Ciò che rende questo libro di particolare interesse, novità ed efficacia, è che riflette e propone sulla pubblica amministrazione con un linguaggio semplice e diretto, muovendo dalla base teorica e insieme scettica della Public Choice di James Buchanan e Gordon Tullock. Particolare attenzione viene dedicata al tema della riforma della pubblica amministrazione, nella consapevolezza che non esiste la Riforma (con la erre maiuscola) ma il cambiamento è un lavoro diuturno e microscopico. Le proposte presentate non stanno nelle nuvole, non mirano al perfettismo quanto a miglioramenti pragmatici, frutto dell’esperienza personale dell’autore. Non si ragiona in modo illuministico e ideologico, ma quantitativo e “popperiano”, adottando i principi del riformismo realistico “piecemeal”. L’autore sa bene che l’effetto reale di ogni azione di riforma si gioca nell’ultimo dettaglio della sua attuazione.

PREMESSA

Con il libro di Fabrizio Tuzi, Amministrazione Pubblica: dall’egoismo alla competizione. Manuale per una sopravvivenza operosa, l’Istituto di Studi sui Sistemi Regionali Federali e sulle Autonomie (ISSiRFA) del CNR, inaugura presso l’editore Rubbettino la collana «Istituzioni, Autonomie, Europa». 

L’intento è di offrire al pubblico una serie di saggi che affrontino in modo critico e propositivo le problematiche più attuali del nostro sistema politico e istituzionale, tenendo in considerazione le evoluzioni dei processi internazionali ed europei. Il tema trattato in questo primo volume della collana affronta una questione, quella della pubblica Amministrazione, a lungo negletta, nonostante non siano mancati contributi approfonditi che abbiano messo in evidenza l’arretratezza culturale della PA nel suo complesso e degli operatori pubblici singolarmente presi. 

Nel contributo di Tuzi è determinante la sua esperienza diretta di amministratore al vertice di enti pubblici di ricerca come il CNR (il Consiglio Nazionale delle Ricerche) e l’ASI (l’Agenzia Spaziale Italiana); ma questa esperienza sarebbe servita a ben poco senza una capacità culturale considerevole e una preparazione tecnico-gestionale solida e, al contempo, aperta all’apprendere e studiare ciò che può esserci di nuovo nel campo in cui si deve operare. 

Spesso, quando si affronta il tema amministrativo manca la consapevolezza che la pubblica amministrazione sia una entità “politica”, in senso lato intesa. Essa è lo strumento che concretizza i diritti costituzionali dei cittadini (istruzione, salute, assistenza, ecc.), che rende possibile la convivenza (sicurezza, giustizia, difesa, ecc.) e che promuove le politiche pubbliche atte a realizzare lo sviluppo del Paese (lavoro, energia, trasporti, ambiente, ricerca, ecc.). Il suo agire è caratterizzato dal principio di legalità, e cioè dalla possibilità di raffrontare l’attività amministrativa con la previsione legislativa. Questo modo di essere, ben lungi dal ridurre l’azione amministrativa a una mera attività di esecuzione della legge – come solitamente si dice, parlando del potere esecutivo – apre un ampio spettro decisionale, squisitamente amministrativo, fatto di discrezionalità e di ponderazione degli elementi di fatto, rispetto ai quali la creazione giuridica dell’amministrazione è originale tanto quanto quella del legislatore. I principi tradizionali che intervengono in questo ambito, come l’imparzialità, la competenza e l’attribuzione, si sono arricchiti di significati concreti, con l’economicità, l’efficacia, l’efficienza, e ancora la trasparenza, la semplificazione, l’adeguatezza, per dare contenuto ad una idea ben precisa, quella della “buona Amministrazione”, in contrapposto alla “cattiva Amministrazione”, come ora si esprime il diritto europeo. 

L’approccio del libro di Tuzi si muove, perciò, lungo un filone che non è di legalità esclusivamente formale, ma considera il modo in cui si può realizzare una buona amministrazione, partendo dalla realtà data, che non appare affatto positiva; di qui, anche la necessità di affrontare temi non sempre considerati nell’esame della pubblica amministrazione come la motivazione personale del funzionario, la valutazione dei comportamenti, la formazione etica e l’approccio egoistico del pubblico impiegato, la formazione dell’amministrazione rispetto ai bisogni dei cittadini e alle condizioni dell’economia, la ponderazione delle decisioni dal punto di vista dei costi-benefici, sino a giungere ai confini della definizione di pubblica amministrazione o a considerare il modello organizzativo dell’amministrazione stessa dal punto di vista dell’accentramento o del decentramento e alla conciliazione tra l’interesse personale e la collaborazione per realizzare le finalità pubbliche. 

L’approccio di Tuzi nella sua analisi, compiuta con un linguaggio semplice, diretto ed efficace, muove dalle premesse della public choice di James Buchanan e Gordon Tullock, pensate – almeno in un primo momento – per i corpi costituzionali di uno Stato e successivamente trasferiti, soprattutto da Tullock, all’Amministrazione; e sono palesemente ispirate alla filosofia del Leviatano e del cittadino di Thomas Hobbes. La visione di questi pensatori è palesemente pessimistica, essendo il centro della condizione umana la competizione fondata sull’egoismo individuale che, come elemento di natura, non consentirebbe di assicurare la sopravvivenza, dal momento che la sopraffazione avvolgerebbe nell’incertezza la conservazione dei risultati di ogni attività umana e impedirebbe, di conseguenza, lo sviluppo economico della comunità. La fondazione dello Stato consentirebbe di limitare i portati estremi di questa situazione che condurrebbero non all’autoconservazione, bensì alla distruzione del genere umano; ma, essendo lo Stato stesso a sua volta composto da uomini, ecco riproporsi all’interno di questo, negli apparati, il tema della competizione, dell’egoismo, dell’interesse del singolo, in contrapposto al dovere dell’ufficio e all’interesse generale. 

L’efficacia di questa impostazione è tale che, per quanto sia pessimista, non giunge mai a diventare apocalittica; anzi, proprio l’analisi razionale, consente di trovare adeguati strumenti per bilanciare, nella costruzione statale e amministrativa, lo stato di natura con uno stato di ragione che determina la civilizzazione. L’orizzonte dell’analisi economico costituzionale, così, si amplia, soprattutto con l’approccio collaborativo della teoria dei giochi di John Nash e quello realistico della razionalità limitata di Herbert Simon, e si volge, dal pessimismo iniziale, verso visioni più ottimistiche che lasciano sperare in soluzioni positive. In tal senso, il sottotitolo del libro, “Manuale per una sopravvivenza operosa”, è espressivo di questo risvolto che ci consente di intravedere una possibile via d’uscita dalla condizione presente dell’amministrazione, purché si possa applicare pienamente il principio della “buona Amministrazione” e della legalità sostanziale dell’agire amministrativo, che richiede soprattutto a chi la dirige di muoversi in una logica alta del proprio interesse e, perciò, diversa dall’esecuzione servile della politica. In una logica che si può definire di vera autonomia politica dell’amministratore. 

Tuzi è uno studioso e, anche quando è operativo nel campo gestionale, un amministratore sperimentale. Ha, perciò, il giusto approccio ai problemi e la giusta mentalità per “scoprirne” la soluzione, con realismo e senza illusioni sulla realtà concreta dell’amministrazione. Tuttavia, il suo modo di pensare (e di agire) risulta antitetico alla logica di certa letteratura contemporanea sull’amministratore pubblico raffigurato come un decisionista semplificatore. La sua impostazione, infatti, non porta a configurare un manager (questo termine è quanto mai improprio nel caso della PA, ma così di moda che ha preso il sopravvento) che arriva negli uffici pubblici, preferibilmente dal “privato”, con le sue ricette, imparate in qualche master di I o di II livello, poco importa, per imporre il suo sapere preconfezionato all’apparato che è stato chiamato a dirigere, magari con una presentazione di slides predisposte in powerpoint, che non lasciano più nulla al dibattito tra i collaboratori e nei processi di formazione interna. Manager di questo tipo, per chi ha avuto qualche esperienza diretta, non sembrano funzionali alla pubblica amministrazione; forse sono adeguati per le grandi imprese private, che sono afflitte anch’esse dalla burocratizzazione, ma certamente non vanno bene per la PA, che, per quanto grande possa essere, non si fonda sulla catena di montaggio, né tantomeno sulla realizzazione del profitto. 

Nella visione di Tuzi il dirigente pubblico deve tenere la porta aperta, perché tutti possano entrare, ascoltare e contribuire al dibattito interno per la costruzione e l’implementazione delle soluzioni. Partecipazione e collaborazione esaltano così le doti dei singoli funzionari amministrativi e danno della pubblica amministrazione una visione diversa, sia per quanto concerne la distribuzione del lavoro, sia per il modo di realizzare i risultati dell’attività amministrativa. Una visione “politica” del potere esercitato che serve alla collettività e al cittadino.  

Stelio Mangiameli 

Menu

Contenuti