INDICE

Presentazione

 
LETTURE E INTERPRETAZIONI DELLA NORMATIVA, DELLA SPESA E DELLE POLITICHE REGIONALI PER LO SVILUPPO ECONOMICO


Gli orientamenti e le novità della normativa regionale sulle attività produttive
Aida Giulia Arabia e Carlo Desideri

1. Premessa. – 2. Un macrosettore rilevante. – 3. L’impegno delle regioni nelle materie. – 4. La qualità della produzione normativa: leggi di semplificazione e leggi di riordino. – 5. L’uso “distorto” delle leggi finanziarie. – 6. Il ricorso ai regolamenti. – 7. Alcuni contenuti di innovazione nella legislazione regionale. – 8. In conclusione. – 8.1 L’impegno per il riordino della normativa: luci e ombre. – 8.2 Il regionalismo dimezzato.
 
Alcuni effetti sulla spesa pubblica del decentramento di materie “non protette”: il caso delle attività produttive
Enrico Buglione

1. Perché il decentramento di alcune materie può favorire un ridimensionamento della spesa pubblica. – 2. Dinamica della spesa pubblica nei principali settori delle attività produttive. – 3. Spesa pubblica e decentramento, per i settori delle attività produttive, a livello nazionale. – 4. Spesa pubblica e decentramento, per i settori delle attività produttive, a livello regionale. – 4.1 Una fotografia del livello di decentramento nel 2002. – 4.2 Dinamica del decentramento e della spesa pubblica, per settori e per regioni. – 5. Decentramento e intervento pubblico nel mezzogiorno, nei settori delle attività produttive. – 6. Principali risultati e possibili interpretazioni.



I sistemi produttivi locali: il pendolo tra stato e regioni
Sofia Mannozzi

1. Dal “ritrovamento” dei distretti all’affermazione del ruolo delle regioni nelle politiche di sviluppo. – 2. Il ritorno dello Stato nelle politiche per i distretti?. – Riferimenti bibliografici.
 
 
TENDENZE E SCELTE REGIONALI PER LO SVILUPPO LOCALE


Analisi delle politiche e degli strumenti per lo sviluppo locale in Calabria
Carlo De Rose

1. La conclusione dell’intervento straordinario e l’emergere di nuovi orientamenti in materia di sviluppo rurale. – 2. L’esperienza dei patti territoriali. – 3. Programmi di iniziativa comunitaria: verso un modello di sviluppo locale dal basso. – 4. Sviluppo rurale versus sviluppo locale. – 5. L’esperienza dei Programmi integrati territoriali (PIT). – 5.1 Accentramento versus decentramento. – 5.2 Iter costitutivo e di progettazione dei PIT. – 5.3 Scelte strategiche e modalità di intervento. – 5.4 Criticità procedurali ed esperienza progettuale. – Riferimenti bibliografici.
 

Governo condiviso del territorio e programmazione delle risorse strategiche per lo sviluppo sostenibile. L’esperienza della Campania
Francesco Escalona e Simonetta Volpe

1. Premessa. – 2. L’inizio del processo: dai Patti ai PIT. L’esempio dei Progetti Integrati Territoriali (PIT) dell’Asse 2 del POR 2000-2006. – 3 Verso i Sistemi Territoriali di Sviluppo (STS). – 4. Il Piano Territoriale Regionale. – 5. Aspetti organizzativi nei Sistemi Territoriali Sviluppo. – 6. Il PTS e la rete ecologica regionale (RER). – 7. Lavori in corso.


L’impegno della regione emilia-romagna per le attività produttive
Alberto Maggio
 
1. Indicatori e struttura del sistema produttivo emiliano-romagnolo. – 1.1 I sistemi produttivi regionali. – 2. La programmazione dello sviluppo economico ed i cambiamenti nel contesto amministrativo regionale. - 2.1 Le scelte relative al sistema regionale dopo le Leggi Bassanini. – 2.2 Uno sguardo ai Dpef Regionali. – 2.3 Le scelte per la governance regionale. – 3. Il primo Programma triennale per le attività produttive. – 3.1 L’impostazione del Programma e gli interventi. – 4. Il secondo Programma triennale perle attività produttive. – 4.1 Il Programma regionale per la ricerca industriale, l’innovazione ed il trasferimento tecnologico come buona pratica. – 5. Gli interventi per le aree Obiettivo 2 previsti dal DocUP 2000-2006. – Conclusioni.

 
 
Le politiche e gli strumenti per lo sviluppo locale nella regione Lombardia
Lorenzo Penatti

1. Lombardia: tra complessità e dinamicità. – 1.1 Il territorio. – 1.2 Il quadro demografico. – 1.3 Il sistema economico. – 1.4 Eccellenze, opportunità e criticità. – 2. Una lettura trasversale dei documenti di programmazione regionale. – 2.1 La filosofia alla base della politica regionale. – 2.2 I documenti di programmazione. – 2.2.1 Piano Regionale di Sviluppo . – 2.2.2 Documento di Programmazione Economico Finanziaria Regionale. – 2.2.4 Il Docup Obiettivo 2. – 3. La politica lombarda per le imprese. – 3.1 Leggi regionali di sostegno economico alle imprese. – 3.2 I pacchetti Integrati di Agevolazione. – 3.3 Internazionalizzazione delle imprese. – 3.4 Distretti e metadistretti industriali. – 3.5 Project financing.


La dimensione locale dell’intervento FESR 2000-2006 nella regione toscana
Massimo Bressan e Armando Dei
 
1. Premessa. – 2. La programmazione comunitaria 2000-2006 in Toscana. – 2.1 Docuo Ob.2 2000-2006. – 2.2 L’analisi dell’intervento FESR nel quadro dell’obiettivo 2. - 2.3 Le nuove classi. – 2.4 La distribuzione della spesa pubblica nelle classi. – 2.5 La spesa pubblica nei SLL. – 2.6 La progettazione locale integrata nel DocUP - L’esperienza dei PISL. – 2.7 La progettazione nei territori. – 3. Riflessioni sul modello di progettazione locale integrata implementato: elementi rilevanti e criticità. – 4. Il Programma regionale delle Azioni Innovative 2002-2003. – 5. Pic Urban II del comune di Carrara. – 6. Conclusioni.


L’Iniziativa Comunitaria Interreg III 2000-2006
Letizia Rita Sciumbata

1. Aspetti storici: Interreg I (1989-1993), Interreg II (1994-1999) e Interreg III 2000-2006 - 2. L’Iniziativa Comunitaria Interreg III 2000-2006 nell’ambito del processo di riforma dei fondi a finalità strutturale 2007-2013 - 3. L’attività svolta dalle regioni nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria Interreg III 2000-2006 - 4. Leggi regionali selezionate in materia di cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale (2004-2005) - 5. Alcune valutazioni in relazione alla fase di implementazione dei programmi Interreg III 2000-2006 - 6. Lo stato di attuazione dei programmi Interreg III 2000-2006.
 
I distretti tecnologici e le regioni
Chiara Cavallaro
 
1. Premessa. – 1.1 Le regioni e l’Europa della conoscenza. – 1.2 distretti tecnologici. – 2. I distretti tecnologici nella programmazione nazionale per la ricerca. – 2.1 Le linee guida per il Programma nazionale della Ricerca 2002-2005. – 2.2 L’attuazione: le delibere del CIPE. – 2.3 Gli atti di programmazione negoziata successivi. – 2.4 Le linee guida per il Programma Nazionale della Ricerca 2005-2007. – 2.5 Le risorse finanziarie. – 2.6 Avanzamento dell’intervento. – 3. Tipologie distrettuali nell’esperienza italiana. – 3.1 Il quadro emergente. – 3.2 Le tipologie alla prova. – 4. Alcune osservazioni finali. -
 
 
GLI ATTI NORMATIVI REGIONALI IN MATERIA DI ATTIVITA’ PRODUTTIVE
a cura di Valeria Castelli
 
Abruzzo
Basilicata
Bolzano
Calabria
Campania
Emilia-romagna
Friuli-Venezia Giulia
Lazio
Liguria
Lombardia
Marche
Molise
Piemonte
Puglia
Sardegna
Sicilia
Toscana
Trento
Umbria
Valle d’aosta
Veneto

indice degli atti normativi
indice analitico



PRESENTAZIONE


Il IV Rapporto offre un bilancio dell’attività delle regioni nel macrosettore delle attività produttive e dello sviluppo economico. Naturalmente i fattori che possono essere presi in considerazione per una valutazione di questo tipo sono numerosi e non tutti trattati nel Rapporto, che ha ad oggetto fondamentalmente la normativa e la spesa. Il IV Rapporto fornisce comunque degli ulteriori elementi di conoscenza sulle attività di piano e di intervento - anche se limitatamente alle regioni Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana - nonché sui progetti nell’ambito del programma europeo Interreg e sui distretti industriali e tecnologici.
L’analisi della normativa, relativa al periodo 1998-2004, evidenzia non solo l’assenza di una temuta inflazione legislativa ma al contrario un notevole impegno delle regioni per il riordino e la semplificazione della legislazione per le attività produttive, anche se segnali discordanti – di scarsa leggibilità e chiarezza dei testi - sembrano invece venire dal frequente ricorso alle leggi finanziarie per modificare discipline sostanziali. Benché non sia ormai trascurabile il peso assunto dai regolamenti, permangono qui ancora delle difficoltà ed emergono delle differenze anche significative tra le regioni in ordine al ricorso a tale fonte.
Quanto ai contenuti della legislazione regionale, i dati evidenziano che l’impegno delle regioni per le attività produttive è sicuramente una parte rilevante della complessiva produzione legislativa regionale, sia pure con delle differenziazioni (non ampie ma non trascurabili) tra il Nord, il Centro e il Sud. Guardando all’interno del macrosettore si può constatare, però, che è assolutamente predominante l’impegno per quello che qui è chiamato il “complesso agricolo-rurale”, mentre estremamente più ridotto appare quello per l’industria-artigianato, e non rilevante - come si sarebbe potuto invece immaginare - quello per il turismo. Se tale situazione può da un lato spiegarsi con una maggiore facilità delle regioni ad operare in settori da tempo regionalizzati, dall’altro non è l’incapacità delle regioni ad intervenire in nuovi settori che sembra determinante per il fenomeno evidenziato, ma piuttosto il mancato conferimento di funzioni dallo Stato alle regioni e al contrario un tendenziale riaccentramento, che negli ultimi anni finisce per toccare anche le materie dell’agricoltura e del turismo.
L’analisi della spesa pubblica per il periodo 1996-2002, articolata territorialmente e per livelli di governo, sembra confermare alcune indicazioni che emergono dalla lettura del dato normativo. In particolare ciò vale in materia di industria, per la quale nel periodo considerato, pur aumentando gli stanziamenti complessivi, diminuisce, a vantaggio dello Stato, la quota gestita dagli enti territoriali, passando dal 37% nel 1996 al 28% nel 2002. Nell’agricoltura da un lato e nel turismo e commercio dall’altro, la quota gestita dagli enti territoriali invece sale, fino a raggiungere rispettivamente il 66% e il 93%; tuttavia, viene in evidenza che il decentramento delle responsabilità di spesa è accompagnato in questi casi da una sensibile riduzione della spesa pubblica e, soprattutto per il turismo e commercio, da una riduzione della quota destinata al Sud. Emerge, quindi, il ragionevole dubbio che il decentramento, quando si tratta di settori non protetti da livelli essenziali di prestazioni, come nella tutela della salute, possa tradursi, date le difficoltà finanziarie delle regioni, in una penalizzazione della capacità della pubblica amministrazione di sostenere lo sviluppo economico.
Quanto emerge dunque dall’analisi della normativa e della spesa mette in luce che è ancora incerto il cammino del regionalismo e che alla domanda se le regioni stiano divenendo – secondo una delle motivazioni del “nuovo regionalismo”- un soggetto effettivamente rilevante per le attività produttive e lo sviluppo economico non può se non darsi una risposta in termini relativi.
Le spinte accentratrici peraltro – anche quando cercano di trovare una motivazione nella presunta o reale incapacità delle regioni ad operare – non tengono conto della realtà ormai consolidata delle regioni e possono determinare più una stratificazione di interventi che una semplificazione. Ciò è quanto sembra stia emergendo - secondo l’analisi svolta nel IV Rapporto - dalla vicenda della legislazione nazionale sui distretti. Il riconoscimento operato dalla legge n.317 del 1991 di queste realtà produttive aveva segnato anche una prima apertura all’intervento delle regioni in materia di industria, poi ulteriormente ampliata e sviluppata, anche sotto la spinta della programmazione dei fondi strutturali europei, con il “federalismo amministrativo” e con la riforma del Titolo V della Costituzione. Il recente intervento del legislatore nazionale in tema di distretti, posto in essere con la legge finanziaria 2006, sembra porsi invece in controtendenza, oltre tutto non tenendo conto di quanto già disciplinato e realizzato a livello regionale, come pure evidenziano alcuni degli studi di caso sulle regioni contenuti nel Rapporto. Viceversa la scelta di procedere all’individuazione dei distretti tecnologici previsti dal Piano nazionale per la ricerca (2002-2005) su proposta delle regioni, più che come valorizzazione del livello di governo intermedio, si presta ad essere letta come la “torsione” secondo logiche distributive di una politica che probabilmente potrebbe raggiungere meglio i suoi obiettivi in un prospettiva nazionale e maggiormente selettiva. Considerando l’influenza esercitata dalla riscoperta dei distretti sul riconoscimento della dimensione territoriale dello sviluppo e di conseguenza della sua regolazione a livello regionale, queste vicende legislative assumono un significato emblematico. Testimoniano rinnovate incertezze nella definizione del ruolo delle regioni, che si collegano anche alla difficoltà di mettere a fuoco politiche adeguate alle sfide poste dall’accresciuta pressione competitiva su un sistema produttivo caratterizzato dalla ridotta dimensione media delle imprese e dalla prevalente specializzazione in settori tradizionali.
In generale, quanto emerge dal Rapporto sotto più profili sembra decisamente riportare l’attenzione sulla mancanza di un quadro chiaro d’intervento a favore delle attività produttive e di un sistema funzionale di relazioni intergovernative di tipo cooperativo tra Stato e regioni, nel cui ambito – tenendo conto del nuovo contesto della competizione internazionale – andrebbero collocate e valorizzate le prospettive dello “sviluppo regionale” e dello “sviluppo locale”.
Al di là di quanto evidenziato in generale dall’analisi della spesa e della normativa, gli studi contenuti nel Rapporto su alcune regioni sono dedicati a quanto esse hanno già realizzato e/o intendano realizzare per lo sviluppo locale e per le attività produttive. Il contributo sulla Calabria mette in luce il ruolo determinante che la formazione e l’attuazione delle politiche di coesione hanno avuto per l’avvio della esperienza regionale di sviluppo locale, ed insieme le difficoltà incontrate dalla progettazione integrata, legate tra l’altro alla inadeguatezza degli apparati e dei processi amministrativi, non idonei alla diffusione delle metodologie valutative e negoziali. Il caso della Calabria evidenzia, peraltro, un profilo che appare comune a tutte le regioni considerate, consistente nel peso della “regia” regionale nei processi di programmazione. Tra l’orientamento, pure enunciato nelle riforme degli ultimi anni, volto ad un ampio decentramento verso le istituzioni e in genere gli attori locali ed il mantenimento di ampi poteri e funzioni-guida a livello regionale non sembra che in effetti si sia riusciti finora, da parte delle regioni, a trovare un equilibrio. Per altro verso, va sottolineato il notevole impegno che tutte le regioni qui trattate mostrano di voler mettere nella creazione di sistemi di pianificazione e gestione dello sviluppo e la loro decisa volontà di consolidare ruoli e poteri in questo campo, anche con la ricerca di soluzioni originali (come i “metadistretti” in Lombardia, il nuovo Piano integrato territoriale in Campania). Il ricorso frequente a “patti” tra la regione e gli attori locali, il rilievo dato ai meccanismi cooperativi e in genere ai Programmi integrati di sviluppo locale sembra comunque segnalare l’intento e la necessità delle regioni di conquistare il consenso dei soggetti locali, rispetto ai quali pure si valuta altrettanto necessario l’intervento diretto della regione in funzione di guida e sostegno dello “sviluppo locale”.
Nel Rapporto il contributo relativo alla regione Campania mostra la particolarità di un’esperienza, in parte ancora in fase di avvio, che punta ad una stretta connessione tra pianificazione territoriale, comprensiva della rete ecologica, e promozione di sistemi locali di sviluppo, tra i quali uno speciale rilievo – e questa è la particolarità della scelta campana – hanno i sistemi il cui “motore” principale sono l’ambiente e la “cultura”. Si segnala infine, per l’utilità che potrebbe avere più in generale, il contributo della Toscana che - utilizzando l’archivio dei progetti della amministrazione regionale - offre un sistema a matrice di analisi degli interventi per lo sviluppo locale fondato su categorie affermatesi nella letteratura in materia.
Anche se dal punto di vista finanziario non si tratta di progetti di ampie dimensioni, l’esperienza regionale dei fondi Interreg, pure esaminata nel IV Rapporto, evidenzia un allargamento della presenza delle regioni su temi e campi di azione quanto mai vari ma che, opportunamente scelti, sembrano poter contribuire alla messa a punto di strategie e politiche funzionali alle peculiarità dello sviluppo di ogni regione, o di gruppi di regioni affini. Questa prospettiva potrebbe ulteriormente assumere un rilievo importante, considerata la scelta dell’Unione europea di potenziare tale strumento di intervento.

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