Dopo un iter articolato che ha coinvolto il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e la Conferenza Stato-Regioni, il 22 febbraio us è stata raggiunta l’intesa (ai sensi dell’art. 1, comma 84 della l. 147/2013) sullo schema di decreto per la definizione dei costi standard dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale e i relativi criteri di aggiornamento e applicazione, contenuto nel primo dei tre provvedimenti attuativi della riforma avviata con il decreto legge n. 50/2017 (art. 27).

L’obiettivo atteso della riforma è di traghettare il trasporto pubblico in Italia verso obiettivi di efficienza, abbandonando il criterio della spesa storica, quale parametro di riferimento per la distribuzione alle Regioni del fondo per il contributo dello Stato ai costi del trasporto pubblico locale. L’applicazione delle prescrizioni contenute nel provvedimento attuativo sarà, comunque, graduale. Per il primo anno solo il 10% dell'importo del fondo dovrà essere ripartito in base ai criteri contenuti nello schema di decreto. Negli anni successivi la quota sarà progressivamente incrementata del 5% per ciascun anno fino a raggiungere il venti per cento a regime.

Il costo standard è una funzione che tiene conto delle diverse specificità di produzione e delle condizioni della domanda. Lo schema di decreto introduce il criterio del “giusto prezzo” dei servizi di trasporto sulla base di tre variabili: la velocità commerciale, la quantità di servizio offerta (bus-km di servizio o posto a sedere-km di servizio) e il grado di ammodernamento del materiale rotabile per la produzione del servizio. Attraverso adeguati margini di flessibilità, coerenti con la tipicità che caratterizza le diverse tipologie di servizio e con le condizioni di domanda debole che contraddistinguono alcune aree del paese, il costo standard è destinato a diventare il criterio di riferimento per la quantificazione delle compensazioni economiche e delle somme da porre a base d'asta.

L’ammodernamento del materiale rotabile è espresso in termini di ammortamento standard, finalizzato alla valorizzazione di tutti i fattori produttivi necessari alla fornitura delle diverse tipologie di servizi di TPL; tale indicatore potrebbe rappresentare un potenziale elemento di garanzia del rinnovo periodico dei mezzi. Con l’introduzione del criterio dei costi standard si vuole dunque affrontare anche l’aspetto legato agli investimenti, favorendo l’attivazione di un turnover dei mezzi di trasporto e la conseguente innovazione delle imprese del settore.

La Conferenza delle Regioni ha, tuttavia, condizionato il proprio assenso all’intesa sul testo all’accoglimento di due proposte di modifica ed ha rimarcato la necessità di un approfondimento condiviso e sistemico delle modalità di attuazione dell’articolo 27 del citato decreto legge n. 50/2017, in quanto la definizione di uno solo dei tre decreti previsti rende di fatto difficoltoso valutarne le ricadute complessive sul sistema del TPL nazionale.

La prima modifica proposta dalla Conferenza riguarda la limitazione dell’utilizzo del costo standard in modo tale che, nel primo triennio, non possa comunque determinare, per ciascuna Regione, una riduzione annua superiore al 5% della quota di riparto del fondo attribuita in base a tale criterio.

Il secondo emendamento include invece nella definizione delle realtà territoriali - laddove si parla di aree a domanda debole - anche la dimensione regionale. Ciò a salvaguardia delle Regioni di piccole dimensioni che in tal modo possono configurarsi come intere Regioni a domanda debole e con bassa densità abitativa.

Tali realtà regionali rischiavano, infatti, di trovarsi penalizzate dall’attuazione di regole che non tenessero conto di particolari condizioni territoriali quali la bassa densità abitativa, una grande estensione territoriale con centri urbani rurali e periferici in un contesto orografico che presenta anche un’elevata variazione altimetrica.

Il provvedimento è stato accolto dagli operatori del settore come uno strumento di garanzia per una coerente remunerazione dei servizi, del riconoscimento di un equo margine di utile da reinvestire nel settore, di un’adeguata considerazione dei costi di ammortamento degli investimenti in infrastrutture e mezzi, di una più equilibrata e paritaria competizione nelle gare per l’aggiudicazione dei servizi.

Ora si tratta di verificare come questo strumento verrà utilizzato ”sul campo” per superare le criticità del sistema italiano. In Italia esistono ancora troppe protezioni a garanzia degli operatori storici e il ricorso a gare competitive è stato limitato. Ci troviamo dunque in un contesto di mercato regolamentato, il cui livello di apertura in termini di possibilità di accesso da parte di nuove imprese rispetto agli incumbent è piuttosto limitato.

Va, comunque, rilevato come le evidenze empiriche sembrano ridimensionare alcuni modelli teorici alla base delle politiche di liberalizzazione. Infatti, la sostituzione delle procedure di affidamento negoziate con quelle di affidamento concorsuale anche se confermano una maggiore produttività delle imprese private rispetto a quelle pubbliche non sembrano incidere, se non in maniera modesta, sull’efficientamento del servizio. Ciò può dipendere anche dalla circostanza che il ricorso a procedure competitive per il mercato, finalizzate all’apertura alla concorrenza di mercati che rimangono in monopolio, non può essere separato dall’introduzione di adeguati incentivi contrattuali che regolano il comportamento del concessionario durante la realizzazione del contratto.

Molto dipenderà dunque da come verranno utilizzati concretamente i costi standard dalle amministrazioni territoriali, ma almeno lo strumento per calcolare il giusto prezzo dei servizi di trasporto pubblico locale ora c’è.

Il fattore determinante del successo di una norma è come questa viene implementata. All’approccio prescrittivo che ha caratterizzato la modalità di intervento dello Stato attraverso la routinaria e ripetitiva promulgazione di norme, dovrebbe ora essere affiancata una più efficace azione di controllo sulla reale attuazione delle norme esistenti da parte delle Regioni e degli enti locali.

 

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