Regionalismo asimmetrico: pre-intesa delle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto con il governo Gentiloni

 

Il 28 febbraio 2018 i presidenti dell’Emilia-Romagna (Stefano Bonaccini), della Lombardia (Roberto Maroni) e del Veneto (Luca Zaia) hanno siglato distinti accordi preliminari con il sottosegretario per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del consiglio dei ministri (Giancarlo Bressa), in merito all’intesa prevista dall’art. 116, III co., Cost. per l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia per le rispettive regioni.

Queste pre-intese hanno individuato, pur con alcune differenti specificità, le medesime materie prioritarie per la conclusione del negoziato che si intenderebbe proseguire, adesso, a seguito del rinnovo degli organi dello Stato e della Regione Lombardia, che si è avuto con il voto il 4 marzo 2018 (Politiche del lavoro, Istruzione, Salute, Ambiente ed Ecosistema, Rapporti internazionali e con l’Unione europea). Si può dunque notare che la convergenza di intenti intorno a questo omogeneo nucleo essenziale di funzioni – opportunamente stimolata e favorita dal governo nazionale – potrebbe consentire di procedere lungo un percorso di asimmetria lineare delle competenze regionali che potrebbe facilmente indurre altre regioni a proporre analoghe iniziative di differenziazione parallela e, in definitiva, a produrre un effetto evolutivo del nostro regionalismo tendente, in prospettiva, verso una nuova ma più avanzata simmetria.

Tali accordi inoltre, in maniera assolutamente conforme, hanno richiamato i principi costituzionali applicabili e hanno precisato il procedimento da seguire per la definizione delle possibili intese, nonché i termini di durata, di verifica dei risultati e di modifica delle stesse e la metodologia da utilizzare per la determinazione delle risorse necessarie al loro finanziamento. Più in particolare:

  • Quanto ai principi costituzionali, si sono individuati, in primo luogo, il rispetto dell’equilibrio di bilancio dello Stato e degli enti territoriali e dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea (art. 117, I co.), ma anche la garanzia del finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite alle regioni (art. 117, IV co.);
  • Quanto al procedimento per la definizione delle intese, a specificazione di quanto espressamente stabilito dall’art. 116, III co., Cost., si è convenuto che l’approvazione della legge da parte delle Camere “avverrà in conformità al procedimento, ormai consolidato in via di prassi, per l’approvazione delle intese tra lo Stato e le confessioni religiose, di cui all’art. 8, terzo comma, della Costituzione” e, dunque, previa intesa intergovernativa forte (vale a dire: inemendabile dal Parlamento, che potrà solo approvarla o non approvarla);
  • Quanto ai termini temporali, si è precisato che le intese avranno durata decennale e che – salva l’eventualità della revisione anticipata per giustificato motivo – al termine di questo periodo, previa verifica dei risultati raggiunti, si procederà al loro rinnovo o alla loro rinegoziazione o cessazione;
  • Quanto alle risorse finanziarie, umane e strumentali, si è convenuto che le modalità per la loro attribuzione saranno determinate da un’apposita Commissione paritetica Stato-Regione sulla base di criteri che, a partire – in prima attuazione – dalla spesa statale regionalizzata riferibile alle funzioni da attribuire (spesa storica), individui il fabbisogno standard (livello ottimale di spesa per lo svolgimento di un servizio in condizioni di efficienza e appropriatezza) quale “termine di riferimento, in relazione alla popolazione residente e al gettito dei tributi maturati nel territorio regionale in rapporto ai rispettivi valori nazionali, fatti salvi gli attuali livelli di erogazione dei servizi”, per ottenere – a regime – la fiscalizzazione del finanziamento delle funzioni attribuite (da definire in termini di compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale).

Come si può facilmente comprendere, la questione più delicata da affrontare, alla ripresa del negoziato, sarà quella delle risorse, per la quale sarà necessaria una più puntuale disciplina nell’ambito dell’intesa definitiva. La determinazione dei fabbisogni standard per l’esercizio delle funzioni ha, infatti, un sicuro rilevo nazionale (in quanto parametro necessario per l’individuazione delle risorse da destinare alla perequazione per i territori con minore capacità fiscale al fine di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite, al netto di inefficienze ed oneri impropri) e, per essere correttamente svolta, impone di riattivare allo stesso tempo, secondo i principi dell’autonomia responsabile e solidale, l’attuazione del nuovo art. 119 Cost. (il c.d. federalismo fiscale) rimasta paralizzata dal sopraggiungere della crisi finanziaria. Inoltre, un sistema amministrativo differenziato asimmetricamente sul territorio, non consentendo una generalizzata riduzione dei costi dell’amministrazione dello Stato – che deve continuare ad erogare le funzioni parzialmente dismesse sul restante territorio nazionale e a farsi carico unitariamente dei servizi generali non regionalizzabili (quale, in primo luogo, quello del debito pubblico) –, potrebbe determinare un aumento delle spese della gestione amministrativa che rischia o di non garantire la neutralità finanziaria del trasferimento delle funzioni (a regime) o di ridurre l’output delle stesse (il livello di erogazione dei servizi), salvo assicurare un aumento di efficienza nel trasferimento dall’amministrazione statale a quella regionale almeno corrispondente ai maggiori costi.

Comunque sia, l’adozione dei predetti accordi bilaterali tra il governo nazionale e le indicate Regioni, proprio sul finire della XVII legislatura, sembra annunziare – almeno nelle intenzioni ivi dichiarate – un’inversione di tendenza nel percorso riformatore concernente le autonomie territoriali, precedentemente (almeno a partire dal varo del governo Monti) chiaramente improntato alla generale sfiducia nei loro confronti e alla conseguente riduzione dell’autonomia e delle risorse finanziarie da queste disponibili, a prescindere da ogni valutazione circa l’efficienza e l’appropriatezza della spesa delle singole Regioni e dello Stato (con l’impiego dei c.d. tagli lineari), nonché circa l’effettiva copertura finanziaria delle funzioni amministrative fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni sociali (come previsto dalla legge n. 42/2009 e dai suoi decreti attuativi, ma rimasto inapplicato).

 

Per un approfondimento, si allegano le tre pre-intese sul regionalismo asimmetrico, nonché le audizioni dei professori Antonio D’Atena e Stelio Mangiameli e il documento conclusivo della Commissione parlamentare per le questioni regionali, nell’ambito  dell’indagine conoscitiva sull’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con particolare riferimento alle recenti iniziative delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.

 

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