuncia al ricorso (ordd. nn. 44, 330), rinuncia regolarmente accettata solo in una vicenda (ord. n. 330).
Da ultimo, si segnalano i casi in cui la Corte si è trovata a decidere in sede cautelare, pronunciandosi generalmente con un non luogo a provvedere sull’istanza proposta (sentt. n. 232, 235, 250, 251, 254, 341) o dichiarando la stessa assorbita dalla pronuncia di merito (sentt. nn. 200, 249).
 
 
3.   L’organizzazione regionale
 
3.1. L’autonomia statutaria (art. 123 Cost.).
 
Anche nel 2009 la Corte ha modo di affermare alcune importanti constatazioni riguardo al procedimento d’approvazione degli statuti. In primo luogo, si ribadisce la possibilità per il Governo di utilizzare lo strumento del conflitto di attribuzione per denunciare l'asserita illegittimità dell'atto di promulgazione dello statuto per vizi precedentemente non rilevabili (28). L’interesse a preservare la supremazia delle previsioni costituzionali, infatti, si proietta anche su tale fase, al fine di impedire che entrino in vigore norme statutarie costituzionalmente illegittime (sent. n. 149).
In secondo luogo, la Corte si sofferma sulle cd. “leggi di governo” delle Regioni ad autonomia speciale, approvate con il procedimento aggravato previsto dai loro statuti, come modificati dalla l. cost. n. 2 del 2001, in particolare sulla vicenda avente ad oggetto quella della Regione Sardegna (l.r. n. 10 del 2008). Tale legge era stata promulgata dal Presidente della Regione in seguito allo svolgimento della consultazione referendaria, nonostante i voti contrari avessero prevalso; tuttavia, vi era stata una partecipazione al referendum inferiore a un terzo degli aventi diritto al voto, quorum strutturale previsto dalla legislazione sarda in materia referendaria (l.r. n. 20 del 1957); ciò aveva portato la Corte d’Appello di Cagliari a dichiarare l’invalidità della consultazione, dovendosi ritenere il suddetto quorum applicabile anche al referendum statutario. Quanto detto, pertanto, avrebbe reso la “bocciatura” referendaria inoperante, consentendo la promulgazione della legge. La Corte, giudicando su ricorso per conflitto d’attribuzione promosso dallo Stato, prescinde dalla questione dell’applicabilità del quorum strutturale al referendum statutario, la qual cosa appare perlomeno dubbia, poiché sarebbe contenuta in una legge regionale ordinaria, che va però a integrare la disciplina statutaria (Carlotto); nondimeno, poiché ai sensi dello Statuto le “leggi di governo” vengono promulgate solo se approvate in sede referendaria con la maggioranza dei voti validi, il mancato raggiungimento di tale condizione rende illegittimo l’atto di promulgazione da parte del Presidente della Regione (sent. n. 149).
 
 
3.2. Le prerogative degli organi regionali
 
Un certo interesse presenta quanto sancito dalla Corte (sent. n. 337) a proposito della posizione istituzionale delle assemblee elettive regionali, nella specie l’Assemblea regionale siciliana. Nella specie, il regolamento interno della stessa, in quanto fonte dotata in sé di minor rilievo normativo e di minor grado di autonomia rispetto ai regolamenti delle Camere (29), può disciplinare l’esercizio delle funzioni assembleari solo conformemente alla forma di governo definita dallo statuto regionale, senza modificarne i confini; dunque, le modalità entro cui si manifesta il rapporto politico tra Assemblea e Giunta non sono oggetto di competenza regolamentare, né, su un piano distinto, può ammettersi che il regolamento interno introduca nuove cause di esenzione dalla giurisdizione che non discendano direttamente dall’impianto statutario. Infatti, deroghe alla giurisdizione comune sono ammissibili soltanto nei confronti di organi immediatamente partecipi del potere sovrano dello Stato, e perciò situati al vertice dell’ordinamento, in posizione di assoluta indipendenza e di reciproca unità (30); il che non può affermarsi per le assemblee elettive regionali, cui compete una sfera costituzionalmente protetta non già di sovranità, ma di autonomia (31). 
Proprio sul piano dell’insindacabilità dell’Assemblea, in linea di principio, alla fonte regionale è inibito d’introdurre nuove cause di esenzione dalla responsabilità penale, civile o amministrativa, trattandosi di materia riservata alla competenza esclusiva del legislatore statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (32); l’istituto in questione, pertanto, concerne solo le funzioni conferite dalla Costituzione e dalle fonti normative cui essa rinvia, anche se esercitate in forma amministrativa (33), ma non quelle attribuite al Consiglio dalla sola normativa regionale (34), salvo che esse siano strettamente finalizzate a garantire l’autonomo funzionamento dei Consigli regionali. In tale categoria possono farsi rientrare anche i pareri espressi dall’Assemblea, o dalle sue articolazioni interne, al fine di manifestare nei confronti della Giunta un orientamento politico su questioni di ordine generale, ma non i pareri che le commissioni consiliari sono chiamati a rendere su determinati atti della Giunta di contenuto provvedimentale, inserendosi l’attività consultiva assembleare all’interno di un procedimento amministrativo.
In conclusione, trattandosi, di atti di natura amministrativa, essi sono soggetti anche al potere istruttorio attribuito alla Procura della Corte dei conti, in virtù della consolidata giurisprudenza costituzionale che, riguardo a tale attività, ritiene i Consigli regionali sottoposti all’esercizio del potere di indagine previsto in capo alla magistratura contabile dall’art. 74 del r.d. n. 1214 del 1934 (35).
 
 
3.3. L’organizzazione interna degli organi regionali
 
L’ordinamento riconosce, a favore dei gruppi consiliari e, per analogia di situazioni, delle Giunte regionali, un certo grado di autonomia nella scelta dei propri collaboratori esterni, come affermato dalla stessa Corte in decisioni ormai risalenti (36); ciò, tuttavia, non esime la Regione dal rispetto del canone di ragionevolezza e di quello del buon andamento della pubblica amministrazione. A tal fine, dunque, la stessa può derogare ai criteri statali solo prevedendo alternativi criteri di valutazione, ugualmente idonei a garantire la competenza e professionalità dei soggetti di cui si avvale e a scongiurare il pericolo di un uso strumentale e clientelare delle cosiddette esternalizzazioni. Inderogabile, pertanto, appare il principio del concorso pubblico per la stabilizzazione del personale in questione, mediante dunque assunzione a tempi indeterminato (sent. n. 293). Da ciò consegue l’illegittimità della legge della Regione Marche n. 7 del 2008, la quale, nel disciplinare in modo autonomo le modalità di selezione del personale esterno destinato a collaborare con i gruppi consiliari e le segreterie della Giunta, non ha previsto alcun criterio selettivo alternativo a quelli dettati dalla legge statale, in particolare dal d.lgs. n. 165 del 2001 (sent. n. 252).
 
 
4.  Il limite degli obblighi comunitari e art. 117, comma 5
 
Sul piano del limite del diritto comunitario alcune interessanti riflessioni hanno riguardato la Valutazione d’Impatto Ambientale (V.I.A., per cui si rinvia al par. 7.9), disciplinata dal Codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152 del 2006). In particolare, l’esclusione di tale procedura per le sole opere relative alla difesa nazionale, prevista dalla normativa comunitaria, non inibisce allo Stato di escludere anche altre opere di particolare rilievo, quali quelle destinate alla protezione civile o aventi carattere meramente temporaneo; inoltre, sebbene il diritto comunitario enunci il principio del coinvolgimento delle autorità che possono essere interessate a un determinato progetto di opera, lascia però agli Stati membri il potere di modulare lo svolgimento del relativo iter procedimentale; pertanto, legittimo risulta l’esonero per il committente o il proponente l'opera dall'attivare forme di coinvolgimento di Regioni, enti locali e di gestione, in presenza di specifiche ragioni puntualmente indicate dalla normativa statale; si tratta di una previsione, infatti, in linea con la regola che demanda normalmente alle autorità nazionali il compito di disciplinare gli aspetti formali e procedimentali relativi alle specifiche competenze dei diversi livelli di governo degli Stati membri dell’Unione (sent. n. 234).
Viola invece il principio della libera prestazione di servizi, di cui all’art. 40 del trattato C.E., oltre che la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, la previsione di limitazioni territoriali per l’autorizzazione allo svolgimento delle professioni turistiche apposte da una legge regionale (sent. n. 271).
Anche nell’ambito della disciplina dei rifiuti (vedi sempre par. 7.9), alle Province autonome (o alle Regioni) è inibito di sottrarre alla nozione di rifiuto taluni residui previsti dalle direttive comunitarie (sent. n. 315).
Riguardo all’attuazione del diritto comunitario, invece, deve ricordarsi che, nelle materie di potestà legislativa esclusiva, quale è quella di tutela dell'ambiente, a prescindere da eventuali connessioni con materie di competenza regionale, è lo Stato che ha il potere di dare attuazione alle direttive comunitarie (37), in particolare riguardo all'assolvimento di obblighi comunitari generali per tutto il territorio dello Stato (sent. n. 233) (38).
 
 
5.  Riparto delle competenze, sussidiarietà, leale collaborazione
 
5.1.   L.’art. 118 Cost. e la c.d. “chiamata in sussidiarietà”
 
L’art. 118 Cost., superando il principio del parallelismo tra competenza legislativa e amministrativa ai fini del riparto delle funzioni amministrative tra Stato e Regioni, esprime un criterio di preferenza a favore del livello amministrativo più vicino ai cittadini, al quale può derogarsi solo in presenza di esigenze di esercizio unitario. Inoltre, il rispetto del principio di legalità fa sì che tale diversa distribuzione della funzione amministrativa debba avvenire con legge statale o regionale, secondo le competenze legislative previste dall'art. 117 Cost. e nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (sent. n. 225).
Emblematiche sotto tale profilo sono le pronunce in materia di tutela dell’ambiente (per cui vedi par. 7.9); trattandosi di una competenza esclusiva dello Stato, spetta al legislatore nazionale allocare le relative funzioni amministrative ai diversi livelli di governo, nel rispetto dei canoni di cui all’art. 118 Cost. (sentt. nn. 233, 234, 235, 246, 247). Il che giustifica l’attribuzione di tali funzioni a organi dell’autorità centrale, a prescindere dall’incidenza delle stesse sul territorio regionale. Ciò si verifica senz’altro quando vengono in rilievo procedimenti amministrativi che necessitano di una gestione unitaria per assicurare uno svolgimento adeguato delle relative funzioni (sentt. nn. 233, 234) o per la disciplina degli accordi e contratti di programma finalizzati a promuovere l'impiego, su tutto il territorio nazionale, di tecniche volte ad assicurare livelli più elevati di tutela dell'ambiente (sent. n. 249); in fattispecie quale quella del danno ambientale, poiché l'esercizio dei compiti di prevenzione e riparazione dello stesso devono rispondere a criteri di uniformità e unitarietà (sent. n. 235); così ancora per la gestione del servizio idrico (sent. n. 246), per la disciplina dei consorzi per il recupero e il riciclo degli imballaggi (sent. n. 247) o per l’identificazione delle aree sensibili dal punto di vista dell’inquinamento idrico (sent. n. 251).
La giurisprudenza costituzionale, a partire dalle ben note sentenze n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004, ha specificato, inoltre, che l'esigenza di un esercizio unitario a livello statale di determinate funzioni amministrative consente l’“attrazione in sussidiarietà” anche di funzioni riconducibili a materie di legislazione concorrente o residuale. In tal modo, il rispetto del principio di legalità comporta la c.d. “chiamata in sussidiarietà” anche della potestà legislativa, consentendosi così una deroga al normale riparto di competenze contenuto nel Titolo V della Parte II della Costituzione. Tuttavia, la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato deve essere proporzionata e assistita da ragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, nonché rispettosa del principio di leale collaborazione con le Regioni (sent. n. 76). Strumento principe è la previsione dell'intesa con la Conferenza Stato-Regioni o unificata (sentt. nn. 76, 168), che interviene comunemente nella fase amministrativa del procedimento di assunzione in sussidiarietà. Inoltre, con un certo allontanamento dai canoni elaborati per la chiamata in sussidiarietà, la Corte legittima l’adozione da parte dello Stato di regolamenti di delegificazione in materie di competenza residuale (nella specie il turismo) attratte in sussidiarietà, purché sia raggiunta l’intesa Stato-Regioni (sent. n. 76). Il che sembra aprire la strada a ulteriori scenari per le forme di cooperazione tra Stato e Regioni (39), consentendosi deroghe anche al principio di separazione tra regolamento statale e legge regionale di cui all’art. 117, comma 6, Cost. La qual cosa comporta, in un certo senso, una sorta di “trasposizione” dei suindicati canoni (Di Cosimo).
Le esigenze unitarie in questione, pertanto, sono state individuate nello specifico riguardo al settore turistico, in cui la necessità di un intervento uniformante del legislatore statale nasce dall'esigenza di valorizzare al meglio l'attività turistica sul piano economico interno e internazionale, attraverso misure di varia e complessa natura, e dalla necessità di ricondurre a unità la grande varietà dell'offerta turistica del nostro Paese e di esaltare il rilievo assunto dal turismo nell'ambito dell'economia nazionale (sent. n. 76) (40). Il che giustifica la predisposizione di procedure acceleratorie e di semplificazione, diretta a ridurre gli adempimenti a carico delle imprese operanti nel settore e la durata dei procedimenti, nonché a consentire un miglior coordinamento dell'attività delle varie autorità pubbliche interessate e ad assicurare il supporto tecnico-specialistico in favore dei soggetti nazionali e internazionali che intendono promuovere progetti di investimenti volti a incrementare e a riqualificare il prodotto turistico nazionale (sent. n. 76).
Discorso analogo può farsi per gli interventi di politica sociale riconducibili alla materia dei servizi sociali che, per loro stessa natura, sfuggono alla sola dimensione regionale (41). Così riguardo ai casi in cui il Ministero delle politiche per la famiglia può avvalersi dell’apposito Fondo (legge finanziaria 2008), d'intesa con la Conferenza unificata, per la definizione dei criteri e delle modalità sulla base dei quali le Regioni, in concorso con gli enti locali, definiscono e attuano un programma sperimentale di interventi al quale concorrono i sistemi regionali integrati dei servizi alla persona (sent. n. 168).
Nel caso di una previsione di mere facoltà di delega di funzioni amministrative da parte della Regione agli enti locali, invece, non sussistendo un’attrazione di competenze amministrative, non s’impongono gli obblighi procedurali sopra indicati (sent. n. 88).
 
 
5.2.  Leale collaborazione
 
Il principio di leale collaborazione viene individuato dalla Corte quale principio cardine dell’ordinamento autonomistico, dovendo permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (sentt. nn. 168, 237).
La leale collaborazione viene in rilievo anche qualora lo Stato eserciti competenze rimesse alla sua potestà legislativa esclusiva, soprattutto di tipo “trasversale”, sebbene non possa sostenersi che, per quanto riguarda l’esercizio del potere legislativo o regolamentare, sussista un obbligo di coinvolgimento delle Regioni, che anzi la Corte ha espressamente escluso (sentt. n. 225, 232) (42); quando siffatte competenze si presentano connesse o intrecciate con competenze legislative regionali, com’è appunto frequente nel caso di materie trasversali, tuttavia, può giustificarsi una qualche forma di coinvolgimento delle Regioni (sentt. nn. 12, 124, 166, 200, 232, 247, 249), soddisfatta anche dalla mera richiesta di parere della conferenza Stato-Regioni (sentt. nn. 200, 232, 247).
Sfugge alle procedure di leale collaborazione, invece, l’attività di produzione legislativa, tanto più ove lo Stato abbia competenze esclusive (sentt. nn. 12, 88, 107, 225, 232, 234, 247, 284) e specie nel caso di atti quali il decreto-legge, stante la sua natura di provvedimento d’urgenza (sent. n. 298). Il che rende illegittima, all’inverso, anche la sottoposizione a vincoli procedimentali dell'esercizio della competenza legislativa regionale (sent. n. 249).
Da ultimo, “in mancanza di disposizioni che consentano di attribuire rilevanza sul piano costituzionale a eventuali “accordi normativi” diretti a determinare il contenuto di testi legislativi (43), non può trovare ingresso nel giudizio di costituzionalità la censura che si fonda sulla violazione del principio di leale collaborazione (sent. n. 160).
 
 
5.3.  Poteri sostitutivi
 
Illegittima è la previsione, posta dal Codice dell’ambiente (d.lgs. n. 52 del 2006) in materia di rifiuti (vedi par.7.9), con cui si prevede l'intervento sostitutivo dello Stato nel caso in cui le autorità competenti (Comuni, Province e, per quanto attiene ai rifiuti urbani, le c.d. Autorità d'ambito, alle quali partecipano necessariamente gli enti locali) non realizzino gli interventi di cui al piano regionale di gestione dei rifiuti, nei termini e con le modalità ivi stabilite, con grave pregiudizio per l'attuazione dello stesso. Si tratta, infatti, di una ipotesi di sostituzione statale attivata direttamente in caso di inerzia degli enti locali in riferimento alla competenza regionale riguardo all'attuazione del piano regionale, senza che le Regioni, competenti all'adozione del piano, siano poste nella condizione di esercitare il proprio potere sostitutivo (sent. n. 249). Allo stesso modo è illegittima la fissazione di un termine entro il quale i Presidenti delle Giunte regionali, in caso di inerzia delle Autorità d'ambito, devono nominare un commissario ad acta per l'adozione di provvedimenti per disporre i nuovi affidamenti del servizio di gestione dei rifiuti (sent. n. 249). Sempre in tale ambito, invece, è legittimo attribuire al Presidente del Consiglio dei ministri il potere di compiere gli atti volti a provvedere in via sostitutiva in caso di persistente inattività dei soggetti tenuti a provvedere, non configurandosi una distinta fattispecie di potere sostitutivo statale esercitabile al di fuori delle condizioni previste dall'art. 120, secondo comma, della Costituzione (sent. n. 232). Così, ad esempio, per quanto per i casi d’inerzia regionale in tema di approvazione o adeguamento del piano regionale di gestione dei rifiuti e in tema di disposizione di nuovi affidamenti per la gestione del servizio di gestione integrata dei rifiuti (sent. n. 249).
L'esistenza di una disciplina generale del potere sostitutivo statale di cui all'art. 8 della l. n. 131del 2003, in ogni caso, non esclude l'operatività di disposizioni speciali che quel potere disciplinano per specifiche materie (44); da cui consegue che tale previsione normativa non deve necessariamente applicarsi a ogni ipotesi di potere sostitutivo previsto dalla legge ove quest'ultimane disciplini l’esercizio espressamente in maniera diversa (ma pur sempre da parte del Governo) (sent. n. 254). Tuttavia, poiché l'art. 120, comma 2, Cost., prevede tale tipo d’intervento statale secondo procedure previste dalla legge, atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione, illegittime sono quelle disposizioni di natura meramente amministrativa e che facciano un generico rinvio a successivi atti amministrativi per la definizione di procedure che la Costituzione esige siano previste dalla legge (sent. n. 209).
Da ultimo, non si dimentichi che, come la Corte ha avuto modo di affermare già con la sentenza n. 43 del 2004 [e numerose sentenze successive (45)], che l'art. 120, secondo comma, Cost. prevede solo un potere sostitutivo straordinario, in capo al Governo, da esercitarsi sulla base dei presupposti e per la tutela degli interessi ivi esplicitamente indicati, mentre lascia impregiudicata l'ammissibilità e la disciplina di altri casi di interventi sostitutivi. Sono dunque legittime leggi regionali le quali, nelle materie di propria competenza e in caso di inerzia o di inadempimento da parte dell’ente locale ordinariamente competente, prevedano l’esercizio di poteri sostitutivi in capo a organi regionali, al fine di salvaguardare interessi unitari che sarebbero compromessi dall'inerzia o dall'inadempimento medesimi (sent. n. 249).
 
 
6.   Oggetto e materie
 
Alcune interessanti considerazioni generali sono ribadite dalla Corte riguardo all’individuazione delle materie al fine di giudicare della legittimità costituzionale di una legge. In primo luogo, va ricordato che, per l’identificazione della materia alla quale siano riconducibili determinate norme, non assume rilievo la qualificazione che di esse dà il legislatore, ma deve valutarsi l'oggetto delle medesime e le finalità perseguite dagli interventi legislativi nel cui ambito esse si collocano (46), tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, anche al fine di individuare correttamente gli interessi tutelati (sentt. nn. 18, 148, 225, 237, 322) (47). Nelle materie di esclusiva competenza dello Stato, in secondo luogo, non viene neppure in rilievo la dicotomia “norme di principio - norme di dettaglio”, dal momento che tale differenziazione opera soltanto nei confronti delle materie di competenza concorrente (sentt. nn. 234, 235) (48). Si ricordi, inoltre, che la potestà di interpretazione autentica spetta a chi sia titolare della potestà legislativa nella materia a cui la norma è riconducibile (sent. n. 290) (49).
Così, deve escludersi che l'attività contrattuale della pubblica amministrazione possa identificarsi in una materia a sé, rappresentando, invece, un'attività che inerisce alle singole materie sulle quali essa si esplica (50) (sentt. nn. 160, 314). Allo stesso modo, anche la disciplina delle sanzioni ha natura accessoria alla materia presidiata dalle stesse sanzioni (51). Discorso analogo può farsi per l’attività di “controllo” o di “vigilanza” (sent. n. 232).
Sul piano delle competenze regionali, invece, deve escludersi la configurabilità di una materia «impresa», disgiunta dal settore nel quale la stessa opera e che possa, in quanto tale, ritenersi attribuita alla competenza delle Regioni (sent. n. 322) (52). Né costituisce una competenza residuale regionale la locuzione «interesse economico» (e quella «sviluppo economico»), che è invece un’espressione di sintesi, meramente descrittiva, la quale comprende e rinvia a una pluralità di materie, attribuite sia alla competenza statale che a quella regionale (sent. n. 322) (53).
 
 
6.1.   Intreccio di più materie e competenze in un unico oggetto
 
6.1.1.   Principi generali
 
Confermate sono le ormai note conclusioni della Corte riguardo all’intreccio di competenze. In siffatti casi, dunque, occorre individuare l'ambito materiale che possa considerarsi prevalente (sentt. nn. 88, 114, 237, 246, 340), criterio che la Corte sembra privilegiare (Benelli); ove non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri, in assenza di criteri contemplati in Costituzione, si giustifica l'applicazione del principio di leale collaborazione (sentt. nn. 88, 168, 237) (54).
 
 
6.1.2.   Casi pratici d’intreccio di competenze e materie
 
Tra gli specifici casi d’intreccio di competenze spicca la giurisprudenza sul cd. Codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. n. 259 del 2003). Come riconosciuto dalla Corte, questo, al fine di adeguarsi alla normativa comunitaria, ha perseguito un vasto processo di liberalizzazione delle reti e dei servizi nei settori convergenti delle telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell'informazione; ciò al fine di garantire i diritti inderogabili di libertà delle persone nell'uso dei mezzi di comunicazione elettronica, nonché il diritto di iniziativa economica e il suo esercizio in regime di concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche e quello secondo cui “la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica, che è di preminente interesse generale, è libera” (sentenza n. 336 del 2005). Tuttavia, è indubbio che il legislatore, statale e regionale, sia legittimato a porre limiti alle attività in oggetto. Si tratta di una normativa che interviene in molteplici ambiti materiali (55), ascrivibili a diverse competenze statali e regionali quali: l’ordinamento civile, il coordinamento informativo statistico ed informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale, e la tutela della concorrenza, di competenza esclusiva statale), nonché la tutela della salute, l’ordinamento della comunicazione e il governo del territorio, titoli invece di competenza legislativa ripartita; inoltre, sono coinvolte anche materie di competenza legislativa residuale delle Regioni, quali, in particolare, l'industria e il commercio. Ciò precisato, alle Regioni spetta, nell’esercizio delle proprie competenze in materia di governo del territorio, pur in presenza di normative poste dal legislatore statale in tema di protezione dall'inquinamento elettromagnetico e nello stesso Codice, dettare proprie discipline (56); ciò a condizione che i criteri localizzativi e gli standard urbanistici non siano tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l'insediamento degli impianti medesimi e che non sia contraddetta l'unicità del procedimento autorizzativo e le collegate esigenze di semplificazione e di tempestività dei procedimenti (57). Pertanto, alle Regioni è inibito adottare discipline per la localizzazione degli impianti (quali i centri di telefonia fissa) eccessivamente restrittiva, determinando un'ingiustificata compressione dell'assetto concorrenziale del mercato della comunicazione come disciplinato dal legislatore statale (sent. n. 25).
Al centro di diverse tipologie di competenze si presenta anche la materia energetica. Nella specie, le direttive che l'Autorità per l’energia elettrica e il gas adotta ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. n. 387 del 2003 (modificato dalla legge finanziaria 2008), in punto di collegamento degli impianti alimentati da fonti rinnovabili alla rete elettrica, pur ripercuotendosi sulla materia, di competenza concorrente, della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, sono caratterizzate dalla finalità prevalente di assicurare e conformare gli interessi peculiarmente connessi alla protezione dell'ambiente nell'ambito di un mercato concorrenziale. Esse, infatti, esprimono il punto di sintesi tecnicamente necessario per assicurare, in questo particolare ambito, l'assetto concorrenziale del mercato con modalità e forme compatibili rispetto al prioritario obiettivo d’incentivare l'impiego delle fonti energetiche rinnovabili, a fini di tutela ambientale; ne consegue che, in applicazione del criterio di prevalenza, esse vadano ricondotte all'incrocio delle competenze esclusive dello Stato in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell'ambiente, nelle quali l’allocazione delle funzioni amministrative non può spettare che alla legge statale (sent. n. 88). Sempre in ambito energetico, le modalità con cui debbono svolgersi le procedure competitive per l’assegnazione della concessione ad altro titolare dei giacimenti d’idrocarburi definiti marginali, di cui al decreto-legge n. 112 del 2008, unitamente alla materia concorrente dell’energia, intersecano l’area riservata alla competenza esclusiva dello Stato avente a oggetto la tutela della concorrenza; il che rende necessaria la previsione di strumenti di leale collaborazione, la qual cosa non si verifica per la norma in questione, con conseguente sua illegittimità (sent. n. 339).
Le competenze regionali in materia di energia, governo del territorio e ordinamento della comunicazione s’intrecciano con le statali, quali quelle inerenti al Fondo rotativo, nella disciplina dei programmi relativi alle infrastrutture nel settore energetico e in quello delle reti di telecomunicazione di cui al d.l. n. 112 del 2008. Infatti, l’incidenza che un’efficiente rete può avere sullo sviluppo economico del Paese e sulla concorrenzialità delle imprese rende necessaria la realizzazione di programmi con cui soddisfare i requisiti fattuali, in punto di accesso alla fonte energetica e ai mezzi di telecomunicazione, necessari ai fini della libera competizione sul mercato (58). Pertanto, non potendosi formulare un giudizio di prevalenza, il concorso di tali competenze implica il ricorso a strumenti di leale collaborazione, nella specie al parere della Conferenza Stato-Regioni sui programmi predisposti dal Ministero dello sviluppo economico, con conseguente illegittimità della norma in questione (sent. n. 339).
Si è in presenza di un incrocio di materie attribuite dalla Costituzione alla potestà legislativa statale e regionale anche per le disposizioni di cui alla legge finanziaria 2008, relative all'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia a danno dei minori; oltre a finalità di politica sociale, riconducibili all'ambito materiale dei servizi sociali, di spettanza regionale, infatti, sussiste la potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia dell'ordine pubblico e sicurezza, nonché in quella dell'ordinamento penale. Si rende quindi necessaria l'applicazione del principio di leale collaborazione (59), individuato nella normativa statale nell'intesa con la Conferenza unificata (sent. n. 168).
Intreccio di competenze si riscontra anche nella disciplina della molluschicoltura, la quale deve essere ascritta all'ambito materiale della pesca, di competenza legislativa residuale delle Regioni. Concorrono con essa, però, anche competenze statali, connesse principalmente alla tutela dell'ecosistema, e concorrenti (tutela della salute, alimentazione, tutela e sicurezza del lavoro, commercio con l'estero, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione delle imprese per il settore produttivo della pesca, porti, previdenza complementare e integrativa, governo del territorio) (60). Dal che si deduce la necessità di applicare il principio di leale collaborazione, prevedendo intese a livello attuativo, nell'individuazione degli ambienti marini in cui tutelare le popolazioni naturali di molluschi e garantire la buona qualità dei prodotti della molluschicoltura (sent. n. 233).
La Corte torna poi sulla problematica connessa al controllo sul pericolo d’incidenti rilevanti, confermando quanto già stabilito in precedenti decisioni, che avevano ricondotto tale materia a diversi titoli competenziali, esclusivi dello Stato (tutela dell’ambiente) e concorrenti tra Stato e Regini (tutela della salute, governo del territorio, protezione civile) (61). Proprio in virtù di tale sovrapposizione, la disciplina sugli incidenti rilevanti (d.lgs. n. 334 del 1999), riserva allo Stato il compito di fissare standard di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, ammettendo tuttavia interventi specifici del legislatore regionale (sent. n. 248). Pertanto, non può ritenersi illegittima da parte delle Regioni la fissazione di linee strategiche e programmatiche, nonché di linee guida in materia di controlli regionali, in quanto si tratta esclusivamente di garantire l'omogenea applicazione nel territorio regionale della disciplina, nel rispetto degli standard fissati dal legislatore statale, cui si dà in tal modo piena attuazione (sent. n. 248).
Da ultimo, nell’ambito della disciplina dei rifiuti, ricondotta dalla Corte alla tutela dell’ambiente (vedi par. 7.9), l'esigenza d’individuare criteri uniformi sul territorio nazionale i rifiuti urbani e speciali, ai fini dell'elaborazione dei piani regionali dei rifiuti nonché le linee guida per gli ambiti territoriali ottimali, giustifica l’intervento del legislatore statale (d.lgs. n. 152 del 2006); l’intreccio con materia del governo del territorio, di competenza regionale concorrente, tuttavia, rende necessario il  raggiungimento di un'intesa con la Conferenza Stato-Regioni (sent. n. 249).
 
 
6.2.   Materie-non materie
 
In riferimento alle c.d. materie “trasversali” (D’Atena), la Corte ha modo di ribadire le sue conclusioni, specie relativamente alla determinazione del contenuto essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (sentenza n. 282 del 2002). Si tratta, quindi, non tanto di “materie” in senso stretto, quanto di competenze del legislatore statale idonee a investire tutte le materie, rispetto alle quali lo stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (sent. n. 322).
 
 
7.     Potestà esclusiva statale
  
7.1.  Tutela della concorrenza; sistema tributario e contabile dello Stato (lett. e)
 
7.1.1.   Tutela della concorrenza
 
L'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. ha conferito allo Stato, in via esclusiva, il compito di regolare la concorrenza al fine di assicurare una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale. L'uniformità rappresenta un valore in sé, perché differenti normative regionali sono suscettibili di creare dislivelli di regolazione, produttivi di barriere territoriali. La tutela della concorrenza, infatti, per sua natura, non può tollerare differenziazioni territoriali, che finirebbero per limitare, o addirittura neutralizzare, gli effetti delle norme di garanzia (sent. n. 283) (62). Si tratta senza dubbio, inoltre, di un ambito fortemente influenzato dai principi elaborati dall’ordinamento comunitario, poiché spesso la normativa statale si uniforma a quella comunitaria di cui costituisce attuazione (sent. n. 314) (63).
Nella materia in esame la Corte tende senz’altro a comprendere le misure legislative di tutela (ed eventualmente anche di sanzione), in senso proprio, che hanno a oggetto gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di controllo; inoltre, vi rientrano anche quegli interventi di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura, eliminando barriere all'entrata, riducendo o eliminando i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche (sentt. nn. 148, 160) (64); si tratta, in sintesi, di misure antitrust e di quelle volte ad assicurare la concorrenza “nel mercato” (sent. n. 160). Discorso analogo deve farsi per le disposizioni legislative che garantiscano la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici all’interno delle procedure concorsuali (sent. n. 160) (65).
Nello specifico settore degli appalti, in cui ancor più pregnante è l’incidenza del diritto comunitario (Falzea) (sent. n. 314), tali esigenze si manifestano in particolare nella procedura di evidenza pubblica, senza che possa rilevare la distinzione tra contratti sopra-soglia e sotto-soglia, trascendendo tale materia ogni rigida e aprioristica applicazione di regole predeterminate dal riferimento al valore economico dell'appalto (sentt. nn. 160, 283)(66). Dunque, la tutela della concorrenza si connota qui per un particolare modo di operare della sua trasversalità: l’interferenza con le potestà regionali, infatti, non realizza un intreccio di competenze, ma comporta la prevalenza della disciplina statale su ogni altra fonte normativa; con la conseguenza che il legislatore statale potrà disciplinare interamente tale fase della procedura di evidenza pubblica, pur nel rispetto dei principi di proporzionalità ed adeguatezza (sent. n. 160). Alle Regioni, pertanto, non è consentito adottare una propria disciplina, neppure quando essa miri a garantire un livello di concorrenza più elevato rispetto a quello statale (sent. n. 282); residua alle stesse solo la possibilità di dettare norme riconducibili a proprie competenze che possano produrre effetti “pro concorrenziali”, purché siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza (sentt. nn. 160, 283) (67). L’inderogabilità della disciplina statale, inoltre, concerne anche le procedure negoziate (sentt. nn. 160, 314). In sostanza, per gli aspetti riconducibili alla tutela della concorrenza, riguardo alla fase procedimentale prodromica alla stipulazione del contratto, può affermarsi che le Regioni non possono prevedere una disciplina diversa da quella del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 (68) (sentt. nn. 160, 314). Il che fa ricondurre all’esclusiva potestà dello Stato anche la normativa di cui agli artt. 49 e 50 del Codice degli appalti sull’avvalimento (salvo che per i profili strettamente privatistici), così come il procedimento di verifica in contraddittorio delle offerte anomale e il sistema di qualificazione delle imprese partecipanti alle procedure di gara (sent. n. 160).
Concernono la tutela della concorrenza (art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000) (69), le disposizioni che disciplinano le modalità di affidamento e di gestione dei servizi pubblici locali e di conseguenza quelle di cui  al Codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152 del 2006), relativamente alle forme di gestione e affidamento del servizio idrico integrato, nonché alle relative misure di razionalizzazione e di pianificazione; si tratta, infatti, di misure strettamente funzionali alla gestione unitaria del servizio, con lo scopo di consentire il concreto superamento della frammentazione della gestione delle risorse idriche, al fine di inserire armonicamente tale gestione in un più ampio quadro normativo diretto alla razionalizzazione del mercato del settore. Il che legittima anche la scelta allocare le funzioni amministrative relative in capo alle Autorità d’ambito territoriale, che costituiscono il livello più adeguato di esercizio di dette funzioni (sent. n. 246). Discorso analogo può farsi relativamente alle linee guida per la definizione delle gare d'appalto per la concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti; le inevitabili interferenze con la materia dei servizi pubblici locali (alla quale deve ricondursi la disciplina del servizio di gestione integrata dei rifiuti) di competenza regionale residuale, è soddisfatta dal Codice dell’ambiente mediante la previsione dell’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in armonia col principio di leale collaborazione (sent. n. 249).
Da ultimo, costituiscono legittimo esercizio della competenza in esame quelle disposizioni recanti un divieto per tutte le amministrazioni pubbliche nella costituzione (e nell’assunzione di partecipazioni) di società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, stabilendo anche alcune deroghe; tali prescrizioni, infatti, sono volte a evitare che soggetti dotati di privilegi svolgano attività economica al di fuori dei casi nei quali ciò è imprescindibile per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ovvero per la produzione di servizi di interesse generale (sent. n. 148).
 
 
7.1.2.   Sistema tributario e contabile dello Stato
 
Nel 2009 si conferma la ormai consolidata giurisprudenza in materia di IRAP e analoghi tributi a destinazione regionale o locale, come l’ICI (70). Tali imposte, in quanto istituite e disciplinate con legge dello Stato, ricadono nella potestà legislativa esclusiva dello stesso; l’attribuzione del gettito alle Regioni e alle Province, a cui sono affidate anche alcune funzioni di riscossione, infatti, non ne fa dei “tributi propri” della Regione, mantenendosi il carattere statale dell’imposta (sentt. nn. 216, 247, 298). Le Regioni, pertanto, non possono legiferare sulle stesse, se non nei limiti di quanto indicato dalla legge statale (71), avendo una sorta di una potestà legislativa integrativa (Caretti); lo Stato, invece, può intervenire con norme di dettaglio, senza che ciò implichi violazione dell'autonomia tributaria delle Regioni destinatarie del gettito (sent. n. 298) (72). Nel caso dell’IRAP, infatti, il d.lgs. n. 446 del 1997 (e le successive modificazioni) consente alla legge regionale d’intervenire su taluni aspetti procedurali e sostanziali della sua disciplina (aliquota, detrazioni, deduzioni), ma non di modificarne la base imponibile (sent. n. 216).
Secondo la costante giurisprudenza della Corte (73), la modificazione di un tributo statale comportante un minor gettito per le Regioni e gli enti locali non esige che essa debba essere accompagnata da misure pienamente compensative per la finanza regionale; ciò in quanto deve considerarsi nel suo complesso la manovra fiscale entro la quale trova collocazione, ben potendosi verificare che, per effetto di plurime disposizioni, il gettito complessivo destinato alla finanza regionale non subisca riduzioni. D’altronde, a seguito di manovre di finanza pubblica possono anche determinarsi riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, purché esse non siano tali da comportare uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di spesa regionale e, in definitiva, rendano insufficienti i mezzi finanziari dei quali la Regione stessa dispone per l'adempimento dei propri compiti (sent. n. 298) (74). In tal senso deve ritenersi legittimo l’intervento statale straordinario di cui al d. l. n. 93 del 2008 recante l’abolizione dell’ICI sulla prima casa, che prevede, tra l’altro, il rimborso ai singoli Comuni della minore imposta, non rilevando in senso contrario inconvenienti di mero fatto non causati direttamente dalle norme di legge (sent. n. 298).
In virtù dei principi posti dalla giurisprudenza costituzionale (75), ha natura di tributo, con conseguente soggezione della sua disciplina alla potestà legislativa esclusiva statale, il contributo consortile dovuto da chi fa utilizzo di acque ai consorzi di bonifica (che ne determinano all’ammontare). Tale speciale entrata, infatti, è obbligatoriamente dovuta ex lege, senza che abbia rilevanza l'accordo tra parti, ed è diretta ad attuare il concorso del soggetto passivo alle spese delle opere consortili, realizzate per finalità pubbliche (sent. n. 246).
 
 
7.2.   Ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (lett. g)
 
All’interno di tale materia interessanti appaiono le conclusioni della Corte riguardo alla posizione delle autorità amministrative indipendenti. Con particolare attenzione all'Autorità per l'energia elettrica e il gas, infatti, si osserva come essa, pur operando in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione, costituisca una “autorità nazionale”, la cui disciplina è riconducibile alla materia in esame; il carattere “neutrale” di siffatta Autorità, quindi, non produce alterazioni dei criteri costituzionali in base ai quali viene ripartito l'esercizio delle competenze amministrative tra Stato, Regioni ed enti locali (76). La legge statale, in conclusione, può assegnare all'Autorità, nel rispetto dei criteri indicati dall'art. 118 Cost., le funzioni amministrative di cui lo Stato stesso è titolare, o di cui possa comunque rivendicare legittimamente l'esercizio (come nel caso di chiamata o quando il diritto comunitario imponga deroghe normative alla normale distribuzione delle competenze) (sent. n. 88).
Rientra nella competenza in esame la previsione normativa recante l'istituzione di un fondo con la relativa dotazione per l'organizzazione e il funzionamento dei servizi socio-educativi per la prima infanzia ai minori di età fino a trentasei mesi, presso enti e reparti del Ministero della Difesa; tali norme, infatti, poiché funzionali a una migliore organizzazione dei servizi a favore dei dipendenti del Ministero, non sono invasive delle competenze regionali, in particolare quelle relative agli asili-nido, di competenza concorrente (sent. n. 114).
Inoltre, come già affermato in precedenza dalla Corte (77), rientra nella potestà legislativa in oggetto la determinazione dell'ordine delle precedenze nelle cerimonie pubbliche, ivi comprese quelle a carattere locale (sent. n. 104).
Infine, con particolare riferimento alle attività di programmazione e coordinamento nel soccorso e nel salvataggio in mare da parte delle Capitanerie di porto, va esclusa la lesione di tale competenza statale per una legge regionale il cui unico obiettivo sia quello di promuovere, con incentivi finanziari, l’utilizzo di tecnologie innovative per le unità di soccorso in acqua (sent. n. 319).
 
 
7.3.   Ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale (lett. h)
 
Premesso che l’ordine pubblico va inteso quale “complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale” (sentenza n. 290 del 2001), deve affermarsi l’esistenza di una riserva esclusiva statale sui provvedimenti non riconducibili alla polizia amministrativa; le Regioni e le Province autonome, pertanto, non sono titolari di competenze proprie relative alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell'ordine pubblico, ossia alla “tutela dei primari interessi pubblici sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale” (sentt. nn. 129 e 196) (78). Rientrano invece fra i compiti di polizia amministrativa le misure dirette a evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati a soggetti giuridici e alle cose nello svolgimento di attività relative alle materie di competenza delle Regioni e degli enti locali, purché non siano coinvolti beni o interessi specificamente tutelati in funzione dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica (sent. n. 129) (79).
 
 
7.4  Giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa (lett. l)
 
7.4.1.   Ordinamento civile
 
Nel 2009 la Corte sembra chiarire in maniera più incisiva rispetto al passato la natura della materia dell’ordinamento civile, accogliendo quell’orientamento (Bartole, Pitruzzella) che individua in esso la codificazione di quel limite «diritto privato», già consolidatosi nella giurisprudenza anteriore alla riforma costituzionale del 2001 (80). L’ordinamento del diritto privato, che comprende i rapporti tradizionalmente oggetto di codificazione, si pone dunque quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull'esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l'uniformità della disciplina dettata per i rapporti fra privati. Ove vi sia una stretta connessione con le materie di competenza regionale, tuttavia, si consente un qualche adattamento regionale, purché conforme al criterio di ragionevolezza, che vale a soddisfare il rispetto del richiamato principio di eguaglianza (sent. n. 295) (81).
Alla luce di tali conclusioni, pertanto, la disciplina dei rapporti contrattuali va riservata alla legislazione statale (82), ad esempio le disposizioni relative alla nullità del contratto (83), nonché all'obbligo di contrarre (84) (sent. n. 295). Discorso analogo deve farsi anche per i trattamenti economici incentivanti ai dipendenti pubblici per lo svolgimento di specifiche attività facenti riferimento al Codice dei contratti pubblici, da ricondursi alla fase di esecuzione del rapporto contrattuale (sent. n. 341).
Così, illegittima risulta una legge regionale che, disciplinando e limitando la capacità dei soggetti del ciclo produttivo di modificare pattiziamente le quote di loro spettanza sul prezzo dei farmaci (anche indicando la relativa disciplina sanzionatoria), incida sull'autonomia negoziale dei privati, di cui all'art. 1322 cod. civ.; la disciplina delle quote, infatti, è fissata direttamente dal legislatore nazionale e un’eventuale modifica delle stesse è implicitamente rimessa all'autonomia contrattuale (sent. n. 295).
Quanto detto vale anche per l’esercizio dell'autonomia negoziale in tema di concessioni-contratto (85); così, ad esempio, per la disciplina della dotazione dei gestori del servizio idrico integrato di cui al Codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152/2006), che, escludendo in radice l'onerosità della concessione d'uso delle infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali al gestore del servizio, incide senza dubbio sulla tipologia contrattuale (sent. n. 246). E conclusioni non diverse possono trarsi per la disciplina dei concorsi di progettazione banditi dai privati con l’impossibilità per le Regioni di prevedere con legge un obbligo di adottare una determinata procedura per tale categoria di gare (sent. n. 283).
A differenza di quella di evidenza pubblica (vedi par. 7.1.1), rientra nell’ordinamento civile la fase negoziale dei procedimenti di appalti pubblici, che ha inizio con la stipulazione del contratto (86); ciò in virtù dell’esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire l'uniformità di trattamento, nell'intero territorio nazionale, della disciplina dei momenti di conclusione ed esecuzione dei contratti di appalto, in cui l'amministrazione si pone in una posizione di tendenziale parità con la controparte e agisce non nell'esercizio di poteri amministrativi, bensì della propria autonomia negoziale (sent. n. 160).
E’ ascrivibile all’ordinamento civile, infine, la disciplina delle acque superficiali e sotterranee, poiché appartenenti al demanio dello Stato (sent. n. 246).
 
7.4.2.   Ordinamento penale
 
Come il diritto privato, anche il diritto penale costituisce un limite inderogabile dalle Regioni (sentt. n. 168, 293) (87). Queste ultime, pertanto, possono limitarsi a dettare disposizioni recanti solo un mero rinvio alla legge statale, restando loro preclusa una specifica e autonoma determinazione delle fattispecie cui sono collegate le pene previste dalla legislazione statale (sent. n. 295) (88).
 
 
7.5.  Determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lett. m)
La competenza in esame attribuisce al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di un’adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto (89). Questa, infatti, si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto (90). Si tratta, dunque, di un titolo di legittimazione dell’intervento statale invocabile in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione (91). Va, inoltre, ricordato (92), che tali livelli essenziali, almeno nelle loro linee generali, dovrebbero essere contenute in una legge (sent. n. 209).
Così, pur potendo lo Stato, nell’esercizio della competenza in questione, intervenire in un ambito, quale quello dei servizi sociali, che rientra nel quarto comma dell’art. 117 Cost., non si può prescindere dal necessario rispetto degli strumenti della leale collaborazione (nel caso di specie, se legittima è l’istituzione di un Fondo per l’adattamento alle esigenze dei disabili del trasporto pubblico, le modalità di realizzazione dell’intervento non possono prescindere dall’intesa con la Conferenza Stato-Regioni) (sent. n. 124).
Come già riconosciuto dalla Corte (sent. n. 399 del 2006), la disciplina del diritto d’accesso ai documenti amministrativi è espressione del titolo competenziale in esame, la cui attuazione compete a tutti gli organi di amministrazione; così, ad esempio, devono qualificarsi in tal modo le norme statali che prevedano obblighi di divulgazione in capo alle Regioni in materia ambientale (anche in attuazione di direttive comunitarie), senza che possa essere coinvolta la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente (sent. n. 233).
Il titolo di legittimazione in questione, inoltre, fa sì che lo Stato possa dettare disposizioni tese ad assicurare che tutte le imprese fruiscano, in condizioni di omogeneità sull’intero territorio nazionale, della possibilità di ottenere una delle certificazioni di qualità da parte di appositi enti certificatori, accreditati in ragione del possesso di specifici requisiti (sent. n. 322).
 
 
7.6. Norme generali sull’istruzione (lett. n)
 
Ancora una volta la Corte ha modo di delineare le caratteristiche del sistema dell’istruzione, in cui s’intrecciano norme generali, principi fondamentali, leggi regionali, oltre che determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche (93). Esso, tuttavia, per sua stessa natura, riveste carattere nazionale, non essendo ipotizzabili differenziazioni su base regionale che in nessun caso potrebbero essere giustificabili sul piano della stessa logica. Si tratta, dunque, di conciliare, le basilari esigenze di uniformità con le esigenze autonomistiche che, sul piano locale-territoriale, possono trovare soddisfazione mediante l'esercizio di scelte programmatiche e gestionali rilevanti soltanto nell'ambito del territorio di ciascuna Regione (sent. n. 200).
Le norme generali in materia di istruzione, pertanto, definiscono la struttura portante del sistema e richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario e uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell'istruzione, nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge (94). Tali norme, dunque, si distinguono dai principi fondamentali della materia di cui alla competenza concorrente sull’istruzione, i quali, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese ad assicurare la esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalità di fruizione del servizio dell'istruzione, non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema d'istruzione che caratterizza le norme generali sull'istruzione, necessitando per la loro attuazione, dell'intervento del legislatore regionale (sent. n. 200).
Sono così individuate quali espressione della competenza in esame le disposizioni di cui alla l. n. 53 del 2008 (e ai relativi decreti legislativi), nonché quelle sull’autonomia funzionale delle istituzioni scolastiche di cui alla l. n. 59 del 1997 (e al correlato d.lgs. n. 233 del 1999 relativamente all’assetto degli organi collegiali territoriali della scuola), e quelle sulla parità scolastica e sul diritto allo studio e all'istruzione, di cui alla l. n. 62 del 2000 (sent. n. 200).
 
7.7.  Organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e città metropolitane (lett. p)
L’elencazione di cui alla disposizione in questione deve ritenersi tassativa, il che fa escludere dall’oggetto di tale potestà legislativa la disciplina delle Comunità montane, la quale rientra invece nella potestà residuale delle Regioni (vedi par. 9.5). D'altronde, neppure l'art. 114 Cost. contempla le Comunità montane tra i soggetti di autonomia destinatari del precetto in esso contenuto, per cui non è possibile delineare, a livello costituzionale, alcuna equiordinazione delle stesse con i Comuni (sent. n. 237) (95).
 
 
7.8. Coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale (lett. r)
 
La potestà dello Stato di dettare norme in materia di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale legittima la creazione, a opera della fonte statale (art. 55, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006), di un sistema informativo avente ad oggetto la raccolta e l'elaborazione dei dati rilevanti nel settore della difesa del suolo, facendo escludere che il principio di leale collaborazione imponga nella fattispecie una forma di coinvolgimento delle Regioni. Senza considerare che gli obblighi costituenti espressione di un coordinamento meramente informativo gravanti sulle Regioni non sono di per sé idonei a ledere sfere di autonomia costituzionalmente garantite (sent. n. 232) (96).
Costituisce legittimo esercizio della competenza in esame la previsione di obblighi trasmissione dei bilanci e dei piani d’ambito al Ministero dell’ambiente in capo alle Autorità d’ambito territoriale, a fini di mero coordinamento informativo in materia ambientale (246) (97). 
  
7.9. Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali (lett. s)
 
La maggioranza delle decisioni per il 2009 ha avuto a oggetto questioni concernenti la materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali, che, com’è noto, pur potendo avere effetti ulteriori su altri interessi relativi a materie di competenza regionale concorrente, rientra nella competenza esclusiva dello Stato (sentt. nn. 10, 249). Essa ha dunque natura “trasversale”, poiché sullo stesso bene concorrono diverse competenze, le quali, tuttavia, restano distinte tra loro, perseguendo autonomamente le loro specifiche finalità attraverso la previsione di diverse discipline (sentt. nn. 225, 315) (98). Si tratta di una materia che ha un contenuto allo stesso tempo oggettivo, in quanto riferito a un bene, l'ambiente, e finalistico, perché tende alla migliore conservazione del bene stesso (sentt. nn. 225, 315) (99), e su cui insistono interessi diversi: quello alla conservazione dell'ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni (100) (sent. n. 12).
Poiché la tutela del bene ambiente inerisce a un interesse pubblico di valore costituzionale primario e assoluto a cui si deve garantire un elevato livello di tutela, pertanto, lo Stato può fissare anche limiti invalicabili di tutela (sent. n. 30), inderogabili dalle altre discipline di settore (sentt. n. 12, 235) (101); dalla qual cosa deriva la prevalenza della disciplina statale su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materie di competenza propria, che riguardano l'utilizzazione dell'ambiente; essa, pertanto, opera come un limite alla potestà normativa regionale (102), salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevate nell'esercizio delle proprie competenze (103) (sentt. nn. 12, 30, 61, 225, 235, 249, 272, 315). Lo Stato, quindi, non deve necessariamente limitarsi a stabilire solo norme di principio (sentt. nn. 61, 233) (104), non essendo tenuto neppure a concordare con le Regioni le eventuali norme di dettaglio (sent. n. 225); tuttavia, la frequente compressione di competenze regionali può giustificare la predisposizione di strumenti idonei a garantire forme di collaborazione regionale (sentt. nn. 12, 166, 232, 247).
Da ultimo, poiché spetta alla sola disciplina statale tener conto degli altri interessi costituzionalmente rilevanti contrapposti alla tutela dell'ambiente, nei casi in cui un’eventuale diversa disciplina regionale, anche più rigorosa, rischierebbe di sacrificare in maniera eccessiva e sproporzionata gli altri interessi confliggenti considerati dalla legge statale nel fissare i cosiddetti “valori-soglia”, deve ritenersi prevalente il titolo di legittimazione statale; e ciò anche in ragione della sussistenza di un interesse unitario alla disciplina omogenea di siti che travalicano l'interesse locale e regionale (105). Al più, in questi casi, può giustificarsi la previsione di forme di partecipazione regionale più pregnanti, quale lo strumento dell’intesa (sent. n. 247).
Tra le pronunce in materia ambientale spiccano quelle che hanno sindacato disposizioni contenute del cd. Codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152 del 2006).
In primo luogo si è ripercorsa la ormai consolidata giurisprudenza riguardo alla disciplina dei rifiuti (106) (sentt. nn. 10 e 61), ribadendosi la spettanza alla sola normativa statale della definizione di ciò che debba considerarsi “rifiuto”, senza che le Regioni possano in qualche modo allargare o restringere tale area (sent. n. 61). Tuttavia, trattandosi di un ambito a struttura complessa, che interferisce con altri interessi e competenze, deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, restando ferma la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (sent. n. 314). Di conseguenza, l'incidenza della normativa statale sulle materie regionali immediatamente contigue dovrà essere valutata alla stregua dei principi che regolano il riparto costituzionale, specie valutandone la proporzionalità e l’adeguatezza rispetto alla citata finalità di fissazione dei livelli di tutela uniformi (sent. n. 249). Riguardo in particolare al trasporto e allo smaltimento dei rifiuti, alle Regioni è impedito d’introdurre divieti in materia che non siano consentiti dalla normativa statale (sent. n. 10), né forme di esonero dagli obblighi previsti, anche in attuazione del diritto comunitario, per il trasporto dei rifiuti (sent. n. 315). Quindi, se è la stessa disciplina statale a consentire l’adozione da parte delle Regioni di un divieto allo smaltimento extraregionale dei rifiuti urbani non pericolosi, lo stesso non può dirsi per i rifiuti speciali, pericolosi e non, con conseguente illegittimità di normative regionali in tal senso derogatorie (sent. n. 10), che al più al più possono dettare disposizioni rette da esigenze di mero coordinamento territoriale (sent. n. 61); il che non può riscontrarsi riguardo ai termini per l’inizio della campagna di recupero e smaltimento dei rifiuti (sent. n. 315). Inderogabile è anche l’impostazione unitaria della pianificazione al livello individuato dal legislatore statale, con la conseguente illegittimità della normativa regionale che non preveda tra i contenuti del piano regionale di gestione rifiuti le misure atte a promuovere la regionalizzazione nella raccolta, cernita e smaltimento dei rifiuti (sent. n. 314). E anche la normativa statale sull’Albo dei gestori ambientali, di attuazione delle direttive comunitarie, si pone come limite alla potestà legislativa regionale (sent. n. 315). E’ riservata allo Stato pure l’individuazione degli impianti di smaltimento e recupero di preminente interesse nazionale e la fissazione dei criteri relativi alle caratteristiche delle aree non idonee allo smaltimento dei rifiuti, nonché la predisposizione di un piano nazionale di comunicazione e conoscenza ambientale. Discorso analogo può farsi per la disciplina del procedimento di autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio di impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, nonché di ricerca e sperimentazione; l’incidenza su competenze regionali concorrenti (governo del territorio, tutela della salute), in ordine alle quali spetta comunque allo Stato dettare i principi fondamentali, è inoltre soddisfatta dalla previsione di adeguate forme di coinvolgimento regionale, quale il parere della Conferenza Stato-Regioni (sent. n. 249). Costituisce legittimo esercizio della potestà statale in esame anche la determinazione della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani (art. 238 Cod. ambiente), inserendosi in un complesso assetto normativo diretto ad assicurare un'efficace azione per l'ottimizzazione quantitativa e qualitativa della produzione dei rifiuti. E ciò a prescindere dalla qualificazione giuridica della tariffa quale corrispettivo o tributo, che comunque ne ricondurrebbe la disciplina a materie di competenza esclusiva statale (rispettivamente ordinamento civile e sistema tributario e contabile dello Stato), rendendo così sufficiente la mera audizione della Conferenza Stato-Regioni, (sent. n. 247). L’esclusività della competenza statale si manifesta anche nella disciplina del Comitato nazionale e delle sezioni regionali e provinciali dell'albo nazionale dei gestori ambientali, che verifica la sussistenza dei requisiti prescritti dalla legge per lo svolgimento delle attività di raccolta, trasporto, commercio e intermediazione dei rifiuti, nonché di gestione degli impianti di smaltimento e di recupero degli stessi, da parte delle imprese che chiedano l'iscrizione al medesimo albo (sent. n. 249). Conforme alla finalità di fissazione di livelli uniformi di tutela dell’ambiente, da ultimo, risulta la previsione di un Catasto nazionale dei rifiuti e la relativa riserva alla disciplina statale sulla sua organizzazione e funzionamento (sent. n. 249).
In secondo luogo sono fatte rientrare nella tutela dell’ambiente anche le disposizioni del Codice dell’ambiente volte ad assicurare la tutela e il risanamento del suolo e del sottosuolo, il risanamento idrogeologico del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, la messa in sicurezza delle situazioni a rischio e la lotta alla desertificazione; si tratta, infatti, di profili attinenti direttamente alla tutela delle condizioni e qualità intrinseche del suolo e a garantire un certo stato dello stesso. Il che legittima la previsione di misure statali di programmazione e prevenzione, anche attribuendo incisivi poteri d’indirizzo e coordinamento al Ministro dell’Ambiente, nonché stanziamenti finanziari. Così, ad esempio, per i piani di bacino, che costituiscono il fondamentale strumento di pianificazione in materia di difesa del suolo e delle acque, nonché per la riorganizzazione delle relative Autorità di bacino (sentt. nn. 232, 250); riguardo all’attività di difesa del suolo relativa ai rischi derivanti dal dissesto idrogeologico (sent. n. 232), nonché per la predisposizione del piano di tutela delle acque e le attività a esso connesse, quale l’individuazione delle aree sensibili o il monitoraggio ambientale (sent. n. 250); così, ancora, per la previsione di strumenti posti al fine di assicurare standard omogenei sul territorio nazionale nella protezione delle acque territoriali e marine, anche in adempimento degli obiettivi degli accordi internazionali in materia (sent. n. 233); per i criteri di uso delle acque tesi alla riduzione degli sprechi e a favorire il rinnovo delle risorse idriche, nonché per le modalità di gestione del servizio idrico (sent. n. 246); per la bonifica dei siti contaminati (sent. n. 247) (107). Poiché la disciplina delle sanzioni amministrative non costituisce materia a sé (vedi par. 6.1) anche le sanzioni per le violazioni in materia di scarichi e tutela della qualità dei corpi idrici rientrano nella disponibilità del legislatore statale (sent. n. 246). Tuttavia, poiché le generali funzioni sono tali da produrre effetti significativi sull'esercizio delle attribuzioni regionali in materie di competenza concorrente (quale il governo del territorio) o residuale (come l’agricoltura)il principio di leale collaborazione impone un coinvolgimento delle Regioni, nella specie il parere della Conferenza unificata (o nella partecipazione di rappresentanti regionali agli organismi statali, come nel caso delle Autorità di bacino) (sentt. nn. 232, 247).
Anche gli istituti della V.A.S. (Valutazione ambientale strategica) e della V.I.A. (Valutazione d’impatto ambientale), trattandosi di procedure che valutano in concreto e preventivamente la “sostenibilità ambientale” (sentt. nn. 225, 234), sono oggetto di esclusiva disciplina statale. In particolare riguardo alla VAS, infatti, se è vero che essa interviene nell'ambito di piani o programmi statali o regionali, che possono afferire a qualsiasi ambito materiale (trasporti, energia, telecomunicazioni, agricoltura, etc.), essa non è tuttavia riferibile a nessuno di questi, giacché la valutazione ha a oggetto unicamente profili di compatibilità ambientale e si pone solo come uno strumento conoscitivo e partecipativo nella scelta dell'autorità che propone il piano o programma, al solo fine di assicurare che venga salvaguardato e tutelato l'ambiente. Le Regioni non hanno, perciò, alcun titolo per reclamare la partecipazione a un organo statale, quale è, appunto, la Commissione tecnica statale per le valutazioni ambientali, che svolge funzioni amministrative dirette alla tutela e conservazione dell'ambiente (sent. n. 225).
Ancora, va ricondotta al titolo di legittimazione in questione pure la disciplina del danno ambientale; il livello di tutela ambientale, infatti, non può variare da zona a zona, considerato anche che gli effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un preciso e limitato ambito territoriale. Quindi, non può sussistere in tale settore alcuna interferenza fra competenza legislativa statale e regionale, attesa la prevalenza della prima, finalizzata alla tutela dell'ambiente, sulla seconda, che inerisce invece all'uso e alla fruizione del bene ambiente (sent. n. 235).
Altro ambito in cui la tutela dell’ambiente viene in rilevo concerne il settore energetico. Così, la disciplina relativa al rilascio dell'autorizzazione per l'installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, in virtù della sua precipua finalità, spetta alla potestà esclusiva statale. Ciò, tuttavia, non esclude che, in quanto inserita nella più ampia disciplina di semplificazione delle procedure autorizzative all'installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, vi sia un’incidenza anche su materie attribuite alla competenza concorrente (produzione trasporto e distribuzione di energia, governo del territorio). Il che giustifica il richiamo alla Conferenza unificata, ma non consente alle Regioni, proprio in considerazione del preminente interesse di tutela ambientale perseguito dallo Stato, di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa (sent. n. 166). Le previsione di cui al Codice dell’Ambiente concernenti gli impianti termici civili, i quali producono emissioni nell’atmosfera, sono esercizio della potestà legislativa in esame, in connessione con la tutela della salute, quest’ultima quanto all’articolazione di un principio fondamentale (sent. n. 250). Pertanto, spetta allo Stato dettare la normativa uniforme concernente i procedimenti di autorizzazione e i criteri di esercizio di tali impianti, nonché d’individuare la stessa categoria di “impianto termico”, senza che le Regioni possano derogare a tali disposizioni (sentt. nn. 250, 314). E’ dunque legittimo riservare l’installazione degli impianti di potenza superiore al valore di soglia, al solo personale maggiorenne abilitato, poiché posta ai fini della prevenzione e della limitazione dell’inquinamento atmosferico (sent. n. 250).
Conclusioni analoghe a quelle sin qui effettuate, infine, devono farsi per la disciplina dei Consorzi di recupero e riciclo degli imballaggi (sent. n. 247) o per la disciplina degli accordi e contratti di programma finalizzati a promuovere l'impiego, su tutto il territorio nazionale, di tecniche volte ad assicurare livelli più elevati di tutela dell'ambiente (sent. n. 249).
La Corte definisce anche i confini tra “ambiente” ed “ecosistema”, non risolvendosi la loro duplice utilizzazione nel testo costituzionale in un'endiadi; così, col primo termine si fa riferimento principalmente a ciò che riguarda l'habitat degli esseri umani, con il secondo alla conservazione della natura come valore in sé (sent. n. 12). Proprio l’ecosistema è toccato dalla disciplina sull'introduzione, reintroduzione e ripopolamento di specie animali, trattandosi di regole di tutela dello stesso e non solo di discipline d'uso della risorsa ambientale-faunistica; con conseguente illegittimità di normative regionali che apportino deroghe in senso peggiorativo a un divieto dettato da ragioni di cautela a protezione e tutela dell'ecosistema (sent. n. 30). Quanto detto vale anche per la predisposizione di standard minimi e uniformi di tutela della fauna selvatica e della flora, nonché degli habitat naturali, in particolare per i criteri minimi e uniformi dettati in attuazione del diritto comunitario riguardo alle misure di conservazione delle zone di protezione speciale e delle zone speciali di conservazione, i quali sono appunto vincolanti per i legislatori regionali (sent. n. 316). Sempre sul piano della tutela faunistica, la disciplina statale che delimita il periodo venatorio e individua le specie cacciabili va ascritta al novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, rientrando in quel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica ritenuto vincolante anche per le Regioni speciali e le Province autonome, avendo carattere di norme fondamentali di riforma economico-sociale (sentt. nn. 165, 272) (108).
Nell’oggetto della tutela dell’ambiente rientra anche la “tutela del paesaggio”. Con il termine “paesaggio”, che costituisce anch’esso un valore “primario” e “assoluto” (109), deve intendersi, innanzitutto, la morfologia del territorio regionale, riguardando l'ambiente nel suo aspetto visivo, poiché è lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale (sentt. nn. 226, 272) (110). Così, pertanto, spetta allo Stato dettare la regolamentazione sull’istituzione di parchi nazionali e aree naturali protette (sentt. nn. 12, 272) (111); pur incidendo su altre competenze regionali, infatti, l'intervento statale è richiesto ai fini della conservazione delle aree protette per le generazioni presenti e future. E’ dunque riservata allo Stato la decisione sull’individuazione dei territori da adibire a parchi nazionali, mentre un coinvolgimento regionale può aversi nella fase della concreta istituzione degli stessi (sent. n. 12). Inoltre, alla Regione è inibito modificare la gerarchia dei livelli di pianificazione ambientale, in particolare prevedendo zone con indici e criteri di protezione diversi da quelli fissati dallo Stato con legge-quadro (sent. n. 272).
 
8.   Potestà concorrente
 
8.1.   Principi fondamentali
 
La relazione tra normativa di principio e normativa di dettaglio va intesa, come la Corte ha più volte avuto modo di affermare (112), nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri e obiettivi, essendo invece riservata alla seconda l'individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi (sentt. nn. 200, 237, 340) (113), costituendo i principi fondamentali un punto di riferimento in grado di orientare l'esercizio del potere legislativo regionale (sent. n. 200) (114).
In ogni caso, la portata di principio fondamentale va riscontrata con riguardo alla peculiarità della materia, nonché nella finalità della disciplina statale rispetto a tali peculiarità (set. n. 139). La specificità delle prescrizioni, di per sé, non esclude il carattere di principio di una norma, qualora essa risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione (sent. n. 235) (115). Inoltre, partecipano del carattere di principio fondamentale anche quelle disposizione tese ad assicurare che lo stesso non resti privo di conseguenze (sent. n. 237) (116).
Da ultimo, è possibile che anche una disposizione statale di principio, adottata in materia di legislazione concorrente, possa incidere su una o più materie di competenza regionale, anche di tipo residuale, e determinare una, sia pure parziale, compressione degli spazi entro cui possono esercitarsi le competenze legislative e amministrative delle Regioni, dando luogo a intrecci di competenze da risolversi secondo i sopra esaminati criteri (vedi par. 6.1.2) (sent. n. 235) (117).
 
 
8.2. Istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e formazione professionale
 
Nel complesso intreccio sopra sottolineato (vedi par. 7.5), si può assumere per certo che il prescritto ambito di legislazione regionale sta proprio nella programmazione delle rete scolastica, risultando implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione già a esse conferita nella forma della competenza delegata dall'art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998 (118). In particolare, lo svolgimento attuativo dei principi fondamentali della materia è espressione dell’esigenza di disciplinare situazioni legate a valutazioni coinvolgenti le specifiche realtà territoriali delle Regioni, anche sotto il profilo socio-economico, quali appunto il settore della programmazione scolastica regionale e quello inerente al dimensionamento sul territorio della rete scolastica (sent. n. 200). Proprio relativamente a tale ultimo aspetto, pertanto, deve ricavarsi l’illegittimità d’interventi statali (quale quello di cui al d.l. n. 112 del 2008) recanti la preordinazione dei criteri volti alla attuazione di tale dimensionamento, avendo una diretta e immediata incidenza su situazioni strettamente legate alle varie realtà territoriali e alle connesse esigenze socio-economiche di ciascun territorio, che ben possono e devono essere apprezzate in sede regionale (sent. n. 200). Analoghe considerazioni devono essere fatte per le misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti in caso di chiusura o dell'accorpamento degli istituti scolastici nei piccoli Comuni, costituendo un ambito di sicura competenza regionale proprio perché strettamente legato alle singole realtà locali, il cui apprezzamento è demandato agli organi regionali (sent. n. 200).
La Corte chiarisce, ancora una volta (119), come, in applicazione di un criterio di prevalenza, debba essere ricondotta a tale materia la disciplina degli asili-nido (sent. n. 114). 
 
 
8.3.   Professioni
 
La giurisprudenza del 2009 ha modo di confermare importanti principi affermati già negli anni precedenti riguardo alla materia delle professioni.
In primo luogo, si ribadisce che, quale che sia il settore in cui una determinata professione si esplichi, la determinazione dei principi fondamentali della relativa disciplina spetta sempre allo Stato (sentt. nn. 138, 253) (120).
In secondo luogo, la Corte afferma nuovamente il principio secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato (sentt. nn. 138, 271, 324); principio che si configura quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale (121), con conseguente sua impossibilità di dar vita a nuove figure professionali (sentt. nn. 138, 324) (122); inoltre, l'indicazione di specifici requisiti per l'esercizio delle professioni, anche se in parte coincidenti con quelli già stabiliti dalla normativa statale, viola la competenza statale (sent. n. 271). Così, ad esempio, illegittima è la previsione con legge regionale del profilo professionale di “animatore turistico”, che non trova alcun riscontro nella legislazione nazionale, nonché la fissazione di requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge statale per l’esercizio delle professioni turistiche (sent. n. 271).
Più in particolare, costituisce senz’altro un indice sintomatico della istituzione di una nuova professione quello costituito dalla previsione di appositi elenchi, disciplinati dalla Regione, connessi allo svolgimento dell’attività che la legge regolamentava; l'istituzione di un registro o albo professionale e la previsione delle condizioni per la iscrizione in esso, infatti, hanno una funzione individuatrice della professione, la qual cosa è inibita alla fonte regionale (sentt. nn. 138, 271, 324) (123). Pertanto, è illegittima una disciplina regionale regolante il percorso formativo per l’accesso allo svolgimento delle pratiche bionaturali, con conseguente istituzione di un registro per le scuole di formazione e gli operatori delle suddette pratiche (sent. n. 138). Allo stesso modo, è illegittima anche l’istituzione con legge regionale di un elenco (con la relativa disciplina per l’iscrizione) dei revisori cooperativi legittimati a eseguire la revisione per conto delle associazioni di rappresentanza (sent. n. 324). Tuttavia, quando gli albi regionali svolgano funzioni meramente ricognitive o di comunicazione e di aggiornamento, non si pongono al di fuori dell'ambito delle competenze regionali, dovendo intendersi riferiti a professioni già riconosciute dalla legge statale (sent. n. 271).
Ne deriva, in conclusione, che rientra nella competenza delle Regioni solo la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale (sent. n. 138).
 
  
8.4.   Tutela della salute
 
La Corte sottolinea, ancora una volta (124), la stretta inerenza tra le norme relative alla dirigenza sanitaria e l'organizzazione del servizio sanitario regionale e, in definitiva, con le condizioni per la fruizione delle prestazioni rese all'utenza; queste ultime, infatti, sono senz’altro condizionate, sotto molteplici aspetti, dalla capacità, dalla professionalità e dall'impegno di tutti i sanitari addetti ai servizi preordinati alla tutela della salute degli utenti del servizio sanitario (sent. n. 215). Dal che si deduce l’illegittimità delle disposizioni regionali con cui si estenda anche ai dirigenti delle strutture sanitarie la possibilità di ottenere la trasformazione delle posizioni di lavoro a tempo determinato, già ricoperte da personale precario dipendente degli enti del servizio sanitario regionale, in posizioni di lavoro dipendente a tempo indeterminato, senza individuare presupposti e criteri di selezione concorsuali; è evidente, infatti, il contrasto con la normativa statale di principio (d. lgs. n. 502 del 1992), che richiede non solo procedure concorsuali di selezione dei dirigenti, ma anche strumenti di verifica del loro operato (sentt. nn. 215, 293).
Anche la delimitazione temporale dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni sanitarie, strumentale alla prestazione del servizio, è espressione della tutela della salute e non dell’organizzazione amministrativa regionale, di potestà residuale, con conseguente illegittimità di disposizioni regionali che consentano di procrastinare il rapporto di lavoro oltre i limiti di età stabiliti dalla legge statale (125) (ad esempio consentendo ai dirigenti sanitari, in modo automatico e senza possibilità di valutazione della struttura di appartenenza, di continuare nel rapporto di lavoro sino alla scadenza del mandato, anche oltre i limiti di età fissati per legge). La legittimità di previsioni legislative regionali che innalzino il limite massimo dell'età pensionabile stabilito a livello statale, infatti, è riconosciuta solo per il conseguimento di finalità assicurative e previdenziali, nonché a condizione che si tratti di deroghe rigorosamente circoscritte nel tempo e residui in capo all'amministrazione il potere di decidere sulla domanda dell'interessato (sent. n. 295) (126).
Anche la disciplina dell'organizzazione del servizio farmaceutico, in continuità con l’originario art. 117 Cost. (127), va ascritta alla materia concorrente della tutela della salute (sent. n. 295) (128). Sotto tale profilo, in tema di distribuzione territoriale delle farmacie, il legislatore statale ha optato per il criterio del contingentamento, dalla Corte riconosciuto quale principio fondamentale della materia, che s’impone al legislatore regionale (129); esso, infatti, è espressione dell’esigenza di assicurare l'ordinata copertura di tutto il territorio nazionale (130), in modo da garantire ai cittadini la continuità territoriale e temporale del servizio ed agli esercenti un determinato bacino d'utenza (131) (sent. n. 295).
Da ultimo, come dalla Corte già affermato nella sentenza n. 438 del 2008, il consenso informato, quale punto di sintesi di due diritti fondamentali della persona, quello all'autodeterminazione e quello alla salute, riveste natura di principio fondamentale in materia di tutela della salute. Da ciò deriva che alle Regioni è fatto divieto di disciplinare gli aspetti afferenti ai soggetti legittimati alla relativa concessione, nonché alle forme del suo rilascio, con conseguente illegittimità della legge della Provincia autonoma di Trento con cui s’individuavano i soggetti legittimati ad accordare il consenso per la somministrazione di sostanze psicotrope su bambini e adolescenti (sent. n. 253).
 
8.5.   Governo del territorio
 
Su un piano generale, la Corte ha ripetutamente affermato che la disciplina del governo del territorio è comprensiva, in linea di principio, di tutto ciò che attiene all'uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività ed è riconducibile, in definitiva, all'insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio (132). Tale competenza ha dunque un ambito oggettivo assai esteso, ma non può arrivare a comprendere tutta la disciplina concernente la programmazione, la progettazione e la realizzazione delle opere o l'esercizio delle attività che, per loro natura, producono un inevitabile impatto sul territorio (sent. n. 237).
Tra le varie pronunce rientranti nell’ambito della materia in questione la Corte torna sulla fattispecie del condono edilizio (sentt. nn. 54, 290). Si tratta di una fattispecie in grado di compromettere il valore della certezza del diritto, che può intervenire solo entro stretti limiti, in virtù del vulnus che essa reca al principio di certezza del diritto, alla cui stregua devono essere valutati gli specifici interventi normativi (sent. n. 54) (133). Dunque, l'individuazione della portata massima del condono edilizio straordinario spetta alla legge statale, essendo inibito alle Regioni ampliare i limiti applicativi della sanatoria (sent. n. 290) (134). Al legislatore regionale, infatti, è fatto onere di cooperare con lo Stato al fine di garantire l'equilibrio dell'«accentuata integrazione» tra normativa nazionale e normativa regionale, con il divieto di rendere condonabili opere escluse dalla legislazione statale (sent. n. 290) (135). Così, ad esempio, le Regioni non possono dettare una diversa definizione di “opere ultimate” ai fini della condonabilità, ché altrimenti ne sarebbero lesi i termini fissati dallo Stato (sent. n. 54).
Attiene al governo del territorio anche la localizzazione degli impianti di trattamento dei rifiuti sul territorio, sebbene essa debba rispettare i criteri tecnici fondamentali stabiliti dagli organi statali (fissati in attuazione dell’art. 195 del Codice dell’ambiente), che rappresentano soglie inderogabili di protezione ambientale (vedi par. 7.9). Pertanto, la Regione può abilitare la Provincia, in quanto ente deputato dalla legislazione statale a esercitare le funzioni in tema di “difesa del suolo” (art. 197 Cod. ambiente), a individuare le aree per la localizzazione degli impianti, secondo una valutazione urbanistica complessiva del territorio provinciale, che muove dalle previsioni del piano territoriale di coordinamento (sent. n. 314).
Non viola la competenza statale relativa all’ordinamento civile, nella specie alla trascrizione immobiliare, la normativa regionale la quale preveda che la costruzione di aree parcheggio sia accompagnata da formale dichiarazione di asservimento ai fini di garantire il vincolo di pertinenzialità, dichiarazione da trascrivere nei registri immobiliari secondo la normativa vigente. La trascrizione di atti del genere, costitutivi dei suddetti vincoli, è infatti pacificamente ammessa dalla normazione nazionale, per effetto di leggi speciali statali o regionali, nell’ambito delle materie di competenza delle regioni, che prevedano la costituzione di vincoli di destinazione (136). Il che fa escludere anche che l’assolvimento dell’imposta ipotecaria relativa a tale ipotesi di trascrizione possa configurare un nuovo tipo di fattispecie imponibile, costituendo solo l’effetto della normativa tributaria vigente, senza che possa ritenersi lesa la competenza statale sulla tutela della concorrenza (sent. n. 318).
Ancorché siano ravvisabili profili attinenti al coordinamento della finanza pubblica, rientra in via prevalente nella materia del governo del territorio la disciplina dell’approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni degli immobili da parte del Consiglio comunale, di cui al d.l. n. 112 del 2008 (art. 58), costituendo una variante allo strumento urbanistico. Trattandosi di materia di competenza concorrente, pertanto, lo Stato non può dettare norme di dettaglio, il che non è avvenuto nel provvedimento in questione, stabilendo appunto l’effetto di variante a tale delibera di approvazione ed escludendo la sua sottoposizione alle normali verifiche di conformità (sent. n. 340).
 
 
8.6.   Porti e aeroporti civili
 
Tale materia riguarda essenzialmente le infrastrutture e la loro collocazione sul territorio regionale (137), mentre non può concernere l'organizzazione e l'uso dello spazio aereo, peraltro in una prospettiva di coordinamento fra più sistemi aeroportuali (sent. n. 18). Così, esula dalla competenza in oggetto la disciplina dell'assegnazione delle bande orarie negli aeroporti coordinati, che risponde a esigenze di sicurezza del traffico aereo e di tutela della concorrenza, le quali corrispondono ad ambiti di competenza esclusiva dello Stato (sent. n. 18).
  
8.7. Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia
 
A detta della Corte l’espressione in questione corrisponde alla nozione di «settore energetico» di cui alla legge n. 239 del 2004, così come a quella di «politica energetica nazionale» al d.lgs. n. 112 del 1998 (art. 29) (138). Al fine di preservare gli assetti nazionali del settore energetico e gli equilibri su cui esso si regge nel suo concreto funzionamento il Governo può anche assumere un ruolo di impulso ai fini dello sviluppo energetico nazionale, in quanto parte della politica generale che a esso compete tracciare (139). Il che consente allo Stato, nell’esercizio della competenza concernente i principi fondamentali della materia energia, di fissare «obiettivi» strategici in campo energetico, senza la descrizione dell’oggetto delle «misure» a ciò necessarie (sent. n. 339).
Dunque, ai sensi dell'indirizzo assunto dalla normativa statale di riordino dell'intero settore energetico è ben compatibile con la Costituzione riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali, nell'esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative, sia pure a seguito della introduzione di adeguati meccanismi di leale collaborazione, ove ritenuti costituzionalmente necessari (sent. n. 88)(140).
La disciplina degli insediamenti di impianti eolici e fotovoltaici va considerato esercizio della potestà legislativa in esame (141). Infatti, pur non trascurando la rilevanza che, in relazione a questi impianti, riveste la tutela dell'ambiente e del paesaggio (sent. n. 166), “si rivela centrale nella disciplina impugnata il profilo afferente alla gestione delle fonti energetiche in vista di un efficiente approvvigionamento presso i diversi ambiti territoriali” (sent. n. 282). Il bilanciamento tra i vari interessi in gioco, pertanto, non consente alle Regioni di individuare autonomamente i criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa (sent. n. 166), ma impone una prima ponderazione concertata in ossequio al principio di leale cooperazione. Dunque, solo dopo l’adozione di una disciplina concordata recante le linee guida in materia, ogni Regione potrà adeguare i criteri così definiti alle specifiche caratteristiche dei rispettivi contesti territoriali (sent. n. 282). Come dalla Corte già affermato nella sent. n. 364 del 2006, costituisce principio fondamentale della materia in questione quanto previsto dall’art. 12, comma 4, d.lgs. n. 387 del 2003, ove si indica un termine massimo di 180 giorni per la conclusione dei procedimenti tesi al rilascio di autorizzazioni per la costruzione (nonché la modifica, il rifacimento e la riattivazione) e l’esercizio d’impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, nonché per la costruzione di opere a essi comunque connesse; tale disposizione, infatti, ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità, garantisce in modo uniforme sull'intero territorio nazionale la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo; con la conseguente illegittimità di discipline regionali che rendano meno certa la conclusione di siffatti iter procedimentali (sent. n. 282).
Ancora, devono ritenersi quali principi fondamentali le disposizioni di cui al d.lgs. n. 387 del 2003, integrato dalla l. n. 239 del 2004, sugli impianti eolici off-shore, per la cui autorizzazione la disciplina è riservata all’autorità ministeriale e alla competente autorità marittima; inoltre, poiché le funzioni amministrative concernenti l’utilizzo del pubblico demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità di approvvigionamento energetico devono ritenersi riservate allo Stato, va esclusa la possibilità per le Regioni d’introdurre divieti in materia d’installazione di tali impianti sul proprio territorio (sent. n. 282).
Da ultimo, se di per sé sono legittime le disposizioni regionali che introducano misure di compensazione nella disciplina delle fonti rinnovabili (142), tali misure non possono avere come beneficiari le Regioni o le Province delegate, con conseguente illegittimità della previsione regionale di oneri d’istruttoria da versare nei confronti di siffatti soggetti (sent. n. 282).
 
 
8.8. Valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali
 
Come già affermato dalla Corte (143), la valorizzazione del patrimonio tartuficolo compete alla Regione, nel rispetto dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale. Quest’ultimo ha stabilito un generale principio di libertà di raccolta, limitata tuttavia all’ambito dei boschi e dei terreni non coltivati, al fine di bilanciare le esigenze di difesa del patrimonio ambientale e dei diritti dei proprietari dei fondi con quelle degli operatori del settore. Alle Regioni, pertanto, è inibito di derogare a tali limiti, estendo la raccolta a territori ulteriori, ma è consentito individuare i requisiti per il riconoscimento delle tartufaie controllate (in virtù dell’assenza di principi riguardo all’estensione delle stesse) (sent. n. 167).
 
8.9.  Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e art. 119, secondo comma, della Costituzione riguardante i “tributi e le entrate propri” delle Regioni ed enti locali
 
Su un piano generale la Corte sottolinea come l’autonomia finanziaria delle Regioni si presenti, in larga parte, ancora in fieri, con la conseguenza che le stesse Regioni sono legittimate a contestare interventi legislativi dello Stato, concernenti il finanziamento della spesa sanitaria, soltanto qualora lamentino una diretta ed effettiva incisione della loro sfera di autonomia finanziaria (sentt. n. 94, 107) (144). Tuttavia, l’art. 119 Cost. impedisce al legislatore statale di emanare norme in contrasto con i criteri e i limiti che presiedono l’assetto costituzionale (145). Di regola, pertanto, non è consentito allo Stato di prevedere finanziamenti in materie di competenza residuale ovvero concorrente delle Regioni, né istituire Fondi settoriali di finanziamento delle attività regionali; ciò, infatti, si risolverebbe in uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza, con violazione dell'art. 117 Cost. (sentt. nn. 99, 168). Così, ad esempio, illegittimi sono gli stanziamenti alle Regioni vincolati a determinate scelte di spesa sanitaria (sent. n. 99).
Tuttavia, è possibile che nell’esercizio di sue competenze esclusive lo Stato introduca misure recanti oneri sui bilanci regionali (sentt. nn. 233, 246). In tali eventualità, il rispetto dell'autonomia delle Regioni è assicurato dalla previsione circa l'attuazione di idonee forme di collaborazione, quale la previa intesa con gli enti interessati o con gli organismi rappresentativi degli stessi (146) (sent. n. 233).
 
8.9.1.    Armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario
 
La Corte effettua una ricognizione della sua giurisprudenza relativamente alle norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali (147), specificando che le stesse possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica a due condizioni: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi e incidano temporaneamente su una complessiva e non trascurabile voce di spesa (sentt. nn. 94, 237, 283, 297). Dunque, il legislatore statale può stabilire solo un limite complessivo che lasci agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa, senza vincolare le Regioni e le Province autonome all'adozione di misure analitiche e di dettaglio (sentt. nn. 237, 297) (148). Così, ad esempio, rispecchia i principi sin qui espressi, la previsione di un tetto di spesa gravante sull’intero comparto regionale (sent. n. 284).
Da ciò consegue che il legislatore statale, specie in virtù del c.d. Patto di stabilità interno, può legittimamente imporre alle Regioni, alle Province autonome e agli enti locali [che fanno parte della cd. finanza pubblica allargata (149)] vincoli alle politiche di bilancio, che indirettamente incidano sull'autonomia regionale di spesa, per ragioni di coordinamento finanziario volte a salvaguardare l'equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva (sentt. nn. 237, 284) (150). I vincoli derivanti dal Patto di stabilità interno, infatti, devono applicarsi in modo uniforme a tutti gli enti territoriali di una certa dimensione, trattandosi di misure in un certo senso emergenziali, tese a realizzare, nell'ambito della manovra finanziaria annuale, un obiettivo di carattere nazionale (sent. n. 284) (151).
Quanto detto consente di ricondurre all'ambito di tali principi di coordinamento della finanza pubblica anche le norme puntuali adottate dal legislatore per realizzare in concreto le predette finalità (sentt. nn. 237, 283) (152). In tal senso, le finalità di coordinamento finanziario delle prescrizioni legislative appaiono il criterio di qualificazione delle stesse quali principi fondamentali, prescindendosi da un discorso di tipo gradualistico sul loro dettaglio (Brancasi).
Un settore in cui gli interventi di coordinamento finanziario sono assai frequenti è quello della spesa sanitaria, la quale ha rilevanza strategica ai fini dell'attuazione del patto di stabilità interno e concerne un non trascurabile aggregato della spesa pubblica (sent. n. 94). In tale prospettiva, pertanto, si collocano le disposizioni statali che prevedano una riduzione delle tariffe per la remunerazione delle prestazioni rese per conto del S.s.n. (sent. n. 94). Anche la disciplina di cui al decreto-legge n. 112 del 2008, in quanto complessivamente rivolta a permettere l’abolizione del ticket, individuando le relative modalità di copertura, ha palesemente una finalità di coordinamento finanziario. Essa, inoltre, appare conforme ai criteri sopra indicati, recando determinate indicazioni alle Regioni, che restano libere di adottare in modo quantitativamente e qualitativamente diverso le misure di contenimento della spesa previste dalla disciplina statale (ad esempio riducendo il ticket o sostituendolo con altre forme di partecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria). Trattandosi di un provvedimento teso a rimuovere un limite all’autonomia regionale, inoltre, neppure si rende necessaria l’intesa con le Regioni, come avvenuto per l’introduzione del ticket (sent. n. 341). Quanto detto, pertanto, rende legittima anche la previsione che le risorse, provenienti dalla riduzione dei compensi di dirigenti e sindaci delle strutture sanitarie, siano destinate dalle Regioni al finanziamento dei rispettivi servizi sanitari regionali, per finanziare l’eventuale abolizione del ticket. Infine, anche le norme che introducano un criterio di priorità nella realizzazione degli interventi nel campo dell’edilizia sanitaria, la cui programmazione e attuazione spetta alle Regioni, rientrano nell’ambito in esame (sent. n. 99). A quanto detto fanno tuttavia eccezione le Province autonome di Trento e Bolzano, le quali provvedono interamente al finanziamento del proprio servizio sanitario provinciale, senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato; pertanto, lo stesso non ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario che definiscano le modalità di contenimento di una spesa sanitaria che è interamente sostenuta dalla Provincia autonoma di Trento (sent. n. 341).
Alle condizioni sin qui sottolineate, le disposizioni statali di principio possono incidere anche su una materia riconducibile al quarto comma dell'art. 117 Cost., quale ad esempio l'organizzazione e il funzionamento della Regione (sent. n. 237) (153). Ciò, purché le finalità di contenimento della spesa siano soddisfatte da semplici indicazioni date dalla legge statale, che lascia le Regioni libere di adottare i provvedimenti ritenuti più idonei. In tal ambito, quindi, i principi di coordinamento finanziario si caratterizzano per una sorta di trasversalità (De Martin), che in parte svuota la potestà residuale regionale (Di Cosimo). Così, ad esempio, per la disciplina recante il riordino delle comunità montane (legge finanziaria 2008), la quale costituisce il mezzo per pervenire a ridurre a regime la spesa corrente per il funzionamento delle medesime. Pertanto, legittima è previsione di legge statale che si limiti a fornire al legislatore regionale alcuni “indicatori”, non vincolanti, né dettagliati, né auto applicativi, che tendano soltanto a dare un orientamento di massima alle modalità con le quali deve essere realizzato tale riordino. Illegittima è invece la previsione di dettagliate conseguenze di carattere ordinamentale per la mancata attuazione delle disposizioni sul riordino (sent. n. 237). Così, ancora, per le disposizioni relative all’organizzazione dei consorzi di bonifica, in cui si fornisce l’indicazione di una riduzione, correlata dalla fissazione di soglie minime e massime, dei componenti dei consigli di amministrazione e degli organi esecutivi di tali enti e si attribuisce alle Regioni la facoltà di procedere al riordino dei consorzi, anche mediante il loro accorpamento (sent. n. 139).
In virtù della ricordata natura statale dei tributi regolati con legge dello Stato, benché con gettito a destinazione regionale (vedi par. 7.1.2), risulta legittima la sospensione dell’esercizio delle facoltà d’intervento regionale su tali categorie di tributi al fine di evitare che il rispetto del Patto di stabilità interno spinga le Regioni ad azionare la leva fiscale (sent. n. 284).
Da ultimo, non può invece essere riconosciuta natura di principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, per il loro livello di estremo dettaglio, alle norme di cui alla finanziaria 2008 con cui viene imposto alle Regioni il contenimento della spesa pubblica attraverso taluni specifici strumenti (quali la riduzione della cilindrata media delle autovetture di servizio, l'uso della posta elettronica in luogo della corrispondenza cartacea, l’utilizzo dei servizi internet in luogo delle ordinarie comunicazioni telefoniche). Tali disposizioni, infatti, sono idonee solo a incidere su singole voci di spesa, in quanto introducono vincoli puntuali e specifiche modalità di contenimento della spesa medesima, realizzando un'inammissibile ingerenza nell'autonomia finanziaria regionale (sent. n. 297).
 
 
8.9.2.    ...e art. 119, secondo comma, della Costituzione riguardante i “tributi e le entrate propri” delle Regioni ed enti locali
 
Come già accennato in precedenza (par. 7.1.2), in applicazione di principi ormai consolidati (154), fino all'attuazione da parte del legislatore statale del nuovo disegno costituzionale, si deve ritenere preclusa alle Regioni la potestà di legiferare sui tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali e per converso spetta tuttora al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative anche nel dettaglio della disciplina dei tributi locali esistenti (sent. n. 247).
 
9.   Potestà residuale
 
9.1.   Pesca
 
La pesca costituisce certamente una materia oggetto della potestà legislativa residuale delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost., benché la stessa possa concorrere con altre competenze statali e regionali, rendendosi necessario il ricorso agli strumenti della leale collaborazione (sent. n. 233) (155).
 
 
9.2.  Turismo
 
Ulteriore materia di potestà residuale individuata dalla Corte è quella del turismo (sent. n. 13), benché allo Stato spetti comunque la possibilità di attrarre a sé le funzioni amministrative regionali secondo i crismi della procedura di “assunzione in sussidiarietà”, di cui al par. 5.1. (sent. n. 76).
 
 
9.3.  Istruzione e formazione professionale
Come già affermato dalla Corte in sue precedenti decisioni (156), l’addestramento del lavoratore, per iniziativa di un soggetto pubblico e fuori dall’ordinamento universitario, finalizzato precipuamente all’acquisizione delle cognizioni necessarie all’esercizio di una particolare attività lavorativa, rientra nella materia, oggetto di potestà legislativa residuale della Regione, concernente la formazione professionale (sent. n. 250). Pertanto, è illegittima l’attribuzione con legge statale all’Ispettorato provinciale del lavoro del compito di rilasciare il patentino di abilitazione, all’esito di un corso e del superamento di un esame finale, per il personale addetto alla conduzione di impianti termici civili di potenza superiore ad una certa soglia (sent. n. 250).
Sebbene alle Regioni sia inibita l’istituzione di figure professionali diverse da quelle individuate dallo Stato (vedi par. 8.3), la competenza in esame rende legittima la previsione di corsi di formazione relativi alle professioni turistiche già istituite con fonte statale (sent. n.271).
 
 
9.4.  Servizi sociali
 
Oggetto di tale competenza sono tutte le attività “relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario” (sent. n. 124) (157).
Lede la competenza in esame, invece, la previsione di cui al Codice dell’ambiente relativa all’obbligo d’affissione dei bilanci delle Autorità d’ambito territoriale (sent. n. 246).
 
 
9.5.  Comunità montane
 
Nella vigenza del nuovo Titolo V della parte seconda della Costituzione, la Corte ha avuto modo di affermare, in maniera ormai inequivocabile (158), che la disciplina delle comunità montane, pur in presenza della loro qualificazione come enti locali contenuta nel Testo unico degli enti locali (d.lgs. n. 267 del 2000), rientra nella competenza legislativa residuale delle Regioni (sent. n. 237). Il che vale anche per la loro soppressione, trattandosi di enti non necessari sulla base di norme costituzionali (vedi par. 7.7) (159).
 
10.   Art. 120, comma 1, Cost.
L'art. 120 Cost. vieta alle Regioni di interporre, con provvedimenti di qualsiasi natura, amministrativa o legislativa, ostacoli alla libera circolazione di persone e cose tra le Regioni stesse, nonché di limitare, in qualunque parte del territorio nazionale, l'esercizio del diritto al lavoro. Tali divieti, dunque, in quanto finalizzati a salvaguardare la libertà di circolazione di merci e persone sul territorio nazionale, sono espressione della libertà fondamentale di circolazione e di soggiorno, di cui all'art. 16 della Costituzione (160) (sent. n. 9).
Quanto detto fa escludere che la materia della circolazione stradale possa essere collocata nell'ambito residuale ascritto alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni. Ne deriva, pertanto, che spetta solo allo Stato il compito di fissare gli standard di sicurezza minimi per la circolazione dei veicoli e per la prevenzione dei sinistri, in ragione dell'esigenza di assicurare l'uniformità, in tutto il territorio nazionale, delle norme finalizzate alla protezione dell'incolumità dei cittadini (161). E’ dunque illegittima una normativa regionale che imponga ai soggetti residenti nel territorio regionale determinate restrizioni per la circolazione alla guida di autoveicoli per il trasporto di merci di peso superiore a trentacinque quintali, sottoponendo tra l’altro l'attività lavorativa del conducente a determinati accertamenti diagnostici (sent. n. 9).
Allo stesso modo l’art. 120 Cost. opera riguardo alla materia del trasporto dei rifiuti, essendo impedito alle Regioni di adottare misure recanti divieti allo smaltimento di rifiuti di provenienza extraregionale diversi da quelli urbani non pericolosi, non rilevando neppure se tali divieti siano assoluti o relativi (sent. n. 10) (162).
 
 
11.    Autonomie speciali
 
11.1.  Statuti speciali e “clausola di maggior favore”
 
Deve innanzi tutto rammentarsi che le disposizioni della legge costituzionale n. 3 del 2001 non sono destinate a prevalere sugli statuti speciali di autonomia e sono attualmente invocabili, ora in luogo ora in aggiunta alle disposizioni statutarie (sent. n. 328), ai sensi dell’art. 10 (cd. “clausola di maggior favore), solo per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie di quelle già attribuite, da considerarsi (per la singola Provincia autonoma o Regione speciale) in modo unitario nella materia o funzione amministrativa presa in considerazione (sent. n. 226) (163).
Nelle materie che gli statuti speciali riconducono alla competenza piena della Regione o della Provincia autonoma, invece, il legislatore conserva il potere di vincolare la legislazione regionale “attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come “riforme economico-sociali” (sentt. nn. 164, 226).
Nello specifico, ad esempio, l’operatività della clausola di maggior favore è stata riconosciuta, relativamente alla materia delle professioni, per lo Statuto del Trentino-Alto Adige (sent. n. 324). Diversamente, invece, per la materia dell’istruzione e formazione professionale; lo statuto speciale, infatti, stabilisce una potestà legislativa primaria sull’“addestramento e formazione professionale” e una concorrente sull’“istruzione elementare e secondaria e di apprendistato” nonché, ai sensi della normativa d’attuazione, la facoltà di emanare norme per l'attuazione delle leggi sugli esami di Stato, sentito il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca; il che non consente d’individuare nell’art. 117 Cost. forme di autonomia più ampie di quelle statutariamente previste. Più nel dettaglio, interessante è notare come la Corte, in ogni caso, interpreti i principi fondamentali posti dallo Stato, di cui alla citata competenza concorrente, come lo strumento per dare attuazione a quelle esigenze unitarie che per le Regioni ad autonomia ordinaria sono soddisfatte dalle norme generali sull’istruzione, di competenza esclusiva statale. Così, ad esempio, per la disciplina degli esami di Stato per l'accesso agli studi universitari e all'alta formazione, ricondotta alla legislazione statale di principio; si tratta, infatti, di elementi attinenti a quella struttura essenziale del relativo sistema nazionale dell’istruzione che non possono essere oggetto di normazione differenziata su base territoriale e devono essere regolati in modo unitario sull'intero territorio della Repubblica. Ne consegue, in conclusione l’illegittimità di una normativa provinciale che preveda l'organizzazione di un corso annuale (corrispondente al quinto anno integrativo degli studi di formazione professionale) volto a creare i presupposti per poter sostenere un esame di Stato diverso da quello disciplinato dalle norme nazionali. Alle medesime conclusioni deve pervenirsi per le disposizioni provinciali regolanti il passaggio dal terzo anno della formazione professionale al quarto anno di un istituto professionale statale (sent. n. 213).
Natura di legge recante norme di riforma-economico sociale deve essere attribuita alla c.d. “legge Galasso” (d.l. n. 312 del 1985, convertito in l. n. 431 del 1985), che, impone il vincolo paesaggistico ed elenca i beni protetti, nonché al d.lgs. n. 42 del 2004 (novellato dal d.lgs. n. 63 del 2008), recante l’elencazione delle aree tutelate per legge. La potestà legislativa primaria in materia urbanistica e di tutela del paesaggio prevista dallo Statuto della Regione Valle d'Aosta, pertanto, deve esercitarsi nel rispetto di tali norme, con conseguente illegittimità di disposizioni regionali le quali sottraggano ai vincoli paesaggistici le zone contermini ai laghi artificiali (sent. n. 164). La speculare potestà legislativa primaria attribuita dallo Statuto della Regione Trentino-Alto Adige alle Province autonome di Trento e Bolzano in materia di tutela del paesaggio, invece, rende illegittimo il Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004), nella parte in cui include tali Province tra gli enti territoriali soggetti al limite della potestà legislativa esclusiva statale, non essendo a esse applicabile l'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione (sent. n. 226).
Come da giurisprudenza costante della Corte (164), anche le disposizioni relative alla tutela della fauna selvatica contenute nella legge n. 157 del 1992 hanno carattere di norme di grande riforma economico-sociale, in particolare riguardo alla disciplina che delimita il periodo venatorio e le specie cacciabili, in quanto reca misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie stesse (165) (sent. n. 165). Ne deriva, pertanto, l’illegittimità della normativa dettata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia che, nel sottoporre l’intero territorio regionale al regime giuridico della zona faunistica delle Alpi, ha, irragionevolmente, limitato la quota di territorio da destinare a protezione della fauna selvatica, con ciò violando gli standard minimi e uniformi di tutela di cui all’indicata normativa statale. Allo stesso modo deve dirsi per quelle disposizioni che fissano i criteri di composizione degli organi preposti alla gestione dell'attività venatoria, da cui la normativa regionale non può distaccarsi. Così, anche l’esclusione dell'attività venatoria svolta all'interno delle aziende agri-turistico-venatorie dalla fattispecie della caccia, estendendo il permesso di caccia nelle suddette aziende a tutto il periodo dell'anno, introducendo una irragionevole deroga alla rigida disciplina statale, contrasta con gli standard minimi e uniformi di tutela della fauna ivi previsti. Illegittima, infine, risulta pure l’introduzione di strumenti di cattura degli animali non previsti nella legge statale (sent. n. 165).
Da ultimo, la Corte ribadisce che le norme di attuazione degli statuti regionali ad autonomia speciale sono dotate di forza prevalente su quella delle leggi ordinarie e possono anche avere un contenuto praeter legem, integrando le norme statutarie, nei limiti delle finalità di attuazione dello Statuto (sentt. nn. 132, 159, 342) (166).
 
 
11.2.   Le competenze delle Regioni ad autonomia speciale
 
Tra le specifiche questioni assai interessante è la ricostruzione effettuata proposito della tutela del minoranze linguistiche nell’ordinamento italiano (sent. n. 159). La Corte, infatti, ha più volte affermato che la tutela delle minoranze linguistiche, a cui è espressamente dedicato l’art. 6 Cost., costituisce principio fondamentale dell'ordinamento costituzionale (167). Quest’ultimo si situa al punto di incontro con altri principi, talora definiti “supremi” (168) quali quello pluralistico di cui all'art. 2 Cost. e quello di eguaglianza (169). Disposizioni di rango costituzionale a cui, tra l’altro, corrisponde una normativa internazionale che si è sviluppata e articolata nel tempo. Pur garantendo comunque una tutela minima e immediatamente operativa, tuttavia, il principio consacrato nell'art. 6 Cost. richiede l'apprestamento sia di norme ulteriori di svolgimento, sia di strutture o istituzioni finalizzate alla loro concreta operatività, in quanto l’effettività della tutela delle minoranze è condizionata all'esistenza di leggi e misure amministrative. A tal proposito, sebbene sia rimesso al legislatore italiano, nella propria discrezionalità, di scegliere i modi e le forme della tutela da garantire alle minoranza linguistiche (170), anche le legislazioni regionali e provinciali possono disciplinare il fenomeno delle lingue minoritarie, non solo nei casi espressamente indicati dagli statuti regionali, ma sempre nel pieno rispetto di quanto determinato dal legislatore statale (171). Dunque, l'attuazione in dell'art. 6 Cost. genera un modello di riparto delle competenze fra Stato e Regioni che non corrisponde alle ben note categorie previste per tutte le altre materie nel Titolo V della seconda parte della Costituzione. Infatti, il legislatore statale appare titolare di un proprio potere di individuazione delle lingue minoritarie protette, delle modalità di determinazione degli elementi identificativi di una minoranza linguistica da tutelare, nonché degli istituti che caratterizzano questa tutela, frutto di un indefettibile bilanciamento con gli altri legittimi interessi coinvolti ed almeno potenzialmente configgenti. Particolare rilievo, in tal senso, hanno le disposizioni di cui ai decreti legislativi di attuazione degli statuti speciali, le quali si pongono come norme interposte (e, quindi, sovraordinate) per ciò che riguarda sia la legge statale che quella regionale.
La legislazione statale in materia è stata adottata essenzialmente dalla legge n. 482 del 1999 e, pertanto, è alla luce delle considerazioni sin qui effettuate che devono verificarsi gli spazi di deroga attribuiti alle singole Regioni. Se si pensa alla Regione Friuli-Venezia Giulia, oltre alla generale disposizione di cui all’art. 3 dello Statuto, non è prevista una specifica disposizione attributiva di competenze in questa materia, né possono rinvenirsi nel decreto di attuazione disposizioni che introducano direttamente, o che autorizzino il legislatore regionale a introdurre normative derogatorie al contenuto della legge n. 482 del 1999. Con la conseguente illegittimità di disposizioni regionali che prevedano delimitazioni territoriali per l’uso della lingua friulana o forme di utilizzo della stessa in contrasto con la normativa statale, ad esempio stabilendone l’insegnamento scolastico mediante la formula del “silenzio assenso” o introducendola per gli atti consiliari; e ciò anche in virtù di altri principi che sarebbero pregiudicati, quale quello di libera scelta del’insegnamento o la funzionalità degli organi di governo regionali (Bartole); legittimi, invece, sono quegli interventi recanti misure di sostegno (anche economico) per lo sviluppo della lingua friulana (sent. n. 159).
Tra le varie competenze regionali, la Corte è intervenuta sulla materia fiscale sanzionando la legge finanziaria 2008 perché recante limiti all’ammontare degli introiti provenienti dalla riscossine dell’IRPEF riguardo alla Regione Friuli-Venezia Giulia. Lo statuto d’autonomia, così come i decreti di attuazione, infatti, nell’attribuire alla Regione la quota fissa dei sei decimi del gettito IRPEF riscosso nel territorio della Regione stessa, non consentono limitazioni del relativo ammontare, con conseguente incostituzionalità di provvedimenti statali siffatti (sent. n. 74).
Riguardo alle Province autonome di Trento e Bolzano la Corte ha escluso che le stesse siano titolari di competenze proprie in materia di ordine pubblico e sicurezza (172), essendo a esse attribuite dalla normativa statutaria e di attuazione soltanto speciali funzioni amministrative statali, conferite ai Presidenti delle Giunte provinciali nella loro veste di ufficiali del Governo centrale (sent. n. 196). Ciò, pertanto, legittima l’attribuzione con legge statale dell'esercizio da parte dei Sindaci appartenenti ai Comuni della Provincia autonoma di poteri in tema di tutela dell'incolumità pubblica e della sicurezza urbana, purché siano fatti salvi i poteri attribuiti dall'art. 20 dello statuto all'organo provinciale; il che, tuttavia, può giustificare una compressione temporanea della sfera di competenza amministrativa provinciale, fermo comunque il sempre possibile controllo giurisdizionale, caso per caso, da parte del giudice comune o della Corte in sede di conflitto fra gli enti (sent. n. 196).
Le attribuzioni della Provincia autonoma di Bolzano in materia di pubblici esercizi, invece, non sono lese da un provvedimento statale ex art. 100 T.U.L.P.S., che preveda la sospensione della licenza di pubblico esercizio avendo tale atto la finalità d’impedire il protrarsi di una situazione di pericolosità sociale; esso costituisce pertanto legittimo esercizio da parte dello Stato dei poteri allo stesso riservati in materia di ordine e sicurezza pubblica (sent. n. 129).
Sempre riguardo alle Province autonome di Trento e Bolzano la Corte ribadisce la sua giurisprudenza (173), che ha trovato conferma anche dopo la riforma del Titolo V, Parte II, Cost. (174), secondo cui la competenza primaria delle stesse nelle materie dell'edilizia residenziale sovvenzionata e dell'assistenza e beneficenza pubblica non preclude allo Stato l'adozione di misure volte a favorire l'accesso dei meno abbienti al mercato delle locazioni. L’intervento statale, tuttavia, deve rispettare i precisi limiti delle reali esigenze sottostanti all'interesse invocato e dettare solo le misure essenziali o necessarie per la sua attuazione. Dunque, le Province autonome non possono lamentare l'istituzione di fondi vincolati al perseguimento dello scopo di soddisfare il fabbisogno abitativo dei ceti meno abbienti e sono tenute a rispettare la destinazione impressa dallo Stato agli stanziamenti relativi, non potendo neppure censurare l'indicazione, da parte di norme statali, del necessario coinvolgimento dei Comuni. Tuttavia, è la stessa normativa statale (l. n. 386 del 1989), a precisare che spetta alla Provincia la determinazione delle modalità d’impiego di tali stanziamenti, salvo nel caso di fondi istituiti per garantire livelli minimi di prestazioni in modo uniforme. L'intervento statale diretto ad assicurare una maggiore disponibilità di alloggi a canone sostenibile non può, infatti, giustificare la vanificazione di una competenza primaria attribuita alle Province autonome dallo statuto speciale, avente rango di legge costituzionale (sent. n. 209).
Come più volte affermato dalla Corte, le norme che fissano mere modalità tecnico-contabili per il versamento di somme dovute dallo Stato alla Regione non contrastano con l’art. 36 dello statuto regionale siciliano né con l’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, relative alla disponibilità finanziaria della Regione, in quanto non incidono in alcun modo sull’ammontare delle somme stesse (sent. n. 334) (175). Pertanto, allo Stato, nell’ambito della riorganizzazione del sistema di tesoreria, spetta la possibilità di stabilire nuove modalità di accreditamento delle somme spettanti alla Regioni (sent. n. 334). L’autonomia finanziaria statutariamente riconosciuta, inoltre, non può certo dirsi lesa da una norma statale che faccia accedere al bilancio dello Stato le somme eccedentarie, indebitamente corrisposte, relative ai tributi erariali riscossi sul territorio regionale, poiché le disposizioni statutarie non hanno a oggetto tale categoria di somme (sent. n. 334). Contrasta invece con le disposizioni di attuazione dello Statuto, risultando pertanto illegittima, la previsione con legge statale di un assetto normativo diverso da quello statutario relativamente versamento del gettito di determinate categorie di entrate spettanti alla Regione (sent. n. 334).
Su un piano più istituzionale viene in rilievo quanto previsto dallo Statuto della Regione siciliana (ma anche dagli altri statuti speciali) sull'obbligo di invitare il Presidente regionale a partecipare alle sedute del Consiglio dei ministri, quando queste abbiano all'ordine del giorno questioni di particolare interesse per la Regione. Tale norma ha carattere eccezionale ed è, pertanto, di stretta interpretazione (176); essa, invece, non trova giustificazione quando l'intervento normativo, oggetto della deliberazione del Consiglio dei ministri, presenti un carattere unitario e globale e produca indistintamente effetti sull'intero territorio nazionale, così da interessare tutta la comunità nazionale (è il caso delle misure straordinarie di sostegno economico) (177). In tale ipotesi, infatti, la deliberazione statale è espressione di un interesse tipico ed esclusivo dello Stato, cui corrisponde una mera localizzazione territoriale degli effetti della deliberazione medesima, senza che sussista un interesse differenziato e di peculiare connotazione della singola Regione autonoma (sent. n. 240) (178).
Lede la potestà legislativa in materia di finanziamento dell’Università che è attribuita alla Regione Valle d’Aosta da un decreto di attuazione dello statuto, nonché il principio di leale collaborazione, la disposizione di cui al d.l. n. 112 del 2008, secondo cui devono essere acquisite al bilancio statale, unilateralmente e senza alcuna forma di coinvolgimento della Regione, le somme provenienti dall’applicazione di misure di contenimento che si riferiscono a voci di spesa che sono finanziate anche con risorse poste a carico del bilancio regionale (set. n. 341).
 
 
12.   Art. 132 Cost.
 
Nella giurisprudenza del 2009 ha trovato conferma quanto dalla Corte più volte affermato riguardo ai conflitti d’attribuzione tra poteri dello Stato sollevati relativamente alle procedure referendarie ex art. 132 Cost.(179). Così, al delegato comunale non può essere riconosciuta alcuna attribuzione costituzionale in relazione ai procedimenti referendari concernenti il distacco dei Comuni da una Regione e la loro aggregazione ad altra Regione, tanto meno quella di rappresentante del corpo elettorale comunale, in alcuna fase del suddetto procedimento. Dal che deriva la carenza dell’elemento soggettivo del conflitto (ordd. nn. 1 e 14).
Tale carenza, inoltre, va riconosciuta anche al comitato promotore del referendum, sia di un referendum abrogativo di una legge provinciale (180), sia del referendum sullo statuto regionale ai sensi dell'art. 123 Cost. (181). Questi, infatti, non sono equiparabili agli organi statali competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, non esercitando nemmeno funzioni concorrenti con quelle attribuite a poteri dello Stato-apparato, dovendo invece venire assimilati ai poteri di istituzioni autonome e non sovrane (ordd. nn. 1 e 14).
  
NOTE
 
(1) Per un approfondimento sui dati quantitativi, e non solo, sulla giurisprudenza costituzionale del 2009 vedi la Relazione sulla giurisprudenza costituzionale del 2009, a cura del Servizio Studi della Corte costituzionale, disponibile al sito www.cortecostituzionale.it.
(3) Tra le tante, vedi le ordinanze, n. 20 del 2005, nn. 218 e 344 del 2006.
(4) Così, tra le molte, la sentenza n. 233 del 1993 e l’ordinanza n. 126 del 1997.
(5) Si vedano le sentt. nn. 300 del 2007, 28 del 2004 e 477 del 2002.
(6) Tra le tante, si vedano le sentt. nn. 387 del 2008, n. 275 del 2007, nn. 3, 216, 398, 450 del 2006, nn. 106 e 300 del 2005, nn. 43, 134 e 166 del 2004.
(7) Cfr. sentenze n. 533 del 2002 e nn. 98 e 365 del 2007.
(8) Vedi la sentenza n. 229 del 2001.
(9) Cfr. le sentenze n. 405 del 2008 e n. 469 del 2005.
(10) Così la sentenza n. 303 del 2003.
(11) Fra la più recenti, sentenze n. 326, n. 216, n. 190, n. 142 e n. 133 del 2008.
(13) Si vedano le sentenze nn. 88 e 118 del 2006, n. 407 del 2002.
(14) Così la sentenza n. 412 del 2004; nello stesso senso la sentenza n. 289 del 2008, nonché le sentenze n. 249 e n. 449 del 2005.
(15) Ex multis, sentenze n. 19 del 1956, n. 242 del 1989 e n. 216 del 2008.
(16) Così la sentenza n. 233 del 2006.
(17) Vedi, tra le altre, le sentt. nn. 2, 120 e 428 del 2008, nn. 38 e 430 del 2007.
(18) Da ultimo, sentenze n. 326, n. 285 e n. 168 del 2008.
(19) Si vedano le sentenze n. 86 del 2008, n. 282 del 2007; n. 354 del 2006.
(20) Vedi le sentenze n. 375 del 2008, n. 386 del 2005 e n. 334 del 2000.
(21) Cfr. le sentenze nn. 168 e 289 del 2008, l’ord. n. 137 del 2004, e la sentenza n. 533 del 2002.
(22) Così le sentenza nn. 443 del 2007 e 417 del 2005.
(24) Cfr. sentenze nn. 439 e 289 del 2008.
(25) Sent. n. 345 del 2006.
(27) Cfr. ordd. nn. 313 del 2007 e 418 del 2006.
(28) Così la sentenza n. 469 del 2005.
(29) Così la sentenza n. 288 del 1987.
(30) Così le sentenze n. 129 del 1981 e n. 110 del 1970.
(31) Si vedano le sentenze n. 279 del 2008, n. 301 del 2007, n. 115 del 1972 e n. 66 del 1964. Con particolare attenzione All’Assemblea regionale siciliana vedi la sentenza n. 88 del 1973.
(33) Vedi la sentenza n. 81 del 1975.
(34) Così la sentenza n. 69 del 1985.
(35) Si pensi alle sentenze n. 392 del 1999, n. 289 del 1997 e n. 209 del 1994.
(36) Vedi le sentenze n. 187 del 1990 e n. 1130 del 1988.
(37) Così la sentenza n. 399 del 2006.
(38) Cfr. la sentenza n. 412 del 2001.
(39) In tal senso la sentenza n. 214 del 2006, sempre in materia di turismo, sembrava anticipare la presente, essendo la Corte chiamata a giudicare sul rispetto del principio di leale collaborazione da parte di un regolamento adottato d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni.
(40) Si vedano le sentenze n. 88 del 2007 e n. 214 del 2006.
(41) Cfr. le sentenze n. 63 del 2008, n. 242 del 2005.
(42) Così le sentenze nn. 134 del 2006 e 401 del 2007.
(43) Cfr., ex multis, le sentenze nn. 371 e 222 del 2008 e n. 401 del 2007.
(44) Cfr. la sentenza n. 240 del 2004.
(45) In particolare si vedano le sentt. nn. 167 del 2005, 236 e 69 del 2004.
(46) Cfr. le sentenze nn. 411, 449 e 450 del 2006, nonché nn. 30, 285 e 319 del 2005.
(47) Vedi anche le sentenze nn. 368, 326 e 320 del 2008, nonché nn. 430, 169 e 165 del 2007.
(48) Così la sentenza n. 401 del 2007.
(49) Cfr. sentenza n. 232 del 2006.
(50) Sent. n. 401 del 2007.
(51) Cfr. le sentt. nn. 50 e 384 del 2005, nn. 12 e 428 del 2004, n. 307 del 2003.
(52) [1] Si veda la sentenza n. 63 del 2008.
(53) Così le sentenze n. 63 del 2008, n. 430 del 2007 e n. 165 del 2007.
(54) Così la sent. n. 50 del 2008 e la sentenza n. 219 del 2005.
(55) Così le sentenze n. 350 del 2008 e n. 336 del 2005.  
(56) Per tutte si vedano le sentenze n. 336 del 2005 e n. 307 del 2003.
(58) Cfr. sent. n. 336 del 2005.
(59) Così le sentenze n. 50 del 2008, n. 201 e n. 24 del 2007; n. 234 e n. 50 del 2005.
(60) Cfr. la sentenza n. 213 del 2006.
(61) Cfr. sentt. nn. 407 del 2002, 135 e 214 del 2005, 32 del 2006.
(63) Cfr. la sentenza n. 401 del 2007.
(64) Così le sentenze n. 63 del 2008 e n. 430 del 2007.
(65) Vedi anche la sentenza n. 401 del 2007.
(66) Così la sentenza n. 401 del 2007.
(67) Cfr. le sentenze n. 431 del 2007 e n. 322 del 2008.
(68) Così la sentenza n. 411 del 2008.
(69) Cfr. la sentenza n. 272 del 2004.
(70) Si vedano, tra le tante, le sentt. nn. 241, 381 e 431 del 2004, n. 155 del 2006 e n. 193 del 2007.
(71) Cfr. le sentt. nn. 396 del 2003, 412 e 413 del 2006.
(73) Vedi le sentenze nn. 155 del 2006 e 431 del 2004.
(74) Tra le tante, si vedano le sentenze n. 145 del 2008, nn. 381 e 431 del 2004, n. 437 del 2001, n. 507 del 2000.
(75) Ex plurimis, sentenze n. 335 e n. 64 del 2008.
(76) Cfr. la sentenza n. 32 del 1991.
(77) Sentenza n. 311 del 2008.
(78) Così le sentenze nn. 237 e 222 del 2006, n. 383 del 2005.
(79) Cfr. la sentenza n. 218 del 1988.
(80) Si vedano, tra le tante, le sentenze n. 190 del 2001, n. 379 del 1994, n. 35 del 1992; n. 51 del 1990, n. 691 del 1988, n. 38 del 1977, n. 108 del 1975 e n. 7 del 1956.
(81) Cfr. la sentenza n. 352 del 2001.
(82) Ad esempio la sentenza n. 6 del 1958 e le sentenze n. 82 del 1998 e n. 60 del 1968.
(83) Cfr. la sentenza n. 29 del 2006.
(84) Vedi sentenza n. 411 del 2006.
(85) Ex plurimis, si vedano le sentenze n. 160 del 2009, n. 411 del 2008, n. 95 del 2007, n. 234 e n. 50 del 2005, n. 282 del 2004.
(86) Sentenza n. 401 del 2007.
(87) Vedi sentenze nn. 438 del 2002, 185 del 2004, 183 del 2006.
(88) Cfr. la sentenza n. 387 del 2008.
(89) Così la sentenza n. 134 del 2006.
(90) Così le sentenze n. 168 e n. 50 del 2008 e n. 387 del 2007.
(91) Si vedano le sentenze n. 328 del 2006, n. 285 e n. 120 del 2005 e n. 423 del 2004.
(92) Così la sentenza n. 88 del 2003.
(93) Vedi in particolare la sent. n. 13 del 2004.
(94) Cfr. le sentenze nn. 13 del 2004 e 279 del 2005.
(95) Così le sentenze nn. 244 e 456 del 2005.
(96) Cosi la sentenza n. 376 del 2003.
(97) Cfr. sentenze nn. 35 e 417 del 2005 e 376 del 2003.
(98) Cfr. la sentenza n. 105 del 2008.
(99) Si vedano, per il primo aspetto le sentenze nn. 367 e 378 del 2007, per il secondo la sentenza n. 104 del 2008.
(100) Si veda la sentenza n. 378 del 2007.
(101) Ancora la sentenza n. 378 del 2007.
(102) Vedi le sentenze nn. 180 e 437 del 2008.
(104) Così la sent. n. 62 del 2005.
(106) Cfr. sentenze nn. 149 del 2008 e 378 del 2007.
(107) Cfr. sentenza n. 214 del 2008.
(108) Sentt. nn. 313 del 2006, 227 del 2003 e 323 del 1998.
(109) Così Cecchetti; contra Traina, che la riconduce invece alla tutela dei beni culturali
(110) Cfr. sentt. nn. 182 e 183 del 2006, n. 367 del 2007 e n. 180 del 2008, nonché, già in vigenza del vecchio Titolo V nn. 151 del 1986 e n. 641 del 1987.
(111) Cfr. sentenze nn. 387 del 2008 e 422 del 2002.
(113) Così la sentenza n. 181 del 2006.
(114) Cfr. la sentenza n. 177 del 1988.
(115) Cfr. la sentenza n. 430 del 2007.
(116) Così la sentenza n. 371 del 2008.
(118) Così la sentenza n. 13 del 2004, nonché la n. 34 del 2005.
(119) Vedi le sentenze nn. 320 del 204 e 370 del 2003.
(120) Così, da ultimo, la sentenza n. 222 del 2008.
(121) Cfr. la sentenza n. 153 del 2006, nonché, ex plurimis, le sentenze n. 57 del 2007 e n. 424 del 2006.
(122) Si vedano le sentenze n. 179 del 2008 e n. 300 del 2007.
(124) Così la sentenza n. 181 del 2006.
(125) Cfr. sentenza n. 422 del 2006.
(126) Vedi le sentenza nn. 238 del 1988, 186 del 1990, 162 e 227 del 1997. Specificamente per il personale sanitario si vedano le sentenze nn. 440 e 490 del 1991, 90 e 374 del 1992.
(127) Vedi già la sentenza n. 68 del 1961.
(128) Così la sentenza n. 87 del 2006.
(129) Sentenza n. 76 del 2008.
(130) Cfr. la sentenza n. 4 del 2006.
(131) Così la sentenza n. 27 del 2003.
(133) Vedi le sentenze n. 196 del 2004 e n. 369 del 1988.
(134) Così la sentenza n. 70 del 2005 e la sentenza n. 196 del 2004.
(135) Ancora la sentenza n. 196 del 2004.
(136) Sent. n. 94 del 2003.
(137) Si veda la sentenza n. 51 del 2008.
(139) Cfr. la sentenza n. 248 del 2006.
(140) Sentenze nn. 6 del 2004 e 383 del 2005.
(141) Cfr. le sentenze n. 342 del 2008 e, soprattutto, n. 364 del 2006.
(142) Cfr. la sentenza n. 383 del 2005.
(143) Sentenza n. 212 del 2006.
(144) Cfr. la sentenza n. 216 del 2008
(145) Vedi le sentenze n. 168, n. 142, n. 63, n. 50 e n. 45 del 2008.
(146) Cfr. La sentenza n. 408 del 1998.
(147) Vedi le sentenze nn. 289 e 120 del 2008, nn. 412 e 169 del 2007, n. 88 del 2006.
(148) Si vedano sentenze nn. 120 e 159 del 2008, n. 169 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004.
(150) Cfr. le sentenze n. 417 e n. 64 del 2005.
(151) Così la sentenza n. 36 del 2004.
(152) Così la sentenza n. 417 del 2005.
(153) Così la sentenza n. 159 del 2008 e le sentenze n. 188 del 2007, n. 2 del 2004 e n. 274 del 2003.
(154) Tra tutte, vedi la sentenza n. 37 del 2004.
(155) Vedi le sentenze nn. 81 del 2007 e 213 del 2006.
(156) Vedi le sentt. n. 425 del 2006, nn. 50, 51 e 279 del 2005.
(157) Cfr. la sentenza n. 287 del 2004.
(158) Così le sentenze n. 244 e n. 456 del 20, n. 397 del 2006.
(159) Cfr., sent. n. 229 del 2001.
(161) Così le sentenze n. 135 del 1997 e n. 31 del 2001.
(162) Così le sentenze n. 64 del 2007, n. 247 del 2006, n. 62 del 2005 e n. 505 del 2002).
(163) Tra le tante, vedi la sent. n. 103 del 2003.
(164) Così le sentenze n. 4 del 2000 e n. 210 del 2001.
(165) Cfr. la sentenza n. 227 del 2003 che richiama la sentenza n. 323 del 1998.
(166) Così le sentenze n. 341 del 2001, n. 212 del 1984 e n. 20 del 1956.
(167) Così, tra le tante, le sentenze n. 15 del 1996, n. 261 del 1995 e n. 768 del 1988.
(168) Si vedano le sentenze n. 62 del 1992, n. 768 del 1988, n. 289 del 1987 e n. 312 del 1983.
(169) Così la sentenza n. 15 del 1996.
(170) Sentenza n. 28 del 1982.
(171) Così ancora le sentenze n. 261 del 1995, n. 289 del 1987 e n. 312 del 1983.
(172) Così la sentenza n. 211 del 1988.
(173) Vedi le sentenze n. 49 del 1987, n. 217 del 1988 e n. 520 del 2000.
(174) Sentenze nn. 94 del 2007 e 166 del 2008.
(176) Cfr., tra le tante, la sentenza n. 1 del 1968.
(177) Cfr. sentenza n. 166 del 1976.
(178) Così la sentenza n. 1 del 1968, sopra citata, nonché le sentenze n. 92 del 1999, n. 545 del 1989 e n. 34 del 1976.
(179) Si vedano le ordinanze n. 189 e n. 99 del 2008; n. 296 e 69 del 2006.
(180) Ordinanza n. 82 del 1978.
(181) Ordinanza n. 479 del 2005.

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