Si riportano, di seguito, l'Indice e la Presentazione del volume edito da Giuffrè nel 2002.

INDICE

Presentazione

Parte Prima
PROFILI FINANZIARI DEGLI INTERVENTI PER LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE.
LA SPESA DELLE REGIONI PER I SETTORI AGRICOLTURA E INDUSTRIA, ARTIGIANATO, COMMERCIO

1. Premessa
2. Ammontare e dinamica delle spese per incentivi
3. Struttura economica degli incentivi alle imprese
4. Rilevanza degli incentivi diretti alle imprese nell’ambito delle spese regionali a sostegno dell’agricoltura e dell’industria, artigianato e commercio
5. Rilevanza degli interventi nei settori in esame rispetto al totale della spesa regionale
6. Rilevanza della spesa per i due settori in esame rispetto al loro valore aggiunto regionale
7. Spese dirette dello Stato e spesa pubblica per i settori dell’agricoltura e dell’industria, artigianato e commercio
8. Conclusioni
9. Tabelle di base

Parte Seconda
LA LEGISLAZIONE REGIONALE IN MATERIA DI ATTIVITÀ PRODUTTIVE

ABRUZZO
BASILICATA
BOLZANO
CALABRIA
CAMPANIA
EMILIA-ROMAGNA
FRIULI-VENEZIA GIULIA
LAZIO
LIGURIA
LOMBARDIA
MARCHE
MOLISE
PIEMONTE
PUGLIA
SARDEGNA
SICILIA
TOSCANA
TRENTINO-ALTO ADIGE
TRENTO
UMBRIA
VALLE D’AOSTA
VENETO

Indice analitico
Indice degli atti normativi


PRESENTAZIONE

1. Tra le varie riflessioni ed elaborazioni concettuali che sono state fatte negli ultimi anni in ordine alle trasformazioni economiche e istituzionali in corso, un particolare rilievo hanno assunto quelle che hanno portato l’attenzione sul ruolo e sulla qualità del contesto sociale e istituzionale regionale e locale come condizione essenziale per il successo aziendale e, quindi, in genere per lo sviluppo.
Con questa chiave interpretativa vengono spiegati sia la forte competitività di determinati sistemi locali, sia – all’inverso – il mancato avvio di uno sviluppo autonomo nelle aree svantaggiate del Mezzogiorno, malgrado il massiccio e pluriennale intervento straordinario centrale.
Si è, dunque, ipotizzato che la riscoperta della dimensione locale e regionale – vale a dire dell’insieme delle risorse civili, organizzative, culturali e certamente non da ultimo istituzionali – come condizione essenziale per lo sviluppo sia una componente determinante del fenomeno, italiano ed europeo, del “nuovo regionalismo”.
L’attenzione al ruolo delle regioni in ordine allo sviluppo non era assente nel primo configurarsi del regionalismo in Italia: nell’idea della programmazione nazionale e, poi, nella pratica delle programmazioni (per lo più finanziarie) di settore o per le aree svantaggiate, la posizione e le funzioni delle regioni erano, tuttavia, interamente definite all’interno di un sistema centralizzato di rapporti di tipo verticale, dominato dalle amministrazioni dello stato.
Un tratto caratteristico fondamentale del “nuovo regionalismo” appare, invece, non solo il superamento degli schemi delle programmazioni di settore e l’abbandono o riduzione degli interventi nazionali di aiuto alle regioni svantaggiate, ma più in generale il venire meno del modello tradizionale dei rapporti centro-periferia, basato sulla centralità dello Stato e del suo ruolo di ridistribuzione delle risorse. Gli elementi che concorrono a questo risultato sono vari e profondi, a partire dalla mutata percezione ed esperienza, non solo sotto il profilo economico, del territorio e dello spazio nel quadro dei processi definiti di internazionalizzazione e globalizzazione. Vengono in evidenza, in particolare, la crisi dello stato nazionale e, contestualmente, l’apertura di un nuovo “spazio europeo” di azione per le regioni, non solo quelle italiane, nel quale esse divengono protagoniste di nuovi tipi di relazioni sia verticali – dirette con le istituzioni comunitarie – che orizzontali, con stati e regioni dei vari paesi membri dell’Unione.
Determinante per il superamento dello schema centro-periferia appare il profilarsi di una competizione tra territori, tra sistemi regionali-locali, nell’offrire condizioni di contesto più favorevoli per il successo delle imprese e nel riuscire a valorizzare le proprie risorse endogene (anche se non vanno sottovalutati, anche a tale livello, i problemi posti dalla possibile non coincidenza tra le aree economiche e le regioni o altre entità politiche o amministrative).
In generale, le regioni sembrano così acquisire una posizione e un ruolo che, diversamente dal primo regionalismo, non sono più definiti esclusivamente rispetto allo stato nazionale e, al posto delle relazioni di tipo gerarchico con quest’ultimo, assumono un peso crescente rapporti di interdipendenza tra diversi soggetti, modelli originali di collaborazione o di competizione, con anche una ampia diffusione di moduli negoziali. Di qui l’ulteriore tendenza del “nuovo regionalismo” a svilupparsi – almeno in parte – in maniera “asimmetrica”, il che per altro pone problemi del tutto nuovi in ordine alla possibilità di definire forme di ricomposizione unitaria, modelli di coesione e di solidarietà. Inoltre, proprio la crescita della posizione e del ruolo delle regioni e degli enti locali nel determinare le condizioni dello sviluppo e la tendenza a costruire nella dimensione territoriale regionale e locale approcci intersettoriali integrati (come accade per lo “sviluppo rurale”) porta a ritenere inevitabile il confronto, a tale dimensione, con gli interessi ambientali, anche in questo campo potendosi sviluppare relazioni – diverse da quelle tradizionali centro-periferia – con le varie sedi che di quegli interessi si occupano a livello internazionale, europeo e nazionale.
In Italia le recenti riforme amministrative e i nuovi conferimenti di funzioni amministrative alle regioni e agli enti locali (legge 1997, n. 59 e, in particolare, d.lgs. 1997, n. 143 e il Titolo II, intitolato “Sviluppo economico e attività produttive”, del d.lgs 1998, n. 112) hanno di massima dato ampio riconoscimento alla tendenza ad identificare nelle regioni, insieme agli enti locali, i soggetti protagonisti dello sviluppo locale; nella stessa direzione si è mossa l’impostazione e l’attuazione della nuova politica regionale dell’Unione europea (Agenda 2000).
La prospettiva del “nuovo regionalismo” ha così avuto, oltre che una conferma e potenziamento nelle aree più ricche del Paese, anche un riconoscimento in quelle svantaggiate, per le quali i disegni di decentramento politico e amministrativo e lo sviluppo della partnership sono visti come occasioni e nuove opportunità anche per lo sviluppo economico locale, contando sulla possibilità di creare in tal modo condizioni favorevoli alla crescita della responsabilizzazione delle istituzioni e delle classi politiche e amministrative locali e alla elaborazione e messa in opera di politiche adeguate agli specifici problemi e potenzialità locali e regionali.
Una conferma che questa sia la direzione delle trasformazioni in corso viene ora dalla legge costituzionale 2001, n. 3 che – riformando il Titolo V della Costituzione – lascia alla potestà legislativa residuale regionale le funzioni riferibili in genere alle attività produttive e allo sviluppo. Con l’eccezione di alcune materie espressamente riservate allo stato (tra le quali la tutela della concorrenza e la tutela dell’ambiente) e della possibilità dello stato di determinare i principi per altre materie di legislazione concorrente (tra le quali l’alimentazione, l’energia, il governo del territorio, gli enti di credito a carattere regionale), resta così alle regioni una competenza legislativa residuale, di natura generale, ampiamente indeterminata che – al di là di una tradizionale individuazione di materie regionali nel campo dell’agricoltura, dell’industria e artigianato, del turismo e del commercio – porta in realtà a superare l’impostazione settoriale, appunto per materie, delineando e configurando un’unica materia o meglio un insieme di funzioni, presenti e future, volte allo sviluppo economico-produttivo (e a loro volta da mettere in connessione con altre funzioni di competenza regionale in ordine al territorio, alle infrastrutture, all’ambiente, ai servizi).
Si tratta di innovazioni profonde introdotte con testi di riforma definiti a livello nazionale. A questo risultato, che ha visto impegnati soggetti politici e culturali operanti appunto a livello nazionale, ha comunque fortemente contribuito la spinta riformatrice portata avanti, almeno a partire dai primi anni novanta, dalle stesse regioni e dalle autonomie locali (a volte collaborando tra loro e forse, più spesso, con tensioni e conflitti), anche con specifiche e puntuali proposte. Sempre le regioni nello stesso periodo – per la prima volta – hanno fatto ricorso allo strumento referendario proprio per ridurre il ruolo e le dimensioni delle amministrazione centrali (in particolare dell’amministrazione dell’agricoltura, della quale si intendeva ottenere la soppressione).
Si delinea così un ulteriore tratto del “nuovo regionalismo”: diversamente dal regionalismo “dall’alto” degli anni sessanta e settanta, inspirato e guidato dai partiti politici nazionali, quello attuale appare, invece, fortemente determinato negli scopi e nelle direzioni dalle stesse regioni, ormai in genere consolidate, con la formazione di una specifica classe politica, con il manifestarsi di dinamiche politiche interne alle regioni stesse e con un maggiore radicamento degli ordinamenti regionali nelle rispettive collettività, anche con la costruzione di legami e rapporti con gruppi, organizzazioni, interessi economici e sociali.
E’ evidente, per altro, come tutti i processi ricordati confluiscano nel richiedere alle stesse regioni e alle autonomie locali di aggiornare e adeguare la propria struttura e attività, secondo modelli legislativi, organizzativi e procedimentali semplificati e più funzionali. In genere non si richiede, invece, un ampliamento della struttura e dell’azione pubblica, che anzi si prevede vada ridimensionata nei confini e ridefinita nei ruoli in applicazione del principio della sussidiarietà orizzontale.

2. L’intento con il quale nasce il rapporto “Regioni e attività produttive” è quello di fornire elementi conoscitivi per verificare se e in che modo la visione e le tendenze sopra accennate – che identificano nei sistemi istituzionali territoriali regionali-locali un elemento essenziale dello sviluppo – si stiano traducendo, a livello regionale, in forme giuridiche, istituti, strumenti, assetti funzionali e amministrativi, indirizzi di spesa.
L’attività di ricognizione, con la quale prende avvio questo primo numero del rapporto, ha ad oggetto:
- la legislazione regionale nei settori dell’agricoltura, dell’industria e dell’artigianato con riferimento al periodo 1 luglio 1998 – 30 giugno 2001. Vengono considerate le leggi e i regolamenti, citati per lo più in nota alle leggi che ne prevedono l’emanazione. Esclusa la possibilità – considerate le risorse disponibili – di una ricognizione completa della legislazione vigente, si è scelto di individuare – in funzione degli scopi del rapporto – un momento di partenza della ricognizione, stabilito in maniera convenzionale ma comunque successivo al d.lgs n. 112/1998 e tale da consentire di cogliere percorsi e sviluppi legislativi significativi in un periodo di forte trasformazione legislativa e istituzionale. Per l’identificazione dei settori dell’industria e dell’artigianato si è fatto riferimento fondamentalmente alle definizioni contenute negli articoli del d.lgs n. 112/1998. Quanto all’agricoltura, al fine di tenere conto dei mutamenti della politica comunitaria e della legislazione nazionale più recente da un approccio di tipo aziendalista ad uno attento al complessivo “sviluppo rurale”, si sono considerati all’interno di questo settore, oltre la pesca, l’insieme di attività connesse e collegate all’attività agricola (nei campi della caccia, delle foreste, dell’agriturismo, dei servizi ambientali) riconducibili in genere, appunto, al concetto di “sviluppo rurale”, facendo comunque riferimento al criterio che debba trattarsi di attività produttive o comunque rilevanti per il mantenimento di un’attività agricola produttiva;
- l’analisi della spesa regionale nei settori dell’agricoltura e dell’industria, artigianato, commercio per gli esercizi 1998-2000.
La ricognizione effettuata indubbiamente offre una visione incompleta dell’attività regionale in ordine alle attività produttive e allo sviluppo locale. E’ tuttavia vero che consente di portare l’attenzione – in maniera non episodica, ma attraverso possibili connessioni e letture multiple e incrociate per temi e regioni – su un materiale nel suo complesso poco conosciuto.
A partire dalla prossima edizione del rapporto, l’attività di ricognizione potrà – sulla base delle risorse disponibili – essere ampliata ad ulteriori settori rilevanti. Verranno, inoltre, sviluppate delle riflessioni sulle tendenze che emergono dalla legislazione e dai flussi di spesa ed effettuati approfondimenti per temi o anche per regione.
Con il rapporto si vuole, perciò, fornire uno strumento utile agli studiosi dell’esperienza regionale, ma anche ai politici e agli amministratori e in genere a chi sia interessato a conoscere e comprendere le tendenze delle istituzioni e delle politiche regionali. A questo scopo, la ricognizione è fatta in modo tale da orientare l’attenzione su temi e oggetti ritenuti rilevanti, e come tali selezionati e messi in evidenza; tenendo conto del fatto che, in ogni caso, per chi fosse interessato a una visione del testo completo delle leggi non manca certo oggi la possibilità di una rapida consultazione attraverso strumenti informatici appositi.
Anche se il rapporto può essere utile a chi opera nel mondo produttivo e delle imprese per comprendere gli orientamenti in corso, va precisato che con esso non si è inteso, invece, fornire una sorta di prontuario volto, sulla base di una completa sistemazione della legislazione vigente e dei dati finanziari, a fornire un supporto a chi intenda rivolgersi all’amministrazione regionale a scopi pratici, ad esempio per accedere a benefici e servizi previsti dalle normative.

3. La ricognizione sulla legislazione è articolata in capitoli dedicati alle singole regioni, che – al fine di consentire tipi diversi di letture del materiale presentato – al loro interno sono divisi in due parti:
- la prima parte di ogni capitolo contiene schede di sintesi delle singole leggi regionali, distinte – per paragrafi – secondo una tipologia che fa riferimento ad una classificazione – in base alle caratteristiche dello strumento legislativo – tra leggi di riordino intersettoriali e settoriali, leggi di organizzazione e procedimentali, leggi di incentivazione, leggi finanziarie e di semplificazione. E’ così resa possibile una ricostruzione delle tendenze della legislazione regionale – oltre che secondo i contenuti specifici delle attività produttive e dello sviluppo economico – con riferimento ai processi di semplificazione e riordino legislativo, ai processi di conferimento di funzioni e di riorganizzazione amministrativa. Non è stata prevista, invece, nella prima parte una distinzione delle leggi per settori, privilegiando qui l’approccio unitario al tema dello sviluppo locale e regionale (ma il titolo della legge consente, comunque, di individuare con facilità il settore o i settori di riferimento della normativa). L’attribuzione di una legge ad una categoria o ad un'altra, nei casi di confine, è stata fatta sulla base della caratteristica ritenuta prevalente, evitando così di fare una presentazione frammentaria di testi in paragrafi diversi a danno della loro leggibilità. Data l’importanza che, nel periodo considerato, assumono i riordini in attuazione della legge 1997 n. 59 e dei relativi decreti legislativi, si è ritenuto opportuno – ove non emanate nel periodo preso in esame – di inserire in nota schede di sintesi anche relativamente alle leggi regionali in attuazione del d.lgs 1997 n. 143 (conferimenti in agricoltura);
- la seconda parte di ogni capitolo consente di leggere la legislazione regionale secondo alcuni contenuti che effettivamente emergono dalle leggi regionali raccolte e schedate e appaiono particolarmente significativi per la loro attinenza allo sviluppo e alle attività produttive. Anche in questa parte si può constatare come la tipologia utilizzata non prevede, almeno con rispetto ad alcune funzioni e strumenti, una distinzione in base ai settori. Questa è stata tuttavia considerata nei casi in cui, per certe funzioni, espressamente risulta dalla legislazione. Nella seconda parte per ogni oggetto (si tratta di funzioni o strumenti) viene citata la legge ed eventualmente gli articoli rilevanti, rinviando per il testo di sintesi agli specifici paragrafi della prima parte.

Il rapporto, per la ricognizione della legislazione è quindi completato:
- da un indice generale degli atti normativi raccolti, per regioni;
- da un dettagliato indice analitico per temi, che consente di individuare elementi conoscitivi anche in ordine ad oggetti non messi in evidenza nella seconda parte dei capitoli dedicati alle singole regioni.

La presentazione – secondo le caratteristiche e i contenuti indicati – del materiale legislativo regionale potrà consentire, innanzitutto in seno alle future edizioni del rapporto, approfondimenti e valutazioni in ordine ad una normativa che nelle grandi linee appare – in particolare per il carattere organico di molti interventi (nei quali profili regolativi e promozionali assumono un ruolo tra loro complementare) e per il tipo di strumenti messi in campo – notevolmente diversa dalla produzione normativa regionale degli anni settanta e ottanta, nella quale prevaleva il carattere di normativa di attuazione delle leggi nazionali di settore e di incentivazione finanziaria.
Per più aspetti emerge, inoltre, una forte tendenza al superamento delle tradizionali ripartizioni settoriali a favore di profili ed assetti normativi orizzontali, il che ad esempio si verifica in presenza della disciplina – comune a tutti i settori – di importanti funzioni e strumenti (come lo sportello unico, i procedimenti di incentivazione, le forme convenzionali). Certamente potrà notarsi che, in più casi e sia pure con anche notevoli differenze tra le regioni, le innovazioni istituzionali sono spesso enunciate più che disciplinate in maniera articolata e tale da renderle operative. Si tratta, tuttavia, di un fenomeno che può notarsi anche nella più recente legislazione nazionale (ad esempio nel decreto legislativo n. 228/2001 di orientamento e modernizzazione nel settore agricolo) e che risente del carattere ancora incerto, poco approfondito e sperimentale di molte innovazioni.

4. L’analisi della spesa regionale nei settori dell’agricoltura e dell’industria, artigianato, commercio consente di mettere in luce vari elementi, tra i quali: l’andamento della spesa negli anni considerati; l’ammontare dei residui passivi; l’incidenza della spesa nei due settori considerati sul totale della spesa regionale e sul valore aggiunto delle regioni; la rilevanza della spesa delle regioni rispetto al totale della spesa statale e regionale nei settori considerati.
Viene offerto, dunque, un insieme ragionato di dati dai quali, pur essendo comunque necessari ulteriori approfondimenti e riflessioni, emergono già una serie di elementi di notevole interesse. Ad esempio: la notevole differenziazione della rilevanza degli stanziamenti destinati ai due settori (all'interno dei bilanci regionali), in particolare tra le regioni a statuto speciale e quelle a statuto ordinario e, nell'ambito di queste ultime, tra quelle del nord e quelle del sud; la tendenza alla diminuzione della spesa per incentivi alle imprese, dovuta al ridimensionamento delle risorse disponibili, ma di massima accompagnata – come emerge dalla ricognizione legislativa – da un mutamento di approccio che sembra favorire nuove politiche di contesto e di regolazione in genere “morbida”; il peso rilevante della spesa delle regioni sul totale della spesa statale e regionale nei settori considerati, peso destinato comunque ad aumentare quando saranno percepibili gli effetti finanziari connessi alla definitiva attuazione del conferimento delle funzioni amministrative e all’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione.
 

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