INDICE


INTRODUZIONE

LO SVILUPPO ECONOMICO LOCALE. VERSO UNA NUOVA MATERIA REGIONALE?
Carlo Desideri

1. La novità della riforma costituzionale. – 2. Il contributo delle regioni. – 3. Modelli della legislazione nazionale e regionale.



LETTURE E INTERPRETAZIONI DEGLI ATTI NORMATIVI REGIONALI IN MATERIA DI ATTIVITÀ PRODUTTIVE

ASPETTANDO GLI STATUTI: I REGOLAMENTI REGIONALI PER LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE TRA RIFORME E PRASSI
Aida Giulia Arabia

1. Premessa. – 2. La titolarità del potere regolamentare. – 3. L’ampliamento dell’ambito materiale dei regolamenti. – 4. I regolamenti regionali nella prassi. – 4.1. Il dato quantitativo. – 4.2. Le tipologie. – 5. Osservazioni conclusive.


L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE TRA STATO E REGIONI
Sofia Mannozzi

1. Le prospettive aperte dal “federalismo amministrativo”. – 2. Luci e ombre della riforma costituzionale. – 3. L’indirizzo strategico e la cooperazione tra Stato e regioni: gli accordi di programma e gli sportelli regionali per l’internazionalizzazione.


LE REGIONI E LA DISCIPLINA COMUNITARIA DEGLI AIUTI DI STATO
Letizia Rita Sciumbata

1. Il contesto europeo. – 2. Il contesto nazionale. – 3. Il contesto regionale. – 3.1. Competenze e rapporti tra livelli di governo. – 3.2. La disciplina degli aiuti di Stato in alcune leggi regionali del 2003. – 4. Considerazioni conclusive.


L’INTEGRAZIONE DELL’INTERESSE AMBIENTALE NELLA DISCIPLINA REGIONALE DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE
Emma Annamaria Imparato

1. Premessa. – 2. L’integrazione dell’interesse ambientale nella legislazione regionale. – 2.1. Agricoltura e sviluppo rurale. – 2.2. Industria e artigianato. – 3. Considerazioni conclusive.


LA PROMOZIONE DELL’INNOVAZIONE E DEL TRASFERIMENTO TECNOLOGICO NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE
Chiara Cavallaro

1. Premessa. – 2. Le politiche regionali dell’Unione Europea e i sistemi territoriali innovativi. – 3. Il Sistema nazionale di innovazione. – 4. La ricerca e l’innovazione nelle regioni. – 5. Osservazioni finali. – 6. Appendice normativa. (Vedi le schede complete in questo sito, sezione Osservatorio sulle regioni > La normativa regionale su ricerca e innovazione).


L’AMMINISTRAZIONE DI FRONTE ALLE ESIGENZE DI GOVERNANCE DEL SETTORE TURISTICO.
IL TURISMO REGIONALE NEI PROCESSI DI CONFERIMENTO E RIORDINO
Guido Meloni

1. Continuità e innovazione nell’evoluzione di competenze e formule organizzative. – 2. Il rafforzamento del ruolo di regioni ed enti locali nell’attuazione del d.lgs. 112/1998. – 3. Da una amministrazione per enti ad una amministrazione integrata per sistemi.


LA DISCIPLINA REGIONALE DEL COMMERCIO E LA TUTELA DELLA CONCORRENZA
Lucia Mazzarini

1. Premessa. – 2. Le principali innovazioni del d.lgs. 114/98. – 3. I contenuti della legislazione regionale in materia di distribuzione commerciale in sede fissa. – 4. Considerazioni conclusive.


LA PROGRAMMAZIONE NEGOZIATA IN AGRICOLTURA. LE ESPERIENZE REGIONALI
Francesco Adornato

1. Processi economici, indirizzo politico, programmazione negoziata. – 2. Programmazione negoziata in agricoltura. La disciplina nazionale e le forme giuridiche. – 3. Programmazione negoziata e contratti: i profili teorici. – 4. La disciplina regionale in materia di programmazione negoziata. – 5. Programmazione negoziata e distretti.


TENDENZE DELLA DISCIPLINA REGIONALE IN MATERIA DI INCENTIVAZIONE ALL’INDUSTRIA
Corrado Cardoni

1. Premessa. – 2. Provvedimenti organici di incentivazione. – 3. Interventi all’interno di contesti produttivi locali. – 4. Alcuni esempi di obiettivi specifici. – 5. Disciplina dei procedimenti e dei sistemi di controllo; soggetti gestori. – 6. Considerazioni conclusive.



PROFILI FINANZIARI DEGLI INTERVENTI

LA SPESA DELLE REGIONI A SOSTEGNO DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE
Enrico Buglione

1. Premessa. – 2. Alcuni dati di sintesi sulle spese a sostegno delle attività produttive. – 2.1. Dinamica degli stanziamenti rispetto al 2002. – 2.2. Incidenza sul totale delle spese delle regioni. – 2.3. Incidenza sul Pil regionale. – 3. Composizione funzionale delle spese a favore delle attività produttive e loro dinamica. – 4. Le spese nei singoli settori: rilevanza degli incentivi alle imprese. – 5. Rilevanza dei residui passivi iniziali. – 6. Ruolo dei diversi livelli di governo nella gestione delle spese a sostegno delle attività produttive. – 7. Un riepilogo dei risultati. – 8. Allegato statistico.




GLI ATTI NORMATIVI REGIONALI IN MATERIA DI ATTIVITÀ PRODUTTIVE

ABRUZZO
BASILICATA
BOLZANO
CALABRIA
CAMPANIA
EMILIA-ROMAGNA
FRIULI-VENEZIA GIULIA
LAZIO
LIGURIA
LOMBARDIA
MARCHE
MOLISE
PIEMONTE
PUGLIA
SARDEGNA
SICILIA
TOSCANA
TRENTINO-ALTO ADIGE
TRENTO
UMBRIA
VALLE D'AOSTA
VENETO


INDICE DEGLI ATTI NORMATIVI

INDICE ANALITICO




INTRODUZIONE

LO SVILUPPO ECONOMICO LOCALE. VERSO UNA NUOVA MATERIA REGIONALE?
Carlo Desideri

1. La novità della riforma costituzionale. – 2. Il contributo delle regioni. – 3. Modelli della legislazione nazionale e regionale.


1. La novità della riforma costituzionale

Con le riforme del c.d. "federalismo amministrativo" è stata spostata nella dimensione regionale e locale una ampia quota di compiti relativi allo "sviluppo economico e alle attività produttive", come si esprime il Titolo II del d.lgs. 112/1998, sintetizzando così un ambito di nuovo impegno e responsabilità delle regioni e degli enti locali nel quale venivano fatte confluire più materie fino allora trattate settorialmente. Al conferimento di compiti si accompagnavano, inoltre, disposizioni volte a semplificare e razionalizzare i procedimenti in ordine agli insediamenti produttivi e il riconoscimento dell'autonomia funzionale alle camere di commercio, salvo il controllo delle regioni sugli organi camerali e alcune funzioni di livello nazionale, per le quali in parte si richiede l'intesa in sede di Conferenza Stato-regioni ed in parte la deliberazione della Conferenza unificata.
L'ampio conferimento di compiti per lo "sviluppo economico e le attività produttive" nella legge 59/1997 e nel d.lgs. 112/1998 era inserito in una cornice normativa che definiva - in modo tassativo, secondo la regola "federalista" della legge 59 - i compiti statali esclusi dal conferimento e postulava l'esistenza di un sistema di relazioni collaborative tra lo Stato, le regioni e gli enti locali. Tra i compiti statali vi erano funzioni di regolazione a carattere generale e determinate attività di promozione (da identificare secondo i criteri, tra gli altri, della loro rilevanza economica strategica e della valutabilità solo su scala nazionale per i caratteri del settore e per assicurare la concorrenza), in molti casi richiedendo la partecipazione regionale alle decisioni (1). Quanto al sistema di relazioni e di collaborazione, se forse non appariva sempre chiaro, veniva evocato per l'esercizio di numerosi compiti e comunque, in generale, dal richiamo della funzione di indirizzo e coordinamento (art.8 della legge 59 e art. 4 del d.lgs. 112), dalla nuova disciplina delle Conferenze Stato-regioni e unificata (2) e dall'asserzione contenuta nell'art.1, c. 6 della legge 59 che "la promozione dello sviluppo economico, la valorizzazione dei sistemi produttivi e la promozione della ricerca applicata sono interessi pubblici primari", la cui cura spetta allo Stato, alle regioni e agli enti locali secondo le rispettive competenze.
Successivamente alle riforme del "federalismo amministrativo" il nuovo Titolo V della Costituzione, introdotto nel 2001, ha consolidato la scelta per la competenza regionale in ordine allo sviluppo economico locale, ma andando oltre il quadro preesistente. Che si sia voluta consolidare e anzi rafforzare quella scelta appare evidente dal fatto che le principali materie riferibili allo "sviluppo economico e alle attività produttive" - in particolare l'agricoltura, l'industria e l'artigianato, il commercio e il turismo - sono ora assorbite nell'ambito della competenza residuale regionale. Inoltre, essendo tali materie non più espressamente e singolarmente enunciate (come avveniva per l'agricoltura e il turismo nel vecchio elenco dell'art. 117), le regioni appaiono ora titolari di un ambito generale, integrato e indeterminato, di competenza in ordine allo sviluppo economico-produttivo, che spetta a loro definire eventualmente superando i tradizionali confini tra i settori e inventando nuovi sviluppi ed estensioni secondo le trasformazioni e l'evoluzione della materia e degli interessi (3). L'ampiezza dell'ambito di azione che può essere svolta dalle regioni è ancora più evidente considerando poi le connessioni con le altre competenze regionali - di legislazione concorrente - in ordine a più materie, come il commercio con l’estero, la tutela e sicurezza del lavoro, il governo del territorio, la ricerca e il sostegno all'innovazione per i settori produttivi (4), l'alimentazione, gli enti di credito a carattere regionale.
A fronte di tale ampio insieme di competenze legislative - almeno per la parte residuale, di tipo generale e potenzialmente in espansione - che va concentrandosi a livello regionale, l'ambito delle competenze dello Stato - anche qui secondo la regola "federalista" - è espressamente definito. Oltre alla possibilità di fissare i principi per le materie di legislazione concorrente, spettano infatti allo Stato competenze legislative esclusive enumerate, tra le quali sicuramente di rilievo immediato per lo sviluppo economico vi sono l'ordinamento civile, la tutela della concorrenza, la tutela dell'ambiente. Spetta, tuttavia, allo Stato anche una attività, dai contenuti indefiniti, di programmazione finanziaria e di realizzazione di "interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni" per promuovere, tra l'altro, "lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale", nonché "per rimuovere gli squilibri economici e sociali".
L'attività regionale, poi, al pari di quella dello Stato, dovrà comunque svolgersi - come afferma il comma 1 del nuovo articolo 117 - nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
La novità introdotta dalla riforma costituzionale non è di poco conto e per certi aspetti ha subito sollevato perplessità, tanto che si è quasi più portata l'attenzione su come si potesse limitare e tenere sotto controllo l'indefinita competenza residuale regionale che sul significato e le potenzialità della stessa novità.
Eppure l'opportunità che la riforma costituzionale ha voluto aprire non è avulsa da riflessioni e dibattiti da tempo condotti sulla importanza per lo sviluppo economico dei sistemi territoriali, considerati nel complesso delle loro caratteristiche economiche, sociali e istituzionali. In questo senso si tratta di una riforma che appare anche in sintonia con tendenze - che non sono solo del nostro paese - verso il rafforzamento delle istituzioni e dei poteri regionali anche e particolarmente in ambito economico; secondo una linea - appunto comune a più paesi, in particolare europei - per sottolineare la novità e peculiarità della quale, rispetto a precedenti fasi storiche, si è parlato di "nuovo regionalismo" (5).
Il "bisogno" di regionalismo che tanto rilievo ha assunto in Italia almeno dalla fine degli anni ottanta dello scorso secolo, letto in questa prospettiva, appare rispondere a modificazioni e tendenze profonde e provenire dunque - diversamente dal primo regionalismo in cui aveva prevalso l'ispirazione e la spinta della classe politica - (anche) "dal basso".
Lo spostamento di un ambito rilevante di poteri nei sistemi regionali-locali e le possibili differenziazioni che tale spostamento può comportare tra tali sistemi, in termini di contesti normativi e di politiche, dovrebbero allora divenire un valore accettato e un punto di partenza per la riflessione (6), anche per ricostruire, ma appunto partendo da questa nuova realtà, un sistema di relazioni e di collaborazione. Che senso avrebbe altrimenti la tanto auspicata crescita di un ente complesso come la regione, politico oltre che amministrativo e che comporta un costo per la collettività, se tale ente non fosse riconosciuto come titolare di un certo ambito di potere indipendente, per altro verso così rendendo più leggero il carico di poteri e responsabilità a livello statale?
Ciò detto, resta tuttavia il fatto che - diversamente da quanto si verificava con la legge 59 e il d.lgs. 112 - il nuovo Titolo V lascia ampiamente incerto il contesto di relazioni nel quale dovrà svolgersi l'esercizio dei compiti delle regioni, in particolare di quelli residuali nel campo delle attività produttive. Anche ammettendo che molto di più non poteva farsi, in quanto il regionalismo - come il federalismo - è un processo, per cui inevitabilmente i nuovi assetti dei rapporti tra Stato e regioni dovranno venire dall'esperienza, va constatato però che sembrano mancare anche regole e principi di orientamento, nonché sedi adeguate per quel processo.
Ci sono certamente - come già detto - i limiti della Costituzione, i vincoli dell'ordinamento comunitario e i confini dettati dalle competenze esclusive dello Stato, ma si tratta appunto di un quadro - costituito da limiti - molto più vicino, come più osservatori hanno notato, ad una visione dualistica che ad una visione di tipo collaborativo.


2. Il contributo delle regioni

I materiali di documentazione e di riflessione contenuti nei volumi finora usciti del rapporto Regioni ed attività produttive sono diretti a seguire e illustrare il processo di costruzione di un insieme di compiti e attività regionali nel campo dello sviluppo economico con riferimento in particolare a due aspetti: la legislazione e la spesa regionale.
Considerando un arco di tempo ormai di cinque anni, partendo dalle riforme del "federalismo amministrativo", tra gli elementi che vengono in evidenza dall'analisi della legislazione regionale sembrano esservi in particolare i seguenti:
- numerose regioni hanno adottato testi unici e leggi di tipo organico (7), vale a dire che trattano e riordinano in maniera ampia - dal punto di vista delle finalità, dei soggetti, degli interventi, dei procedimenti e dell'organizzazione e di altri aspetti di volta in volta rilevanti - o l'esercizio di determinati tipi di compiti (ad esempio, l'attività di incentivazione) riferiti non ad uno specifico settore ma in genere alle attività produttive, oppure un intero settore (l'agricoltura, l'artigianato, l'industria, il turismo), oppure specifici importanti campi di attività o subsettori (ad esempio le foreste, l'agriturismo, l'apicoltura). E' evidente, in tal caso, come - almeno a livello legislativo - si realizzi una maggiore semplificazione e trasparenza della azione regionale, che - oltre a produrre immediati vantaggi pratici per gli operatori economici - dovrebbe contribuire a far crescere il ruolo della regione insieme come soggetto di regolazione e promozione economica e come effettivo centro di riferimento degli interessi collettivi presenti nel territorio (8). Per altro verso va anche tenuto conto che la frammentazione dell'intervento legislativo si ripresenta, in particolare, nelle leggi finanziarie, che spesso contengono anche disposizioni di modifica delle leggi sostanziali o di disciplina di nuovi interventi (9). Quanto al crescente ricorso – dopo la legge costituzionale 1/1999 e la riforma del Titolo V – ai regolamenti della giunta, può apparire un fenomeno che opportunamente si accompagna alla concentrazione del legislatore regionale sulle leggi di tipo organico (piuttosto che su “leggine” e leggi in realtà a contenuto regolamentare), tuttavia uno sviluppo in tal senso sembra al momento ancora incerto (10);
- vengono in genere recepite e sviluppate da parte regionale varie innovazioni introdotte negli ultimi anni dalla normativa comunitaria e nazionale. Si tratta di modelli di intervento e di strumenti specifici, come lo sportello unico, i distretti, le forme del partenariato, le forme convenzionali (patti, accordi, intese, convenzioni), ma anche di indirizzi politici a carattere generale, come la prospettiva del superamento della visione settoriale dell'agricoltura a favore dell'integrazione agro-industriale e dello sviluppo rurale, e come l'integrazione della considerazione delle esigenze e degli interessi ambientali all'interno delle politiche e delle discipline rivolte alle attività produttive. In tutti questi casi a ben vedere, però, non si è in presenza di un semplice recepimento e attuazione di politiche e disposizioni dettate da altri livelli di governo. Le regioni, piuttosto, mostrano di adattare e reinterpretare le innovazioni in maniera originale o anche di estenderne il campo di applicazione al di là degli ambiti per i quali erano state pensate (11). Inoltre - in particolare nel caso di politiche ed indirizzi innovativi, peraltro a volte ancora scarsamente definiti e avviati solo di recente a livello comunitario e nazionale - sono spesso le regioni che danno, in realtà, sviluppo concreto a tali indirizzi e politiche (12), evidentemente anche in risposta a esigenze, spinte e trasformazioni concrete provenienti dalle collettività territoriali e dalle articolazioni di interessi in esse presenti. Per altro verso, può anche accadere allora che le regioni non recepiscano normative e indirizzi innovativi prospettati a livello nazionale, come ad esempio quelli volti alla “liberalizzazione” del settore del commercio, tendendo invece a mantenere gli assetti esistenti del settore, casomai utilizzando tecniche giuridiche varie di neutralizzazione delle stesse innovazioni (13);
- la legislazione regionale in generale appare acquisire contenuti più complessi rispetto al passato: accanto alle più tradizionali misure di incentivazione finanziaria, le leggi disciplinano ora misure di regolazione. In certi casi - meno frequenti - si tratta di discipline di tipo autoritativo che stabiliscono precisi divieti ed obblighi (come, ad esempio, in ordine agli ogm); in molti casi si tratta di discipline che regolano comportamenti, fissando obblighi e doveri destinati ad operare tuttavia come condizioni che i soggetti interessati devono rispettare se e quando intendono ottenere un determinato risultato (ad esempio, la concessione di un marchio o di una certificazione di qualità, anche ambientale). Spesso le leggi regionali – che, come si è detto, assumono a volte carattere organico – ricorrono, inoltre, a modelli di intervento che uniscono promozione e regolazione e si basano, per lo più, sulla ricerca della adesione volontaria e su forme convenzionali, salvi compiti di certificazione, riconoscimento e vigilanza da parte degli organi regionali (come si verifica, ad esempio, per la promozione e regolazione dell’agricoltura biologica, per le "reti" di tutela delle risorse genetiche autoctone) (14). In questo quadro, le misure di incentivazione - in passato poco selettive – sembrano seguire un approccio più finalizzato, con una concentrazione allora delle risorse disponibili su determinati obiettivi e misure (ad esempio: la qualità, la sicurezza e l'ambiente; la valorizzazione di determinate tecniche; la “internazionalizzazione” delle imprese (15); l'imprenditoria giovanile e femminile) e per interventi da effettuare nell'ambito dei sistemi produttivi locali (16). Più sistematica appare anche l’attenzione dedicata dalle regioni al rispetto e all’applicazione dei regimi di aiuto fissati dalla normativa comunitaria, che si è tradotta in certi casi anche in disposizioni specifiche dirette a migliorare le modalità di notifica e di comunicazione con la Commissione europea (17);
- dall'insieme della legislazione regionale sembra emergere una evidente prevalenza del ruolo della regione e delle sue competenze (in vari casi esercitate attraverso enti, agenzie e società regionali) nel campo dello sviluppo economico e delle attività produttive. Limitato appare, invece, il conferimento stabile di compiti da parte delle regioni agli enti locali, con l'eccezione di alcuni compiti di programmazione affidati alle province, dei compiti delle comunità montane e, in genere, di quelli affidati alle province e ai comuni relativi all'insediamento delle attività produttive e agli interventi per le aree industriali e per quelle ecologicamente attrezzate (18). Va tuttavia osservato che, per altro verso, è frequente nella legislazione regionale il richiamo - anche per lo svolgimento di interventi operativi e specifici - a pratiche di consultazione, a forme di raccordo e di cooperazione con gli enti locali, ed inoltre, in certi casi, con le autonomie funzionali (camere di commercio) e le associazioni e organizzazioni di categoria. Sembrano così delinearsi nuovi modelli di azione centrati sulla concertazione e sui raccordi, al cui avvio ha concorso probabilmente anche la ormai pluriennale esperienza delle regioni con le regole e le metodologie della programmazione per l'utilizzazione dei fondi strutturali, in particolare con il metodo del partenariato (19):
- in vari casi e in diversi settori, poi, le leggi regionali affidano la realizzazione delle loro finalità - di promozione e regolazione, di maggiore integrazione delle strutture produttive, di miglioramento della qualità e spesso di tutela e valorizzazione delle risorse ambientali e culturali - a veri e propri sistemi complessi, come i distretti (industriali, artigianali, rurali, agroalimentari) (20), i sistemi turistici integrati (21), le strade del vino e dell’olio, le "reti" di tutela delle risorse genetiche autoctone (22). Tali sistemi e, in genere, i sistemi territoriali costruiti attraverso forme di negoziazione e accordo (23) sembrano configurarsi – rispetto ai modelli tradizionali di azione amministrativa – come veri e propri modelli innovativi di promozione e regolazione economica, almeno lì dove si tratta di sistemi di tipo pluralistico (che vedono come protagonisti principali le stesse imprese, insieme agli enti locali, alle autonomie funzionali, ad organismi tecnici, altri soggetti di natura collettiva) e che nascono dal basso, nel senso che la loro individuazione e le modalità di funzionamento vengono definite fondamentalmente sulla base di accordi. Per altro verso non mancano, in altri casi, previsioni legislative che sembrano ridurre o annullare la portata innovativa di alcune delle figure ricordate. Ciò si verifica quando esse vengono ricondotte o rese subalterne ai modelli più tradizionali, il che può avvenire per via del prevalere della predeterminazione legislativa delle scelte sulle forme convenzionali e del prevalere dei profili istituzionali su quelli pluralistici e sistemici (24).
Quanto alla spesa regionale, l'analisi svolta consente di mettere in luce il ruolo delle regioni nella gestione della spesa pubblica a favore delle attività produttive e le principali caratteristiche degli interventi finanziari a livello regionale.
Per il primo aspetto, i dati relativi al 2001 indicano che, se nel turismo e in agricoltura le regioni hanno un ruolo di primo piano, in materia di industria lo Stato continua a gestire la maggior parte delle spese (25).
Per il secondo aspetto, l'analisi dei bilanci per il 2003 mette in evidenza: un aumento generalizzato dell'importanza degli interventi a favore delle attività produttive; una maggiore disponibilità di risorse finanziarie per il sostegno allo sviluppo nelle regioni speciali, in particolare in quelle del Nord; una probabile tendenza ad utilizzare di più gli enti dipendenti dalla regione ed in parte gli enti locali territoriali per la gestione degli incentivi alle imprese almeno nel settore del turismo; la sostanziale tenuta, rispetto all'esercizio precedente, della capacità delle regioni di utilizzare in maniera tempestiva le somma stanziate (26).


3. Modelli della legislazione nazionale e regionale

L'arco di tempo considerato dai Rapporti finora pubblicati consente di rilevare delle tendenze significative ma non di esprimere un giudizio compiuto in ordine all'interrogativo se e quanto si stia effettivamente sviluppando nel nostro Paese un "nuovo regionalismo", caratterizzato anche da una crescente concentrazione di poteri in ordine allo "sviluppo economico e alle attività produttive" nei sistemi territoriali regionali-locali.
Peraltro va tenuto conto che - se sotto il profilo formale le regioni, a parte i limiti qui accennati al par. 1, dovrebbero essere "padrone" della definizione del contenuto delle loro competenze, in particolare residuali - in pratica tale definizione appare oggi frutto di processi più complessi, che si svolgono anche a livello nazionale.
A questo proposito, l'atteggiamento che sembra prevalere nel legislatore nazionale è quello di portare comunque avanti testi con contenuti vari, a volte riferibili con più certezza a competenze esclusive statali ma, in molti casi, di attribuzione incerta o che sembrerebbero più correttamente riferibili alla competenza residuale regionale. La negoziazione tra lo Stato e le regioni sul contenuto della legislazione nazionale è, poi, un dato di fatto e può presentare indubbi vantaggi, ma contiene anche il rischio che si tenti da parte statale di rimettere sempre in discussione competenze per le quali non dovrebbero esservi dubbi in merito all'attribuzione regionale (27).
In ogni caso va preso atto che si sta sviluppando una legislazione nazionale che a vario titolo - e non sembra solo per la natura esclusiva, sostanziale o trasversale, dell'oggetto - incide in materia di sviluppo economico e attività produttive (28).
Alcune recenti pronunce della Corte costituzionale sono ora entrate in merito ai problemi qui accennati. Da un lato la Corte sembra riconoscere il valore della competenza residuale come ambito proprio delle regioni, rispetto al quale non sono ammissibili ritagli di competenza (29). Dall'altro si interroga sulla "questione cruciale del rapporto tra politiche statali di sostegno del mercato e le competenze legislative delle regioni" e nella sentenza n. 14 del 2004 dà una risposta basata su una lettura ampia della competenza statale in ordine alla tutela della concorrenza. Infatti, sottolineando che i principi comunitari sulla concorrenza sono da considerare "non svincolati da un'idea di sviluppo economico sociale", sostiene che quella competenza va intesa - oltre che come "garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto" - in una accezione dinamica "che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali". Riflettendo, poi, sulla preoccupazione per una eventuale "dilatazione massima" della tutela della concorrenza che "rischierebbe di vanificare" la competenza regionale, la Corte aggiunge che l'intento della lett.e del c.2 dell'art.117 è quello di "unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell'intero Paese" e, dunque, che "l'intervento statale si giustifica…per la sua rilevanza macroeconomica", perché idoneo "ad incidere sull'equilibrio economico generale".
Se si tiene conto poi che - come emerge da altre pronunce della Corte costituzionale - può ammettersi l'intervento legislativo statale per disciplinare le funzioni amministrative spettanti allo Stato in applicazione del principio di sussidiarietà, ci si rende conto che sono già aperte in realtà più vie che possono consentire al legislatore nazionale di incidere sui confini e i contenuti della competenza residuale generale regionale e che questa allora - come notato da più parti - si allontana sempre più dal poter essere considerata esclusiva.
Certamente non manca, nel testo del nuovo Titolo V, un quadro nel quale deve svolgersi l'esercizio della competenza residuale regionale, che è dato dalle stesse competenze statali esclusive e, non da ultimo, dai limiti del rispetto dei vincoli comunitari (30) e della Costituzione, aspetto questo anche sul quale la Corte costituzionale mostra di volere intervenire attentamente (31).
Resta il fatto che - come si è accennato - il modello che così emerge è essenzialmente di tipo dualistico e che rimangono, invece, in gran parte nel vago il sistema delle relazioni tra Stato e regioni e le forme della collaborazione. Non affrontata e risolta appare, così, la "questione cruciale" - per usare il linguaggio della Corte - se e con quali modalità possano essere definite misure nazionali di regolazione ed intervento per lo sviluppo economico, come del resto avviene in altri paesi a struttura regionale e federale in genere con modalità collaborative.
Sull'ampliamento del contenuto della tutela della concorrenza la stessa Corte costituzionale ha espresso, come si è visto, cautela e preoccupazione, proprio nel momento in cui ha aperto questa strada. Va osservato che in effetti, non solo si potrebbe così "vanificare" la competenza regionale, ma - può aggiungersi - vi è anche il rischio che una materia delicata e fondamentale come la concorrenza divenga - per via di una eccessiva estensione ed indeterminatezza - un campo di battaglia tra Stato e regioni, con l'effetto di far perdere di autorevolezza ad un compito di tutela che dovrebbe restare effettivamente trasversale e il più possibile condiviso. A questo proposito va anche tenuto conto come la Corte, che ha mostrato di dare ampio sviluppo al profilo promozionale della concorrenza nella sentenza sopracitata, in altre occasioni ha mostrato maggiore cautela proprio verso l'applicazione del profilo garantistico della materia (32).
Si tratta, dunque, di riavviare più in generale la riflessione sui modelli della legislazione nazionale e sulle forme della collaborazione, anche in ragione delle esigenze di intervento che si pongono a livello nazionale o comunque in una dimensione nazionale, valutando quanto possa realizzarsi a tale scopo con modalità più vicine all'autocoordinamento, come avvenuto nel settore del turismo (con l'assenso anche della Corte costituzionale) (33), e quanto con modalità che comportino invece anche una più incisiva e attiva presenza del legislatore statale.
Superare i vuoti e i limiti del Titolo V non dovrebbe, in ogni caso, voler dire tornare indietro rispetto alla scelta di costruire un insieme solido e importante di compiti in ordine allo sviluppo economico e alle attività produttive nella dimensione regionale, prendendo atto che tale prospettiva appare rispondere a processi profondi e che anche in essa trova un senso e una legittimazione sostanziale il rafforzamento del regionalismo.
L'evoluzione in corso della legislazione e della spesa delle regioni, del resto, segnalano già l'acquisizione da parte regionale di un ruolo importante di regolazione oltre che di promozione per le attività produttive, non riconducibile - come per lo più avveniva in passato - alla mera esecuzione di politiche e legislazioni di livello superiore e segno, invece, di iniziativa innovativa ed originale. E' questo un dato di fatto - potrebbe forse dirsi di costituzione materiale - dal quale non dovrebbe prescindere la ricerca di adeguati modelli della legislazione nazionale e delle forme di collaborazione.


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NOTE


(1) Vedi in particolare l'art.18, comma 1 del d.lgs. 112/1998.
(2) Con d.lgs. 281/1997.
(3) La novità della competenza residuale delle regioni è stata efficacemente sottolineata per i vari aspetti qui solo accennati da L.Torchia, La potestà legislativa residuale delle Regioni, Le regioni, 2002, n.2-3, 343 e ss.. Sulla portata innovativa del criterio della residualità e i vari problemi che pone, v. inoltre A. D’Atena, La riforma del Titolo V: profili generali e assetto delle competenze in agricoltura, in A. Germanò (a cura di), Il governo dell’agricoltura nel nuovo Titolo V della Costituzione, Milano, Giuffrè, 2003.
(4) Su questa materia, con particolare riferimento agli interventi diretti alle piccole e medie imprese, v. C. Cavallaro, La promozione dell’innovazione e del trasferimento tecnologico nelle piccole e medie imprese, in questo volume, 109 e ss.
(5) La letteratura, in particolare straniera, in tema è ormai ampia. V., in particolare, tra i primi contributi M. Keating, The new regionalism in Western Europe, Cheltenham, 1998.
(6) Come già suggerito da L. Torchia, op. cit., 362-363.
(7) In genere per i profili della qualità della legislazione regionale, v. A. G. Arabia, Ventidue modelli di legislazione a confronto, in Regioni e attività produttive, 2, Giuffrè Editore, Milano, 2003, 7 e ss., e 20 e ss. per le leggi organiche e i testi unici. Sulle leggi organiche di incentivazione, v., in particolare, C. Cardoni, Tendenze della legislazione regionale in materia di incentivazione all’industria, in questo volume, 261 e ss..
(8) Sulle debolezze e difficoltà che finora hanno caratterizzato le regioni proprio sotto questo profilo, v. più ampiamente S. Mannozzi, Sviluppo locale e regioni, in Regioni e attività produttive, 2, op.cit., 47 e ss..
(9) V. E. Buglione, Alcuni aspetti della legislazione regionale in materia di finanza e contabilità, in Camera dei deputati, Rapporto 2002 sullo stato della legislazione, Roma, 2003, 345 e ss..
(10) V., ampiamente, A. G. Arabia, Aspettando gli statuti: i regolamenti regionali per le attività produttive tra riforme e prassi, in questo volume, 17 e ss..
(11) V. L. Cici, La legislazione regionale in materia di sportello unico e distretti industriali, in Regioni e attività produttive, 2, op. cit., in particolare 71 e ss. per l'estensione dello sportello unico a più settori e per la rilettura della normativa statale da parte delle regioni; 79 e ss. per la anche più ampia creatività regionale in ordine ai distretti. Per come le forme di programmazione negoziata nate "contro" le regioni siano state riprese dalle regioni divenendo un modello generale di attività, v. S. Mannozzi, Sviluppo locale e regioni, in Regioni e attività produttive 2, op. cit., 50 e ss.. Per le forme convenzionali e i distretti in agricoltura v., inoltre, F. Adornato, La programmazione negoziata in agricoltura. Le esperienze regionali, in questo volume, 225 e ss..
(12) Per lo sviluppo rurale e in particolare per l'atteggiamento delle regioni nei confronti della legislazione nazionale di orientamento, v. C. Desideri, Dall'agricoltura allo sviluppo rurale, in Regioni e attività produttive 2, op. cit., 85 e ss.. Per l'ampiezza assunta dall'integrazione delle esigenze ed interessi ambientali nelle leggi regionali, pur in presenza di una disciplina costituzionale incerta e di un principio del Trattato CE rivolto alle politiche e azioni comunitarie, v. E. A. Imparato, L'integrazione dell'interesse ambientale nella disciplina regionale delle attività produttive, in questo volume, 71 e ss..
(13) V., ampiamente, L. Mazzarini, La disciplina regionale del commercio e la tutela della concorrenza, in questo volume, 191 e ss..
(14) Per gli esempi relativi agli ogm, alle certificazioni di qualità ambientale, all'agricoltura biologica e alla tutela delle risorse genetiche, v. E. A. Imparato, op. cit.
(15) V., in merito, S. Mannozzi, L’internazionalizzazione delle imprese tra Stato e regioni, in questo volume, 39 e ss..
(16) V., in merito, C. Cardoni, op. cit.
(17) V., ampiamente, L. Sciumbata, Le regioni e la disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, in questo volume, 57 e ss..
(18) V., in merito, P. Zuddas, Il riparto di competenze fra regioni ed enti locali in materia di attività produttive, in Regioni e attività produttive 2, op. cit., 25 e ss..
(19) Su tali aspetti, v. S.Mannozzi, Sviluppo locale e regioni, in Regioni e attività produttive 2, op. cit., in particolare, 49-50 e 54 e ss..
(20) Sui quali v. L. Cici, op. cit.; C. Cardoni, op. cit.; F. Adornato, op. cit..
(21) Sui quali v. ampiamente G. Meloni, L'amministrazione di fronte alle esigenze di governance del settore turistico, in questo volume, 159 e ss..
(22) Per le “strade” e le “reti”, v. C. Desideri, op. cit.; E. A. Imparato, op. cit..
(23) Vedi S. Mannozzi, Sviluppo locale e regioni, in Regioni e attività produttive 2, op. cit. e F. Adornato, op. cit..
(24) V. sul punto, con particolare riferimento al settore del turismo, le considerazioni di G. Meloni, op. cit..
(25) Vedi E. Buglione, La spesa delle regioni per i settori agricoltura e industria, commercio, artigianato, in Regioni e attività produttive, 2, op. cit., 105 e ss..
(26) V. E. Buglione, La spesa delle regioni a sostegno delle attività produttive, in questo volume, 283 e ss..
(27) V. in generale, su quanto qui solo accennato, il capitolo Agricoltura, in Camera dei deputati, Rapporto 2002 sullo stato della legislazione, op. cit., 27 e ss.. Si veda, inoltre, il tentativo di portare avanti una legge nazionale sull'agriturismo, al quale si sono tuttavia opposte le regioni sulla base della considerazione che si tratta di materia di loro competenza residuale.
(28) Significativa appare la legge 7 marzo 2003, n. 38, Disposizioni in materia di agricoltura, che delega il governo ad adottare decreti legislativi per discipline che riguardano le materie più varie, alcune di competenza esclusiva statale (ordinamento civile) o di competenza concorrente (alimentazione), ma altre attinenti alla regolazione delle strutture produttive (filiere), alla regolazione della "tracciabilità" e qualità dei prodotti e anche alla promozione attraverso l'incentivazione finanziaria, in alcuni di questi casi con l'indicazione di finalità come la ricerca di "condizioni di concorrenza adeguate" o la tutela della salute, cercando evidentemente, in tal modo, di dare un fondamento alla competenza legislativa statale.
(29) Questo appare il senso dell'affermazione dell'esistenza di un "nocciolo duro della materia agricoltura", al di là poi del contenuto che forse in maniera troppo tradizionale si è indicato nella "produzione di vegetali ed animali destinati all'alimentazione", nella sentenza 375/2003.
(30) Sul carattere incisivo del sistema dei vincoli comunitari proprio nel campo delle attività produttive, attraverso la disciplina degli aiuti di Stato, v. ampiamente L. Sciumbata, op. cit..
(31) V., ad esempio, la sentenza 375/2003 con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale di una normativa regionale in materia di filiali di agenzie di viaggi per violazione degli art. 41 e 120 della Costituzione.
(32) V., in merito, L. Mazzarini, op. cit..
(33) V. G. Meloni, op. cit..

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