a cura di Andrea Filippetti

Il divario territoriale in Italia

Il divario territoriale tra regioni del centro-nord e regioni del Mezzogiorno affonda le sue radici dalle vicende dell’unificazione. In termini di prodotto interno loro per capita, il divario comincia ad ampliarsi dal 1861 a seguito del processo di industrializzazione e si accentua fino all’inizio della seconda guerra mondiale. Il secondo dopoguerra vede una progressiva riduzione del divario fino a metà degli anni ’70. Dopo venticinque anni di graduale riduzione dei divari di reddito rispetto al Centro Nord, dalla seconda metà degli anni settanta il Mezzogiorno non mostra alcuna significativa convergenza. Il prodotto pro capite delle regioni meridionali da allora oscilla tra il 55 e il 60 per cento di quello medio delle altre aree. La recessione del 2008 ha ulteriormente acuito le differenze tra nord e sud Italia.[1] Le differenze in termine di pil pro capite si riflettono inevitabilmente in molti altri settori, quali quello del mercato del lavoro, della demografia, delle infrastrutture e dei servizi pubblici, della qualità istituzionale e del capitale sociale.[2]

Le politiche di coesione per la convergenza regionale

Negli ultimi decenni, l’intervento nel Mezzogiorno si è spostato dalla dimensione di intervento straordinario gestito del governo centrale verso interventi “regionalizzati” in cui i fondi strutturali della politica di coesione europea hanno giocato un ruolo sempre più rilevante. Nonstante le politiche di coesione pesano per meno del 5% del totale della spesa pubblica, sono di fatto diventate uno strumento di policy fondamentale per le regioni del Mezzogiorno nell’ambito di un progressivo spostamento dell’intervento della politica, sia in sede di programmazione sia in sede di esecuzione, dal governo centrale verso i governi regionali, che è culminato con la riforma costituzionale del Titolo V nel 2001 che ha attributo alla regioni maggiori competeze e risorse finanziarie.[3] Nella fase attuale le regioni sono impegnate nel nuovo ciclo di programmazione 2014-2020. La sfida, soprattutto il sud, è rappresentata dalla capacità di programmare e gestire gli interventi di policy.[4]  

Divario territoriale, crisi finanziaria e autonomia fiscale

La crisi economica del 2008, che si è protratta per diversi anni, ha avuto in Italia effetti differenziati sul territorio. In particolare l’impatto è stato particolarmente severo nelle Regioni del Mezzogiorno rispetto a quelle del Centro-Nord (Figura 2 e 3). Questo ha riacuito le tensioni territoriali, ed ha rianimato il dibattito sulla questione del Mezzogiorno che era stata accantonata, di fatto demandata alle singole Regioni attraverso il meccanismo dei fondi strutturali della politica di coesione europea.

 

 

Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro; Indici 2000=100

A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione alle Regioni è stata via via attribuita maggiore capacità fiscale che in linea di principio avrebbe dovuto tendere alla autonomia finanziaria. Se la crisi ha infatti riacuito la distanza del Mezzogiorno con il resto del paese, il combinato disposto federalismo fiscale e crisi economica ha ulteriormente aggravato tale divario. La supposta autonomia finanziaria ha da un lato determinato un maggiore prelievo fiscale al sud sulle persone e le imprese, ma dall’altro lato ha ridotto il gettito fiscale complessivo disponibile rispetto al nord. Dal lato delle entrate fiscale, la penalizzazione per le Regioni del Mezzogiorno è quindi duplice (Figura 4).[5]

Link utili

 

 

 

 

[1] Si veda il contributo di Vittorio Daniele e Paolo Mananima.

[2] Per una ampia discussione sul capitale sociale si veda qui.

[3] L’implementazione delle politiche di coesione di è accompagnato allo sviluppo della teoria della multi-level governance, si veda per approdondimenti qui.

[4] F. Tuzi e A. Filippetti, Italia Decide, 2017.

[5] Si veda A. Filippetti e G. Testa “Il divario territorial italino tra crisi economica e federalismo fiscale”, in Rapporto sulle Regioni in Italia 2015, (a cura di) S. Mangiameli e G.M. Napolitano, Il Sole24Ore.

Menu

Contenuti